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sabato 10 luglio 2021

“Assenteisti” al Comune di Palermo: 8 arresti, 43 indagati. - Riccardo Lo Verso

 

Blitz ai cantieri Culturali della Zisa. Timbravano e andavano al bar, a fare la spesa oppure jogging.

I finanzieri l’hanno denominata operazione “Timbro libera tutti”. É la fotografia di quanto sarebbe avvenuto all’interno dei Cantieri culturali della Zisa. I fatti sono nel 2018, ma molti lavoratori sono ancora in servizio. Da qui le attuali esigenze cautelari ritenute sussistenti dal Gip Rosario Di Gioia per 28 dei 43 indagati.

Otto persone finiscono agli arresti domiciliari, per 14 scatta l’obbligo di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria e per sei il solo obbligo di presentazione.

Gli indagati per truffa sono dipendenti del Comune (11), del Coime (3) e della Reset (14). Tra di loro anche un soggetto indagato per mafia.

Su richiesta della Procura, l’indagine è coordinata dall’aggiunto Sergio Demontis e dal sostituto Maria Pia Ticino, vanno ai domiciliari Dario Falzone, 69 anni, Antonio Cusimano, 60 anni, Gaspare Corona, 69 anni, Mario Parisi, 61 anni, Francesco Paolo Magnis, 61 anni, Salvatore Barone, 47 anni (è un sindacalista molto noto che ha da sempre combattuto battaglie al fianco dei precari), Giancarlo Nocilla, 48 anni e Tommaso Lo Presti, 50 anni. Quest’ultimo è già indagato per mafia ed è cugino di due boss di Porta Nuova, Tommaso Lo Presti soprannominato il pacchione e il cugino omonimo detto il lungo.

L’obbligo di dimora è stato notificato a Fabiola Selvaggio, Giuseppe Muliello, Silvana Caravello, Massimo Pipi, Rosaria Gebbia, Francesco Caruso, Salvatore Consiglio. Salvatore Reina, Isidoro Chianello (è il padre di Angela da Mondello, il cui “non ce n’è Covid” è diventato un tormentone prima social e poi mediatico), Francesco Paolo Tinervia. Massimo Vesco, Mario Nuccio, Davide Nuccio. Vita D’Aiuto.

Obbligo di firma per Antonino Muratore, Maria Angela Di Carlo, Filippo Pecoraro, Marina Megna, Francesco Madonia e Francesco Ferraro. Ci sono anche altri 15 indagati.

Gli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo – gruppo tutela mercato beni e servizi – hanno pedinato e filmato le assenze dei laboratori che timbravano e poi si allontanavano per fare la spesa al supermercato o shopping, andare al bar, o addirittura praticare jogging.

In molti casi un collega timbrava il bagde per tutti. Oppure si faceva ricorso allo strumento straordinario della “rilevazione manuale”, che consente in caso di “dimenticanza” del cartellino personale, di attestare la propria presenza al lavoro tramite comunicazione scritta.

Una telecamera nascosta piazzata vicino all’apparecchio per la rilevazione elettronica delle presenze ha registrato in poco più di tre mesi, nel 2018, oltre mille casi di assenza ingiustificata per circa 2.500 ore di servizio.

“L’attività investigativa ha svelato l’esistenza di un fenomeno illecito estremamente diffuso all’interno della struttura pubblica cittadina – spiega il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della finanza di Palermo- , un modus operandi divenuto cronico a tal punto da essere considerato come un comportamento ‘normale’. Alcuni degli indagati hanno costituito delle vere e proprie ‘squadre di lavoratori assenteisti’ che provvedevano ad effettuare reciprocamente la timbratura dei badge dei propri compagni in modo da non far risultare i periodi di assenza dal lavoro. Purtroppo registriamo ancora una volta la sistematica violazione dei principi di diligenza, lealtà e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare”.

“È emerso un sistema patologicamente orientato al malaffare a danno della pubblica amministrazione cittadina, in un contesto che appare di assoluta arbitrarietà nello svolgimento dei compiti lavorativi – aggiunge il colonnello Giancluca Angelini, comandante del Nucleo -. L’aspetto più allarmante è il diffuso senso di impunità che ha permeato un numero significativo di pubblici dipendenti che si sono sentiti liberi di violare sistematicamente le regole del rapporto di impiego, come se si trattasse di comportamenti normali, emergendo un sentimento di disaffezione al servizio che ha portato a compromettere con assoluta disinvoltura il rapporto di fedeltà con la pubblica amministrazione. In tali contesti, il controllo sociale riveste un ruolo determinante: nessuno deve più tollerare comportamenti di pubblici dipendenti che non siano improntati al rigoroso rispetto dei propri doveri nell’interesse generale della collettività.

LveSicilia

venerdì 9 luglio 2021

Furbetti del cartellino: 28 misure cautelari tra i dipendenti del comune di Palermo.

