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sabato 18 dicembre 2021

La sentenza e i tifosi. - Marco Travaglio



Accusati di essere troppo cattivi con Mimmo Lucano, dalle motivazioni della sua condanna a 13 anni e 2 mesi scopriamo di essere stati troppo buoni. Avevamo definito l’ex sindaco di Riace un gran pasticcione. Invece i giudici del Tribunale di Locri lo considerano un gran furbacchione, dotato di “furbizia travestita da falsa innocenza”. La sentenza ne ha per tutti: per chi, a destra, aveva scambiato la condanna di Lucano per quella del suo sistema di integrazione, che invece i giudici elogiano (“encomiabile progetto inclusivo dei migranti… invidiato e preso a esempio da tutto il mondo”); e per chi, a sinistra, non si limitava a criticare la pena eccessiva senza attenuanti, ma sproloquiava di complotti politici e persecuzioni giudiziarie senza aver letto una riga delle carte. Che invece ai giudici che le han lette e valutate fanno dire tutt’altro: il sindaco, “resosi conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti” per i progetti di accoglienza dei migranti, “piuttosto che restituire ciò che veniva versato” in sovrappiù, “aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti”. Sono, appunto, i reati per cui è stato processato e condannato in primo grado: peculato, truffa, falso, fatture fittizie, abuso e associazione a delinquere.

I fondi pubblici eccedenti (dello Stato e dell’Ue), dietro lo schermo di fatture fasulle e falsi giustificativi, venivano trasformati in “illeciti profitti” e investiti per finalità “private”: un viaggio in Argentina con la compagna e soprattutto “l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per turisti”. Con due obiettivi: “Strumentalizzare il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica” e del “sostegno elettorale” e assicurarsi “una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato… come dallo stesso rivelato nelle (intercettazioni) ambientali esaminate”. Segue la lista degli infiniti magheggi per camuffare le spese con fondi pubblici: un quadro desolante di mala amministrazione che nulla ha a che fare con l’accoglienza, anzi la sfrutta e la infanga. Ora le opposte tifoserie resteranno coi loro pregiudizi. Speriamo almeno di non sentir più ripetere che è tutto un complotto, che stata punita la solidarietà, che è giusto truccare appalti e agguantare milioni pubblici con false fatture “a fin di bene”. Altrimenti tagliamo la testa al toro e mandiamo B. al Quirinale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/18/la-sentenza-e-i-tifosi/6430368/

venerdì 1 ottobre 2021

Amaro Lucano. - Marco Travaglio

 

Se giudichiamo la sentenza Lucano col senso comune, magari paragonandola alle pene molto inferiori inflitte a grandi corrotti come Formigoni, frodatori come B., bancarottieri come Verdini, complici della mafia come Dell’Utri, per non parlare della Trattativa, possiamo tranquillamente dire che 13 anni e 2 mesi (sia pure in primo grado) sono un’enormità. Se però leggiamo il dispositivo della sentenza del Tribunale di Locri, comprendiamo che quei 13 anni e 2 mesi sono il cumulo delle pene per i singoli reati – quasi tutti molto gravi – per cui è stato condannato l’ex sindaco di Riace. Sgombriamo subito il campo dalle falsità.

1) Lucano non è stato condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: per la violazione della legge Turco-Napolitano è stato assolto, come per aver fatto carte false per far entrare illegalmente clandestini in Italia o munirli di documenti farlocchi. La sua battaglia contro le leggi sull’immigrazione – ammesso e non concesso che sia ammissibile da parte di un sindaco – non c’entra nulla. E nemmeno il “modello Riace”, cioè il meritorio ripopolamento di un comune depresso con l’integrazione dei migranti.

2) Difficile immaginare che i tre giudici del Tribunale nutrissero intenti persecutorii, come già si era detto dei pm (ora quasi rimpianti perché hanno chiesto la metà della pena poi inflitta dal Tribunale). Al netto di quelli contestati ai suoi 26 coimputati, Lucano rispondeva di 16 capi di imputazione. È stato assolto per 5, condannato per 10 (in parte alleggeriti di diversi fatti, per cui è stato pure assolto) e prescritto per uno.

