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martedì 3 gennaio 2017

Buchi neri, la prima foto sarà scattata nel marzo del 2017 nella via Lattea.

Buchi neri, la prima foto sarà scattata nel marzo del 2017 nella via Lattea

Considerato dalla rivista Nature uno degli eventi scientifici più attesi per il 2017, porterà ad avere un’immagine 'in negativo' del buco nero super massiccio Sagittarius A.

Gli scienziati li hanno ipotizzati, li hanno rappresentati e anche simulati ed è stato anche osservato per la prima volta un risveglio, senza dimenticare che il segnale catturato che ha permesso di rilevare le onde gravitazionali è stato emesso dalla fusione di due buchi neri. Ora si avvicina il momento della prima foto di un buco nero, quello che si trova al centro della Via Lattea: lo ‘scatto’ è previsto nel marzo del 2017 anche per lo ‘sviluppo’ saranno necessari mesi. Dalle immagini, che saranno raccolte dalla rete mondiale di telescopi del progetto Event Horizon Telescope, sarà possibile capire molto su questi enigmatici mostri cosmici.
Considerato dalla rivista Nature uno degli eventi scientifici più attesi per il 2017, porterà ad avere un’immagine ‘in negativo’ del buco nero super massiccio Sagittarius A al centro di molti studi, tra cui il recente lavoro guidato da Matthew Kuntz, dell’università di Princeton, e pubblicato su Physical Review Letters che ha messo in dubbio molte delle certezze su come i buchi neri si sfamino, inghiottendo la materia che li circonda. “Event Horizon è un progetto atteso da tanto tempo e ci fa davvero sognare”, ha commentato Marcello Giroletti, dell’Istituto di Radioastronomia dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Ira-Inaf). “‘È un’osservazione quasi impossibile. Difficilissima a livello tecnico – ha aggiunto – perché il buco nero per definizione non emette radiazione, infatti ne vedremo l’ombra, ed è un oggetto lontanissimo e molto piccolo”. “Le immagini ci faranno capire molto meglio cosa succede quando la materia cade al suo interno”, ha detto Giroletti, se la materia viene ‘strizzata’ dalla forza di gravità oppure ‘fritta’ a causa degli effetti quantistici che creano una sorta di barriera di fuoco attorno ai buchi neri.
Il via alle osservazioni è programmato per la metà di marzo, con otto telescopi che collegati tra loro ne formeranno uno unico grande come la Terra e che vede come punta di diamante Alma, il radiotelescopio dell’Osservatorio Europeo Meridionale (Eso). Le osservazioni saranno ripetute per alcune settimane e i dati saranno poi inviati a un super computer che combinerà i molti dati per creare le immagini finali.

venerdì 18 novembre 2016

Scoperta italiana choc: "Dna 'alieno' in un malato di leucemia acuta su 2".

Risultati immagini per dna alieno

C'è del Dna 'alieno' nelle cellule cancerose di oltre la metà dei malati di leucemia mieloide acuta, una famiglia di tumori del sangue che solo in Italia fa registrare ogni anno 2 mila nuovi casi. La scoperta, di quelle probabilmente destinate a cambiare la storia della medicina oncoematologica, è tutta italiana - milanese - e appare oggi su 'Scientific Reports', rivista del gruppo Nature.

Uno studio che ha portato a conclusioni inedite e inaspettate"Scioccanti" a detta degli stessi autori che nelle cellule neoplastiche del 56% dei pazienti analizzati, 125 adulti in trattamento all'ospedale Niguarda di Milano, si sono trovati davanti a un sorprendente intruso: "Una sequenza nucleotidica che non ha corrispondenza in nessuna delle sequenze umane finora conosciute", spiega all'AdnKronos Salute Roberto Cairoli, direttore dell'Ematologia dell'Asst meneghina, coordinatore del lavoro insieme ad Alessandro Beghini del Dipartimento di scienze della salute dell'università Statale del capoluogo lombardo.

