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sabato 2 marzo 2019

Black Axe, l’orrore che ignoriamo. (1) - Rosanna Spadini



Un fenomeno preoccupante e largamente diffuso sul territorio italiano, anche se ampiamente sottovalutato, è quello della mafia nigeriana. L’episodio di Roma San Lorenzo, del truce omicidio della povera Desirée, come quello precedente di Pamela a Macerata, violentata, uccisa e fatta a pezzi dai nigeriani, sembrano confermare l’allarme. Del resto il presunto quarto assassino della ragazza di Roma, Salia Yusif, in fuga dalla polizia, aveva lasciato Roma per tornare a Borgo Mezzanone, nel Foggiano, dove aveva già soggiornato fino al 2014 presso il C.A.R.A. Si era anche tagliato i capelli per non farsi riconoscere e viveva nella baraccopoli adiacente, ove è sorto  un insediamento di immigrati che non hanno più titolo ad essere ospitati all’interno della struttura, e dove la mafia nigeriana ha creato dei potenti feudi di controllo sull’intera area.
Li chiamano «cult», dominano il racket da Torino a Palermo, tengono legami anche con i clan di Ballarò. «Ho fatto tre informative a tre procure diverse, Roma, Bologna e Palermo, interessate al fenomeno che si sta espandendo a macchia d’olio in tutta Italia e tutta Europa», ha detto alla Commissione parlamentare sulle periferie il commissario della municipale Fabrizio Lotito. Gerarchia mafiosa, riti d’iniziazione, cosche: «Torino è la città con il maggior numero di immigrati nigeriani, a ruota segue l’Emilia Romagna. Le nostre indagini su questo fenomeno mafioso vedono come attori principali i ‘cult’, nati nelle università nigeriane degli anni Settanta, poi evolutisi fuori e giunti anche in Italia».
Probabilmente anche l’agguato dello scorso settembre ai giardini Alimonda di Torino contro due poliziotti antidroga circondati e pestati da una trentina di spacciatori africani, dimostra la violenza del fenomeno. La mafia nigeriana comanda ormai in molte periferie italiane, anche in quel corso Giulio Cesare così multietnico che gli ultimi bottegai locali espongono in vetrina il cartello «negozio italiano». 


