Visualizzazione post con etichetta Caso Ruby. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Caso Ruby. Mostra tutti i post

sabato 16 marzo 2019

Caso Ruby, morta la teste Imane Fadil per “mix di sostanze radioattive”. La procura di Milano indaga per omicidio.


Risultati immagini per Imane Fadil

La modella marocchina aveva 34 anni: il decesso all'Humanitas di Rozzano, Milano, dopo trenta giorni di ricovero. "Un mese di agonia", lo hanno definito gli investigatori. Il pm Greco: "Nella cartella clinica ci sono anomalie. Abbiamo disposto l'autopsia". Gli esiti degli esami tossicologici sono arrivati il 6 marzo, cinque giorni dopo la morte, e sono stati trasmessi alla Procura di Milano. Sequestrate le bozze del libro che la donna stava scrivendo. Poche settimane fa aveva chiesto di costituirsi parte civile al Ruby ter, dove Berlusconi è accusato di corruzione in atti giudiziari.

È morta dopo un lungo ricovero in ospedale per un “mix di sostanze radioattive”. Sostanze, però, diverse dal polonio. E prima di morire ha telefonato al fratello e all’avvocato, per dire la stessa identica frase: “Mi hanno avvelenato“. È un vero e proprio mistero quello legato alla morte di Imane Fadil, modella marocchina di 34 anni, testimone del processo Ruby ter, che vede tra gli imputati l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Due mesi fa aveva chiesto di costituirsi parte civile: richiesta rigettata dai giudici. La procura di Milano ha aperto un’indagine per omicidio volontario e sono stati gli esiti degli esami tossicologici disposti lo scorso 26 febbraio dai medici dell’Humanitas di Rozzano, dove era ricoverata, ed effettuati in un centro specializzato di Pavia a evidenziare che la donna è deceduta a causa di un “mix di sostanze radioattive”. Gli esiti, scrive l’Ansa, sono arrivati il 6 marzo e trasmessi immediatamente dallo stesso ospedale alla Procura di Milano.
Disposta autopsia: “Sintomatologia da avvelenamento” - In ospedale era arrivata il 29 gennaio. Per trenta giorni esatti è rimasta ricoverata. “Un mese d’agonia“, lo hanno definito gli investigatori. Poi l’uno marzo la morte, per cause ancora tutte da accertare. La notizia, infatti, è stata diffusa soltanto oggi, direttamente dal procuratore capo di Milano, Francesco Greco. È lo stesso capo dell’ufficio inquirente lombardo a spiegare che la giovane aveva detto ai suoi familiari e avvocati che temeva di essere stata avvelenata. Nella cartella clinica di Fadil, spiega Greco, ci sono “più anomalie” e per capire la causa esatta della morte “è stata disposta l’autopsia, che dovrebbe essere seguita a breve”. Ma visto il risultato degli esami tossicologici, i tempi per effettuarla sono tutti da verificare, visto che le sostanze rilevate potrebbero mettere in pericolo i medici stessi.
La procura ha riferito di essere stata informata del decesso solo la settimana scorsa, quando l’avvocato di Fadil si è rivolto alla magistratura. “I medici della clinica non hanno avvisato la procura del decesso”, ha detto il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, titolare dell’inchiesta. Ma in serata in una nota l’Humanitas ha spiegato: “Al decesso della paziente, il 1 marzo scorso, l’Autorità Giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, Humanitas ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, lo ha prontamente comunicato agli inquirenti”. L’ospedale ha poi precisato di avere messo “in campo ogni intervento clinico possibile per la cura e l’assistenza” della giovane. Stando a quanto ricostruito, i medici dell’Humanitas dopo aver effettuato sulla giovane tutti gli esami generali possibilipoiché continuava lo stato di sofferenza e di agonia, il 26 febbraio scorso hanno deciso di disporre accertamenti tossicologici ad ampio spettro, che sono stati effettuati in un centro tossicologico specializzato di Pavia. Il primo marzo la giovane è morta e, da quanto si è saputo, quello stesso giorno sono state sequestrate le cartelle cliniche. Il 6 marzo è arrivato il referto tossicologico che parlava di sostanze radioattive, immediatamente trasmesso dall’ospedale all’autorità giudiziaria. La ragazza era risultata anche  negativa agli esami che le erano stati effettuati per capire se facesse uso di sostanze stupefacenti.
