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martedì 14 febbraio 2023

DAL 2014 LA CARICA PIÙ ALTA IN MAGISTRATURA LA SCEGLIE MATTEO RENZI. - Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

 

L'avvocato di Alberto Bianchi "caso Open", Fabio Pinelli, è stato eletto vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Dopo Legnini ed Ermini un altro uomo legato al "Giglio Magico" va a garantire i "Poteri" di fronte alla legge.


Nemmeno il diavolo in persona sarebbe capace di tale sfrontatezza!

Dopo che Matteo Renzi in persona, ha dichiarato sul suo libro e più volte in TV che è stato l’artefice delle nomine degli ultimi due vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) [1][2], utilizzando il metodo Palamara, il nostro Presidente della Repubblica, capo del CSM stesso e custode della nostra Costituzione, accetta impassibile e probabilmente di buon grado, che anche questa nomina del suo vice a Palazzo dei Marescialli, sia dettata dagli stessi poteri che hanno mostrato agli italiani di essere capaci di ridurre la magistratura ad un degrado tale, da far perdere al nostro paese la qualifica di stato di diritto.

“Al vicepresidente appena eletto i miei auguri. Sono certo che saprà affrontare con senso istituzionale e con spirito collaborativo le funzioni rilevanti a cui è chiamato. Sono certo che il consiglio con la sua conduzione, affronterà con obiettività e concretezza anche le questioni più complesse che di volta in volta gli saranno sottoposte”. Così si è espresso il presidente della Repubblica. “Desidero ricordare anche qui il ruolo di questo Consiglio, organo di garanzia che la Costituzione colloca a presidio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. A lei, signor vicepresidente, spetta il compito di favorire la coesione dell’attività del Consiglio. L’adozione di delibere condivise, ne rende più efficace ed autorevole il percorso”, ha detto. [3]

All’ennesimo colpo di mano ha partecipato tutto il centro destra con a capo la Lega ed in prima persona Matteo Salvini, ormai adepto del “Giglio” a tutti gli effetti che ha fatto asse con Matteo Renzi, a conferma che la trasversalità è decisamente caratteristica cromosomica della genetica del nostro “deep state”.

Non saremmo qua a scandalizzarci e vomitare tutto il nostro disprezzo, se non che il nuovo vice di Mattarella al CSM, per pura casualità, non avesse difeso il guro della Lega Morisi e per giunta fosse colui che ha assistito Alberto Bianchi nel caso Open. E sempre casualmente, sempre rispetto al caso Open, essere stato scelto come legale in sostegno del Senato nel conflitto di attribuzioni con la procura di Firenze.

“Cerchiamo di essere credibili e trasparenti, mai obliqui, nell’interesse del Paese”, ha esordito Fabio Pinelli, prendendo la parola al Plenum. “Orienterò ogni mio comportamento nell’interesse del Paese”, ha continuato. “Avrò come riferimento la guida ed il faro del presidente della Repubblica”. Poi ha spiegato: “Il comportamento del Csm sia orientato sempre a scelte condivise”. Scusandosi per non aver preparato un discorso “sarebbe stato irrispettoso nei confronti di chi non mi ha votato” ha ammesso che dovrà svolgere un “incarico gravosissimo”, dicendosi “emozionato ed onorato”. La conclusione ha richiamato una citazione di Rosario Livatino, il giudice ucciso dalla mafia e proclamato beato. “Diceva che quando si muore nessuno chiederà se si è stati credenti, ma credibili”[3-ibidem]

Concetti forti quanto di circostanza, vedremo come il vice presidente Pinelli riuscirà a non prostrarsi all’obliquità che gli verrà richiesta di fronte ai molti fascicoli giudiziari che sono a carico dei “fratelli” che si sono fatti in quattro per metterlo su quella poltrona.

Infatti, a turbare i sonni di Pinelli, ci sono le urgenti le nomine dei procuratori capo di alcuni distretti chiave. A Napoli il derby è tra il procuratore di Bologna Giuseppe Amato e quello di Catanzaro Nicola Gratteri, rimasto a bocca asciutta già tre volte (correva per Dap, Milano e Antimafia). Impossibile non accontentarlo. A Firenze dove era dato per certo l’approdo del ferreo magistrato calabrese, oggi procuratore di Livorno Ettore Squillace Greco, qualcosa ci dice che dopo il “blitz” dei due “Matteo” (Renzi e Salvini), ci saranno delle sorprese.

Non dimentichiamoci che sul capoluogo toscano, orfano del procuratore generale dopo la partenza di Marcello Viola per Milano e dell’Avvocato generale, pesano tre procedimenti tosti: quello su Matteo Renzi e la Fondazione Open, gli strascichi delle indagini sulla Trattativa Stato-mafia e le stragi del ’92-93, la bomba inesplosa sui trojan di Luca Palamara.

Soprattutto per quanto riguarda il secondo fascicolo, oggi con il polverone sollevato dal fiancheggiatore dei fratelli Graviano, il gelataio palermitano Salvatore Baiardo [4][5], in merito alla sua puntale e precisa premonizione sull’arresto del boss latitante Matteo Messina Denaro, collegata ad una nuova presunta trattativa fra pezzi deviati dello Stato e la Mafia, urge per i poteri profondi, una gestione più che perfetta per non far sì che questa seconda Repubblica si disintegri insieme a tutti i suoi più che spregevoli attori.

Da Firenze a Siena il passo è breve e gli affiliati alle logge da salvaguardare tanti. Il fatto che sia ancora reggente del posto di procuratore capo quel Nicola Marini, da 40 anni nella Rocca, invischiato nei pasticci del caso David Rossi (su cui indaga la Procura di Genova) e recentemente sfiorato da altre due indagini con molti buchi neri, lascia noi gente seria senza parole ed una bella palla di piombo al piede di Pinelli da gestire con precisione per non deludere chi con spirito di appartenenza lo ha appena nominato contando sui suoi servigi.

Questo nomina è l’ennesima dimostrazione che nel nostro paese il livello di corruzione politico istituzionale sta veramente andando oltre agli “standard” di alcuni paesi sudamericani. Ditemi voi se i 30 anni di latitanza dorata di Matteo Messina Denaro spesi a casa sua, non superano la presa in giro della detenzione di Pablo Escobar nella famosa Catedral, una prigione a cinque stelle auto-costruita, dove il narco trafficante di Medellin si godeva tutto il suo lusso più sfrenato.

Quello che è strano, il livello di assuefazione della massa è tale, che pare non scandalizzarsi più nessuno.