Black Axe, Maphite, Supreme Eiye Confraternity, Ayee sono nomi di «cult» che riempiono ormai da anni le cronache giudiziarie, molto bene lo sanno gli inquirenti e gli abitanti delle zone più interessate, il fenomeno però è meno conosciuto per l’opinione pubblica. Le prime vittime dei «don» (i capi) sono ragazze nigeriane vendute come schiave e giovani nigeriani (baseball cap) ridotti a elemosinare davanti ai bar delle grandi città per ripagare debiti di famiglia contratti in Nigeria.
Il traffico di giovani nigeriane verso l’Europa, che diventano schiave del racket e di riti vudù,  è in continua ascesa. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), in Italia nel 2014 sono arrivate dalla Nigeria, via mare, 1.450 donne, 5.600 nel 2015, oltre 11.000 nel 2016, in buona parte minorenni. Il 2017 sembra confermare il trend, con 4.000 ragazze sbarcate nei primi sei mesi dell’anno. Le stime di OIM dicono che l’80% delle giovani in arrivo dal Paese africano è destinato alla prostituzione. Le nigeriane sono diventate una fetta consistente del mercato italiano che vale 4 miliardi di euro all’anno: il 55% delle prostitute in Italia sono straniere e il 36% di loro è di nazionalità nigeriana (Istat). L’85% delle prostitute nigeriane proviene dalla stessa città: Benin City, l’hub africano della prostituzione.  
Il traffico degli esseri umani è una delle sue più importanti fonti di sostentamento, con introiti che non sfamano diversi strati della popolazione, comprese le famiglie delle vittime. «Ti chiamano trafficante e vogliono processarti», dice Exodus che per venti anni ha vissuto tra Benin City e la Libia e si è arricchito grazie alla tratta. «Guardiamo però alle operazioni del Naptip: arrestano un trafficante, ma poi si scopre che la famiglia era coinvolta, era d’accordo. Quindi anche loro sono trafficanti. E il passeur non è un trafficante? I poliziotti? La polizia prende i soldi dalle persone e permette loro di andarsene. Vuoi dirmi che non ci sono poliziotti nelle città al confine con il Niger? Vuoi dirmi che non ci sono funzionari dell’immigrazione? Vuoi dirmi che non ci sono posti di blocco? Dove sono tutti, dormono? E i giudici? Anche loro trafficanti! Le Ong? Ti dico solo una cosa: soldi, soldi, soldi. In America dicono ‘Money talks, bullshit walks’».
Exodus dice di non sentirsi in colpa, anzi di considerarsi un benefattore perché ha aiutato i suoi concittadini ad andarsene da un Paese povero e corrotto, inoltre, secondo lui, Tv, giornali e social media spaccerebbero dati gonfiati sulle morti «Nessuna delle ragazze che ho portato in Libia è mai morta nel Sahara. A non farcela sono le persone che partivano già malate». Purtroppo non è così, come dimostra anche l’ultimo ritrovamento, a novembre 2017, di 26 corpi senza vita di donne arrivate a Salerno, tutte di nazionalità nigeriana. Comunque non esiste un boss in questo business, dicono sia lui che il comandante del Naptip, là chiunque può diventare un trafficante, basta conoscere delle ragazze che vogliano partire e non serve nemmeno sforzarsi troppo per convincerle.
È un errore di valutazione dunque sottovalutare la mafia nigeriana, perché interessa almeno venti città (Torino e Bologna in testa) e dieci regioni coinvolte nella sua rete, e che conta in giro per il mondo trentamila affiliati in quaranta Stati.
Al Sud dove le mafie autoctone mantengono il controllo militare, la mafia venuta da Benin City ha stretto patti, come a Ballarò. Al Nord picchia duro: nel 2017, su 12.387 reati firmati dalla criminalità nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi), 8.594 avvengono al Nord, 1.675 al Centro, 1.434 al Sud, 684 nelle Isole.
A Torino si è aperta l’operazione dei carabinieri Athenaeum, che documenta il legame tra Maphite e Eiye. Giovanni Falconieri sul Corriere di Torino ha raccontato di un pentito che descrive i Maphite in termini sconvolgenti: «Sono sbarcati a Lampedusa e la gente ha paura di loro… Non hanno rispetto per la vita».
Poi il giudice torinese Stefano Sala, in quasi 700 pagine di ordinanza, motiva le sentenze su 21 membri di Eiye e Maphite: «I moduli operativi delle associazioni criminali nigeriane sono stati trasferiti in Italia in coincidenza con i flussi migratori massivi cui assistiamo in questi anni» (…), «tra gli immigrati appena sbarcati vengono reclutati i corrieri che ingoiano cocaina».
Se Torino è la nostra città più permeata dalla migrazione nigeriana, Bologna è considerata «la capitale» del cultismo, lo spaccio nella centrale Bolognina e nelle periferie è da anni in mano ai Black Axe. Ma le ordinanze che si moltiplicano, con le operazioni di carabinieri e polizia, descrivono un’onda assai più lunga: Black Axe, a Palermo, 2016; Aquile Nere, Caserta, stesso anno. Cults, a Roma, 2014. Niger, Torino 2005. Ancora Black Axe, Castello di Cisterna, Napoli, 2011.
«Noi siamo nate morte», raccontano le schiave nigeriane della Domiziana al sociologo Leonardo Palmisano in un libro di prossima uscita «Ascia Nera».
Nella «pista» di Borgo Mezzanone (Foggia) incomincia la bidonville dei migranti, Ogni giorno tirano su nuove baracche, sorte tra montagne di rifiuti, roghi di plastiche, fumi neri, prive di bagni, dove le ragazze appena arrivate sostano davanti al bordello. 


Una vera e propria bidonville «il Ghetto» dei migranti, di cui nessuno sa niente in Italia, se non gli abitanti della zona, preoccupati per alcune bande nigeriane che controllano il territorio, dove la legalità è sparita da un pezzo e gli episodi di violenza minacciano quotidianamente quella terra di nessuno.
I militari presidiano il Cara, ma qualche metro più in là la baraccopoli ha una vita propria, e così un docente ammette «Qui i problemi sono troppi. Si mischiano diverse forme di illegalità. Diversi tipi di migrazione. Siamo soli, abbandonati, inascoltati. Qui manca tutto, bisognerebbe ripristinare la legalità ad ogni livello».
Naturalmente i media globalisti cercano di oscurare queste notizie, zitti e mosca sulla nuova mafia nigeriana, che attraverso l’immigrazione fuori controllo di questi ultimi anni è approdata in Italia ed ha tutta l’intenzione di usare il nostro Paese come terra da sfruttare, per poi dilagare in tutta Europa. Il business è già radicato sul territorio e attraverso l’esportazione del crimine, della violenza contro le donne, dello spaccio di droga, garantisce non solo l’aumento del tasso di criminalità, ma anche di aggiungere un altro nuovo rischio per una serena convivenza urbana, in una società sempre più multiculturale.