 

Otto sono ai domiciliari: indagati per truffa e danno a un ente pubblico

Foto Ansa / CorriereTv

Andavano a fare la spesa o a fare jogging pur risultando presenti al lavoro. Una nuova inchiesta sui "furbetti del cartellino" investe i dipendenti del Comune di Palermo e di alcune società partecipate, in servizio presso i Cantieri culturali alla Zisa. I finanzieri del comando provinciale hanno eseguito un'ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal gip del capoluogo nei confronti di 28 persone. Per 8 sono scattati gli arresti domiciliari; per altri 14 l'obbligo di dimora e di presentazione alla pg; per 6 solo quest'ultimo. Sono indagati a vario titolo per truffa a danno di un ente pubblico e falsa attestazione. «L’attività investigativa ha svelato l’esistenza di un fenomeno illecito estremamente diffuso all’interno della struttura pubblica cittadina, un contesto di quasi assoluta anarchia amministrativa, un modus operandi divenuto cronico a tal punto da essere considerato come un comportamento `normale´». Lo dice il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della Guardia di finanza di Palermo. «L’aspetto più allarmante - ha aggiunto Gianluca Angelini comandante del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo che ha condotto le indagini - è il diffuso senso di impunità che ha permeato un significativo numero di pubblici dipendenti che si sono sentiti liberi di violare sistematicamente le regole del rapporto di impiego. Comportamenti questi che determinano un danno economico e di immagine per la pubblica amministrazione e che incidono negativamente sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini».

Corriere Della Sera

giovedì 24 ottobre 2019

Matteo Salvini descritto da Emilio Mola

L'immagine può contenere: 1 persona, barba

"Ho provato a licenziare Matteo Salvini per due volte" ha raccontato l'ex direttore de "La Padania" Gigi Moncalvo, nell'intervista di lunedì a Report.
"La prima volta - racconta - fu a cavallo delle feste di fine anno. Durante quei giorni, chi veniva a lavoro, riceveva il triplo della paga. Salvini in quei giorni non c'era a lavoro. Non era nemmeno reperibile dove avrebbe dovuto. Ma quando a fine mese arrivò il foglio delle presenze lui lo firmò lo stesso".
"La seconda volta fu quando scoprì che aveva falsificato quattro note per i rimborsi spesa. Quando glielo feci presente, a muso duro, lui mi rispose: tu passi, io resto. E credimi: diventerò sempre più potente".
E aveva ragione.
Quello che Report rivela nell'ora successiva a questa intervista, con tanto di documenti e dichiarazioni dei diretti interessati (russi e americani), avrebbe dovuto portare alla fuga di Salvini dall'Italia nascosto nel vano di una macchina, per evitare la ferocia della folla (la sua folla, quella patriota e col tricolore).
Ma per fortuna del Capitano, ai suoi italiani, a quelli che sventolano il tricolore e parlano di "Patria", dell'Italia e della Patria non è mai fregato un cazzo. E se gliene frega davvero, non hanno capito nulla di ciò che sta accadendo.
Proviamo a riassumerlo allora, per quanto sia vano.
Ciò che in breve viene a galla dalla puntata di Report (e dalle inchieste de L'Espresso), è che in Russia e negli USA operano uomini e gruppi estremamente potenti e ricchi, che hanno (per procura?) un unico grande obiettivo: dissolvere l'Unione Europea, perché d'ostacolo agli interessi globali delle due Super Potenze Straniere.
Come?
La soluzione è semplice. Sostenere in Europa gruppi e forze politiche che - spacciandosi per "nazionaliste" e "patriottiche" - facciano in realtà gli interessi delle due potenze straniere: denigrare e indebolire l'Europa dall'interno.
Il tutto facendo presa su ben determinate fasce della popolazione da manovrare con frasi semplici, foto, slogan, fake news, e alimentando sentimenti quali la paura, il vittimismo, la paranoia della minaccia esterna, il complottismo, la nostalgia, il tradizionalismo religioso, il nazionalismo.
E' il 2013.
Fino a quell'anno Matteo Salvini tiene ancora comizi contro l'Italia, per l'indipendenza della Padania, scrive sui social "Italia Paese di merda", insulta ancora i meridionali.