3) La condanna riguarda non gli aiuti ai migranti, ma una serie impressionante di pasticci finanziari con denaro pubblico. Il primo è l’associazione a delinquere per commettere “un numero indeterminato di delitti contro la Pa, la fede pubblica e il patrimonio” e “soddisfare gli indebiti e illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative” create e controllate da Lucano e dai suoi amici come “enti gestori dei progetti Sprar, Cas e Msna” (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, Centri accoglienza straordinaria, Minori stranieri non accompagnati), con “indebite rendicontazioni delle presenze degli immigrati”, “derrate alimentari falsamente indicate come destinate agli immigrati ma sistematicamente utilizzate per fini privati”, “costi fittizi per spese carburante”, “numerose false fatturazioni”, nessun “controllo delle spese” né “documentazione dei costi sostenuti dalle associazioni”, “prelievi di denaro contante e assegni bancari dai conti correnti senza alcuna giustificazione”, “indebita destinazione di fondi ottenuti per fini diversi” dall’accoglienza.

L’altro – che forse spiega la discrepanza tra pena richiesta e pena inflitta – è la truffa aggravata allo Stato, cioè alla Prefettura e al Viminale (prima era “solo” abuso d’ufficio) per far versare 2,3 milioni indebiti o ingiustificati alle varie associazioni. Poi c’è un’altra truffa allo Stato da 281mila euro per una miriade di “costi fittizi o non giustificati”, “false fatture”, false annotazioni sui registri Inail di ore lavorate, “fittizi acquisti di bombole, materiale di cancelleria, mobili e schede carburante false”. Ne consegue l’accusa di falso ideologico in atto pubblico per ben 56 determine “propedeutiche al rimborso dei costi di gestione dei progetti Cas e Sprar” in cui Lucano “attestava falsamente di aver effettuato controlli sui rendiconti di spese” fantasiosi.

Un altro reato che porta alle stelle la pena è il peculato, per essersi “appropriato in modo sistematico” di “ingenti fondi ottenuti dallo Stato per l’accoglienza dei rifugiati”, “non meno di 2,4 milioni, distraendoli alle predette finalità” per l’“acquisto, arredo e ristrutturazione di tre case e un frantoio non rendicontati”, più “prelievi in contanti per 531.752 euro”, in parte usati “per il viaggio in Argentina di Lucano”, in parte per “i concerti estivi organizzati dal Comune di Riace”. Concerti che poi il sindaco “attestava falsamente” non essersi svolti “al fine di non pagare i diritti Siae”: altro falso.

L’ultimo reato grave è l’abuso per aver “affidato il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel comune di Riace alle cooperative sociali Ecoriace e l’Aquilone, prive dei necessari requisiti richiesti” dalla legge, “dell’iscrizione all’Albo regionale delle cooperative sociali” e “di autorizzazioni alla gestione ambientale”, senza l’ombra di una gara (la turbativa d’asta è prescritta). Infine Lucano rilasciò a Tesfahun Lemlem, sua compagna etiope, un certificato falso: “lo stato civile di nubile anziché di coniugata, a lui noto”.

Fin qui il giudizio penale di primo grado, che potrà essere rivisto in appello. Sul piano politico e morale, a parte qualche spesa privata con soldi pubblici, non si può dire che Lucano sia un corrotto o che agisse per interessi propri, anche se quel sistema di soldi allegri a pioggia drogava certamente i suoi consensi.

È possibile che agisse con le migliori intenzioni. Ma questo incommensurabile pasticcione era pur sempre un sindaco, cioè un pubblico ufficiale tenuto a rispettare e a far rispettare le regole. L’impressione è che la nobile missione del “modello Riace” gli abbia dato alla testa, convincendolo di essere al di sopra, anzi al di fuori della legge. Che si può sempre contestare e persino, per obiezione di coscienza, violare. Ma senza la fascia tricolore a tracolla. E affrontando poi le conseguenze delle proprie azioni.

ILFQ

Mimmo Lucano e la parabola del 'modello Riace'. - Alessandro Sgherri

 

Per Fortune era tra i politici più influenti. Poi l'arresto e la condanna.