"Non ci ho dormito la notte - confessa lo scienziato - Abbiamo sottoposto il lavoro il 1 giugno e la pubblicazione è arrivata oggi, dopo verifiche approfonditissime da parte di referee internazionali". La sequenza misteriosa 'abita' nel gene che codifica per una proteina chiamata WNT10B, sovraespressa nella cellula leucemica. Per capire "da dove viene, come ci arriva e chi ce la porta" si aprono "diverse ipotesi ancora tutte da esplorare", precisa Cairoli. Ma una delle piste da seguire è quella microbiologica: un virus o un batterio, di certo un organismo non umano.

Cairoli ripercorre la storia che ha portato al sorprendente risultato. "In un primo momento - racconta l'ematologo, responsabile della parte clinica del lavoro, diretto da Beghini per la parte accademica - abbiamo visto che le cellule leucemiche sovraesprimevano WNT10B". Già in uno studio di 4 anni fa, sempre a firma delle 2 équipe milanesi, si era osservato che la proliferazione cellulare incontrollata, tipica dei meccanismi tumorali, presentava un'iper-espressione della stessa proteina. "E siccome dietro una proteina c'è sempre un gene che la codifica - ricorda Cairoli - ci siamo focalizzati sulla corrispondente porzione di Dna".

In altre parole "siamo andati a ritroso - sottolineano Cairoli e Beghini - chiedendoci chi impartisse l'ordine in grado di attivare un loop autoproliferativo senza interruzione. Grazie a una serie di tecniche di biologia molecolare molto avanzate, usate solo in pochi centri a livello mondiale, siamo quindi riusciti a identificare una variante dell'oncogene WNT10B e lo abbiamo studiato". Un'opera 'certosina' che si è avvalsa del "prezioso contributo" di Francesca Lazzaroni, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di scienze della salute dell'università degli Studi di Milano, e di Luca Del Giacco, ricercatore del Dipartimento di bioscienze dell'ateneo.

Ed ecco spuntare "l'intruso": nell'area 'interruttore', cioè quella che regola l'accensione o lo spegnimento del gene, è stata individuata una sequenza di nucleotidi (i 'mattoni' che compongono il Dna) che sicuramente non è di origine umana. "In questo - puntualizzano i ricercatori - ha giocato un ruolo fondamentale anche l'uso di sequenziatori automatici diciamo un po' 'vintage'. E' stata la nostra fortuna, perché i macchinari di ultima generazione avrebbero scartato le sequenze non umane in automatico senza neppure analizzarle".

"Il confronto con tutti i database delle sequenze nucleotidiche umane non ha prodotto alcuna corrispondenza con la sequenza misteriosa riscontrata - prosegue Cairoli - Abbiamo dunque a che fare con una sequenza aliena inserita in un Dna umano". La scoperta è "importantissima", assicurano gli scienziati, pur non nascondendo "perplessità e qualche paura" per il lavoro ciclopico che si apre: "Negli anni a venire - evidenziano - servirà tutta una serie di approfondimenti per risalire alla specie a cui appartiene questa sequenza nucleotidica". Un 'corpo estraneo' in cerca di identikit, un 'oggetto non identificato' al quale va dato un nome.

La fase di matching, ossia di confronto con tutte le sequenze non umane note, sarà molto complessa e "richiederà necessariamente la collaborazione con enti di ricerca internazionali che mettano a disposizione banche di Dna non umano molto vaste". Un'impresa ancora più cruciale considerando un'altra correlazione trovata dal team meneghino: la stessa alterazione genetica si riscontra anche in alcune cellule di cancro del seno. In questo senso "le evidenze sono al momento meno approfondite", ma si tratta di un input di ricerca che potrebbe delineare "novità importanti" anche per il 'big killer in rosa'.

Nel frattempo, tra le corsie di Niguarda e i corridoi della Statale le ricadute della scoperta sul trattamento della leucemia mieloide acuta sono ritenute "promettenti": si è infatti identificato all'interno del gene WNT10B delle cellule leucemiche "un nuovo target per lo sviluppo di nuove, future terapie intelligenti a bersaglio molecolare". Per Cairoli "il sogno è impedire 'il matrimonio con l'alieno', ovvero fare in modo che la cellula sana non subisca la perturbazione di questa sequenza nucleotidica anomala". Oppure, se le 'nozze' avvengono, "cercare di limitarne il più possibile i danni".