Poi, all'improvviso, in quell'anno, nel 2013, inizia la sua "strana" conversione.
Da storico anti-italiano diventa il più grande patriota italiano. Così, all'improvviso. E, guarda caso, l'anno successivo candida il suo partito alle Europee col nome di "Basta Euro".
Il 2013 è l'anno della sua elezione a segretario della Lega. E quel giorno, sul palco, sale a parlare un tizio che nessuno aveva mai visto prima: un russo, un certo Alexei Komov.
Che ci fa quel russo lì? Perché è lì?
A spiegarlo alle telecamere di Report è un altro russo, l'uomo che fu invitato (al posto di Komov) al congresso della Lega: il potentissimo Konstantin Malofeev, meglio noto come "l'Oligarca di Dio", miliardario e ultraconservarvore cristiano: "Avrei dovuto esserci io quel giorno - dice - Ma ebbi degli impegni e mandai in mia sostituzione Alexei Komov".
E perché, in Italia, avrebbe dovuto esserci al congresso della Lega lui, Malofeev, l'"Oligarca di Dio", il finanziatore di partiti di estrema destra anti-europei come il Fronte Nazionale di Le Pen in Francia (a cui, prima delle sanzioni, ammette di aver dato 2 milioni di euro)?
Il giornalista di Report lo chiede a Salvini. Che prima finge di non ricordare chi sia Kostantin Malofeev (meravigliosa l'espressione che fa), poi ammette di conoscerlo, ma rinvia l'intervista: alla quale, ovviamente, non si presenterà più.
Malofeev invece risponde, e racconta di aver incontrato l'ultima volta Salvini poco prima della sua nomina a vicepremier, lo scorso anno.
Durante l'intervista Malofeev esplicita il suo pensiero. Degli omosessuali dice: "E' la Lobby dei Sodomiti e dei Pederasta. E' colpa dei gay pride se sempre a più maschi piacciono altri maschi".
E delle donne cosa ne pensa? "Il loro ruolo è essere amate dai mariti. Non dovrebbero lavorare e restare a casa. Il loro ruolo deve essere di casalinghe e madri. Solo donne non amate e infelici diventano femministe".
Ma Salvini condivide i suoi valori? "Certo - risponde Malofeev - il suo discorso a Verona è stato magnifico".
E cosa disse Salvini a Verona un anno fa, durante il congresso mondiale sulle famiglie? "Mi incuriosiscono queste cosiddette femministe che se io fossi donna mi metterebbero in difficoltà".
Che strana questa improvvisa avversione per le femministe.
Ma c'è un'altra coincidenza.
Malofeev è un ultra-conservatore cristiano, principale finanziatore (per decine di milioni di euro ogni anno) della "Fondazione San Basilio il Grande".
Quell'anno, il 2013, Malofeev vola negli USA, dove crea con altri ricchi gruppi fanatici-cristiani americani una "Santa Alleanza" cristiana. E dagli USA ecco che arrivano finanziamenti alle fondazioni "cristiane" europee, per centinaia di milioni di euro. Le quali, politicamente, si schierano in Europa con i partiti anti-europei.
In Italia, all'improvviso, sui palchi e sui social del Capitano Matteo Salvini, iniziano a comparire sempre più spesso Vangeli, Madonne, appelli ai Santi, al Cuore di Maria, crocefissi, rosari.
Sarà un caso, ma dal 2013 in poi, tutto ciò che Malofeev vuole, lo vuole anche Matteo Salvini.
Tutto ciò che a Malofeev interessa (distruggere la comunità gay, ridimensionare il ruolo della donna, distruggere l'Europa, eliminare le sanzioni contro la Russia, il ritorno dei nazionalismi in Europa, la promozione di una propaganda cristiana e fanatica basata sul culto degli oggetti e non del messaggio cristiano, la critica a Papa Francesco, la mitizzazione di Putin, l'avvicinamento dell'Italia alla Russia), trova in Salvini e/o nella Lega una propaggine completamente in sintonia.
Salvini potrebbe chiarire, smentire, correggere. Magari rispondere sul perché il suo braccio destro in Russia Savoini trattasse con i russi affari da milioni di euro. Perché avesse detto di non sapere che Savoini fosse con lui, quando poi foto e video lo hanno smentito.
Non lo ha mai fatto: né in Parlamento né coi giornalisti.
Liquida le domande con battute, ma non risponde mai.
Consapevole di aver ormai plasmato e anestetizzato il suo elettorato, tanto da poter fare e non fare quel che gli pare, senza doverne più rispondere.