Dal quarantesimo posto nella classifica 2016 dei 50 leader più influenti del mondo della rivista americana "Fortune" alla condanna a 13 anni e due mesi di reclusione. E' la parabola che ha travolto e stravolto la vita di Domenico "Mimmo" Lucano e di Riace, borgo che ha guidato come sindaco per anni facendolo diventare famoso nel mondo come modello di accoglienza e integrazione per i migranti giunti nel nostro Paese.

Una storia, quella di Lucano e di Riace, cominciata quasi per caso nel 1998, con lo sbarco di duecento profughi dal Kurdistan a Riace Marina. Lucano e l'associazione Città Futura decisero che dovevano fare qualcosa. E così aprirono le porte delle tante case lasciate vuote da un'emigrazione che stava condannando Riace a diventare un paese fantasma, ai nuovi arrivati. Ma Lucano capì che la semplice accoglienza non era sufficiente. E così anno dopo anno "Mimmo", come tutti lo chiamano, ha orientato l'attività della sua amministrazione all'integrazione dei rifugiati e degli immigrati irregolari. Ha aperto scuole, finanziando micro attività, ha realizzato laboratori, bar, panetterie ed ha messo in piedi anche la raccolta differenziata porta a porta, che era garantita da due ragazzi extracomunitari che la trasportavano sul dorso di asini. Nasce anche una moneta speciale per aiutare gli immigrati nelle spese giornaliere in attesa dell'arrivo dei fondi europei. E nella parte storica del paese nasce quello che era il fiore all'occhiello di Riace, quel "villaggio globale" fortemente voluto da Lucano e diventato famoso nel mondo, dove l'integrazione si toccava con mano. Si calcola che in 17 anni siano passati almeno 6mila richiedenti asilo provenienti da oltre 20 Paesi del mondo. E molti di loro hanno deciso di rimanere in questo piccolo borgo arroccato sulle pendici a 7 chilometri dal mare Ionio.

Il nome di Riace comincia a circolare nel mondo non più o non solo come il luogo dove furono trovati i famosi Bronzi, ma per l'efficacia delle politiche di integrazione messe in atto dal suo sindaco. Nasce il "modello Riace". I riflettori si accendono sul borgo, Lucano viene preso ad esempio di un modo nuovo ed efficace di fare accoglienza. Non mancano, ovviamente, le voci critiche, soprattutto dall'area di centrodestra, ma Lucano va avanti per la sua strada. Che si interrompe improvvisamente la mattina del 2 ottobre 2018, quando la Guardia di finanza gli notifica un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa su richiesta della Procura di Locri proprio per la gestione del "Modello Riace". Pesanti le accuse che gli vengono contestate alle quali in tanti non credono. Il paese inizia a svuotarsi dei migranti, le botteghe artigiane tirano giù le serrande. Il turismo, che il "modello Riace" aveva incentivato, viene meno. Che la parabola di Lucano, adesso, sia orientata verso il basso lo si capisce anche alle comunali del maggio 2019, quando l'ex sindaco non riesce a farsi eleggere come consigliere comunale.

Nonostante le vicissitudini giudiziarie e politiche, la fiducia riposta da molti in Lucano non viene meno e tanti sono convinti che il processo, intanto istruito dalla Procura di Locri sulle presunte irregolarità nella gestione dei migranti a Riace, finirà con un'assoluzione. Certezze che si sono infrante alla lettura del dispositivo della sentenza che condanna l'ex sindaco ad un pena che è quasi il doppio di quella chiesta dalla Procura. Una condanna che tuttavia non convince i sostenitori di Lucano, la cui parabola, in ogni caso e in attesa del processo di appello, segna adesso il punto più basso. 

ANSA

martedì 23 luglio 2019

Quei falsi contratti agli amici pagati coi soldi dei migranti. - Michel Dessì



Non solo case e feste: Lucano assumeva parenti e compagni "bisognosi" con i soldi per lo Sprar. Ecco le carte dell'inchiesta.