Nonostante Gad Lerner dica un’altra cosa «Dopo Pamela, guardiamo attoniti la vita e la morte di Desirée: dipendente da eroina, figlia di spacciatore italiano e madre 15enne, vittima di pusher immigrati. Vicende tragiche che dovrebbero suggerirci qualcosa di più e di diverso dall’odio razziale».
Credo che Gad, da buon radical chic, collezionista di rolex, cerchi di scaricare le responsabilità di chi ha permesso che le periferie delle città italiane venissero infestate dalla presenza della mafia nigeriana, tanto che intere strade sono ormai infestate dallo spaccio di droga e dalla prostituzione h24. Il nostro buonista globalizzato condanna l’odio razziale, ma non ha tenuto conto che può esistere un ‘razzismo’ naturale, di chi cerca di difendersi dall’invadenza di un’immigrazione fuori controllo, come quello degli animali che marcano il loro territorio, e quindi sono pronti a difenderlo da qualunque ingerenza esterna, e c’è un ‘razzismo’ culturale, indotto da archetipi che si perdono nella notte dei tempi (KG Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo).
Nessun odio razziale quindi, ci basterebbe non assistere più a queste orribili vicende, e poter garantire anche la sicurezza delle donne italiane per le strade delle nostre città, ma ormai non credo sarà più possibile per molto tempo ancora.
https://comedonchisciotte.org/black-axe-lorrore-che-ignoriamo/

domenica 6 gennaio 2019

Castel Volturno, viaggio nella capitale della mafia nera. - Vincenzo Iurillo

Volti, storie – Il lavoro che pubblichiamo qui è del fotografo Giovanni Izzo, da oltre due decenni impegnato a scattare tra il napoletano e il casertano. Izzo è stato tra i pochissimi, se non l’unico, a essersi introdotto in una connection house di Castel Volturno.

Viaggio a Castel Volturno - Negli ultimi trent’anni la città è diventata luogo ideale per il reclutamento delle nuove leve di un esercito sanguinario. Terra di nessuno dove criminalità africana e camorra si saldano tra droga, degrado e prostituzione. E dove persino l’Fbi è venuta a studiare…

Gli ispettori del Fbi sono entrati da una porta laterale del palazzo della Procura di Napoli per non dare nell’occhio. Hanno parlato con i magistrati che si occupano di mafia nigeriana a Castel Volturno e nel casertano. Si sono fatti spiegare le tecniche investigative messe in piedi dalla Dda partenopea. Hanno appreso notizie e segreti di una mafia transazionale che ha messo piede anche negli Stati Uniti, che affilia, agisce e delinque con modalità che non hanno uguali al mondo e che miscelano ferocia inaudita, controllo capillare del territorio, senso di appartenenza al clan di tipo massonico.
La visita è avvenuta alcuni mesi fa. Nel riserbo. Inquirenti statunitensi e napoletani si sono scambiati informazioni utili alle loro indagini. Alcune a Napoli sono ancora in corso. Altre sono giunte a sentenza. I pm Ilaria Sasso Del Verme, Giovanni Conzo e Sandro D’Alessio hanno ottenuto pesanti condanne. Merito anche dei pentiti. A cominciare da Christopher Schule, il primo collaboratore di giustizia della mafia nigeriana di Castel Volturno: un affiliato al gruppo degli “Eye” sin dal 2010 che, vestendo i panni del giornalista-infiltrato, ha conquistato la fiducia dei connazionali e ne ha raccolto le confidenze. Ai carabinieri di Grazzanise, agli ordini del maresciallo Luigi De Santis, Schule ha rivelato il giuramento di sangue degli Eye. “Fui introdotto in un’abitazione dove c’erano 12 persone, vi era un agnello a cui fu tagliata la gola. Una di queste persone versò il sangue dell’agnello in un bicchiere di vetro che mi porse, e fece la stessa cosa con altri quattro ragazzi che dovevano essere affiliati con me. Nel mio bicchiere con il sangue, l’officiante mise una mia foto col mio nome scritto sopra assieme alla foto di un’aquila, il simbolo degli “Eye”. Quindi diede fuoco alle due foto e mi fece bere il sangue di agnello insieme ai frammenti bruciati delle foto. Però prima di berne il contenuto mi fece recitare una formula in lingua Benin, Hausa ed inglese che diceva pressappoco così: “I begin not to end I give my power to my self end to use it only in self defense. Ottagni. Senseni, Sampani”. Una formula che in sostanza significa: “Io qui comincio ma senza una fine. Dò il potere a me stesso e per usarlo solo per autodifesa”. Ottagni, Senseni e Sampani sono tre divinità della cultura Voodoo che si evocano, dice il pentito, “per suggellare il giuramento: sono come i guardiani della parola data”.