martedì 2 aprile 2019

Caserta, medici e infermieri assenteisti: 28 indagati. Uno era in viaggio all’estero e il figlio timbrava il cartellino.

Caserta, medici e infermieri assenteisti: 28 indagati. Uno era in viaggio all’estero e il figlio timbrava il cartellino

"Qua o ci arrestano a tutti quanti, o stiamo tutti in grazia di Dio. Tanto, come si dice, chi è senza peccato scagli la prima pietra". Parlavano così due dirigenti medici dell’ospedale "San Rocco" di Sessa Aurunca intercettati dai Carabinieri che indagavano sull'assenteismo nella struttura pubblica su ordine della Procura di Santa Maria Capua Vetere.

Il dono dell’ubiquità. Essere in viaggio all’estero, ma risultare presente al lavoro: in ospedale. C’è anche questo episodio nella miriade di casi di assenteismo accertati dai Carabinieri che in due anni di indagini hanno filmato medici, infermieri e dipendenti dell’ospedale San Rocco di Sessa Aurunca (Caserta) mentre sgattaiolavano via da un’uscita secondaria dopo aver timbrato il badge e a volte non rientrare neanche. Alcuni in verità, contando sulla complicità dei colleghi, in corsia o sala operatoria neanche ci arrivavano. Perché in ospedale non ci mettevano piede. Non solo assenteisti: ad ascoltare le intercettazioni i camici bianchi pensavano anche di poterla fare franca nonostante avessero capito che c’era un’indagine in corso dopo un controllo dei militari dell’Arma.
Sono 28 le persone indagate: sedici medici dell’ospedale casertano e due del Policlinico dell’Università Federico II, a Napoli. Gli altri dieci indagati sono dipendenti amministrativi ed infermieri. A 18 indagati è stata applicata dal tribunale la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria del luogo di svolgimento del lavoro, immediatamente prima e subito dopo l’ingresso alla sede lavorativa. In pratica saranno costretti ad andare a lavoro. sono stati raccolti elementi indiziari riguardo al reato associativo per la commissione di truffa e false attestazioni ai danni della Asl di Caserta.
Caserta, medici-infermieri assenteisti, 28 indagati “Uno era in viaggio all’estero, il figlio timbrava”
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L’intercettazione: “Io ho detto e allora l’ospedale rimane vuoto”.Tra i medici esistevano un vero e proprio patto secondo gli inquirenti che contestano l’associazione a delinquere e la truffa aggravata. “Qua o ci arrestano a tutti quanti, o stiamo tutti in grazia di Dio. Tanto, come si dice, chi è senza peccato scagli la prima pietra” dicevano due dirigenti medici. Durante una telefonata – dopo un controllo amministrativo effettuato dai militari dell’Arma – i due camici bianchi ridono e pensano di poterla fare franca, contando sul fatto che molti colleghi sono coinvolti: “Quello dice che si rischia il posto di lavoro… e ho detto, e allora l’ospedale rimane vuoto, ci licenziano a tutti quanti“. Tra i medici sette sono in servizio al reparto di Anestesia, gli altri lavorano Psichiatria, Pediatria e al 118. Le frasi captate dimostrano “il clima di illiceità presente all’interno delle strutture oggetto dell’indagine” e “la spregiudicatezza con cui venivano poste in essere le condotte criminose”.
Per gli indagati obbligo di firma prima e dopo il lavoro. Il danno complessivo alle case dello Stato è stato stimato in 21.406 euro, che sono stati sequestrati sui conti correnti degli indagati. La misura emessa dal gip è stata eseguita in varie località di residenza dei sanitari indagati, a Napoli, Caserta, Carinola, Sessa Aurunca, Mondragone, Cellole, Casagiove, Teano, tutte in provincia di Caserta, e a Gragnano (Napoli). L’inchiesta è iniziata nel febbraio 2017: oltre alle intercettazioni i carabinieri hanno installato telecamere vicino a tutti gli orologi presenti nell’ospedale e vicino all’uscita secondaria  sul retro della struttura che molti usavano per andare via durante l’orario di lavoro. Secondo gli investigatori tra medici esistevano un accordo per timbrare il cartellino ed assentarsi. Anche per tutto l’intero turno. In alcuni casi timbravano e andavano via in altri casi non varcavano neanche la porta dell’ospedale mentre altri colleghi timbravano per loro. Per sei posizioni – fanno sapere i carabinieri – sono stati raccolti elementi indiziari riguardo al reato associativo per la commissione di truffa e false attestazioni ai danni della Asl di Caserta.

martedì 27 novembre 2018

Assenteismo, scoperti in Sicilia 42 “furbetti del cartellino”: 11 arresti. “Manipolavano il sistema delle presenze”.

Assenteismo, scoperti in Sicilia 42 “furbetti del cartellino”: 11 arresti. “Manipolavano il sistema delle presenze”

Dalle indagini della Procura di Palermo è emersa infatti, "una consolidata prassi di assenteismo ingiustificato realizzata attraverso un andirivieni di dipendenti pubblici che, in completa autonomia, gestivano i loro turni di servizio con presenze fittizie debitamente e furbescamente certificate".