Riace, un’isola felice nel mare torbido e agitato della Calabria. Lì, gli amici di Mimmo Lucano, l’ex sindaco dei migranti, oggi in esilio forzato dalla procura di Locri, non avevano problemi.
Non dovevano lottare per trovare un lavoro, nessun sacrificio per arrivare a fine mese. Per gli amici di “Mimì” un posto sicuro c’era sempre. Anche in Calabria dove, secondo l’Ufficio statistico dell’Unione Europea, i giovani senza lavoro sono il 52,7%. A rivelarlo sono le carte dell’inchiesta “Xenia”, di cui noi de Il Giornale siamo entrati in possesso.
I soldi dello Stato non mancavano e Mimmo Lucano, secondo l’accusa, non si faceva problemi ad assumere compagni “bisognosi”, anche grazie a dei contratti fasulli. A beneficiarne anche il nipote di Cosimina Ierinò, il braccio destro del “re dei migranti”. È il 5 luglio del 2017 quando Cosimana chiede a “Mimì”: “…vorrei che integrassimo mio nipote Cosimo da qualche parte, se è possibile, lo so che ti chiedo troppo, ma se è possibile…”. Il nipote di Cosimina aveva idee “geniali” per rilanciare il modello Riace e fare cassa. “Sai perché? - dice Cosimina a Lucano - ... perché lui l'altra volta mi ha detto ma perché non fate un sito on-line per vendere le cose in giro, metterle in rete, fare ordini...”
La giovane mente vorrebbe fare business con i prodotti creati dai profughi di Riace nelle botteghe del piccolo paese. Peccato che, quei laboratori artigianali, non fossero sempre in funzione. Si animavano solo per le visite istituzionali. I migranti venivano pagati per fare le comparse, come i pastori nei presepi viventi, fingevano di lavorare. Una vera e propria messa in scena. A provarlo sono le intercettazioni.
Per Mimmo Lucano l’assunzione di Cosimo non si può fare. Lo Stato non paga per gestire la vendita online dei prodotti. Un lavoro che sarebbe dovuto essere pagato direttamente dalle associazioni di Riace, ma per Lucano c’è un modo e lo suggerisce a Cosimina: “In questi termini non è possibile, sai cosa dobbiamo fare?... dobbiamo ritagliare un minuto di tempo per fare un'ipotesi di rendicontazione del 2017 per lo SPRAR, la Prefettura, dei Minori, tutte cose, quando facciamo questa rendicontazione vediamo tutto il costo del personale, io sono convinto che ne manca... però come lo giustifichiamo come operatore SPRAR? ... come lo giustifichiamo? ...perché fargli il contratto di lavoro, per rendicontarlo deve essere ...noi ci dobbiamo giustificare… suggeriscimi un ruolo nell'ambito del progetto SPRAR, che si occupa dell'amministrazione? ... che collabora ... fa parte dell'amministrazione?” chiede Lucano al suo braccio destro. Cosimina risponde prontamente: “anche! ...perché io sono addetta alla banca dati...” ma Lucano trova il modo per assumerlo: “sistema di rendicontazione... l'unica cosa è questa, facciamo queste due cose e poi lo puoi chiamare subito!”
Ma c’è un motivo se Cosimina chiede a Lucano di far assumere il nipote: “non pensare che te l'ho chiesto per cosa ma... te l'ho chiesto perché mi dispiace che deve lavorare dal cinese, oggi l'ho visto che scaricava pacchi, è da un mese che lavora là... lui (Cosimo il nipote ndr) questo lavoro lo potrebbe fare anche da casa Mimì...” Dice Cosimina con il “cuore in mano a Lucano che risponde: “sì… ogni tanto viene qua con te, per prendere coscienza di tutto... noi gli diamo uno stipendio di 7-800 euro, poi quando gli facciamo la cosa gli dici... come gli altri, come tutti, il suo ruolo è questo!” Ma Lucano è chiaro: “l'importante che costruisca in rete tutto questo sistema e che collabori con te per rendicontazione, perché poi sia veramente attinente in modo che lo possiamo giustificare con la rendicontazione SPRAR…”
Peccato che, facendo una ricerca sul web, (dove rimane ogni traccia) non troviamo nulla del lavoro creato da Cosimo. Ma si sa, “Mimì” è un uomo dal cuore grande. Tanto a pagare era lo Stato.


http://www.ilgiornale.it/news/cronache/quei-falsi-contratti-agli-amici-pagati-coi-soldi-dei-1730422.html

domenica 14 luglio 2019

Le case dei migranti trasformate da Lucano in un b&b per amici e potenti. - Michel Dessì