Lo studio 'made in Milano' è un esempio vincente di ricerca italiana pubblica e indipendente. "Un lavoro completamente autofinanziato - tengono a dire da ospedale e ateneo - possibile anche grazie al sostegno del volontariato": dell'Associazione malattie del sangue di Milano - fondata e presieduta dalla storica primaria ematologa di Niguarda Enrica Morra, "mamma scientifica" di Cairoli che ne ha ereditato il timone alla guida del reparto - e dell'associazione Cho-Como Hematology and Oncology, fondata dallo stesso Cairoli nei suoi anni di primario all'ospedale Valduce.

Le leucemie mieloidi acute sono malattie con una prevalenza di casi maschile e un picco di insorgenza dopo i 60 anni. "Considerandole in tutti i tipi, in ogni fascia d'età - stima Cairoli - possiamo dire che oggi curiamo bene circa il 40-45% dei pazienti. Questo però vuol dire che, a seconda dell'età e del tipo di leucemia, ci sono malati con una probabilità di cura del 90-95% e altri con appena il 10-15% di chance". E' soprattutto per questi ultimi che si auspicano ulteriori progressi, in una branca della medicina - l'oncoematologia - che ha potuto vantare negli ultimi decenni successi fra i più grandi e insospettabili in passato.
A far sperare in un impatto positivo del nuovo lavoro c'è infine un ultimo elemento: "I pazienti che presentano la sequenza genetica aliena - conclude Cairoli - non sono quelli a prognosi migliore, né quelli in cui il tumore è secondario a chemio o a radioterapia". Potrebbero essere loro, i malati più 'difficili', a beneficiare maggiormente di questa scoperta al 100% tricolore.

sabato 13 febbraio 2016

Onde gravitazionali, scoperta storica: Fisici: “Come quando Galileo puntò al cielo il suo cannocchiale”.

Onde gravitazionali, scoperta storica: Fisici: “Come quando Galileo puntò al cielo il suo cannocchiale”

A cento anni dalla pubblicazione della Relatività Generale, una delle poche previsioni della rivoluzionaria teoria di Albert Einstein che si era finora sottratta alla verifica sperimentale diretta, trova finalmente conferma. E l'Italia ha dato il suo contributo con l'Istituto nazionale di fisica nucleare.