[1] Renzi ed Ermini “fratelli” coltelli: è l’inizio del terremoto politico italiano? – Megas Alexandros

[2] PALAMARA E RENZI ALLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, BUSCETTA ALL’ANTIMAFIA E JACK LO SQUARTATORE ALLA SANITÀ … – Megas Alexandros

martedì 6 dicembre 2022

Ticket restaurant. - Marco Travaglio

 

La manovra Meloni è già stata bocciata da Bankitalia e Corte dei Conti, Istat, Cnel e Upb, docenti e studenti, sanitari e pazienti, sindacati e Confindustria, cattolici e atei, pensionati e giovani ma anche gente di mezza età, Ue e italiani, Nord e Sud. E sta sulle palle persino a Meloni (“il tetto al Pos può scendere”). Ma almeno a due categorie piace: gli evasori fiscali e Ollio&Ollio, alias Renzi&Calenda. La coppia più comica del momento aveva chiesto i voti per il Draghi-2, previsto al massimo in primavera perché “Meloni cadrà in sei mesi”. Ora i pochi elettori che se l’erano bevuta vedono il capocomico Carletto, travestito da Caligola sovrappeso, cazziare FI perché non sostiene Meloni e sostenerla lui al posto loro. Intanto la spalla rignanese annuncia che “nel 2024 farò cadere Meloni e saremo il primo partito”. È “il polo della serietà”. Si aprirebbe un certo spazio per l’opposizione vera, ma il Pd ha il “percorso costituente precongressuale” che richiede tempo perché – si era detto – “prima le idee e poi i nomi”. Purtroppo le idee non si sono trovate (le stanno cercando 87 “saggi”, con rabdomanti e sanbernardo). E si parla solo di nomi. Nomi avvincenti però, che scaldano il cuore degli elettori passati, presenti e futuri. Molto vari, ecco.

Bonaccini è un renziano sostenuto dai renziani. Ricci era renziano, ma piace alla sinistra interna (a quella esterna, meno). De Micheli era sottosegretaria dei renziani Renzi e Gentiloni, ma ce l’ha con Renzi. Schlein è la vice del renziano Bonaccini in Emilia-Romagna ed è appoggiata da Franceschini e Orlando, ex ministri del governo Renzi, però è la più antirenziana su piazza, anche perché non è iscritta al Pd che si candida a guidare. Poi c’è Nardella, renziano al Plasmon e sindaco di Firenze per grazia renziana ricevuta: pareva si candidasse pure lui, poi fu in corsa per un “ticket” con Schlein per alleviarne l’antirenzismo, invece farà ticket con Bonaccini per incrementarne il renzismo: è come il ficus, dove lo metti sta. L’idea del “ticket” è arrapante, anche se nessuno sa cosa voglia dire: in 15 anni il Pd ha avuto 10 segretari che sbagliavano da soli, mai in coppia. Quindi che succede se vince Bonaccini? Fa un po’ per uno con Nardella? O Nardella, oltre al sindaco a tempo perso, fa il presidente del Pd? Ma il presidente del Pd non conta nulla: l’ha fatto pure Orfini. L’attuale, Valentina Cuppi, nessuno sa chi sia: nemmeno Letta, che s’è pure scordato di farla eleggere. Ora Renzi intima al Pd di appoggiare Moratti in Lombardia e di ritirare Majorino, che deve “accettare il ticket con lei”: cioè le porterà caffè e cornetto ogni mattina. Il fatto che Majorino combatta Moratti da quando aveva i calzoni corti è un dettaglio superabile: “Ticket” è la parola magica che fa evaporare le idee. E gli elettori.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/12/06/ticket-restaurant/6896886/

giovedì 18 novembre 2021

Manca solo Rondolino. - Marco Travaglio

 

Peggio della lottizzazione Rai c’è solo la sua versione ipocrita: l’occupazione di regime spacciata per meritocrazia. Era accaduto con Monti e l’Innominabile, ora si replica con Draghi&Draghetti. Il governo dei migliori, tramite l’ad-dg-tanguero Carlo Fuortes, caccia il direttore del tg migliore, Giuseppe Carboni del Tg1 (più 2% di share), reo di essere stato nominato dal M5S, pur non essendo un grillino. Al suo posto riciccia l’ex presidente della Rai monocolore renziana, Monica Maggioni, fedelissima di Gentiloni sponsorizzata dal generone draghiano dei Garofoli&Funiciello. Alla punizione del campione d’ascolti seguono, per coerenza, le promozioni o i salvataggi dei soliti sugheri multiuso. Moiro Orfeo, dopo aver guidato Rai, Tg1, Tg2 e Tg3 in quota un po’ a tutti, dirigerà addirittura l’Approfondimento (da Report a Vespa, da Berlinguer ad Annunziata). Simona Sala, draghiana con ascendente Pd e una spruzzata di Di Maio (così almeno crede lui), passa al Tg3, rimpiazzata al Gr dal pd Vianello; il leghista-meloniano Sangiuliano, che almeno qualche libro l’ha letto e scritto, resta al Tg2; il leghista Casarin rimane alle Tgr; il FdI Petrecca va a Rainews col nuovo portale d’informazione (quello che doveva dirigere la Gabanelli prima che Orfeo la conciasse per le feste). Si sperava che lo scandalo Open inducesse Fuortes o chi per lui a risparmiarci almeno i dirigenti più citati nelle carte, dalla Maggioni (vedi pag. 4) a Orfeo, quello dell’“accordo” col portavoce renziano Agnoletti. Infatti: entrambi promossi.

Manca qualcuno nella grande abbuffata? Ma sì, solo il partito di maggioranza relativa: il M5S, tagliato fuori alla vigilia delle Presidenziali e delle Politiche. Tutti scrivevano che Conte aveva piazzato i suoi parlando con Fuortes al compleanno di Bettini: infatti il M5S non tocca palla, come già nel governo Draghi, nato apposta per sterminarlo, anche se Di Maio e altri draghetti Grisù seguitano ad aiutare gli sterminatori. Conte, oltreché dalla sua correttezza che lo rende inabile a certi giochetti, è stato indebolito dalle contromanovre di Di Maio, che ha avallato le nomine antigrilline, mentre le destre difendevano i loro avamposti. Il risultato è la totale estinzione del punto di vista 5Stelle (come l’impronta ambientalista del Tg1) e la ricomparsa dei revenant renziani e gentiloniani in salsa draghista. Una restaurazione asimmetrica, una lottizzazione inversamente proporzionale ai consensi: vedi il peso spropositato di Zerovirgola e di Er Moviola che, l’ultima volta che si candidò a qualcosa, alle primarie Pd del 2013 per il sindaco Roma, arrivò terzo su tre. Ora infatti punta dritto al Quirinale, con una bella Rai vista Colle. Spiace solo per Rondolino: una nomina la meritava anche lui, ad honorem.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/18/manca-solo-rondolino/6396371/

domenica 28 febbraio 2021

E se c’ero dormivo. - Marco Travaglio

 