Così venivano spesi i soldi destinati all'accoglienza dei profughi a Riace. Per ristrutturare appartamenti, comprare mobili e arredi. Peccato che ad usufruirne non erano gli immigrati ospiti nel piccolo paese in provincia di Reggio Calabria. A gestire tutto era Mimmo Lucano, l'ex sindaco di Riace divenuto famoso nel mondo per il suo "modello" di accoglienza e integrazione. Gli immobili, esclusivamente dedicati all'accoglienza dei migranti e inseriti nell'elenco della Prefettura di Reggio Calabria, venivano assegnati (contro legge) da Mimmo Lucano a "ospiti del nord", anche a danno di alcune famiglie di immigrati.
Così gestiva i soldi dello Stato Mimmo Lucano, con libertà e spensieratezza. A pagina 659 si legge: "La distrazione di fondi dell'accoglienza per l'acquisto di arredi e suppellettili per le abitazioni utilizzate per il Riace Film Festival". Per la guardia di finanza "era Lucano il presidente di fatto di Città Futura", la coop che gestiva tutto il sistema di accoglienza a Riace e, soprattutto, incassava i fondi pubblici. A chiedere ospitalità al "sindaco dell'accoglienza", tramite un sindacalista calabrese, anche Francesca Re David, ai tempi neoeletta segretaria generale della Fiom. Tutt'ora in carica. A provarlo sono queste intercettazioni telefoniche tra il sindacalista e Mimmo Lucano registrate dai finanziari il 15 luglio del 2017 (guarda il video).
"Ti rubo un minuto Mi, ieri abbiamo eletto la nuova segretaria generale della Fiom, si chiama Francesca Re David che ha preso il posto di Maurizio Landini... il marito, Fabio Venditti, viene alla vostra rassegna cinematografica. Mi chiedeva, siccome viene pure lei, volevano venire due o tre giorni prima (a Riace, ndr) se era possibile trovargli un bed and breakfast, qualcosa...", dice il sindacalista a Lucano, che si dice subito disponibile ad accogliere. Le case, d’altronde, sono tante visto il cospicuo numero di immigrati presenti in paese. "No, gli troviamo un posto noi che abbiamo le case a Riace superiore". Dice Lucano, le case sono quelle finanziate con i soldi del Viminale per i migranti, assegnate "illecitamente" ad altri ospiti. Il sindacalista si preoccupa per gli alloggi della nuova segretaria generale Fiom e dice: "Anche se vengono un paio di giorni prima?""Quando vogliono - risponde Lucano - quando vogliono possono venire. Anche tu, se vuoi venire per dormire lì a Riace non ti devi preoccupare, non ti fare problemi...""Grazie, io Mimmo quando viene... siccome è stata eletta ora e ha preso il posto di Landini mi farebbe piacere anche che avesse un contattato con te, che capisse la storia di Riace""Si, ma io sono a Riace in quei giorni quando viene, non c'è problema – assicura Mimmo Lucano - Tu vieni con la tua famiglia, anche tu. Non ti fare problemi", dice l’allora sindaco di Riace, disponibile ad accogliere tutti. Indistintamente. "E allora Mi, poi ti chiamo. Intanto chiamo loro per dirgli che tu sei nelle condizioni per trovargli un alloggio""Si si...", dice Lucano che aveva creato un vero business. Un business gestito anche dalle donne vicine a Lucano che dividevano gli appartamenti a tutti gli ospiti del Riace Film Festival.
In una intercettazione telefonica del 19 luglio 2017 Chiara Sasso, scrittrice e giornalista del Fatto Quotidiano, amica di Marco Travaglio, chiama la collaboratrice di Lucano Cosimina Ierinò "e le due donne discutono delle case nella disponibilità di Città Futura (la coop) che dovranno dare a delle persone che verranno a Riace in occasione del 'Riace film festival'""Allora la casa dell'Acqua va bene per me ok?", dice la Sasso a Cosimina. Che risponde: "Attualmente c'è una ragazza ma quella... inc ...". E la Sasso spartisce le case: "A casa Tullia scrivi Mo....o che ci sta lui e la figlia...".
Per accompagnare gli ospiti e pulire le case veniva utilizzato "impropriamente" il personale di Città Futura che, invece, avrebbe dovuto occuparsi solo ed esclusivamente dei migranti. Peccato che i pensieri di Lucano fossero altrove.

venerdì 12 aprile 2019

Riace, il sindaco Mimmo Lucano rinviato a giudizio insieme ad altre 25 persone. - Lucio Musolino

Riace, il sindaco Mimmo Lucano rinviato a giudizio insieme ad altre 25 persone

Abuso d'ufficio e concussione i reati contestati al primo cittadino sospeso del Comune calabrese che secondo la Procura, sarebbe il "promotore" di una associazione a delinquere nella gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace.