Un sasso ha perturbato la superficie di uno stagno, generando increspature che ancora oggi si stanno propagando. Nello spazio e nel tempo. Alla velocità della luce. Solo che il sasso è un enorme buco nero rotante, nato dall’abbraccio di due di questi voraci cannibali cosmici. E lo stagno l’intero universo, di cui il Sistema solare non è che una molecola. A cento anni dalla pubblicazione della Relatività Generale, una delle poche previsioni della rivoluzionaria teoria di Albert Einstein che si era finora sottratta alla verifica sperimentale diretta, trova finalmente conferma. I fisici sono riusciti per la prima volta a catturare le onde gravitazionali.
La scoperta è stata annunciata in contemporanea nel corso di due conferenze stampa a Washington, nella sede della National science foundation (Nsf), e in Italia, a Càscina, vicino Pisa, nella sede dello European gravitational observatory (Ego), fondato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e dal Centre national de la recherche scientifique (Cnrs) francese. Una scoperta già in odore di Nobel, destinata a cambiare per sempre la nostra percezione dell’universo.
La scoperta di queste increspature del tessuto dello spazio-tempo, saltate fuori un secolo fa dalle equazioni di Einstein, e accolte inizialmente con scetticismo dallo stesso fisico tedesco, viene dagli Usa, dai due esperimenti gemelli Ligo (Laser interferometer gravitational-wave observatory). Ma parla anche italiano. Ligo è, infatti, parte di un network di osservatori di onde gravitazionali – gli esperti li chiamano interferometri laser – sparsi per il mondo, di cui un nodo importante è in Italia. È rappresentato dall’esperimento Virgo, un progetto nato da un’idea del fisico italiano Adalberto Giazotto e del francese Alain Brillet, e realizzato dall’Infn e dal Cnrs con il contributo del Nikhef (nei Paesi Bassi), in collaborazione con la Polish academy of sciences (in Polonia) e con il Wigner institute (in Ungheria).
L’antenna per onde gravitazionali Virgo – che fa capo a Ego e conta circa 250 fisici e ingegneri, quasi la metà dei quali Infn, provenienti da 19 laboratori europei -, i due interferometri gemelli Ligo negli Usa – a Hanford, nello stato di Washington, e a Livingston, in Louisiana – e il tedesco Geo600 ad Hannover funzionano, infatti, come un unico grande esperimento. I dati raccolti sono messi in comune e analizzati insieme. E insieme vengono pubblicati i risultati scientifici. Come sta avvenendo in queste ore con lo studio che illustra i dettagli della scoperta, accettato per la pubblicazione dalla rivista Physical review letters (Prl) e firmato da circa un migliaio di scienziati. Uno studio che contiene immagini destinate a essere ospitate in tutti i futuri libri di testo sulla Relatività Generale.
Einstein aveva ragione“Abbiamo dimostrato sperimentalmente proprio quello che aveva predetto Einstein – commenta emozionato Fulvio Ricci, ricercatore dell’Infn coordinatore di Virgo -. Le equazioni della Relatività Generale descrivono perfettamente il segnale che abbiamo osservato. Anzi – sottolinea il fisico italiano -, sarebbe più corretto dire che abbiamo ascoltato, dato che il segnale ha una frequenza caratteristica delle onde acustiche”. “Sembrava una sfida impossibile – aggiunge Pia Astone, ricercatrice Infn che ha curato la redazione dell’articolo scientifico sulla scoperta assieme ad altri cinque colleghi di Virgo e Ligo -. Lo sosteneva lo stesso Einstein, che reputava questi segnali troppo deboli per una possibile rivelazione. Invece, siamo riusciti a catturarli”.
Le onde gravitazionali sono state prodotte nell’ultima frazione di secondo di un evento cosmologico mai osservato finora direttamente: la fusione tra due buchi neri, di massa equivalente a circa 29 e 36 masse solari. Il risultato di questo cataclisma è un mostro cosmico, un unico buco nero rotante di circa 62 masse solari. Le 3 masse solari mancanti dopo la fusione corrispondono all’energia emessa sotto forma di onde gravitazionali. La massa e l’energia, infatti, come ci ha insegnato Einstein con la sua celebre equazione E=mc2, sono equivalenti. Questo scontro tra titani è avvenuto al di fuori della Via Lattea, a una distanza dalla Terra di circa 410 megaparsec (410 milioni di parsec, dove 1 parsec equivale a poco più di 3 anni luce, ndr). Le onde sono state, quindi, emesse quasi un miliardo e mezzo di anni fa, quando sul nostro Pianeta facevano la loro comparsa le prime cellule evolute, in grado di utilizzare l’ossigeno per produrre energia. E ha viaggiato tutto questo tempo nel cosmo, alla velocità della luce. Fino ai nostri giorni.
“Questo risultato rappresenta un regalo speciale per il 100° compleanno della Relatività Generale – commenta Fernando Ferroni, presidente dell’Infn -. È il sigillo finale sulla meravigliosa teoria che ci ha lasciato il genio di Albert Einstein. Una scoperta – prosegue il fisico italiano – cui l’Italia ha dato un grande contributo, figlio di quella scuola che negli anni ’70 del secolo scorso si formò intorno alle figure di Edoardo Amaldi, Guido Pizzella, Adalberto Giazotto, e che oggi vede i nostri ricercatori protagonisti grazie alla tecnologia di Virgo”.
Un cinguettìo dal cosmo profondo.
Il primo segnale diretto di un’onda gravitazionale è brevissimo, della durata di una frazione di secondo, e ha una frequenza variabile dai 30 ai 250 Hz. Captato lo scorso 14 settembre, alle 10:51 ora italiana, è come un cinguettìo. È stato generato da due buchi neri che spiraleggiano l’uno intorno all’altro fino a scontrarsi a una velocità enorme, pari a circa la metà di quella della luce, fondendosi in un unico buco nero rotante che, prima di stabilizzarsi, vibra come una campana. Un vero e proprio terremoto cosmico che ha prodotto, anziché onde sismiche, onde gravitazionali. E nient’altro.