Più di un dipendente su cinque truffava sulla presenza al lavoro negli uffici dell’assessorato regionale alla Salute a Palermo. Lo sostengono gli investigatori della guardia di finanza che hanno scoperto in Sicilia 42 “furbetti del cartellino”. Undici persone sono finite agli arresti domiciliari, altre undici hanno avuto notificato l’obbligo di firma e 20 invece, sono stati denunciati a piede libero e devono rispondere, a vario titolo, dei reati di truffa aggravata, accesso abusivo al sistema informatico e false attestazioni e certificazioni. Grazie a tre computer, infatti, alcuni impiegati riuscivano a segnare le presenze anche senza badge. Una opportunità utilizzata dai lavoratori infedeli per lasciare il luogo di lavoro senza perdere un euro di stipendio.
Dalle indagini della Procura di Palermo è emersa infatti, “una consolidata prassi di assenteismo ingiustificato realizzata attraverso un andirivieni di dipendenti pubblici che, in completa autonomia, gestivano i loro turni di servizio con presenze fittizie debitamente e furbescamente certificate”. Gli accertamenti svolti dalle Fiamme Gialle, attraverso pedinamenti riscontri sul territorio e tramite l’utilizzo di microspie hanno “consentito di smascherare il fenomeno di cd dipendenti fantasma, rilevando e censendo più di 400 ore fraudolentemente attestate ma in realtà mai rese“.
Molti di loro infatti, “seppur fittiziamente risultavano in servizio, erano soliti recarsi a lavoro con circa 3 ore di ritardo,occuparsi di faccende private quali per esempio la spesa o il parrucchiere e in taluni casi persino raggiungere località fuori Palermo”, dicono i finanzieri. Tra gli indagati c’è una coppia: lui accompagnava la figlia a scuola e l’andava a prendere all’uscita, lei timbrava il cartellino del marito. Le telecamere piazzate dai finanzieri hanno immortalato la convivente di un impiegato che si intrufolava in assessorato per timbrare la fine del turno di lavoro, mentre il suo compagno si trovava altrove.
“Quello che impressiona in questa indagine iniziata nel 2016 è il numero di impiegati finiti nell’inchiesta: 42 su 200 che con disinvoltura hanno segnato 400 ore mai rese. L’indagine è iniziata dopo una segnalazione molto circostanziata fatta al 117 sull’assenza costante di alcuni dipendenti. Poi le indagini sono riuscite a ricostruire il fenomeno e le modalità con le quali i dipendenti riuscivano, grazie ad una rete di complicità, a garantire la presenza mentre si trovavano fuori per sbrigare faccende private”, spiega il comandante del gruppo di Palermo della Gdf, Alessandro Coscarelli.
L’assessore Ruggero Razza ha fatto sapere che “l’assessorato della Salute si costituirà parte civile nel procedimento e se dovessero ricorrere i presupposti avvierà le procedure di licenziamento per i dipendenti infedeli“. “Potrei dire – ha aggiunto Razza – che tra i primi atti al nostro insediamento c’è stata la direttiva sul controllo delle presenze e che i fatti per i quali si procede sono antecedenti all’insediamento di questo governo, la verità, però, è che fa rabbia pensare che dipendenti pubblici non siano presenti alle loro responsabilità. Sono sicuro che i magistrati andranno in fondo per scoperchiare del tutto questa vergogna”.
Fonte: ilfattoquotidiano del 27 nov. 2018

venerdì 7 settembre 2018

Furbetti del cartellino, 26 arresti alla Provincia di Massa Carrara: ci sono anche capo della polizia e autista del presidente.

Furbetti del cartellino, 26 arresti alla Provincia di Massa Carrara: ci sono anche capo della polizia e autista del presidente

Gli indagati sono in tutto 70. Il gip: "Spiccato senso di impunità". Dopo una fuga di notizie sull'installazione di telecamere da parte dei carabinieri, infatti, in molti avrebbero continuato a fare assenze ingiustificate. Nelle carte si trova di tutto: da chi svolgeva un altro lavoro a chi partecipava a messe e funerali fino a chi fingeva di rientrare ma usciva di nuovo.

“Una lunga, consolidata e diffusa prassi di assenteismo ingiustificato, realizzato attraverso un sistematico ed ingegnoso aggiramento delle regole che disciplinano il rapporto di pubblico impiego”. Con questa motivazione il gip di Massa Alessandro Trinci ha deliberato l’arresto per 26 dipendenti della provincia di Massa Carrara e del Genio Civile di Massa, mentre per altri 3 è scattata la misura cautelare del divieto di dimora. In tutto sono 70 gli indagati dal procuratore capo di Massa Aldo Giubilaro e dal sostituto Roberta Moramarco: impiegati pubblici che in un arco di tempo molto lungo (da ottobre 2016 a maggio 2018) sono stati monitorati mentre “sottraevano 2600 ore di lavoro alla pubblica amministrazione, cagionando un esorbitante danno erariale nonché disservizi ai cittadini e nocumento al corretto andamento e buon funzionamento” degli uffici pubblici. In tutto si tratta di almeno 5mila episodi di assenze. E non solo: gli indagati avrebbero manifestato “uno spiccato senso di impunità tanto che, nonostante i chiari segni di una inchiesta penale in corso, “dopo una iniziale limitazione o interruzione dell’attività delittuosa, hanno ripreso con regolarità le loro condotte decettive e truffaldine nei confronti dell’Ente di riferimento”.

In particolare, spiegano gli inquirenti, gli stratagemmi adottati per assentarsi dal luogo di lavoro consistevano in timbrature omesse simulate, effettuate in luoghi non autorizzati o tramite familiari o colleghi compiacenti, e false certificazioni. L’operazione di questa mattina ha visto impiegati 110 militari e ha portato anche a una serie di perquisizioni nelle abitazioni degli arrestati, a Massa, a Carrara, Montignoso, Sarzana, Viareggio e Pisa. Tra i colpiti dalle misure cautelari il comandante della Polizia provinciale, l’autista del presidente della Provincia e un messo notificatore dello stesso ente.
L’inchiesta è partita due anni fa dopo la segnalazione di un dipendente a un carabiniere sul doppio lavoro di un collega, finendo per scoprire un fenomeno più esteso e che le ragioni per le assenze era le più varie come andare a fare la spesa o al mercato,accompagnare i figli a scuola, partecipare a messe e funerali e in due casi per svolgere un altro lavoro: uno degli arrestati avrebbe aiutato la moglie nella tabaccheria di famiglia, un altro nel bar (sempre di proprietà) a pochi passi dallo stesso palazzo della Provincia. E’ emerso anche che le auto di servizio, anche quelle della polizia provinciale, venivano usate per spostamenti privati e commissioni di ogni genere. Quanto alle modalità delle assenze, succedeva che le missioni realmente commissionate dagli enti, anche fuori provincia, come sopralluoghi e riunioni, duravano sempre molte ore più del tempo effettivamente trascorso fuori per lavoro. Oppure i dipendenti coinvolti timbravano il cartellino per uscire a prendere un caffè, rimanevano nei paraggi pochi minuti poi timbravano nuovamente fingendo di essere tornati in ufficio mentre uscivano ancora, anche passando da porte secondarie, per stare fuori ore. Nel corso dell’inchiesta c’è stata anche una fuga di notizie, dopo un anno di indagini, sulle telecamere piazzate dai carabinieri negli uffici pubblici: alcuni dipendenti si sarebbero spaventati interrompendo le assenze (sono gli indagati non raggiunti da misura cautelare), altri avrebbero invece reiterato il reato per quasi un altro anno.