Una pandemia di encefalite letargica, detta Variante Italiana, sta colpendo i nostri migliori giuristi (a parte uno, vedi pag. 4). L’altro giorno erano tutti eccitati perché finalmente “si torna alla Costituzione”, ”articolo 92”: ministri e sottosegretari li nomina il presidente della Repubblica su indicazione del premier, senza passare per i partiti brutti, sporchi e cattivi. Ora, visti i nomi e soprattutto le facce, dicono che Mattarella e Draghi non c’entrano nulla: quelli volano alto, mica si occupano di queste miserie, han fatto tutto i partiti brutti, sporchi e cattivi (del resto, spiega Milan di Radio Confindustria, viceministri e sottosegretari non servono). Ohibò: e il ritorno alla Costituzione? E l’articolo 92? Nel 1994 Scalfaro depennò Previti da ministro della Giustizia di B. perché era l’avvocato di B. E nel 2018 Mattarella rimandò a casa Conte perchè aveva indicato all’Economia il prof. Savona, noto kamikaze delle brigate No Euro. Un giurista degno di questo nome gli domanderebbe ora come mai abbia accettato Sisto, avvocato di B., alla Giustizia e Moles, rappresentante del padrone del primo gruppo editoriale italiano, all’Editoria. Purtroppo non se n’è trovato uno sveglio.

Martedì fonti del governo annunciavano all’Ansa il “superamento dei Dpcm”, strumenti tipici della famigerata tirannide contiana, per “coinvolgere il Parlamento nei provvedimenti anti-Covid” con più democratici “decreti legge”. Sollievo e giubilo fra i giuristi di scuola Cassese. Ma due giorni dopo ecco il primo Dpcm di Draghi, che conferma e inasprisce quelli del deposto tiranno: neppure mezzo Cassese che stigmatizzasse quel rigurgito di dittatura. Draghi ne approfittava subito per cambiare il capo della Protezione civile per gestire i vaccini, all’insaputa di ministri (incluso quello della Salute), Parlamento e cittadini. Per molto meno, fino a un mese fa si sarebbe strillato al “favore delle tenebre”. Ma la Variante Italiana non aveva ancora colpito i nostri giuristi. Né i giornalisti che intervistavano un giorno sì e l’altro pure l’Innominabile, sdegnato con Conte e Di Maio che trattavano con Haftar per liberare i pescatori. Ora che l’amico Biden accusa Bin Salman di aver fatto uccidere e disossare Khashoggi, potrebbero domandargli se si dimette dalla fondazione, restituisce gli 80 mila dollari insanguinati e ha cambiato idea sul Rinascimento Saudita. Invece tutto tace: le cronache dei giornaloni sul rapporto della Cia, lontanissime dalle pagine politiche, non fanno alcun cenno al Rignanese. Ma qui l’encefalite letargica non c’entra. È che i giornaloni italovivi (tutti) non hanno capito che il Bin Salman di Biden è lo stesso di Lawrenzi d’Arabia: sospettano un’omonimia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/28/e-se-cero-dormivo/6116274/

venerdì 26 febbraio 2021

Nel “sottogoverno dei migliori” i cani da guardia di B. e Salvini. - Barbacetto, Palombi, Rodano e Salvini

 

Benvenuto “sottogoverno dei migliori”. Il decantato metodo Draghi sui sottosegretari è lo stesso per la nomina dei ministri: un’orgia partitica e una spartizione con il bilancino di “cencelliana” memoria. E così 11 per i 5Stelle, 9 per la Lega, 6 a testa per Pd e Forza Italia, 2 per Italia Viva (gli stessi, guarda caso, che avevano rinunciato alle poltrone), 1 per Liberi e Uguali. Fin qui il metodo, appunto. E il merito? Draghi ha scelto i più competenti? Difficile sostenerlo. A essere premiati sono stati molti degli ex sottosegretari del Conte-1 e del Conte-2, non proprio un inno alla discontinuità. Di fianco a loro, soprattutto a destra, un’infornata di fedelissimi dei leader di partito. Silvio Berlusconi li piazza nei settori più delicati per lui: Editoria e Giustizia (con Francesco Paolo Sisto, il suo avvocato nel caso escort, che trova la poltrona in via Arenula). Matteo Salvini rilancia Stefania Pucciarelli e tira fuori dal cilindro Rossano Sasso, due che hanno avuto uscite imbarazzanti su migranti e rom. E riporta alla Cultura Lucia Borgonzoni, quella che “non leggo un libro da tre anni”. Ecco i ritratti dei “migliori” di Draghi.

Giuseppe Moles - Le mani di Silvio sull’editoria.

Più che il nome,contava la carica. Sì, perché non risulta che Giuseppe Moles, 54 anni, nato a Potenza, abbia qualche competenza in materia di editoria, escludendo la sua breve esperienza da docente di Sociologia dei processi culturali all’Università degli Studi Internazionali di Roma (Luspio). Ma a Silvio Berlusconi non interessava il curriculum, ma che il sottosegretario all’Editoria di stanza a Palazzo Chigi fosse uno dei suoi fedelissimi: non accadeva da quando su quella poltrona sedeva il suo portavoce, Paolo Bonaiuti. Il prescelto era l’uomo Mediaset e per un decennio direttore di Panorama Giorgio Mulè, ma sul suo nome, nel Cdm di mercoledì sera, si è scontrata la maggioranza che sostiene il governo Draghi: Pd e M5S non potevano accettare che un uomo così legato al Biscione potesse finire a gestire l’informazione e a dispensare i fondi pubblici ai giornali. Così Mulè è passato alla Difesa e Moles, inizialmente indicato per andare alla Salute con Roberto Speranza, è stato scelto per l’Editoria sostituendo il dem Andrea Martella. Berlusconiano doc, tra i fondatori di Forza Italia nel 1994, Moles è stato l’assistente e il portavoce del ministro della Difesa Antonio Martino, uno degli intellettuali di casa ad Arcore. Dopo la fine del terzo governo Berlusconi, Moles insegna Relazioni Internazionali alla Luiss e poi Sociologia delle Relazioni Internazionali e Terrorismo alla Luspio. Viene eletto deputato del Pdl nel 2008 e nel 2011 è tra gli esponenti più critici nei confronti del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Da senatore, nel 2019 è tra i 41 parlamentari di FI (su 64) a firmare per chiedere il referendum contro il taglio dei parlamentari. A maggio scorso lo si ricorda per un attacco sessista nei confronti del ministro della Scuola, Lucia Azzolina, in un question time in Senato: “La credibilità è come la verginità, se si perde non si può più riacquistare” disse Moles che poi si dovette scusare. Con questa pedina, Berlusconi ha in mano tutta la filiera dell’editoria e delle telecomunicazioni: Alberto Barachini alla Vigilanza Rai, Gilberto Pichetto Fratin viceministro al Mise dove Giancarlo Giorgetti si occupa di telecomunicazioni e Moles all’Editoria.
Giacomo Salvini

Francesco Paolo Sisto - L’avvocato anti-inchieste.