Secondo le indagini, la modella era stata ricoverata prima in terapia intensiva e poi rianimazione: è stata vigile fino all’ultimo, nonostante i forti dolori e il “cedimento progressivo degli organi”. “Non c’è una diagnosi precisa sulla morte – ha detto l’aggiunto Siciliano –  ma dalle analisi emerge una sintomatologia da avvelenamento“. A quanto si apprende da fonti vicine alla struttura ospedaliera, inoltre, la ragazza non si è mai ripresa durante tutta la degenza: le cure non hanno avuto l’esito sperato. Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio, titolari dell’indagine, hanno sentito testimoni fino a tarda sera, incluso i medici curanti della giovane.
“Ha detto di essere stata avvelenata” – “Sono in corso gli accertamenti sui campioni di sangue prelevati durante il ricovero – spiega Greco – non si può escludere nessuna pista visto che dalla cartella clinica non emerge nessuna malattia specifica“. La giovane riferiva di gonfiori e dolori al ventre. “Fadil – ha detto il procuratore di Milano – durante il ricovero ha telefonato ad alcune persone, il fratello e l’avvocato, sostenendo di essere stata avvelenata. Stiamo sentendo i testimoni, verranno sentiti anche i medici dell’Humanitas, e abbiamo disposto l’acquisizione dei suoi oggetti personali”. Come per esempio il libro che la modella stava scrivendo: la procura ha sequestrato le bozze di quel manoscritto. Quel libro, però, non sembra contenere elementi interessanti a spiegare il decesso della giovane.
L’ospedale: “Abbiamo riferito agli inquirenti” – Greco ha spiegato che mai nelle settimane in cui la ragazza era ricoverata e nemmeno il giorno della morte, l’ospedale aveva comunicato alcunché alla magistratura, sebbene non fossero state individuate le cause della morte e non ci fosse una diagnosi certa sul decesso. Con una nota l’ospedale Humanitas ha voluto precisare che “la paziente è stata ricoverata lo scorso 29 gennaio in condizioni cliniche molto gravi. È stata presa in carico da una équipe multidisciplinare che ha messo in campo ogni intervento clinico possibile per la cura e l’assistenza della paziente, compresi tutti gli approfondimenti diagnostici richiesti dai curanti”. Al decesso della paziente, si legge ancora nel comunicato, “il 1 marzo scorso, l’Autorità Giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, Humanitas ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, lo ha prontamente comunicato agli inquirenti”. Per rispetto della privacy e dell’indagine in corso, “Humanitas non rilascerà ulteriori commenti su nessun aspetto di questa vicenda”.
L’avvocato: “Era sofferente ma lucida” – “Imane durante il mese di ricovero alla clinica Humanitas era sofferente ma mentalmente era lucida ed è rimasta lucida fino alla fine”, ha raccontato l’avvocato Paolo Sevesi, legale della modella. È Sevesi che ha accompagnato il fratello di Imane in procura dopo la morte della ragazza. “Che sostanza poteva essere ad averla avvelenata? Ci sono diverse ipotesi che sono al vaglio della Procura”, ha spiegato il legale. Che poi ha aggiunto: “Ho letto il libro che aveva scritto Imane sul caso Ruby ma non so se avesse trovato un editore. Di sicuro l’aveva terminato diversi mesi fa. Conoscendo la situazione e conoscendo bene Imane, io una mia idea me la sono fatta, ma ci sono delle indagini in corso e di più non posso dire”.
La testimonianza al processo – La giovane, insieme ad Ambra Battilana e Chiara Danese, aveva raccontato agli inquirenti delle cosiddette “cene eleganti” di Arcore, cioè le serate hot passate alla storia come il bunga bunga. Fadil aveva partecipato a otto di quelle cene. Qualche tempo dopo si era presentata in procura, diventando testimone del caso Ruby. Le tre ragazze, che avevano chiesto di costituirsi come parte civile, erano però state escluse dal filone principale del processo Ruby ter perchè i giudici della settima sezione penale, davanti ai quali si celebra la tranche principale del processo che vede imputati Berlusconi e altre 27 persone per corruzione in atti giudiziari, (compresa Karima El Mahroug e molte altre olgettine che avrebbero testimoniato il falso), avevano ritenuto che i reati contestati non ledessero direttamente