La Regione Toscana ha deliberato in una riunione tenuta questo pomeriggio che saranno licenziati senza preavviso i dipendenti regionali per i quali risultasse accertata la falsa attestazione della presenza in ufficio. Alcuni tra gli indagati, infatti, con il trasferimento di competenze dalle Province alle Regioni erano passati alle dipendenze dell’amministrazione regionale. I sindacati del pubblico impiego esprimono fiducia nella magistratura e affermano che si tratta di comportamenti, se confermati, “intollerabili” e “da condannare“.

mercoledì 30 novembre 2016

Furbetti del cartellino, nessuna salvezza dalla Consulta (a differenza di quanto dice Renzi). Ma pioveranno ricorsi. - Luisa Gaita

Furbetti del cartellino, nessuna salvezza dalla Consulta (a differenza di quanto dice Renzi). Ma pioveranno ricorsi

Dopo la decisione dei giudici supremi sulla legge Madia si è diffuso il timore che i provvedimenti contro gli assenteisti del settore pubblico potessero finire al macero. Ilfattoquotidiano.it ha interpellato diversi esperti. Secondo i quali tutti gli strumenti per licenziarli c'erano già. L'effetto può esserci però sui tempi e sull'incentivo a impugnare.

Nessuna salvezza per i fannulloni e furbetti del cartellino. Si potranno ancora licenziare, al contrario di quanto dichiara il premier Matteo Renzi. Intervistato da Barbara D’Urso a Domenica live 48 ore dopo il verdetto della Consulta sulla riforma Madia, il premier ha infatti lamentato che “la Corte costituzionale con una sentenza ci ha impedito di licenziare quelli che fanno i furbetti a timbrare il cartellino”. Non è proprio così. In questo ambito le problematiche conseguenti alla bocciatura da parte della Consulta di quattro articoli della legge delega della riforma Madia sulla Pubblica amministrazione sono principalmente legate ai ricorsi che è prevedibile fioccheranno da parte di dipendenti pubblici sospesi e licenziati con tempi e modalità dettate dal decreto legislativo 116 del 2016 diventato poi legge. Fra i sei decreti attuativi che derivano dalla legge delega ritenuta incostituzionale e travolti dalla sentenza 251 della Corte Costituzionale c’è infatti anche il cosiddetto decreto fannulloni che prevede la sospensione in 48 ore del dipendente pubblico colto sul fatto (nel caso del cartellino timbrato da un collega, la norma colpiva anche quest’ultimo), il blocco dello stipendio e il licenziamento entro 30 giorni. Che cosa accadrà, dunque, ai dipendenti pubblici colti in flagrante e già licenziati? La sentenza della Consulta rappresenta davvero un enorme passo indietro, un dramma nella lotta all’assenteismo oppure, in fin dei conti, non cambia poi molto? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ad alcuni esperti. Che concordano soprattutto su un punto: il decreto in questione non ribaltava in maniera così clamorosa la situazione precedente e, dunque, anche senza quello strumento le amministrazioni sono perfettamente in grado di licenziare i dipendenti infedeli. Nessun dramma.
IL CASO DI SIRACUSA. Eppure agli inizi di settembre la ministra della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, è stata la prima ad annunciare sui social ‘l’era del licenziamento sprint’ quando un’operazione della Guardia di Finanza ha portato a scoprire 29 dipendenti assenteisti del Libero consorzio comunale di Siracusa: “Si applica la riforma della Pa: licenziamento rapido a tutela di tutti i dipendenti onesti” sono state le sue parole. Nei 137 giorni presi in esame sono state documentate 1114 ore di assenze ingiustificate. Com’è finita? Diciannove lavoratori sono stati sospesi per due due mesi e, agli inizi di novembre (circa due mesi dopo il blitz ‘Quo vado’), ci sono stati i primi 4 licenziamenti dei dipendenti del Libero Consorzio di Siracusa, ex Provincia regionale. Un paio di giorni fa la stessa sorte è toccata a sei dipendenti di Siracusa Risorse, società partecipata dell’ex Provincia di Siracusa, sempre nell’ambito della stessa indagine.  Ora che cosa accadrà?