“Il presidente Berlusconi per noi è come Fidel Castro, è il Líder Máximo. Si è rivelato uno statista vero, soprattutto nell’ultimo periodo”. Così dice del suo capo Francesco Paolo Sisto, avvocato, deputato di Forza Italia dal 2008, ora sottosegretario alla Giustizia. E proprio di giustizia si è prevalentemente occupato nella sua attività politica, attaccando a ogni occasione i magistrati e l’indipendenza della magistratura dalla politica. “La cacciata di Giuseppe Conte è avvenuta in nome della giustizia”, dichiara, “perché la giustizia è stata quella più giustiziata, in questo eccidio delle competenze e della democrazia. Per fortuna però, come si dice dalle mie parti in Puglia, dal guasto viene l’aggiusto”. Cioè Draghi.
Il suo Líder Máximo l’ha sempre difeso: in Parlamento, opponendosi alla legge sul conflitto d’interessi; e in Tribunale, come avvocato difensore nel processo escort in corso a Bari, dove Silvio Berlusconi è accusato di aver pagato l’imprenditore Gianpaolo Tarantini per indurlo a mentire sulle feste a Palazzo Grazioli. A gennaio, l’avvocato Sisto è riuscito a far slittare il processo escort al 30 aprile, adducendo motivi di salute che impedivano a Berlusconi di presentarsi in aula. Non gli hanno impedito di andare da Draghi a trattare il suo appoggio al nuovo governo: “È stata una festa!”, riferisce l’avvocato difensore di Berlusconi, diventato ora sottosegretario proprio nel delicatissimo ministero della Giustizia. Sisto è tra gli autori della legge elettorale dell’Italicum e della riforma costituzionale del Senato (poi bocciata nel referendum del 2016) scritta con Maria Elena Boschi e nata dall’accordo tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Contrario invece (in dissenso dalla posizione ufficiale di Forza Italia) alla riforma costituzionale del 2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari.
Gianni Barbacetto

Rossano Sasso - Il leghista che scambia Dante e Topolino.

La pagina wikipedia di Rossano Sasso, nuovo sottosegretario leghista all’Istruzione, è stata creata solo ieri. Ma i social e il web non si sono scordati del suo passato. Nel 2018 il deputato barese postò una foto della adunata in piazza Duomo a Milano con Matteo Salvini, ma poi si accorse che nell’immagine campeggiava una bandiera contraria alle sue origini pugliesi: “Prima il nord!”. Così Sasso la fece photoshoppare facendo arrabbiare non poco l’ex governatore Bobo Maroni. Nell’estate del 2018, poi, il coordinatore pugliese della Lega organizzò un flash mob sulla spiaggia di Castellaneta Marina (Taranto) dopo l’arresto di un marocchino di 31 anni, Mohamed Chajar, accusato di aver violentato una 17enne. Sasso lo definì un “bastardo irregolare sul nostro territorio”, ma il Tribunale di Taranto pochi mesi dopo assolse il giovane con formula piena: non aveva violentato nessuno. Ma è l’istruzione il tema principale su cui si concentra Sasso, con un potenziale conflitto d’interessi tutto in famiglia. La moglie è l’avvocato e presidente dell’Associazione Libera Scuola, Grazia Berloco: da deputato leghista della commissione Scuola, Sasso ha portato avanti le battaglie della moglie, che infatti ne ricondivide discorsi e proposte sui social. Un esempio: il leghista in un post del 2 settembre scorso si vantava di aver chiesto il rinvio di un anno delle Graduatorie Provinciali Supplenze. Ma senza successo: “Risultato – scriveva Sasso – caos graduatorie, punteggi sballati, nomine bloccate e ricorsi in tribunale. Qualche studio legale vicino al governo si sta già preparando. Che spudoratezza”. Peccato che, come si legge sul sito di ALS, fosse proprio l’associazione della moglie a proporsi per i ricorsi dei docenti. Ora che è diventato sottosegretario, Sasso rischia di doversi occupare di quei ricorsi di cui si fa carico proprio la moglie avvocato. Il 13 febbraio, Berloco su Fb ringraziava l’onorevole Sasso e il leghista Pittoni per “le loro battaglie”. Pochi giorni prima di essere nominato sottosegretario, Sasso ha deliziato i social pubblicando un selfie con annessa citazione da lui attribuita a Dante: “Chi si ferma è perduto, mille anni ogni minuto”. Peccato che la fonte della citazione fosse un’altra: Topolino.
Gia.Sal.

Deborah Bergamini  - La berlusconiana “delta”.

In un suo vecchio blog si presentava come Cartimandua, regina dei Celti. Come si sentirà ora nel governo dei Migliori, dell’Europa, della concorrenza e del libero mercato, Deborah Bergamini da Viareggio, la donna che abolì la concorrenza tra Rai e Mediaset? Studi in Italia e negli Stati Uniti, esperienze di lavoro a Parigi e Londra. Poi le capita di intervistare Silvio Berlusconi per Bloomberg e da allora non lo molla più. Lui la riporta in Italia, la fa entrare nel suo staff, la nomina assistente personale. Poi nel 2002 la trapianta in Rai: vicedirettrice, direttrice del marketing strategico, consigliera d’amministrazione di Rai Trade, poi di Rai International. Diventa la donna più potente della tv pubblica, decide quali “generi” trasmettere sulle tre reti, tiene le relazioni con le tv estere, si occupa di Auditel, Televideo, Internet. Ma intanto resta sempre fedele a Berlusconi e a Mediaset, come diventerà noto a causa delle intercettazioni disposte dalla magistratura sulla crisi dell’azienda Hdc e sul sondaggista Luigi Crespi. Questi, intercettato, si rivolge a lei per chiedere a Mediaset soldi (che in effetti poi ottiene). Ma le intercettazioni, più in generale, rivelano il suo vero ruolo di infiltrata Mediaset dentro la Rai e il patto occulto di consultazione permanente tra le due aziende per mettersi d’accordo, in barba al libero mercato, e per risollevare, a reti unificate, l’immagine in affanno di Berlusconi. L’intera tv italiana viene pilotata dalla “struttura Delta”: Deborah controlla tutto, anche le inquadrature di Silvio al funerale di papa Wojtyla. Pianifica i programmi, in accordo con Mediaset, per “dare un senso di normalità alla gente” ed evitare così che la morte del papa distragga gli elettori e faccia aumentare l’astensionismo che penalizzerebbe Forza Italia. Ordina il ritardo nella comunicazione in tv della sconfitta elettorale alle amministrative del 2005. Chiede a Bruno Vespa di non confrontare i risultati con quelli delle precedenti elezioni regionali. Ora è nel governo dei Migliori.
G. B.

Vannia Gava - L’ambientalismo dei danè.