le tre ragazze, ma ‘offendessero’ lo Stato. Imane, Ambra e Chiara avevano anche intavolato una trattativa con la senatrice di Forza Italia, Maria Rosaria Rossi, fedelissima di  Berlusconi, per un risarcimento in sede stragiudiziale. Da indiscrezioni era trapelato che avessero chiesto danni per 2 milioni di euro. L’accordo, però, non era stato raggiunto e le trattative erano saltate. Le tre ragazze, a quel punto, avevano chiesto di costituirsi parte civile anche in una altro filone del processo, che vede imputati Berlusconi e la showgirl Roberta Bonasia, pendente davanti ai giudici della quarta sezione penale e che presto verrà riunito con quello principale. A margine di una delle udienze, a cui non mancava mai, la modella 34enne aveva raccontato che stava scrivendo un libro sulle “cene eleganti“.
L’intervista al Fatto: “Ad Arcore setta che adora il demonio” – Di quel libro aveva parlato anche in un’intervista al Fatto Quotidiano dell’aprile scorso. “Voglio raccontare tutto. La cosa non si limita a un uomo potente che aveva delle ragazze. C’è molto di più in questa storia, cose molto più gravi”. La modella sosteneva di avere lasciato Arcore dopo aver ricevuto una proposta indecente. Dopo poco tempo era diventata una testimne dell’accusa. Al Fatto, però, Fadil aveva raccontato anche dettagli mai resi in tribunale. “Questo signore fa parte di una setta che invoca il demonio. Sì lo so che sto dicendo una cosa forte, ma è così. E non lo so solo io, lo sanno tanti altri, che in quella casa accadevano oscenità continue. Una sorta di setta, fatta di sole donne, decine e decine di femmine complici”, era un altro passaggio del suo racconto. In cui diceva di aver “visto presenze strane, sinistre. Io sono sensitiva fin da bambina: da parte di mio padre discendo da una persona che è stata santificata e le dico che in quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c’ è il Male, io l’ho visto, c’è Lucifero“. Accuse gravi, sulle quali sosteneva di avere le prove. Che sarebbero state esibite, a suo dire, presto. “Non manca molto, devo solo finire questo libro. E poi il mondo saprà”.
Il caso dell’ex avvocato di Ruby – Recentemente, tra l’altro, il caso Ruby era tornato al centro della cronaca quando il procuratore aggiunto Siciliano e il sostituto Luca Gaglio avevano ascoltato come persona informata sui fatti la socia di studio dell’avvocato Egidio Verzini, morto col suicidio assistito in Svizzera il 5 dicembre, dopo che il giorno precedente aveva raccontato, in un comunicato affidato all’Ansache Berlusconi avrebbe versato 5 milioni di euro a Karima El Mahroug, con i soldi transitati da Antigua in Messico. Verzini fu legale di Ruby nel 2011. La sua socia di studio ha confermato che il legale decise di fare quelle rivelazioni per una “esigenza di giustizia” e per un “dovere etico“, come da lui stesso scritto nel comunicato, ma che lei non sapeva altro su questa sua scelta. Verzini era già stato sentito quattro volte nel corso delle indagini, avvalendosi più volte del segreto professionale: era anche un teste dell’accusa nel processo in corso. Nel comunicato diffuso un giorno prima di morire parlò di “un pagamento di 5 milioni di euro eseguito tramite la banca Antigua Commercial Bank su un conto presso una banca in Messico”, sostenendo che la “operazione Ruby” sarebbe stata “interamente diretta dall’avvocato Ghedini con la collaborazione di Luca Risso”, ex compagno di Karima. Lo storico legale di Berlusconi aveva annunciato querela. Nell’ultima riga del comunicato Verzini aveva scritto di essere “in possesso di ulteriori elementi ed informazioni documentate“. Ed è proprio su questo aspetto, ossia sulla ricerca di carte e documenti per trovare riscontri alle sue dichiarazioni, che si stanno concentrando le indagini in corso dei pm, i quali poi depositeranno gli atti dei nuovi accertamenti nel dibattimento in corso. Il processo ha al centro i milioni di euro che l’ex premier avrebbe versato a Ruby e alle ‘Olgettine’ per ottenere il silenzio o la reticenza sulle serate ad Arcore. A quel processo Imane Fadil voleva costituirsi parte civile. Poi il 29 gennaio è finita in ospedale: stava male, sosteneva di essere stata avvelenta. È morta dopo un mese di agonia.