(il suono delle onde gravitazionali:)

                      https://www.youtube.com/watch?v=WzPVaU11CCY
Senza queste increspature dello spazio-tempo, quindi, non avremmo mai saputo nulla di questo cataclisma. Il fenomeno, infatti, non è stato accompagnato dall’emissione di altri tipi di segnali luminosi, anche a lunghezze d’onda invisibili all’occhio umano, come radiazione gamma o raggi X, né di particelle come i neutrini. E lo dimostra il fatto che decine di osservatori ottici tradizionali – sia terrestri che non, come i telescopi spaziali Fermi e Swift - oppure osservatori per neutrini, come Icecube e Antares, subito allertati per osservare anch’essi la fusione tra i due buchi neri, dopo aver effettuato un’accurata radiografia del cielo, non hanno osservato nulla.
Uno sguardo dentro i buchi neri 
La scoperta appena annunciata, che ha immediatamente fatto il giro del mondo, ne contiene, in realtà, due in una. Da un lato, è la prima volta che gli scienziati ascoltano le onde gravitazionali, perturbazioni dello spazio-tempo prodotte dal movimento accelerato di corpi dotati di massa. Ma, dall’altro, rappresenta la prima prova diretta dell’esistenza di sistemi binari di buchi neri di massa stellare, in particolare superiori a 25 masse solari. Un risultato che apre la strada allo studio approfondito delle loro proprietà, attraverso le onde gravitazionali. Mai prima d’ora, infatti, gli scienziati erano riusciti a catturare un segnale, un’informazione di prima mano, proveniente direttamente dal cuore impenetrabile di questi buchi neri. Per definizione, infatti, questi mostri cosmici divorano tutto ciò che incontrano, tanto che la stessa luce non riesce a sfuggire al loro abbraccio gravitazionale, e la loro presenza può essere dedotta solo dalla devastazione che producono oltre il loro orizzonte.
Un nuovo tipo di astronomia.
Ma la prima osservazione di onde gravitazionali non è solo un’ulteriore conferma della correttezza della Relatività Generale di Albert Einstein. È importante anche per un’altra ragione. Consente, infatti, di aprire una nuova finestra su un universo di cui conosciamo ancora poco. Un universo che parla una lingua fino a oggi sconosciuta agli scienziati, e di cui sarà possibile d’ora in poi ascoltare il suono. È come avere puntato al cielo un nuovo tipo di cannocchiale, come fece Galileo più di quattro secoli fa. Ogni volta che questo è successo in passato l’essere umano ha fatto scoperte straordinarie, oppure ha dovuto porsi nuove domande, spesso ancora senza risposte. La data di oggi segna l’inizio di un nuovo tipo di astronomia: l’astronomia gravitazionale.
“Questo risultato rappresenta un pietra miliare nella storia della fisica, ma ancor di più è l’inizio di un nuovo capitolo per l’astrofisica – spiega Ricci -. Osservare il cosmo attraverso le onde gravitazionali cambia radicalmente le nostre possibilità di studiarlo. Finora, infatti – chiarisce il coordinatore di Virgo -, è come se lo avessimo guardato attraverso delle radiografie. Adesso, invece, possiamo fare un’ecografia del nostro universo”. “L’astronomia gravitazionale è una nuova affascinante frontiera dell’incessante esplorazione cosmica – aggiunge Antonio Masiero, vicepresidente dell’Infn e del Council di Ego -. Questa straordinaria scoperta apre un’emozionante finestra sull’universo. Da oggi – spiega Masiero – le onde gravitazionali si aggiungono ai messaggeri cosmici che già studiamo, come i fotoni e i neutrini di alta energia, i raggi cosmici e l’antimateria”.
Le onde gravitazionali, in particolare quelle primordiali emesse subito dopo il Big Bang – che i fisici sperano adesso di catturare, anche se l’impresa sarà ancora più complessa di quella che ha portato al risultato odierno – sono, infatti, come dei messaggi in bottiglia siderali. Potrebbero, ad esempio, permetterci di ottenere un’immagine dell’universo più remota di quella che possediamo finora, scattata dalla sonda spaziale dell’Esa (European space agency) Planck, e che risale a circa 380mila anni dopo il Big Bang. Prima di questa data, infatti, non abbiamo istantanee dell’universo neonato, perché la luce era come intrappolata in una fitta nebbia. Le onde gravitazionali primordiali, invece, a differenza dei fotoni, possono viaggiare indisturbate. E potrebbero raccontarci, quindi, che cosa è accaduto all’universo nei suoi primi 380mila anni di vita, quando ha emesso i suoi primi vagiti.