IL RITORNO AL PRE-RIFORMA. Secondo Lorenzo Zoppoli, ordinario di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ non c’è dubbio sul fatto che rimanga, nonostante la sentenza “la possibilità di licenziare il dipendente che viene colto in flagranza di infrazione perché non timbra il cartellino o non è puntuale, non l’ha certo introdotta la riforma Madia”. Cambiano i tempi, ma anche tutta la questione probatoria, il nodo della nozione di flagranza di comportamento di cui si è molto discusso in sede di approvazione e che non si è risolta in maniera pacifica e lineare. “I tempi sono infatti legati ad adempimenti e alla necessità di dare delle garanzie a chi viene incolpato di un certo comportamento” spiega Zoppoli. Discorso diverso sul fronte dei ricorsi: “È chiaro che la sentenza della consulta indebolisce i provvedimenti precedenti, ma non manda tutto al macero”. I ricorsi? “Rinunceranno solo i dipendenti che non ne trarrebbero convenienza e si tratta di casi piuttosto rari”. Qualcosa cambia con la sentenza della Consulta, ma che le regole ci fossero già dalla riforma Brunetta del 2009 e che alcune previsioni fossero state nel frattempo introdotte anche nei contratti collettivi di lavoro lo conferma anche Aurora Notarianni, avvocato specialista in Diritto del lavoro.
CHE COSA CAMBIA. “L’obbligo di avviare un procedimento disciplinare nel caso di un’alterazione (come il cartellino timbrato da un collega), per esempio, esisteva già” spiega l’avvocato. Dal punto di vista amministrativo, poi, era prevista anche la responsabilità di chi agevola, ma non quella del dirigente che si gira dall’altra parte. E se dal 13 luglio di quest’anno, data di entrata in vigore della legge, era possibile sospendere automaticamente (senza stipendio, salvo l’assegno alimentare), senza l’audizione del dipendente, ora il lavoratore colto in flagranza potrà essere sospeso, ma solo dopo essere stato sentito. Discorso a parte per i tempi di licenziamento che con la nuova legge erano ridotti a 30 giorni. “Succede che bisognerà seguire il vecchio iter – spiega Notarianni – che consente di scegliere se sospendere il procedimento in attesa dell’eventuale processo penale, oppure se concluderlo autonomamente”.
Le amministrazioni sceglievano spesso di sospenderlo (con i conseguenti ritardi) per una questione legata alla raccolta delle prove, a maggior ragione nei casi in cui l’accertamento era partito da una procura della Repubblica, con l’utilizzo di strumenti come le cimici, tanto per fare un esempio. “In ogni caso le regole sono sempre state chiare – spiega l’avvocato – il termine per la definizione del licenziamento è di 180 giorni e, se l’iter si sospende in attesa del procedimento penale, deve poi riprendere entro 60 giorni e concludersi entro 180”.
ROMAGNOLI: “GLI EFFETTI VENGONO STRUMENTALIZZATI”. Anche il giuslavorista Umberto Romagnoli, professore emerito di Diritto del lavoro dell’Università di Bologna sottolinea che “i licenziamenti nel settore pubblico si sono sempre potuti fare”. E va oltre: “Il problema è inventato, mi sembra che si strumentalizzino gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale e che si vogliano descrivere come molto più devastanti di quanto in effetti non siano”. Qualcosa cambia, però. I fannulloni sono salvi? “Ritengo sia una questione gonfiata ad arte per dimostrare che questo governo sta cambiando il Paese, mentre ci sono delle forze oscure che vogliono impedirlo”.

lunedì 5 gennaio 2015

La versione del vigile. - Alessandro Giglioli

Vigili assenti a Roma, Grillo: “Noi stiamo con loro. Accanimento pro Jobs act”

Un vigile urbano di Roma, visto il post di ieri e un po’ di polemiche che ne sono nate qui e sui social, mi ha inviato la sua versione sui fatti di Capodanno. Per timore di ritorsioni, mi ha chiesto di mantenerne l’anonimato. Qui si è naturalmente più che disponibili a pubblicare versioni diverse, se il sindaco o altre autorità vorranno contraddire questa interessante ricostruzione.

Gentile Alessandro Gilioli,
chi le scrive è uno dei circa 6000 agenti di Polizia municipale di Roma, non sindacalista. La ringrazio se attraverso il suo blog è possibile far sapere qualcosa di più su quanto avviene e avvenuto a Roma.