martedì 13 maggio 2014

Expo, procuratore Milano Bruti contro Robledo: “A rischio segreto indagini” - Giovanna Trinchella

Expo, procuratore Milano Bruti contro Robledo: “A rischio segreto indagini”


Il capo della Procura di Milano in una nota al Csm (che sta continuando con le audizioni dei magistrati chiamati in causa) osserva che l’invio dell'aggiunto anticorruzione al Csm di copie di atti del procedimento ha rischiato di compromettere l'inchiesta. Tra gli episodi che vengono citati c'è anche quello di un doppio pedinamento: "Solo la reciproca conoscenza del personale Gdf che si è incontrato sul terreno ha consentito di evitare gravi danni alle indagini".

Lo scontro si sta trasformando in una vera e propria guerra in Procura a Milano. Da una parte c’è il procuratore aggiunto anticorruzione, Alfredo Robledo, dall’altra il procuratore capo di quella cittadella giudiziaria che negli anni ha visto sviluppare inchieste che sono entrata nella storia d’Italia, Edmondo Bruti Liberati. Che oggi accusa il suo aggiunto di aver messo a rischio le indagini su Expo. 
L’esposto al Csm con la segnalazione di anomalie nelle assegnazioni. È un esposto al Csm di Robledo per segnalare anomalie nell’assegnazione dei fascicoli e ritardi di iscrizioni nel registro degli indagati a rendere pubbliche tensioni che covavano da tre anni. Sì perché a Bruti viene contestata una gestione che ha permesso, secondo l’aggiunto, l’iscrizione ritardata nel registro degli indagati di politici Roberto Formigoni e Guido Podestàritardi nell’esercizio dell’azione penale come il caso Sea-Gamberale perché il fascicolo era stato dimenticato in cassaforte, l’assegnazione del caso Ruby alla Dda, il dipartimento guidato da Ilda Boccassini dedicato alle indagini antimafia.
Bruti: “Ha posto a grave rischio il segreto delle indagini”. L’offensiva – dopo molte audizioni davanti al Consiglio superiore della magistratura – viene rilanciata oggi da Bruti Liberati per cui le iniziative di Robledo (ovvero l’invio di al Csm l’esposto per denunciare anomalie nell’assegnazione dei fascicoli) “hanno determinato un reiterato intralcio alle indagini” sull’Expo. Proprio ques’ultima inchiesta - con i relativi arresti dell’8 maggio – ha riacceso le tensioni. In una nota al Csm, osserva che l’invio da parte di Robledo al Csm di copie di atti del procedimento Expo, anche questo conteso tra la Dda e il Dipartimento anticorruzione, ha anche “posto a grave rischio il segreto delle indagini”.
Il caso del doppio pedinamento. Tra gli episodi che Bruti cita c’è anche quello di un doppio pedinamento: ”Robledo pur essendo costantemente informato del fatto che era in corso un’attività di pedinamento e controllo su uno degli indagati svolta da personale della polizia giudiziaria, ha disposto, analogo servizio delegando ad altra struttura della stessa Guardia di Finanza” sostiene il procuratore, spiegando che “solo la reciproca conoscenza del personale Gdf che si è incontrato sul terreno ha consentito di evitare gravi danni alle indagini”. Il fascicolo, allo stato, è seguito da due pubblici ministeri,Claudio Gittardi (Dda) e Antonio D’Alessio (Anticorruzione). I reati contestati agli arrestati (dal compagno G. in giù) sono quelli perseguiti solitamente dai Dipartimento per i reati contro la Pubblica amministrazione: la turbativa d’asta, la corruzione et cetera. L’ultimo capitolo dello scontro arriva a ruota delle dichiarazioni di altre toghe convocate dal Consiglio superiore della magistratura proprio per capire eventualmente qualiprovvedimenti prendere e come dirimere un conflitto che giorno è diventato più pesante. Tanto da far dire a Bruti, durante la conferenza stampa sugli arresti per Expo, che l’aggiunto non aveva condiviso le conclusioni.