Figlia dell’operoso Nord-est, classe 1974, una carriera da rappresentante di mobili e dirigente politico locale della Lega (fino alla poltrona di vicesindaco della sua Sacile in Friuli-Venezia Giulia), la sottosegretaria Vannia Gava torna al ministero dell’Ambiente, trasfigurato in Transizione ecologica, portando con sé la sua idea produttivista, per così dire, dell’ambiente: se proprio se ne deve parlare, almeno lo si faccia fruttare. Come ha detto lei stessa recentemente alla Camera (dal 2018 è deputata), le piace del governo Draghi “la declinazione non catastrofista delle tematiche ambientali e l’approccio pragmatico”, a cui la Lega mette a disposizione il suo green dei danè (“meno vincoli e più opportunità, più decentramento e meno burocrazia”). Non di solo alto convincimento intellettuale vive però l’impegno della sottosegretaria Gava: i suoi interessi più terreni l’hanno portata a una guerra feroce con l’ex ministro Sergio Costa, cui non furono estranee le sue conoscenze sul territorio. Grande fan del biometano, aveva come collaboratore al ministero un dipendente di alcune aziende venete del settore, peraltro vicine alla Lega (anche sotto forma di donazioni) e a cui Gava aveva dedicato visite ufficiali: il collaboratore dovette dimettersi dopo aver offerto al sito Fanpage investimenti pubblicitari per addomesticare un’inchiesta. Lei stessa fu censurata per “non aver adempiuto ai suoi obblighi sulla trasparenza”: in sostanza si dimenticò di rendere pubblici – come invece prescriveva un regolamento del ministero dell’Ambiente – i suoi incontri con i cosiddetti “portatori di interessi”. L’infortunio non le impedì di ottenere, dopo le Europee 2019, più poteri per le Regioni in materia di rifiuti, novità che ovviamente interessava anche chi produce biometano, specie nel verde Veneto. Ora – al netto di inceneritori, micro-idroelettrico e altre materie care ai salviniani – Gava potrà occuparsi degli incentivi al biometano, in scadenza nel 2021: “Stiamo lavorando affinché il processo di riconversione degli impianti possa essere accompagnato da nuovi incentivi”, disse prima del Papeete. Ora si ricomincia.
Ma. Pa.

Stefania Pucciarelli - dai “forni” alla Difesa.

Non è chiaro quali siano le competenze che hanno fatto nominare la 53enne leghista Stefania Pucciarelli sottosegretario alla Difesa del nuovo governo Draghi. Ma d’altra parte erano ancora meno evidenti le qualità che l’avevano fatta indicare da Matteo Salvini come presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, durante il primo governo Conte. Un indirizzo – i diritti umani – che sembrava una provocazione per una senatrice che si era fatta pizzicare a mettere “mi piace” su Facebook a un post che suggeriva l’uso dei “forni” per i migranti: “Certe persone andrebbero eliminate dalla graduatoria. E poi vogliono la casa popolare. Un forno gli darei”. Pucciarelli si difese sostenendo che non aveva letto bene (e se aveva letto non aveva capito). Quando commise quella “leggerezza” era consigliera regionale in Liguria: l’incidente le diede notorietà presso il popolo leghista, che quelle cose magari non le dice ma le pensa assai spesso. Le costò pure una denuncia dall’Associazione 21 luglio (che si occupa dei diritti delle minoranze rom) e una convocazione al Tribunale di La Spezia per propaganda di idee “fondate sull’odio razziale” (è stata archiviata). Poca roba in confronto della rapida ascesa della sua carriera politica. Prima di entrare in Parlamento, Pucciarelli ha contribuito a edificare la nuova Lega sovranista in Liguria tra Sarzana e La Spezia, terre ex rosse, dove è diventata il punto di riferimento di una giovane classe dirigente nazionalista. Nei ruggenti anni liguri ha indossato il burqa per protesta, ha fatto decine di campagne sui migranti, ha solidarizzato con CasaPound, ha esultato ogni volta che le ruspe hanno spianato un campo nomadi.
Una populista di destra, barricadera, radicale: negli anni del salvinismo spinto è tra le più apprezzate dal capo del Carroccio, che l’ha fatta eleggere in Senato nel 2018. Ora che la retorica di Matteo su Europa e immigrazione s’è un po’ addolcita, s’è un po’ addolcita anche lei. E la carriera continua.
Tommaso Rodano

Alessandro Morelli - L’ombra del commercialista.

Giovane leghista di Vizzolo Predabissi, alle porte di Milano, non ha mai messo a frutto il suo diploma di perito agrario, né ha avuto tempo di laurearsi in Scienze delle produzioni animali, facoltà dell’Università Statale di Milano cui si era iscritto dopo l’istituto tecnico. Ma la sua passione politica lo ha portato a diventare direttore di Radio Padania, l’emittente della Lega, e del Populista, il combattivo blog di Matteo Salvini (prima della conversione europeista). Ora, a 43 anni, è nientemeno che viceministro nel cruciale dicastero delle Infrastrutture e dei trasporti, dopo una carriera politica partita dal basso. Uomo di lotta e di governo: consigliere di zona a vent’anni, poi assessore al Turismo nella giunta del sindaco Letizia Moratti, poi ancora consigliere comunale, fiero oppositore di Giuseppe Sala e di Expo. Nel 2013 si candida alla Camera, ma non riesce a essere eletto. Ci riprova, con successo, nel 2018. Oggi arriva al governo con un’ombra: è stato lui a far nominare nelle società partecipate del Comune di Milano il commercialista Andrea Manzoni, ora imputato nel processo per l’immobile di Cormano diventato sede della Lombardia Film Commission, comprato a 400 mila euro e rivenduto alla Regione Lombardia al doppio, 800 mila euro. Un’operazione, secondo i magistrati, per far entrare soldi nelle casse della Lega. Operazione realizzata in ambito regionale, quando presidente della Lombardia era Roberto Maroni. Ma intanto Manzoni era presente e attivo anche a livello comunale: entrava anche nel collegio sindacale di Sea (la società che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa), di Arexpo (proprietaria dei terreni Expo su cui si svilupperà il progetto Mind) e di Amiacque (società operativa del Gruppo Cap che fornisce l’acqua a molti Comuni dell’area milanese). A indicare il nome di Manzoni per quelle delicate poltrone di controllo è stato proprio Morelli, che aveva da riempire le caselle assegnate dal Comune di Giuseppe Sala all’opposizione, dunque alla Lega.
G. B.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/26/nel-sottogoverno-dei-migliori-i-cani-da-guardia-di-b-e-salvini/6114130/

I vice-Migliori. - Marco Travaglio

 

E così, dopo i 22 Migliori (23 con SuperMario), abbiamo finalmente 5 Vicemigliori e 34 Sottomigliori. Spulciando la lista del nuovo bar di Guerre Stellari alla ricerca dei nostri preferiti, spicca subito la preclara figura dell’on. avv. Sisto a cui, essendo stato l’avvocato di B., spetta di diritto la Giustizia; un tocco di vintage che ci riporta ai bei tempi andati delle leggi ad personam, della “barbarie delle intercettazioni”, di Patrizia D’Addario e Gianpi Tarantini statisti e di Ruby nipote di Mubarak (suo il pregiato emendamento alla legge Severino che svuotava vieppiù il reato di concussione per induzione, di cui era casualmente imputato il padrone). Infatti, per non farlo sentire troppo solo coi suoi conflitti d’interessi, il factotum draghiano Garofoli e i retrostanti fenomeni del Quirinale che seguivano le nomine per conto del premier, hanno piazzato pure il forzista Moles all’Editoria a far la guardia agli affari di B.; e pazienza per quel suo attacco sessista alla Azzolina in pieno Senato (“la credibilità è come la verginità: è facile da perdere, difficile da mantenere, impossibile da recuperare”): anzi, fa curriculum. Come per il leghista Molteni, che insultava la Lamorgese (“vergogna, abolisce i confini e difende i clandestini!”) e ora diventa il suo vice agli Interni.