In ascolto dei bisbigli dell’universoI fisici inseguono le onde gravitazionali da decenni. Queste perturbazioni dello spazio-tempo sono come dei sussurri dell’universo. La loro ampiezza è, infatti, infinitesima e occorrono quindi strumenti sensibilissimi per osservarle. Per questo, c’è voluto un secolo per ascoltare questi bisbigli cosmici, da quando Einstein ne predisse l’esistenza nel 1916. Sulla Terra possiamo ascoltare solo quelle generate dagli eventi più energetici dell’universo, come appunto lo scontro tra buchi neri. Per raggiungere questo storico risultato è stato, quindi, necessario spingere al limite le tecnologie degli interferometri laser, gli osservatori utilizzati dai fisici per la ricerca sulle onde gravitazionali. Questi strumenti scientifici – enormi orecchie estremamente sensibili formate da coppie di bracci perpendicolari lunghi fino a tre, quattro chilometri ciascuno, all’interno dei quali corrono raggi laser – al passaggio di un’onda gravitazionale vibrano con lo spazio-tempo. Come ci ha insegnato Einstein. Di conseguenza, la lunghezza dei loro bracci cambia – uno si allunga e l’altro si accorcia – e con essa il tempo impiegato dalla luce laser a percorrerli. Variazioni impercettibili, un miliardo di volte più piccole del diametro di un atomo d’idrogeno. Che questi strumenti sono, però, in grado di misurare con estrema precisione. 
Ma che cosa dobbiamo attenderci, dopo questa scoperta, nei prossimi mesi? I fisici italiani dell’Infn, già impegnati da mesi accanto ai colleghi americani di advanced Ligo nell’analisi dei dati presentati oggi al mondo, stanno adesso ultimando la realizzazione di un interferometro di seconda generazione, advanced Virgo, nel sito di Ego a Càscina. L’osservatorio inizierà a raccogliere dati nella seconda metà del 2016. Una volta ultimato, advanced Virgo avrà una sensibilità dieci volte superiore al passato. Sarà, cioè, in grado di guardare dieci volte più lontano, ampliando così di mille volte il volume di universo osservabile.
“L’aggiunta di advanced Virgo sarà fondamentale perché permetterà di capire da quale parte di cielo è arrivato il segnale – afferma Giovanni Losurdo, fisico Infn e project leader di advanced Virgo -. Gli interferometri di seconda generazione, come advanced Virgo e advanced Ligo, potrebbero catturare ogni anno decine di coalescenze, di fusioni tra buchi neri. L’osservazione diretta delle onde gravitazionali aprirà nuovi scenari, un modo nuovo di studiare l’universo e le sue leggi. Si potrà, ad esempio, guardare – sottolinea il ricercatore Infn – dentro oggetti opachi alla radiazione luminosa. E dare, quindi, una risposta sperimentale ad alcune grandi domande della fisica contemporanea, finora oggetto solo di speculazioni teoriche, come la formazione di un buco nero, o il comportamento della materia nelle condizioni di pressione e temperatura estreme di una stella di neutroni o di una supernova”.
Lo studio dei dati raccolti dai fisici aiuterà a descrivere meglio come agisce la forza gravitazionale in condizioni estreme mai esplorate prima, in cui la materia è confinata in un volume piccolissimo. Come se, ad esempio, una massa tre volte più grande del Sole fosse tutta racchiusa all’interno del diametro del grande raccordo anulare di Roma. “Finalmente – conclude Pia Astone -, possiamo osservare l’universo con occhi diversi. Adesso proseguiremo il nostro lavoro, non più domandandoci se ce la faremo a catturare le onde gravitazionali, ma quale sarà la prossima sorgente che manderà un segnale sui nostri strumenti. Noi siamo pronti”.

martedì 9 febbraio 2016

Onde gravitazionali, Science: “Fisici sono sull’orlo del successo”. Erano state teorizzate un secolo fa da Albert Einstein.