Pomarici: “Assegnazione caso Ruby a Dda fu anomala”. Dopo le dichiarazioni di Ilda Boccassini(“Nessuna violazione nell’assegnazione del caso Ruby”) arriva, davanti all’organo di autogoverno dei magistrati, la versione di Ferdinando Pomarici, ex responsabile proprio della Dda di Milano. Per il pm quell’assegnazione di un fascicolo in cui si contestava la concussione all’Antimafia è stata ”anomala”. Il magistrato ha spiegato di aver messo nero su bianco le sue critiche in una lettera al procuratore Bruti Liberati. A Bruti Pomarici ha raccontato di aver scritto che l’indagine Ruby era “palesemente estranea”alle competenze della Dda. E ha riferito che in una successiva riunione alla Procura di Milano ribadì le sue perplessità sulla scelta del procuratore.  
“Anomalia anche nel caso Sallusti”. Pomarici ha segnalato un’altra anomalia. Quella riguardante il caso del direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, che era stato condannato alla reclusione per diffamazione,e che aveva scatenato una vera e propria rivolta tra le toghe. Secondo Pomarici il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati voleva che si facesse “un unicum”, cioè una deroga che valesse solo per lui. Pomarici ha confermato la versione data ieri, sempre al Csm, dal procuratore aggiunto Nunzia Gatto, responsabile dell’Ufficio esecuzione della Procura di Milano: di fronte alla richiesta di Bruti di compiere solo per Sallusti una sorta di “operazione chirurgica“e per cui i pm di quel pool si ribellarono. Qualche giorno dopo il procuratore emanò una direttiva con la quale stabilì che da quel momento in poi tutti i casi simili sarebbero stati trattati come quello di Sallusti.
L’iscrizione di Formigoni, per Greco “nessun ritardo”. Altro fascicolo segnalato dall’aggiunto Robledo nella lista delle assegnazioni anomale è quello riguardante l’iscrizione con un anno di ritardo di Roberto Formigoni. Secondo Francesco Greco, responsabile del pool sui reati finanziari, non ci fu nessun ritardo. 
“Formigoni è stato iscritto nell’apposito registro, quando doveva esserlo” ha sostenuto Greco, facendo peraltro notare al Csm che si tratta di una materia che va al di fuori delle competenze di Palazzo dei Marescialli. Greco ha anche confermato la tesi del procuratore Edmondo Bruti Liberati, secondo cui Robledo non era interessato ad una coassegnazione dell’inchiesta sul San Raffaele, ma in realtà avrebbe voluto lo spezzettamento delle indagini. E ha poi fatto notare che comunque il fascicolo era seguito in prima battuta dal pm Orsi, che proprio in quel periodo era transitato dal pool di Greco a quello di Robledo. Sulla vicenda invece del fascicolo Sea-Gamberale dimenticato dal procuratore in cassaforte, come lui stesso ha ammesso, Greco ha parlato di un atto “incolpevole”. E ha spiegato di aver assegnato subito il fascicolo sull’indagine al pm Eugenio Fusco, uno dei magistrati più esperti della Procura. Il fascicolo, a modello 45, senza reato e senza indagati, rimase dormiente fino a quando un’inchiesta giornalistica non fece esplodere il caso