Rinviato a giudizio. Dopo sette ore di camera di consiglio, il gup di Locri Amalia Monteleone ha mandato a processo il sindaco “sospeso” di Riace Mimmo Lucano. Il gup non si è espresso, invece, sull’istanza presentata dagli avvocati Antonio Mazzone e Andrea Daqua che nei giorni scorsi avevano chiesto la revoca della misura cautelare per Lucano sottoposto al divieto di dimora nel Comune di Riace. Sarà il Tribunale, quindi, a decidere se Mimmo “u curdu” ha commesso i reati che la Procura di Locri gli contesta nell’inchiesta “Xenia” della Guardia di finanza. Il gup ha rinviato a giudizio anche gli altri 25 imputati alcuni dei quali, secondo gli inquirenti, sarebbero coinvolti in un’associazione a delinquere ai danno dello Stato per la gestione dei fondi destinati all’accoglienza.
Le accuse più pesanti, infatti, riguardano proprio i soldi arrivati a Riace per i migranti. Lucano sarà processato per abuso d’ufficio e concussione, ma anche perché, secondo la Procura, sarebbe il promotore dell’associazione a delinquere che avrebbe avuto lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace”.
Su questo capo d’imputazione il gip, che a ottobre dispose i domiciliari nei suoi confronti (poi trasformati nel divieto di dimora dal Tribunale del Riesame), aveva sottolineato come il sindaco non ha avesse intascato un euro dei fondi per l’accoglienza. Lucano, inoltre, deve rispondere anche di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (l’unico reato per il quale è ancora sottoposto a misura cautelare) e di alcune irregolarità nell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative che raccoglievano l’immondizia con due asinelli. Quest’ultima accusa e le esigenze cautelari sono state annullate con rinvio dalla Cassazione secondo la quale mancano indizi di “comportamenti” fraudolenti che il sindaco sospeso di Riace avrebbe “materialmente posto in essere”. Per la Suprema Corte, infatti, è la legge che consente “l’affidamento diretto di appalti” in favore delle cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate” a condizione che gli importi del servizio siano “inferiori alla soglia comunitaria”.
Inoltre, secondo la Procura di Locri e la Guardia di finanza, Tesfahun Lemlem (coimputata nel processo “Xenia” e anche lei rinviata a giudizio) insieme a Lucano avrebbe orchestrato un finto matrimonio con un uomo che sarebbe in realtà suo fratello. L’obiettivo, stando all’impianto accusatorio, era di permettere all’uomo di venire in Italia dall’Etiopia. Progetto che non è stato portato a termine in quanto il soggetto è stato arrestato in Africa perché trovato in possesso di documenti falsi. A proposito dei matrimoni fittizi, annullando la misura cautelare per Tesfahun Lemlem, la Cassazione ha stabilito che Lucano era “pienamente consapevole dell’illegalità di alcune sue condotte finalizzate ad ‘aiutare’ extracomunitari” ma che le avrebbe commesse “probabilmente per finalità moralmente apprezzabili”.
Le accuse nei confronti di Lucano e degli altri imputati hanno retto al termine dell’udienza preliminare. Adesso il sindaco “sospeso” dovrà attendere il 18 aprile,  data in cui è fissata l’udienza davanti al Tribunale del Riesame di Reggio Calabria. L’unica speranza rimasta a Lucano di affrontare il processo da uomo libero. Con il rinvio a giudizio di oggi, infatti, sono ripartiti i termini di custodia cautelare che tra pochi giorni sarebbero scaduti. L’inizio del processo è previsto per l’11 giugno.