Quel giorno Schule diventa, e lo sarà per quasi cinque anni, un soldato della mafia nigeriana. Un esercito che combatte per i profitti dello sfruttamento della prostituzione, dello spaccio di droga e dell’introduzione di clandestini, che riduce in schiavitù le donne, che fa letteralmente a pezzi i nemici, come il povero Saba, che si rifiutò di proseguire a spacciare ed a pagare la quota di affiliazione al clan: il suo omicidio avvenne nel 2008 ma è ancora vivo nel ricordo della comunità locale. La droga arriva dal Sudamerica col sistema classico dei corrieri rimpinzati di ovuli pieni di hashish o eroina, incellofanati e termosaldati. Il procedimento la nasconde ai raggi X degli aeroporti, solo una Tac ti può sgamare. Lo stratagemma consente importazioni con numeri da record, che gli inquirenti calcolano in diverse decine di quintali all’anno. Ma ha le sue controindicazioni, è sempre Schule a spiegarlo: “Da un certo Dominic appresi che qualche volta i corrieri sono morti perché l’ovulo si spaccava. Il cadavere di un corriere venne tenuto per parecchi giorni in una casa e fu sezionato a pezzi per recuperare la droga dall’intestino. Fu poi smaltito nei giorni successivi in piccoli pezzi, gettati in mare o nelle campagne. A tutti i presenti fu dato un pezzo con l’onere di disfarsene. Un modo per coinvolgere tutti e per costringere tutti al silenzio”.
Negli ultimi trent’anni Castel Volturno è diventata la città ideale per il reclutamento delle milizie di questo esercito sanguinario. Si può attingere tra i circa 25mila immigrati nigeriani e ghanesi che sfuggono ai controlli dell’anagrafe, che hanno invaso il litorale domizio sfondando le porte delle villette abbandonate dopo il terremoto del 1980, oppure fittando dai “bianchi” un materasso per dormire ammassati in case prive di agibilità, per le quali non si paga l’Imu, e con gli allacci abusivi. Si stipano a decine in dieci metri quadri, su quei materassi luridi e sfondati: per dormirci sopra si pagano 150 euro a persona.

Se l’alternativa è andare a raccogliere pomodori nei campi per 20 euro al giorno, la tentazione di arruolarsi nella mafia nigeriana è fortissima. L’offerta è varia, la mappa dei clan è descritta da Schule con precisione: “Ci sono vari gruppi di associati, antagonisti tra loro: i ‘Black Cats’, gli ‘Eye’ e i ‘Vikins’. I ‘Black Cats’ sono nigeriani ed etnia Ibo, hanno come simbolo un gatto nero con un basco militare, che di solito si tatuano sulla spalla per farsi riconoscere. In altre zone d’Italia ci sono altre cellule, la più grande è a Padova. È un gruppo molto ricco anche grazie ad attività commerciali apparentemente lecite, come bar e supermarket. Comunicano tra loro con le ricetrasmittenti, evitano i cellulari, trattano droga in grandi quantitativi. Mentre gli Eye sono di etnia Benin, ne fanno parte anche ghanesi, spacciano droga al dettaglio e si occupano di tratta di esseri umani. Ai ragazzi e le ragazze che partono dalla Nigeria viene imposto un giuramento voodoo di fedeltà al loro padrone che troveranno in Europa e che, se tradiranno, saranno uccisi sia loro che i familiari rimasti in Nigeria”.
Schule riempie decine di pagine di verbali. Descrive il carattere transnazionale di una mafia “che ha riferimenti in quasi tutti i paesi d’Europa”. E indica quali. “In Spagna c’è Erik A., in Olanda c’è un tale Osas, in Francia opera tale Wofa, un capo degli ‘Eye’ che si sposta periodicamente tra lì e l’Italia. Ho appreso che c’è un referente degli ‘Eye’ anche in Danimarca e nel Regno Unito, che però non conosco. Sono andato in quasi tutte le loro sedi, saprei condurvi a quelle di Madrid e Barcellona, a Vasco in Portogallo, ad Amsterdam in Olanda, a Parigi, nei pressi di via DeGaulle, a Belfast in Irlanda del Nord, a Copenaghen”. Quando si dice la globalizzazione.