martedì 25 marzo 2014

Caso Ruby, Cassazione assolve il pm Fiorillo e condanna il Csm.

Annamaria Fiorillo


La Suprema corte ha annullato con rinvio la sanzione inflitta dal Consiglio superiore della magistratura al pm del Tribunale per i minorenni che decise che la marocchina doveva andare in comunità. Secondo gli ermellini aveva il diritto dovere di difendersi dalle "denigrazioni diffamatorie" dell'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni La toga aveva smentito, con interviste, la ricostruzione sull'affidamento della giovane marocchina a Nicole Minetti.

La Cassazione “assolve” un magistrato e punta il dito contro il Csm che l’aveva punito. Uno scontro tra palazzi che avviene su uno dei casi più bollenti degli ultimi anni: ovvero l’affaire Ruby. Protagonisti di un verdetto a sezione Unite il pm per i minori Annamaria Fiorillo, l’allora ministro Roberto Maroni, e il Consiglio superiore della magistratura che alla toga ribelle, che rilasciò interviste per difendersi dalle dichiarazioni del responsabile del Viminale, considerate diffamatorie, aveva inflitto una sanzione. Il magistrato ordinò che la giovane marocchina, all’epoca 17enne, venisse accompagnata in comunità. Invece fu affidata all’allora consigliera regionale del Pdl Nicole Minetti. Quando il ministro disse che la procedura era stata regolare Fiorillo rilasciò alcune interviste sostenendo che Maroni aveva mentito.
La Fiorillo fu quindi condannata per violazione del riserbo dal Consiglio superiore della magistratura, ma oggi la Cassazione dice che aveva diritto di difendersi da una diffamazione. Che riguardava lei come magistrato, ma anche la stesso organo: “La tutela dei magistrati contro denigrazioni diffamatorie è, oltre che compito del Consiglio Superiore, un diritto per ciascun magistrato ed un dovere istituzionale – osservano i magistrati – al quale non si può abdicare, poiché la credibilità dell’istituzione giudiziaria e la fiducia dei cittadini nella sua imparzialità sono una garanzia assoluta della vita democratica”. Insomma la Fiorillo con le sue dichiarazioni aveva difeso la sua toga e quella di tutti i suoi colleghi. Con la sua punizione in qualche modo si è mutilata quella difesa. 
Annullata la sanzione del Csm inflitta al pm minorile. La Cassazione ha quindi annullato con rinvio quella decisione affinché il Csm quindi riesamini la vicenda. Il magistrato aveva smentito, con interviste, la ricostruzione sull’affidamento di Ruby a Nicole Minetti che, il 9 novembre 2010, l’allora ministro dell’Interno disse che avvenne su indicazioni della stessa Fiorillo. La toga, sentita come teste nel processo Rubyaveva ribadito che l’allora responsabile del Viminale non disse il vero perché lei non aveva mai autorizzato quell’affidamento anomalo di una minorenne, denunciata per furto e sospettata di essere unaprostituta
“Aveva il diritto dovere di difendersi da denigrazioni diffamatorie”. Per la Cassazione, i magistrati hanno il diritto e il dovere di difendersi dalle “denigrazioni diffamatorie“. Scrivono gli ‘ermellini’ – nella sentenza 6827 delle Sezioni Unite, pubblicata oggi e relativa all’udienza dello scorso 28 gennaio – che “la pubblica notizia dell’affidamento di una minore ad una persona estranea alla famiglia, in una vicenda contraddistinta dall’intervento del Presidente del Consiglio dell’epoca (Silvio Berlusconi condannato per concussione e prostituzione minorile in primo grado), era idonea a compromettere presso l’opinione pubblica non solo l’onore e la professionalità” della pm Fiorillo, “ma anche i valori dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”.
“Compito di tutelare i magistrati è del Csm “.  Sottolinea la Cassazione che in questo procedimento disciplinare, non si discute della reazione del pm a una critica, ma della sua reazione “all’attribuzione di un provvedimento non solo di contenuto diverso da quello effettivamente adottato, ma anche inconciliabile con i doveri del magistrato e con l’immagine che il magistrato deve dare di sé per la credibilità propria e della magistratura”. In proposito, accogliendo il ricorso del pm Fiorillo contro la sanzione inflittale daPalazzo dei Marescialli lo scorso giugno, la Cassazione staffilando i togati del Csm spiega che “la tutela dei magistrati contro denigrazioni diffamatorie è, oltre che compito del Consiglio Superiore, un diritto per ciascun magistrato ed un dovere istituzionale al quale non si può abdicare, poiché la credibilità dell’istituzione giudiziaria e la fiducia dei cittadini nella sua imparzialità sono una garanzia assoluta della vita democratica”. Il verdetto ricorda che Fiorillo ha difeso la sua “professionalità” e la sua “credibilità” di magistrato che sono un bene “coerente” con quello della imparzialità e indipendenza dei giudici.
La Cassazione: “La verità mediatica si fissa nella memoria collettiva.” Ora il Csm dovrà verificare se il pm anziché rilasciare interviste – a ‘In mezz’ora’ e a ‘Repubblica’ – avrebbe potuto difendersi con altri mezzi, senza violare il dovere del riserbo e la prerogativa del capo della Procura a parlare con i media. Ad esempio, come aveva sostenuto il Pg della Cassazione, chiedendo l’intervento a tutela del Csm, l’intervento a tutela del capo dell’ufficio, o presentando querele. Ma i supremi giudici, spezzando ancora una volta una lancia in favore di Fiorillo – e della scelta di esternare ai media la sua versione dei fatti, in assenza di immediati atti a tutela, pur da lei sollecitati – osservano che “non può tacersi che nell’attuale società mediatica l’opinione pubblica tende ad assumere come veri i fatti rappresentati dai media, se non immediatamente contestati: la verità mediatica, cioè quella raccontata dai media, si sovrappone, infatti, alla verità storica e si fissa nella memoria collettiva con un irrecuperabile danno all’onore”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/24/caso-ruby-cassazione-assolve-pm-fiorillo-fu-diffamata-da-maroni/924748/