Onde gravitazionali, Science: “Fisici sono sull’orlo del successo”. Erano state teorizzate un secolo fa da Albert Einstein

Secondo le indiscrezioni a produrre le onde gravitazionali osservate sarebbe la "fusione" di due buchi neri molto vicini tra loro, uno con una massa 36 volte quella del Sole e uno di 29.


“In on the verge of success…”. Sull’orlo del successo. Poche righe sul sito di Science annunciano quello che da settimane è l’argomento più segreto e allo stesso tempo più chiacchierato dagli scienziati. Ovvero la possibile scoperta delle onde gravitazionali, le “vibrazioni” dello spazio tempo previste un secolo fa dalla teoria della relatività di Albert Einstein che potrebbero rivoluzionare il modo di studiare l’universo. Secondo le indiscrezioni a produrre le onde gravitazionali osservate sarebbe la “fusione” di due buchi neri molto vicini tra loro, uno con una massa 36 volte quella del Sole e uno di 29.
Il primo a dare il via a un valzer di commenti era stato il tweet di un cosmologo dell’Arizona, Lawrence Krauss, cosmologo dell’università dell’Arizona, ripreso dal quotidiano britannico The Guardian. Una eventualità che non così remota considerando il fatto che la scoperta delle onde gravitazionali è stata indicata dalle riviste Science e Nature come una delle più attese nel 2016. E bisogna sottolineare che è dal 1990 che l’esperimento Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) ci prova. Due enormi antenne realizzate negli Stati Uniti nell’ambito di una collaborazione internazionale di cui fa parte anche Virgo – che fa capo allo European Gravitational Observatory (EGO), a Cascina (Pisa) – fondato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e dal Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs).
Vedere le onde gravitazionali permetterebbe di studiare l’universo in un modo completamente nuovo e per questo la loro osservazione diretta è considerata come uno dei massimi obiettivi della fisica. E se fosse così sarebbe sicuramente una scoperta che porterebbe dritti al premio Nobel un po’ come è avvenuto con il bosone di Higgs. Da tempo si susseguono indiscrezioni sulla loro scoperta, puntualmente smentite: il caso più recente risale al 2014, quando ricercatori dell’università di Harvard avevano affermato di aver individuato i tremori del Big Bang. Ma a distanza di un anno i dati erano stati bocciati dalla comunità internazionale.
Le indiscrezioni che si ripetono da settimane questa volta sono “firmate” da un altro fisico Clifford Burgess, teorico dell’università canadese McMaster, e sono finite nuovamente su Twitter e riprese da un articolo pubblicato, di sole sette righe, su Science Magazine e firmato da Adrian Cho.
La notizia della scoperta di onde gravitazionali grazie ai due interferometri Ligo “sembrerebbe essere vera”, si legge nel testo della mail. “Dovrebbe essere pubblicata – prosegue il testo – su Nature l’11 febbraio (nessun dubbio sul comunicato stampa), quindi tenete gli occhi aperti”. A produrre le onde gravitazionali osservate, quindi, sarebbe la “fusione” di due buchi neri molto vicini tra loro, uno con una massa 36 volte quella del Sole e uno di 29. Burgess spiega nella mail che le onde gravitazionali sarebbero state individuate con un altissimo valore di “certezza” statistica, 5.1 sigma. La mail, secondo il sito di Science, era stata spedita in via confidenziale solo a colleghi e studenti ma sarebbe stata diffusa da qualche ricevente.
Nuove indiscrezioni sulla scoperta delle onde gravitazionali (fonte: NASA/CXC/GSFC/T. Strohmayer)