Mafia nera a Castel Volturno: le Connection House di Hellen e le altre, tutte Bibbia e peluche. - Vincenzo Iurillo

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Giovani, a volte giovanissime. Le prostitute segregate dalla mafia nigeriana nelle connection house di Castel Volturno sono piccole donne ribelli e disperate, ingabbiate in casa perché si teme che possano fuggire. Al contrario di quelle ritenute più malleabili e mandate in strada a vendersi a 20 euro, queste ragazze non hanno una madre, una sorella, un fratello, un fidanzato. Non hanno un affetto. E allora comprano un peluche. E lo abbracciano per ore, tra un cliente e l’altro. Diventa la zattera a cui aggrapparsi quando emotivamente si rischia di annegare. Ognuna di loro ha il “suo” peluche. Come una bambina. E la sua Bibbia (che tengono sempre in stanza, sul comodino).
Definirla casa di prostituzione è riduttivo. La connection house, uno dei marchi di fabbrica della mafia nigeriana, è un luogo di sospensione della legalità. È una casa divisa in diversi piani, dove entri per “chiedere” una donna (e in quel caso sali nelle stanze da letto), o per acquistare armi e droga, per giocare d’azzardo o semplicemente per mangiare cibo africano cucinato dalle cosiddette Maman, figure chiave che raccolgono i soldi e controllano e gestiscono le ragazze quotidianamente. Nei racconti dei collaboratori di giustizia, le connection house sono anche i punti di intermediazione di commerci irriferibili. Se vuoi comprarti un rene, passi da qui. Ci pensano i “Black Axe”, sono loro che trafficano organi umani, secondo quanto emerso. In genere chi è implicato in questa attività non ha contatti con gli altri, si tiene in disparte. Attende una chiamata dalle connection house.

Sono poco più di bambine, le donne intrappolate dalla tratta di esseri umani gestita dalla mafia nigeriana. Sulle loro vite, lucrano centinaia di migliaia di euro, tra i proventi del sesso a pagamento e i riscatti che le ragazze devono pagare per liberarsi dall’orrore della schiavitù. C’è un tariffario, ci sono delle procedure. La mafia nigeriana, si apprende dalle carte delle inchieste agli atti della Dda di Napoli, acquista le ragazze a 5.000 euro e le fa arrivare in Italia clandestinamente. Sono circa 11.000 le donne nigeriane – secondo i dati del progetto antitratta della Regione Campania – che raggiungono ogni anno il territorio italiano. E più dell’80% di loro transita prima o poi per Castel Volturno e il Litorale Domizio. Le ragazze sono costrette a lasciare l’indirizzo e il cellulare dei familiari rimasti in Africa: saranno i primi a essere colpiti se si rifiutano di obbedire. Poi vengono obbligate a prostituirsi, sulla Domiziana o nelle connection house per poche decine di euro a prestazione sessuale, dove pagano l’affitto della stanza in cui ricevono i clienti.
“Il cliente salda direttamente alla prostituta la quale poi consegna una parte del denaro alla Madame”, racconta a verbale il pentito Twumasi Collins. “Periodicamente alcuni esponenti degli ‘Eye’ fanno il giro delle connection house e raccolgono dalle Madame la parte spettante all’organizzazione criminale”. È un meccanismo oliato, e conosciuto, che resiste ai colpi della legge. La caserma dei carabinieri di Grazzanise (Caserta) ha compiuto dieci arresti per sfruttamento della prostituzione nera nell’ultimo anno: donne, si annota nei rapporti inviati nelle procure, a disposizione dei “bianchi”, gli italiani.