Lì incontra il grillino Sibilia, quello che voleva “Draghi in manette” e ora lavora per lui dopo avere sbianchettato i suoi tweet; e il renziano Scalfarotto, che aveva lasciato gli Esteri per allergia alle poltrone (massì: Esteri o Interni purché governi, è la meritocrazia 2.0). Un po’ come la Bellanova, braccia rubate all’Agricoltura ieri e ai Trasporti oggi (sempre in omaggio alla competenza). Ottima anche la scelta della leghista Pucciarelli che, avendo messo un like a un post che invocava i forni per i migranti, si aggiudica la Difesa. Altra donna giusta al posto giusto: Lucia Borgonzoni è nota per essersi vantata di “non leggere un libro da tre anni” e aver situato l’Emilia-Romagna ai confini col Trentino Alto Adige e l’Umbria, risparmiando però la Puglia e la Sardegna, dunque va alla Cultura. Con la stessa logica meritocratica il leghista Sasso che cita una frase di Topolino attribuendola a Dante conquista l’Istruzione (sperando che ne faccia buon uso). Noi però abbiamo sempre avuto un debole per Deborah Bergamini, la segretaria tuttofare di B. che nel 2002 la infiltrò alla Rai come vicedirettrice, poi direttrice del Marketing strategico, poi nei Cda di Rai Trade e Rai International e, quando fu sospesa per l’inchiesta sui patti occulti Rai-Mediaset, deputata di FI dal 2006. Nel suo blog si presentava come Cartimandua, regina dei Celti, perché è anche una tipa equilibrata.

Nel 2005 fu intercettata nell’indagine sul sondaggista berlusconiano Luigi Crespi, che avanzava soldi da Mediaset e ne parlava con lei (dirigente Rai): “Io non finisco mica in galera per tutelare una verità che nessuno vuole tutelare”. Infatti poco dopo ricevette un bonifico dai berluscones. Così i pm scoprirono il patto occulto di consultazione permanente tra i vertici Rai e Mediaset, per mettersi d’accordo in barba al libero mercato e risollevare a reti unificate l’immagine barcollante di B. Ogni minuto e dettaglio di programmazione della Rai era capillarmente controllato dai cavalli di Troia del Caimano nel presunto “servizio pubblico”, ridotto a suo feudo personale per blandire gli amici, manganellare i nemici, celebrare le sue gesta, tacere le notizie scomode, gonfiare quelle comode. Tutto era pianificato nei minimi particolari: persino le inquadrature di B. ai funerali di papa Wojtyla, i ritardi nell’annuncio delle disfatte elettorali, il numero di citazioni del nome di Silvio in bocca a Vespa. Giovanni Paolo II moriva alla vigilia delle Amministrative 2005, distraendo gli elettori cattolici dal dovere di votare B.? Niente paura: Deborah concordava con Mediaset una serie di “programmi che diano alla gente un senso di normalità, al di là della morte del Papa, per evitare forte astensionismo alle elezioni amministrative”. Ora, dopo aver coordinato così bene i rapporti fra Rai e Mediaset, coordina i Rapporti col Parlamento.

Stavamo quasi per assegnarle la palma di Vicemigliorissima, quando ci è capitato sotto gli occhi il ritratto agrodolce di Gabrielli, neosottosegretario ai Servizi, firmato da Bonini su Repubblica: “garantisce la tenuta di sistema”, “promette di regalare agli apparati di sicurezza una serenità e una competenza sciaguratamente smarrite nel Conte-1 e Conte-2” (mica come ai tempi di De Gennaro, Mori, Pollari&Pompa), “talento precoce per anagrafe e capacità”, “intelligenza inquieta”, “cultura democratica e riformista”, “civil servant”, “riserva della Repubblica”, “ricostruì una Protezione civile stravolta dalla stagione berlusconiana” (infatti “era il vice di Bertolaso”), “ricostruì la cultura della ‘sua’ Polizia”, “figlio del popolo”, “cultura riflessiva nelle indagini”, “combina le competenze che la lingua inglese felicemente distingue in ‘safety’ e ‘security’”; peccato soltanto che abbia “negato per orgoglio e testardaggine a suo padre la gioia di vederlo laurearsi in Giurisprudenza”. Ma che sarà mai. Come disse Cetto La Qualunque, precursore di tutti i Migliori: “Vogliono negare a mia figlia il posto di primario di chirurgia con la scusa che non è laureata. Ma a che cazzo serve la laurea!? Mia figlia ha due mani da fata: può operare!”.

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giovedì 25 febbraio 2021

Governo Draghi, i sottosegretari scelti col Cencelli e il bilancino (più dei ministri). I berlusconiani si prendono Editoria e Giustizia. Ai Servizi va Gabrielli. - Martina Castigliani e Giuseppe Pipitone

 

Ancora una volta vince - anzi stravince - l’equilibrio della bilancia di precisione: 11 sottosegretari al M5s, 9 alla Lega, 6 per Pd (5 donne) e Forza Italia. Nel M5s non ci sono Fraccaro e Buffagni ma quattro news entry (tutte donne), il leghista Molteni torna al ministero dell’Interno. I berlusconiani piazzano uno dei loro all'Editoria e Sisto alla Giustizia (ma anche Mulè alla Difesa), Renzi ottiene di far rientrare Bellanova e Scalfarotto. Spazio anche per Tabacci e Della Vedova.