lunedì 10 dicembre 2012

Processo Ruby, Boccassini: “B. vuole dilatare i tempi per arrivare a elezioni”.


Ilda Boccassini, il capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano


E' il commento in aula del procuratore aggiunto di Milano all'assenza ingiustificata della ragazza marocchina che avrebbe dovuto testimoniare oggi. L'avvocato di Karima ha spiegato di aver ricevuto un sms in cui Karima dice di essere all'estero. Scontro difesa e accusa, l'avvocato Ghedini: "Intollerabile, questa è una aggressione".

Il ritorno in campo di Silvio Berlusconi si riverbera immediatamente sui i suoi processi. E così oggi Ruby, la marocchina ospite delle serate ad alto tasso erotico di Arcore quando era ancora minorenne e invano spacciata per la nipote dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, non si è presentata in aula per testimoniare. “Questa è una strategia per dilatare i tempi, del processo per arrivare alla campagna elettorale” ha affermato il procuratore aggiunto di MIlano Ilda Boccassini nel corso dell’udienza del processo Ruby che vede il leader del Pdl imputato per concussione e prostituzione minorile. La ragazza oggi non si è presentata a testimoniare senza documentare il motivo dell’assenza. E in aula è stato scontro tra accusa e difesa
”Ho cercato di mettermi in contatto con la ragazza, ma il suo cellulare è staccato e anche quello del suo ragazzo, lei mi ha mandato un sms per dire che è all’estero ma non ho la documentazione di questo viaggio e non so quando tornerà ”ha dichiarato Paola Boccardi, legale di Ruby. L’avvocato ha spiegato così l’assenza ingiustificata della giovane che deve testimoniare nel processo a Silvio Berlusconi, citata dalla difesa dell’ex premier. Il legale ha chiarito che non può dire se la ragazza riuscirà ad essere in aula il 17 dicembreNon è la prima che i testi e la stessa Ruby non si presenta in aula: A causa di concomitanti impegni parlamentari non avevano potuto esser presenti in aula i due ex ministri Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna il 31 ottobre scorso.  
La difesa dell’ex premier ha chiesto di citare nuovamente Ruby come teste per il 17 dicembre, ma Boccassini ha chiesto la ‘decadenza’ del teste perché non crede ai motivi dell’assenza: che non è “documentata. Io non credo a quello che ci viene prospettato in udienza, questa è una strategia per dilatare i tempi del processo e arrivare in campagna elettorale”. Ghedini ha ribattuto: “Questo è intollerabile, questa è una aggressione alla difesa”. Boccassini ha aggiunto: “Conosco le strategie della difesa dell’imputato Berlusconi da tempo”. I giudici, dopo essersi ritirati in camera di consiglio per valutare tempi e modi dell’eventuale testimonianza di Ruby, hanno citato nuovamente la teste per l’udienza del 17 e hanno dato disposizioni alla Polizia giudiziaria di cercarla “in tutto il territorio nazionale”. I magistrati hanno quindi respinto la richiesta del Pm di considerare ‘decaduta’ la testimone. Se alla prossima udienza non si presenterà i giudice potranno decidere la misura dell’accompagnamento coatto. L’esame della teste “non è superfluo né irrilevante” affermano i giudici che chiedono alle forze dell’ordine rintracciarla “anche acquisendo notizie dalla famiglia d’origine e dal suo compagno”. L’aggiunto Boccassini ha suggerito di fare accertamenti presso gli uffici di immigrazione di diverse questure italiane: “Se è andata all’estero – è il ragionamento del magistrato – dovrebbe risultare”. La presidente del collegio, Giulia Turri, ha assicurato che il tribunale “non lascerà nulla di intentato” per verificare dove si trova Ruby
“Mi sembra di capire che ci fosse fretta da parte della procura di arrivare alla sentenza prima delle elezioni” ha poi affermato fuori dall’aula Ghedini. In aula Boccassini aveva ipotizzato anche la fissazione di un’udienza prima delle festività natalizie per recuperare quella “persa” oggi, a causa dell’assenza di Ruby. ”E’ la Procura di Milano che ha aperto la campagna elettorale”. A un cronista che gli faceva notare come la campagna elettorale sia sbarcata oggi nel processo sul caso Ruby, Ghedini ha risposto: “La campagna elettorale l’ha aperta la procura, che ha chiesto di fare udienza anche a Natale per arrivare a una sentenza che i pm ritengono possa essere di condanna prima delle elezioni”. Secondo Ghedini dunque, i pm milanesi vogliono “un risultato pre-elettorale”.  A chi gli chiedeva invece se la difesa avanzerà legittimi impedimenti per Berlusconi nel corso della campagna elettorale, Ghedini ha risposto: “Lo valuteremo di volta in volta, comunque noi non abbiamo mai opposto legittimi impedimenti”. Ciò che è grave, secondo Ghedini, “è l’accelerazione prima di una campagna elettorale di un processo che si prescriverà nel 2025, un processo che è andato molto più rapidamente di quelli per gli imputati detenuti”. Secondo lo storico legale dell’ex premier, le frasi pronunciate stamani dal pm Ilda Boccassini riguardo alla presunta strategia dilatoria della difesa per arrivare alle elezioni sono “teorie diffamatorie”.
Già in passato la Procura di Milano aveva lamentato le improvvise e a volte ingiustificate assenze dei testi citati chiedendo quindi che per le udienze fossero chiamati in Tribunale a Milano più testimoni. Eppure poco meno di due mesi fa la ragazza, invano spacciata per la nipotina di Mubarak e oggi madre di una bambina, aveva dichiarato che non vedeva l'ora di dire la verità in aula e cioè che alle feste era la meno disinvolta e che non ha mai avuto rapporti sessuali con l’ex premier. Lo stesso Berlusconi ha sempre negato qualsiasi intimità con la ragazza, anche se diverse testi hanno confermato che le serate ad Arcore era un vero e proprio “puttanaio”

venerdì 5 ottobre 2012

Processo Ruby, Valentini: “Mia l’iniziativa di chiamare la Questura”.


Processo Ruby, Valentini: “Mia l’iniziativa di chiamare la Questura”


E' ripartito così, dopo la pausa estiva, il processo a Berlusconi con una udienza dedicata a uno dei temi più delicati del processo; quello sui presunti rapporti di parentela tra la ragazza e il presidente egiziano, Hosni Mubarak. Il Cavaliere ha sempre dichiarato di essere stato convinto che fosse parente del defunto ex rais egiziano.