Per riscattarsi, le donne devono versare fino a 60.000 euro, e ci vogliono molti anni, durante i quali vengono gestite dalle Maman o Madames, di solito ex prostitute riscattate. Persino le ragazze che arrivano in gravidanza devono comunque prostituirsi, “e se non lo fanno – si legge nelle carte – le costringono a vendere il loro bambino”. Una volta concluso il pagamento, il bivio: scappare alla ricerca di una vita normale, o diventare a loro volta Maman e amministrare una connection house. In quel caso, la tassa da pagare è di 6.000 euro alla Maman che le ha gestite fino ad allora.
Hellen stava per diventare una di loro. È riuscita a darsi alla fuga, aiutata da Christopher Schule, il pentito di Castel Volturno, l’uomo che l’aveva accolta nei primi giorni difficili. La mafia nigeriana lo ha cercato, lo ha minacciato. In venti lo hanno circondato: Christopher doveva risarcirli di 40.000 euro: “Sei tu che l’hai fatta scappare”. Schule è stato salvato dai vicini. Hellen ha raccontato tutto ai carabinieri. “Sono nata ad Abia State in Nigeria, sono figlia unica. Ci fu una lite in famiglia sulla proprietà di un terreno e mio padre fu ucciso da alcuni familiari. Mia madre mi rifugiò da una amica a Medugri. Nel 2009 un cugino mi localizzò, mi voleva uccidere. L’amica mi fece scappare in Libia con sua figlia in auto. Ho vissuto due anni a Bengasi, facevo la domestica, ho incontrato il padre di mia figlia. Allo scoppio della guerra in Libia, fuggii in barca a Lampedusa, senza pagare niente per il viaggio. Ero incinta”. Poi il centro di accoglienza. Il marito che la abbandona. La figlia che le nasce mentre lei è a Bari. Una conoscente le dà il numero di una Maman di Castel Volturno che le paga il viaggio in treno. Hellen entra nella connection house, capisce subito cosa vogliono da lei. Si rifiuta. Trova ospitalità da Cristopher: cucina cibo africano che vende agli immigrati. La mafia nigeriana l’ha rintracciata: in quattro le hanno sfasciato il locale. Lei ha resistito. Ha detto no. Ha denunciato. E si è ripresa la sua vita.

lunedì 29 luglio 2013

LA SESIUS TAX. - Eugenio Benetazzo










Tutto ebbe inizio nel 1958 quando Angelina Merlin, ostile maestra padovana e senatrice socialista intollerante dell'ipocrisia cristiana che consentiva ai maschi dell'epoca la frequentazione delle case chiuse, forte della sua idilliaca vocazione nel difendere i soggetti più deboli (leggasi allora le donne), si fece portavoce ed autrice della infelice Legge Merlin per l'abolizione della prostituzione. 
Sono passati più di cinquant'anni e sono nel frattempo cambiati anche molti costumi e punti di riferimento per il nostro tessuto sociale, a distanza di così tanto tempo una riflessione è pertanto dovuta. Se l'obiettivo della legge e della senatrice era quello di scoraggiare il meretricio e i suoi potenziali clienti, allora possiamo dire che il fallimento legislativo è plateale. Sino a prima dell'arrivo della Merlin, in Italia, intesa come denominazione geografica, la prostituzione è sempre stata regolamentata e consentita, andando dall'Antica Roma sino al Regno delle Due Sicilie, quest'ultimo che con grande lungimiranza aveva addirittura previsto il rilascio di una patente o concessione reale per l'esercizio della professione, se così possiamo chiamarla.

Il fenomeno della prostituzione in Italia è ormai privo di qualsiasi controllo grazie ad una legge tanto obsoleta quanto ridicola per l'epoca in cui stiamo vivendo. 
Tanto per dare alcuni numeri in Italia si stimano essere operative oltre 70 mila prostitute, la maggior parte delle quali esercita in strada o in luoghi pubblici (65%). Circa 20 mila sono straniere, soprattutto di etnia africana e slava. Il parco clienti è stimato in nove milioni di maschi, il che significa che ai fini statistici quasi un maschio su due è un potenziale cliente, considerando una popolazione maschile tra i 15 ed i 65 anni di quasi 20 milioni. Il dato che pochi invece soppesano adeguatamente è la percentuale di donne vittima del racket della prostituzione, vale a dire il 10%, questo significa che la quasi totalità (il restante 90%) sceglie liberamente di prostituirsi per i più vari motivi. Uno di questi probabilmente è rappresentato dalle aspettative di reddito, che può andare dai 3.000 agli oltre 10.000 euro mensili. Tax free naturalmente.  In Italia, infatti, non è considerato reato la vendita del proprio corpo, mentre lo è lo sfruttamento del corpo altrui anche se in ambiente organizzato. Questa assurdo quadro legislativo ha permesso proprio la mercificazione corporale nelle strade oltre che nelle case, tuttavia in piena clandestinità.