mercoledì 3 ottobre 2018

I gonzi di Riace. - Marco Travaglio



(pressreader.com) – Domenico Lucano, il sindaco ribelle di Riace, da ieri agli arresti domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti, è un fuorilegge onesto. Pare un ossimoro, ma è proprio così: fuorilegge, perché è lui stesso a definirsi orgogliosamente così nelle sue conversazioni intercettate; onesto, perché anche il gip che l’ha arrestato riconosce che non ha mai agito per interesse personale e ha svolto un gran lavoro per integrare i migranti e riqualificare il suo comune spopolato. Da anni ci sgoliamo a ripetere che un conto è la questione penale, che attiene al rispetto delle regole; un altro è la questione morale, che riguarda i principi etici, i quali non sempre coincidono col codice penale. Quando noi giornalisti veniamo processati e magari condannati per aver ecceduto (secondo un giudice) in una critica o sbagliato in buona fede, pubblicando una notizia che sul momento pareva vera e verificata e poi si rivela falsa o inesatta, non diventiamo per ciò stesso disonesti. Se la legge è uguale per tutti, fissa e immutabile (almeno finché non viene cambiata), il giudizio morale varia a seconda dei princìpi, della cultura, dell’educazione, della sensibilità di ciascuno, ma anche del ruolo che ricopre l’autore della condotta.
Se è un eletto o un pubblico ufficiale, oltreché alle regole dell’etica deve obbedire all’art. 54 della Costituzione, che richiede l’esercizio di pubbliche funzioni “con disciplina e onore”. E soprattutto richiede il buon esempio: se a violare una legge è colui che per primo dovrebbe rispettarla, perché ha giurato di adempiere a quel dovere o perché addirittura la legge l’ha scritta lui, salta il patto sociale che ci tiene tutti uniti e a quel punto vale tutto. Cioè si precipita nell’anarchia, nel caos, nel Far West. Ma c’è un problema: se una legge è ritenuta ingiusta, disumana, immorale, che si fa? Si prova a cambiarla. Ma, se poi non ci si riesce, c’è una scelta estrema: quella della disobbedienza civile non violenta. Quella di Gandhi e dei suoi epigoni, giù giù fino a Pannella. Che divennero “fuorilegge” per contestare leggi che non condividevano: Gandhi si ribellò a quelle di un regime autoritario (la dominazione britannica in India) e finì in carcere, Pannella a quelle di uno Stato democratico come l’Italia (per esempio, su droga, aborto ed eutanasia) e finì tante volte denunciato e qualcuna condannato. Nessuno ha mai pensato che questi “fuorilegge” fossero disonesti: Gandhi è passato alla storia come padre dell’indipendenza dell’India, Pannella come alfiere dei diritti civili in Italia.
Lo stesso vale per il poeta Danilo Dolci, processato per le sue battaglie in Sicilia e difeso da Piero Calamandrei. E per Erri De Luca, processato per i suoi atti di disobbedienza in Val Susa accanto al movimento No Tav. Il dibattito su come contrastare una legge che si ritiene ingiusta lo avviò Sofocle nell’Antigone, la tragedia sulla storia della donna che decise di seguire la legge divina e seppellì il cadavere del fratello Polinice, morto in guerra, contro la legge umana imposta dal nuovo re-tiranno di Tebe, Creonte, che la fece condannare all’ergastolo e rinchiudere in una grotta, dove si impiccò poco prima di venire liberata.
L’Italia, diversamente dalla Tebe di Antigone e dall’India di Gandhi, è una democrazia e uno Stato di diritto. Dove non esistono processi politici o morali, ma solo penali, affidati a una magistratura indipendente nei suoi vari (secondo noi troppi) gradi di giudizio. Quindi chi grida al complotto o al regime fascio-salviniano per l’arresto di Lucano, oltre a usare pericolosamente l’armamentario lessicale berlusconiano, sbaglia bersaglio. Salvini usa politicamente l’arresto di un avversario politico “buonista”, esaltando i magistrati che fanno comodo a lui dopo aver insultato quelli che indagano su di lui e che hanno sequestrato alla Lega i 49 milioni rubati. Ma non è il mandante degli arresti di Riace: quelli li ha chiesti la Procura di Locri, sulla scorta delle indagini della Guardia di Finanza, e li ha disposti il gip, cancellando gran parte delle accuse e adempiendo così fino in fondo al suo dovere di giudice terzo. Gli arrestati (il sindaco e la sua compagna) potranno impugnare il provvedimento dinanzi al Riesame e, se sconfitti, ricorrere in Cassazione. Alla fine 10 magistrati avranno esaminato la misura cautelare. Poi, se si andrà a giudizio per volontà di un gup, se ne occuperanno altri 3 giudici di tribunale, 3 d’appello e 5 di Cassazione. Di quale “regime” stiamo parlando?