“Fu una mia iniziativa contattare la Questura di Milano per capire cosa stesse accadendo. Dissi al Presidente Berlusconi che se voleva potevamo intervenire. Lui mi disse: ‘Sì, digli che c’è una ragazza egiziana senza documenti, vedi se ti puoi informare’”. Lo ha raccontato in aula a Milano, al processo Ruby a carico dell’ex presidente del Consiglio, Valentino Valentini, già consigliere per le relazioni internazionali dell’ex premier e citato oggi dalla difesa come teste. Valentini ha ricordato come la notte tra il 27 e il 28 maggio di due anni fa, mentre l’ex capo del Governo accusato di concussione e prostituzione minorile si trovava a Parigi, fu informato del fermo della giovane. In realtà la marocchina e minorenne era stata denunciata dalla coinquilina per furto. Silvio Berlusconi chiamò gli uffici della polizia e sollecitò il rilascio. Sul posto poi arrivarono la Minetti e altre persone. 
Eravamo sull’aereo in attesa di decollare quando il capo scorta chiamò il capo di gabinetto della Questura di Milano, Pietro Ostuni, e gli spiegò la situazione; a quel punto il presidente Berlusconi fece segno di passargli il telefono. Il presidente disse a Ostuni: ‘Ci risulta che c’è una ragazza egiziana sprovvista di documenti e si offrì di mandare la consigliera regionale Minetti per aiutare la identificazione e alla fine disse: ‘Mi risulta che questa ragazza potrebbe essere nipote del presidente egiziano Mubarak”. Qualche giorno dopo, ha raccontato sempre Valentini, Berlusconi ritornò sulla vicenda e “fece un commento colorito: “Sai – disse – quella lì mi ha raccontato una marea di balle. Durante le udienze un agente ha poi confermato che la ragazza, che doveva essere destinata a una comunità come disposto dal pm dei Minorenni, fu mandata via per le pressioni esercitate da Palazzo Chigi. 
E’ ripartito così, dopo la pausa estiva, il processo a Berlusconi con una udienza dedicata a uno dei temi più delicati del processo; quello sui presunti rapporti di parentela tra Ruby e il presidente egiziano, Hosni Mubarak. Berlusconi ha sempre dichiarato di essere stato convinto che la ragazzina fosse parente del defunto ex rais egiziano e durante vertice bilaterale Italia-Egitto a cena chiese a Mubarak di questa parentela. Informazione risultata totalmente priva di fondamento tanto che il conflitto sollevato dalla Camera contro la Procura di Milano era stato bocciato dalla Consulta. Valentini ha parlato di conversazione“confusa” nata attorno al rapporto di parentela tra Ruby e Mubarak. L’ex consigliere ha ricordato in aula il famoso pranzo istituzionale offerto a Roma il 19 maggio 2010 dall’allora capo del Governo all’ex rais. “Durante il pranzo in una fase più rilassata nella quale Berlusconi disse a Mubarak di avere conosciuto una ragazza egiziana di una famiglia a lui vicina che si chiamava Ruby. Valentini, rispondendo alle domande dell’avvocato Niccolò Ghedini, legale di Berlusconi, ha spiegato che “nacque una conversazione piuttosto confusa, una discussione non ordinata” anche tra i rappresentanti della delegazione egiziana perché anche i membri dell’entourage dicevano la loro sul fatto se la giovane fosse o meno la famosa cantante egiziana. Si parlò di un grado di parentela?, ha chiesto Ghedini “No, ma di una familiarità”.
In aula è stata raccolta anche la testimonianza di Giancarlo Galan: “Ricordo che il nome Ruby a un certo punto venne fatto – dice l’ex presidente del Veneto all’epoca ministro dell’Agricoltura -. Il pranzo durò tre ore, io ero seduto due posti a sinistra rispetto a Berlusconi. Non si trattò di una colazione particolarmente entusiasmante, parlava sempre Berlusconi, l’interprete traduceva e Mubarak non era molto brillante. Ricordo che il nome Ruby a un certo punto venne fatto. Onestamente non prestai grande attenzione al dialogo, da quel che capii parlavano di una bella donna egiziana e l’idea che mi feci era che si trattasse di un’attrice o di una cantante”.  Il pm Ilda Boccassini gli contesta un “palese contrasto” con la deposizione resa agli investigatori il 28 gennaio 2011 quando affermò che Mubarak indicò  Ruby come appartenente alla cerchia familiare del presidente egiziano. “L’idea che mi feci era che potesse essere o una parente, o più probabilmente un’attrice o una cantante che frequentava quella cerchia – ribatte Galan -. Era Berlusconi che aveva introdotto quell’argomento e ho avuto l’impressione che Mubarak la conoscesse”. “Com’è che ricorda solo quello che disse Berlusconi e non la riposta di Mubarak?”, chiede Boccassini. “Ascoltavo con molta piu’ attenzione quello che diceva Berlusconi” la risposta.
Prima di Galan, ha testimoniato il diplomatico Bruno Archi, anch’egli presente al pranzo con Mubarak. Anche lui conferma che si parlo’ di Ruby. Gli chiede Ilda Boccassini: “Ci spiega meglio il contesto della frase di Berlusconi su Ruby, che non capiamo come possa avere suscitato l’interesse dei presenti?”. “Berlusconi aveva chiesto a Mubarak se la ragazza facesse parte della sua cerchia familiare, fu questo a suscitare l’interesse”. “Cosa rispose Mubarak?”. “Rimase incuriosito, ma non capì bene la domanda, c’era molta confusione, eravamo a fine pasto e ci furono anche problemi di interpretariato. Mubarak non rispose ma gli altri iniziarono a interloquire dicendo che conoscevano una famosa cantante di nome Ruby”.
Intanto si saprà entro lunedì prossimo se Berlusconi si farà interrogare. L’avvocato Piero Longo, uno dei legali dell’ex premier, su richiesta del presidente del collegio Giulia Turri, ha assicurato che entro l’8 ottobre scioglierà la riserva e comunicherà se l’ex capo del Governo renderà l’esame. Per le dichiarazioni spontanee invece “il campo è libero” ha detto Longo e si possono fare in qualsiasi momento.