Peggio dei ministri, almeno di quelli politici. E d’altra parte questa volta le scelte erano tutte in mano ai partiti. Se esistesse qualcosa di più partitocratico dell’ormai mitologico manuale Cencelli di sicuro sarebbe stato utilizzato per nominare i sottosegretari di Mario Draghi. Già quando aveva letto la lista dei suoi ministri le scelte dell’ex presidente della Bce avevano deluso chi da settimane parlava del “governo dei migliori“. Niente da dire, fino alla prova dei fatti, sugli otto tecnici piazzati nei dicasteri chiave. Musica molto diversa sulle 15 poltrone divise col bilancino tra la maggioranza a larghe intese che appoggia il governo. Stesso spartito per le lista dei 39 sottosegretari, arrivata a dieci giorni dal giuramento: 11 poltrone vanno ai 5 stelle, primo gruppo in Parlamento, 9 alla Lega, 6 per il Pd e 6 per Forza Italia, due per Italia viva. Un incarico a testa per i partiti piccoli e quindi Leu, +Europa (con Benedetto Della Vedova), Centro democratico (Bruno Tabacci) e perfino Noi con l’Italia, quella che alle politiche del 2018 doveva essere “la quarta gamba” del centrodestra e poi è sparita dai radar. Ricompare con la nomina di Andrea Costa, consigliere regionale, alla Salute. Non ha un seggio in Parlamento anche Alessandra Sartore, assessore al Bilancio in Regione Lazio che Nicola Zingaretti ha promosso al governo per sopperire alla contestatissima mancanza di donne del Pd al governo. Alla fine su sei posti per i dem, questa volta solo uno va ad un uomo.

Una lista composta col bilancino dell’orafo – Anche sul fronte delle quote genere la lista dei sottosegretari del governo Draghi è stata stilata mixando il Cencelli e il bilancino di precisione dell’orafo. Alla fine su 39 incarichi (sei da viceministro) le donne sono una leggerissima maggioranza: 20 contro 19 uomini. Tra questi ultimi rientra anche l’unico tecnico della partita: Franco Gabrielli lascia l’incarico di capo della Polizia per prendere la delega ai servizi segreti. Lo stesso cursus honorum seguito a suo tempo da Gianni De Gennaro che però tra il vertice della Polizia e l’incarico di governo guidò il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Gabrielli, invece, cambia veste in 24 ore e prende la delega contestata da Matteo Renzi quando a reggerla era Giuseppe Conte. Precisione finissima è stata poi utilizzata per quanto riguarda gli schierementi: per ogni delega ci sono sempre almeno due componenti, uno della ex maggioranza del governo Conte 2 e uno della vecchia opposizione. Resta da capire come faranno a lavorare insieme persone che fino a due settimane fa non se le mandavano a dire. E anche ultimamente non si sono trattenute. Bilancino e sostanziale pareggio anche per le provenienze geografiche (anche se tra i ministri c’era un’ampia maggioranza di “nordisti”): i sottosegretari provenienti dal Sud e dalle isole sono in totale 16 (6 solo dalla Puglia). In sette sono originari dalle Regioni del Centro Italia, mentre altri 16 provengono dalle Regioni settentrionali (7 sono lombardi).

Ai berlusconiani Editoria e Giustizia – Per il resto fa rumore lo scippo dei berlusconiani che riescono a mettere le mani sulla delega all’Editoria, fondamentale per i destini dell’impero di Arcore. Forza Italia avrebbe voluto piazzare lì addirittura Giorgio Mulè, berlusconianissimo ex direttore di Panorama: i 5 stelle e il Pd hanno fatto muro, provocando a un certo punto la sospensione del Consiglio dei ministri. Alla fine la quadra è stata trovata spostando Mulè alla Difesa, ma mantenendo la preziosissima delega a giornali e informazione: finisce a Giuseppe Moles, non un pretoriano ma comunque berlusconiano della prima ora. Ex assistente di Antonio Martino all’università e poi nel primo governo Berlusconi, è alla seconda legislatura in Parlamento. È al quinto giro, invece Francesco Paolo Sisto, una sorta uomo-immagine della giustizia made in Arcore: l’avvocato pugliese fu uno degli scudi umani del capo durante la legislatura delle leggi ad personam e delle nipoti di Mubarak. Negli ultimi tempi non è cambiato. Quando per esempio il leghista Armando Siri dovette dimettersi perché era indagato per corruzione, Sisto tuonò in Parlamento: “Il Paese è nelle mani della magistratura. Le Procure decidono la composizioni del governo, questo è un attacco alle istituzioni. Ce ne rendiamo conto? Sveglia, sveglia”. Dove poteva finire oggi? Ovviamente alla giustizia. Tenterà, con ogni probabilità, di bombardare in ogni modo le riforme anticorruzione e sulla prescrizione del Movimento 5 stelle.

I 5 stelle tra new entry e uscenti blindati. Ma non ci sono Fraccaro e Buffagni – Toccherà alla grillina Anna Macina provare a neutralizzare Sisto. Pure lei legale originaria della Puglia, è firmataria della legge sul conflitto di interessi (uno dei provvedimenti più importanti per il M5s), siede in commissione Affari costituzionali e nella Giunta per il regolamento. A ottobre 2019 era in corsa per diventare capogruppo, ma finì nel tritacarne dei veti incrociati (era un nome gradito a Di Maio) e decise di ritirarsi. Macina è una delle deputate alla prima legislatura su cui i 5 stelle cercano di puntare per ricomporre un gruppo massacrato da polemiche e guerre interne. È lo stesso caso di Rossella Accoto, fino a oggi capogruppo in commissione bilancio del Senato (molto attiva sul fronte Ristori) e da domani sottosegretaria al Lavoro: cercherà di preservare l’influenza 5 stelle in un dicastero in cui sono passati prima Di Maio e poi Nunzia Catalfo. Tra i nuovi ingressi: Barbara Floridia all’Istruzione, senatrice che già l’ex capo politico aveva scelto per il suo “team del futuro” come facilitatrice per l’area “formazione e personale”; Ilaria Fontana, deputata laziale conosciuta nel Movimento per le sue battaglie su ambiente ed economia circolare: sarà sottosegretaria del nuovo superministero alla Transizione ecologica. Primo incarico al governo, ma seconda legislatura, per Dalila Nesci: calabrese, neo sottosegretaria al Sud. E’ considerata vicina a Roberto Fico, ma soprattutto è la principale esponente della corrente Parole guerriere (come Gallo e Brescia) e tra le prime a spingere per il sostegno al governo Draghi. Confermata dal precedente esecutivo la presenza di Giancarlo Cancelleri ai Trasporti (il siciliano era viceministro, ora sarà sottosegretario), Giampaolo Sileri alla Salute e Alessandra Todde allo Sviluppo Economico. Sono al terzo incarico (facevano parte anche del Conte 1) Laura Castelli all’Economia, Carlo Sibilia agli Interni e Manlio Di Stefano agli Esteri. In particolare su Castelli, Di Stefano e Cancelleri sarebbe arrivata la blindatura di Di Maio, ma in generale i registi delle trattative sono stati il capo politico reggente e i due capigruppo (tutti e tre per scelta esclusi dalle nomine). Fuori dal governo, invece, resta Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidente con Conte, considerato molto vicino all’ex premier. E pure Stefano Buffagnirumors raccontano che sull’ex sottosegretario lombardo sia calato il veto di Vito Crimi, ma anche la Lega rivendica la sua esclusione come un successo del Carroccio.