Eppure la prostituzIone non è illegale in gran parte dell'Europa,  ogni singolo stato cerca invece di punire le varie forme di sfruttamento, favoreggiamento ed induzione, nella speranza che questo renda più difficile il prostituirsi. L'era dei social network con tutte le loro potenzialità, unita alle risorse tecnologiche degli smart phone, ha letteralmente creato un effetto over boost all'intero settore del sesso a pagamento. Oggi infatti non vengono considerati e nemmeno normati severamente fenomeni di nuova generazione come il sexting (l'invio di immagini sessuali esplicite, principalmente tramite dispositivi di telefonia mobile, ma anche tramite altri mezzi informatici) che rappresentano nuove forme di microprostituzione. Le foto ed i video servono per pure finalità di marketing nell'intento di adescare nuovi potenziali clienti a cui erogare successivamente prestazioni sessuali complete. Deve fare rabbrividire per chi è un giovane padre sapere che l'ambiente in cui si svolgono tali incontri è nella stragrande maggioranza dei casi la scuola pubblica. Personalmente ho in più occasioni esplicitato la necessità di istituzionalizzare e tassare la prostituzione, stimando ungettito fiscale compreso tra i 10 e i 15 miliardi annui.

La mia personale proposta è la S.E.S.I.U.S. Tax intesa come acronomo di Soggetti Erogatori di Servizi di Intrattenimento e di Utilità Sociale, riferendosi tanto a chi si prostituisce (maschi e femmine) in modalità convenzionale quanto a chi si rivolge a un pubblico dedicato o di nicchia pensiamo ad esempio alle escort di lusso. La Sesius Tax è concepita come una licenza amministrativa che prevede, a pagamento, un rinnovo annuo in base alla tipologia di attività di intrattenimento sessuale che si desidera esercitare: in questo modo eventuali fenomeni di repressione o l'attività sanzionatoria diventano di  facile ed intuibile implementazione. I vantaggi e benefici per la collettività si possono identificare su tre diversi steps: monitoraggio sanitario (ogni intestatario di licenza deve effettuare periodicamente accurati controlli medici),sicurezza pubblica (chi decide di esercitare sulla strada può stazionare solo in prossimità di un parchimetro come è già stato introdotto ad esempio nella città di Bonn) ed infine un aumento del gettito fiscale grazie agli introiti provenienti dai rinnovi annui. Il vantaggio della licenza al posto dell'obbligo di rilascio di una ricevuta fiscale per ogni prestazione ha lo scopo di evitare fenomeni di evasione fiscale più che altro dovuti a motivazioni di privacy della clientela.

http://www.eugeniobenetazzo.com/licenza-di-prostituirsi.htm






lunedì 10 dicembre 2012

Processo Ruby, Boccassini: “B. vuole dilatare i tempi per arrivare a elezioni”.


Ilda Boccassini, il capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano


E' il commento in aula del procuratore aggiunto di Milano all'assenza ingiustificata della ragazza marocchina che avrebbe dovuto testimoniare oggi. L'avvocato di Karima ha spiegato di aver ricevuto un sms in cui Karima dice di essere all'estero. Scontro difesa e accusa, l'avvocato Ghedini: "Intollerabile, questa è una aggressione".