Eppure ieri è partito il solito derby. Con una particolarità. Qui non si sfidano colpevolisti e innocentisti, perché è lo stesso Lucano nelle intercettazioni a dirsi colpevole. Qui si sfidano i tifosi (Salvini e tutto il centrodestra) e i nemici (un bel pezzo della sinistra) dei magistrati di Locri che hanno disposto gli arresti. Noi, se ancora è lecito, preferiamo militare in una terza squadra: quella del buon senso. Il sindaco ribelle è simpatico e onesto: ha certamente agito animato dal più alto spirito umanitario per salvare migranti irregolari dall’espulsione, e non per tornaconto personale (anche se resta da spiegare l’appalto dei rifiuti affidato senza gara a due coop amiche, sintomo di quello che il gip definisce giustamente il “diffuso malcostume” di certi sindaci-Masaniello che fanno come gli pare). Ma – lo dice lo stesso Lucano – ha violato la legge sull’immigrazione, che ritiene “balorda”, organizzando falsi matrimoni proprio grazie al suo status di pubblico ufficiale (“io sono responsabile dell’ufficio anagrafe, il matrimonio te lo faccio immediatamente”) e di responsabile della Polizia municipale (“non mando neanche i vigili, mi assumo io la responsabilità e gli dico va bene, sono responsabile dei vigili”). E i magistrati non solo potevano, ma dovevano far rispettare la legge: guai se qualcuno, tantopiù se è il primo cittadino, fosse autorizzato a calpestarla.
A chi deve obbedire un agente della polizia di Riace: al suo comandante che gli dice di applicare le leggi dello Stato, o al sindaco che le viola e istiga a violarle? E perché in tutta Italia i migranti devono mettersi in fila per chiedere l’asilo o il permesso di soggiorno e, se non l’ottengono, ricevere il foglio di via ed essere eventualmente rimpatriati, mentre a Riace possono aggirare le regole con finti matrimoni organizzati e officiati dal sindaco? Anziché prendersela con i magistrati che fanno il proprio dovere, chi si schiera con Lucano e ritiene “balorde” le norme sull’immigrazione ha strumenti più efficaci per cambiarle: organizzare un referendum abrogativo, raccogliere firme per una legge di iniziativa popolare, chiedere agli amici in Parlamento di modificarle, provare a farla impugnare da un tribunale dinanzi alla Consulta (che peraltro le ha già ritenute costituzionalmente legittime, cancellando parti incostituzionali della Bossi-Fini e dei decreti Maroni). Se non ci riesce, può anche disobbedire, purché lo rivendichi e soprattutto ne accetti le conseguenze. Chi viola platealmente una legge penale sa che verrà indagato e processato, forse anche arrestato. E, quando questo avviene, l’unica cosa che non può fare è stupirsi o scandalizzarsi.
Altrimenti quello di Riace diventa un pericoloso precedente: e se domani la magistratura arrestasse un sindaco leghista che ritiene le leggi sull’immigrazione non troppo rigide, ma troppo blande, e provvede personalmente a inasprirle con raid razzisti o atti xenofobi, autoproclamandosi “fuorilegge” e creando una repubblica separata della xenofobia, opposta ma speculare alla repubblica separata dell’accoglienza illegale di Riace? Con quali argomenti chi ora grida al regime giudiziario di destra potrà contrastare i leghisti che strilleranno al regime autoritario di sinistra?
Certi paroloni-boomerang è molto meglio lasciarli a B.&Salvini e concentrarsi semmai sulla battaglia per una legge sull’immigrazione più razionale, che premi finalmente chi viene in Italia per lavorare. Solo così si prevengono casi come quello di Riace. Evitando, fra l’altro, di dar ragione a Leo Longanesi sugli italiani che “pretendono di fare la rivoluzione col permesso dei carabinieri”.
“I gonzi di Riace”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 3 ottobre 2018