Il ritorno dei leghisti e dei renziani – Dopo l’esperienza gialloverde il partito di Matteo Salvini riporta al governo Claudio Durigon al Lavoro, Vannia Gava alla Transizione ecologica e Lucia Borgonzoni ai Beni culturali: nel 2018, quando venne nominata per la prima volta, disse di non leggere un libro da tre anni. Chissà se nel frattempo ha migliorato la sua media. L’anno scorso fu protagonista della campagna elettorale per le Regionali in Emilia-Romagna: dopo aver giurato che anche in caso di sconfitta sarebbe rimasta in Regione, perse le elezioni contro Stefano Bonaccini ritornò in Senato. Ma non è il tasto più dolente: è ancora consigliera comunale a Bologna e nel 2020 ha disertato tutte le sedute (anche se erano da remoto). Rientra all’ultimo agli Interni Nicola Molteni, co -firmatario dei decreti Sicurezza di Salvini, sul quale era stato posto un veto del Pd: senza successo a quanto pare. Inascoltata pare sia stata la richiesta di Stefano Patuanelli che non voleva come sottosegretario all’Agricoltura Gian Marco Centinaio. Tra i leghisti sarà il primo giuramento invece per Alessandro Morelli, ex presidente della commissione Trasporti, ex direttore di Radio Padania e attuale numero uno del giornale online Il Populista: è considerato molto vicino all’uomo del Carroccio a Mosca, Gianluca Savoini. Esordio al governo pure per Stefania Pucciarelli, piazzata alla Difesa: una volta mentre viaggiava in treno ci tenne a sottolineare di essere “l’unica italiana in un vagone pieno di stranieri, tutti di colore. Tutti sprovvisti di biglietto”. Aneddoto simile per Rossano Sasso, all’Istruzione: anni fa organizzò un flash mob per una violenza sessuale in spiaggia chiamando “bastardo irregolare” il presunto violentatore, che però si è poi rivelato innocente. Squadra completamente confermata, invece, per Italia viva: dopo la ministra Elena Bonetti, tornano al governo Teresa Bellanova Ivan Scalfarotto, che questa volta si occuperanno – rispettivamente da viceministra e sottosegretario – di Trasporti e Interni. Sono praticamente le stesse persone che facevano parte del governo Conte e che lo fecero cadere dimettendosi. Per settimane Matteo Renzi si è vantato urbi et orbi che per lui “non era una questione di posti”, che il suo partito era l’unico ad aver “fatto dimettere i propri ministri”. Quaranta giorni dopo le dimissioni sono di nuovo lì.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/24/governo-draghi-i-sottosegretari-scelti-col-cencelli-e-il-bilancino-piu-dei-ministri-i-berlusconiani-si-prendono-editoria-e-giustizia-ai-servizi-va-gabrielli/6112661/

Nominati 39 sottosegretari, le donne sono 19, i viceministri 6.

 

I veti reciproci e il pressing dei partiti della larga maggioranza complicano fino all'ultimo la partita dei sottosegretari che, comunque, alla fine viene chiusa, attraverso un Consiglio dei ministri non privo di tensioni. La riunione è caratterizzata da turbolenze sui nomi, da veti incrociati e da qualche richiesta disattesa.

Tanto che a un certo punto il Cdm viene sospeso, addirittura con l'ipotesi di uno slittamento al giorno dopo. Poi, finalmente, la chiusura del cerchio. Della squadra fa parte il capo della Polizia, Franco Gabrielli, che ha la delega ai servizi segreti. Mentre sulla casella dell'Editoria lo scontro va avanti fino all'ultimo minuto. Nutrita la compagine femminile: quasi la metà, 19, sono donne. Anche lo sport resta uno dei nodi da sciogliere: la delega, viene spiegato, sarà assegnata successivamente. In giornata, il presidente del consiglio Mario Draghi decide di accelerare e nel pomeriggio modifica l'ordine del giorno di un Consiglio dei ministri già convocato, per inserire la decisione sulla squadra di governo.

La lista, limata a Palazzo Chigi a partire dalle rose di nomi presentate dai partiti, viene resa nota solo all'ultimo, ma non tutto quadra: in Cdm emergono dubbi su alcuni nomi e caselle, la riunione viene sospesa per trovare una sintesi. Riuniti attorno a un tavolo a Palazzo Chigi, i ministri cercano di trovare la sintesi di un lavoro che va avanti ormai da giorni, fra le attese dei partiti, le aspirazioni dei singoli, la necessità di mantenere gli equilibri. Trapelano dei rumors. Il primo a sollevare obiezioni sarebbe stato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini: c'è l'intenzione di assegnargli un solo sottosegretario, ma lui avrebbe obiettato che, alla luce del lavoro che spetta al ministero, questo tipo di formula non è tecnicamente sostenibile. Alla fine l'avrà vinta. Nel gioco dei pesi fra i partiti, il conto vede 11 sottosegretari per il M5s, 9 per la Lega, 6 per FI e Pd, 2 per Italia Viva, uno di Leu, uno del centro democratico, e uno di più Europa.

Questa la squadra. Presidenza del Consiglio • Deborah Bergamini, Simona Malpezzi (Rapporti con il Parlamento) • Dalila Nesci (Sud e coesione territoriale) • Assuntela Messina (Innovazione tecnologica e transizione digitale) • Vincenzo Amendola (Affari europei) • Giuseppe Moles (Informazione ed editoria) • Bruno Tabacci (Coordinamento della politica economica) • Franco Gabrielli (Sicurezza della Repubblica) Esteri e cooperazione internazionale Marina Sereni - viceministro Manlio Di Stefano, Benedetto Della Vedova Interno Nicola Molteni, Ivan Scalfarotto, Carlo Sibilia Giustizia Anna Macina, Francesco Paolo Sisto Difesa Giorgio Mulè, Stefania Pucciarelli Economia Laura Castelli - viceministro Claudio Durigon, Maria Cecilia Guerra Alessandra Sartore Sviluppo economico Gilberto Pichetto Fratin - viceministro Alessandra Todde - viceministro Anna Ascani Politiche agricole alimentari e forestali Francesco Battistoni, Gian Marco Centinaio Transizione ecologica Ilaria Fontana, Vannia Gava Infrastrutture e trasporti Teresa Bellanova - viceministro Alessandro Morelli - viceministro Giancarlo Cancelleri Lavoro e politiche sociali Rossella Accoto, Tiziana Nisini Istruzione Barbara Floridia, Rossano Sasso Beni e attività culturali Lucia Borgonzoni Salute Pierpaolo Sileri, Andrea Costa. Sarà successivamente designato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Sport.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/02/24/il-cdm-slitta-alle-18-allodg-la-nomina-dei-sottosegretari_34ad4387-4c1f-48ca-a2fa-167adf960ca5.html