Il ritorno in campo di Silvio Berlusconi si riverbera immediatamente sui i suoi processi. E così oggi Ruby, la marocchina ospite delle serate ad alto tasso erotico di Arcore quando era ancora minorenne e invano spacciata per la nipote dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, non si è presentata in aula per testimoniare. “Questa è una strategia per dilatare i tempi, del processo per arrivare alla campagna elettorale” ha affermato il procuratore aggiunto di MIlano Ilda Boccassini nel corso dell’udienza del processo Ruby che vede il leader del Pdl imputato per concussione e prostituzione minorile. La ragazza oggi non si è presentata a testimoniare senza documentare il motivo dell’assenza. E in aula è stato scontro tra accusa e difesa
”Ho cercato di mettermi in contatto con la ragazza, ma il suo cellulare è staccato e anche quello del suo ragazzo, lei mi ha mandato un sms per dire che è all’estero ma non ho la documentazione di questo viaggio e non so quando tornerà ”ha dichiarato Paola Boccardi, legale di Ruby. L’avvocato ha spiegato così l’assenza ingiustificata della giovane che deve testimoniare nel processo a Silvio Berlusconi, citata dalla difesa dell’ex premier. Il legale ha chiarito che non può dire se la ragazza riuscirà ad essere in aula il 17 dicembreNon è la prima che i testi e la stessa Ruby non si presenta in aula: A causa di concomitanti impegni parlamentari non avevano potuto esser presenti in aula i due ex ministri Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna il 31 ottobre scorso.  
La difesa dell’ex premier ha chiesto di citare nuovamente Ruby come teste per il 17 dicembre, ma Boccassini ha chiesto la ‘decadenza’ del teste perché non crede ai motivi dell’assenza: che non è “documentata. Io non credo a quello che ci viene prospettato in udienza, questa è una strategia per dilatare i tempi del processo e arrivare in campagna elettorale”. Ghedini ha ribattuto: “Questo è intollerabile, questa è una aggressione alla difesa”. Boccassini ha aggiunto: “Conosco le strategie della difesa dell’imputato Berlusconi da tempo”. I giudici, dopo essersi ritirati in camera di consiglio per valutare tempi e modi dell’eventuale testimonianza di Ruby, hanno citato nuovamente la teste per l’udienza del 17 e hanno dato disposizioni alla Polizia giudiziaria di cercarla “in tutto il territorio nazionale”. I magistrati hanno quindi respinto la richiesta del Pm di considerare ‘decaduta’ la testimone. Se alla prossima udienza non si presenterà i giudice potranno decidere la misura dell’accompagnamento coatto. L’esame della teste “non è superfluo né irrilevante” affermano i giudici che chiedono alle forze dell’ordine rintracciarla “anche acquisendo notizie dalla famiglia d’origine e dal suo compagno”. L’aggiunto Boccassini ha suggerito di fare accertamenti presso gli uffici di immigrazione di diverse questure italiane: “Se è andata all’estero – è il ragionamento del magistrato – dovrebbe risultare”. La presidente del collegio, Giulia Turri, ha assicurato che il tribunale “non lascerà nulla di intentato” per verificare dove si trova Ruby
“Mi sembra di capire che ci fosse fretta da parte della procura di arrivare alla sentenza prima delle elezioni” ha poi affermato fuori dall’aula Ghedini. In aula Boccassini aveva ipotizzato anche la fissazione di un’udienza prima delle festività natalizie per recuperare quella “persa” oggi, a causa dell’assenza di Ruby. ”E’ la Procura di Milano che ha aperto la campagna elettorale”. A un cronista che gli faceva notare come la campagna elettorale sia sbarcata oggi nel processo sul caso Ruby, Ghedini ha risposto: “La campagna elettorale l’ha aperta la procura, che ha chiesto di fare udienza anche a Natale per arrivare a una sentenza che i pm ritengono possa essere di condanna prima delle elezioni”. Secondo Ghedini dunque, i pm milanesi vogliono “un risultato pre-elettorale”.  A chi gli chiedeva invece se la difesa avanzerà legittimi impedimenti per Berlusconi nel corso della campagna elettorale, Ghedini ha risposto: “Lo valuteremo di volta in volta, comunque noi non abbiamo mai opposto legittimi impedimenti”. Ciò che è grave, secondo Ghedini, “è l’accelerazione prima di una campagna elettorale di un processo che si prescriverà nel 2025, un processo che è andato molto più rapidamente di quelli per gli imputati detenuti”. Secondo lo storico legale dell’ex premier, le frasi pronunciate stamani dal pm Ilda Boccassini riguardo alla presunta strategia dilatoria della difesa per arrivare alle elezioni sono “teorie diffamatorie”.
Già in passato la Procura di Milano aveva lamentato le improvvise e a volte ingiustificate assenze dei testi citati chiedendo quindi che per le udienze fossero chiamati in Tribunale a Milano più testimoni. Eppure poco meno di due mesi fa la ragazza, invano spacciata per la nipotina di Mubarak e oggi madre di una bambina, aveva dichiarato che non vedeva l'ora di dire la verità in aula e cioè che alle feste era la meno disinvolta e che non ha mai avuto rapporti sessuali con l’ex premier. Lo stesso Berlusconi ha sempre negato qualsiasi intimità con la ragazza, anche se diverse testi hanno confermato che le serate ad Arcore era un vero e proprio “puttanaio”