Il contesto.
È in atto a Roma un braccio di ferro tra il Comune e i propri 24.000 dipendenti. Oggetto della vertenza, il nuovo contratto decentrato che il Comune ha voluto imporre e che porterà tra le tante cose a perdite medie sugli stipendi comprese tra i 100-200 e i 400-500 euro. Parliamo di stipendi mediamente da 1200-1600 euro.
Questa rivoluzione contrattuale è stata ispirata alla legge Brunetta del 2009, che prima era rimasta inapplicata.
Le proteste dei dipendenti, tra cui il primo sciopero unitario della loro storia, ne hanno solo rallentato l’iter ma alla fine il piano è partito. A dicembre il livello dello scontro sui tavoli sindacali è diventato durissimo, ed è stato vissuto con trepidazione sui posti di lavoro: il Comune vuole, in sintesi, modificare le norme contrattuali in modo da imporre maggior flessibilità e disponibilità oraria, pagandola però molto meno. La controproposta dei sindacati, per una volta tutti uniti tra loro, è rimasta del tutto inascoltata. Sui posti di lavoro l’assenza di una reale trattativa ha generato un crescente malcontento.
I vigili.
Per portare a termine il suo fine ultimo, il Comune ha dovuto prendere saldamente in pugno la situazione soprattutto per quel che concerne i vigili, il contingente più numeroso e significativo (anche economicamente, sia in entrata che in uscita) tra i suoi dipendenti. La nostra battaglia è diventata il vero fulcro di tutta la questione contrattuale romana, che è poi in realtà nazionale (si noti a tal proposito i continui interventi di Renzi e della Madia).
Marino ha tra l’altro imposto il controllo politico totale del Corpo portando da subito alle dimissioni l’ex comandante Buttarelli, esponente interno della Polizia Municipale, per sostituirlo con il carabiniere Liporace (candidatura poi saltata per assenza dei requisiti) ed infine con l’ex Polizia di Stato Raffaele Clemente, che costa circa 170 mila euro.
La Polizia Locale a Roma dovrebbe avere 9.400 dipendenti e siamo meno di 6000. E alle proposte di diminuire gli stipendi sono state affiancate l’eliminazione delle indennità di disagio notturno e festivo; dunque lavorare di più e peggio per guadagnare meno.
Capodanno.
Nessuno ha sufficientemente spiegato come funziona normalmente il servizio di Capodanno per la Polizia Locale: necessitano infatti circa 700 unità, che di solito vengono reperite in forma esclusivamente straordinaria (comunque ben pagata, tant’è che mai simili problemi si erano verificati).
Il recente innalzarsi dei toni sui tavoli sindacali ha avuto come risultato da parte dei sindacati la decisione, quest’anno, di non iscriversi agli straordinari nel periodo compreso tra il 20 dicembre e il 15 gennaio: così quasi nessun vigile ha dato la propria disponibilità a lavorare in quel periodo al di fuori dei propri turni ordinari, con conseguente rinuncia ad una buona remunerazione aggiuntiva.
È un risultato del tutto nuovo: mai in passato i sindacati sono stati così uniti, e mai una forma di protesta di questo tipo (che incidesse cioè sul salario del dipendente, come la rinuncia ai turni straordinari) ha avuto adesioni così massicce.
Ad ogni modo, non garantire del lavoro straordinario è un diritto garantito da tutti i contratti collettivi.
In questa tesissima partita a scacchi è parso fin da subito evidente che fulcro decisivo sarebbe stato rappresentato dalla notte di Capodanno, in quanto reperire il numero di vigili necessario a garantire gli eventi organizzati dal Comune sarebbe stato impossibile in assenza del lavoro straordinario, date le carenze d’organico del Corpo.
La contromossa del Comune/Comando al rifiuto degli straordinari è stata su due binari: per via mediatica (cercando di far ricadere sull’irresponsabilità degli addetti al Corpo un eventuale disorganizzazione in qualche evento festivo), con articoli su tutta la stampa locale e nazionale, dai toni duri e talvolta apocalittici; e sui posti di lavoro, sabotando la corretta informazione sull’organizzazione dei servizi e facendo terrorismo psicologico sull’ipotetico utilizzo/abuso di chi fosse stato in servizio nei giorni clou.
I sindacati hanno tentato di scardinare tale meccanismo indicendo un’assemblea per il giorno 31 dicembre, con orario 21.00/03.00 e sperando in un’adesione massiccia: l’intento, palese, era di mettere in luce in una delle situazioni logisticamente più delicate per la città quanto i vigili fossero necessari al Comune, al contrario di quanto dimostrato dall’ente in sede di trattativa. Era una minaccia, forse un bluff, per costringere il Comune a recedere per primo almeno in parte dalle proprie posizioni.
Gli ultimi giorni di dicembre hanno visto così procedere senza sosta due treni messi l’uno di fronte all’altro sul medesimo binario: sui posti di lavoro era dura comprendere chi avrebbe frenato prima, e se qualcuno lo avrebbe poi realmente fatto o se si sarebbe realmente arrivati al violento scontro frontale.
Il Comando, anziché fare mezzo passo indietro, ha lavorato coi propri giuristi per rintracciare ogni limite contrattuale e di legge e obbligarci a fare in ordinario ciò che in straordinario non sarebbe stato coperto. Sono arrivate diffide dalla Prefettura (con forti richiami all’ordine pubblico da garantire); una lettera della commissione di Garanzia per gli scioperi, stimolata dal Comune; e altri interventi intimidatori per farci fare lo straordinario, sebbene questa non sia una prestazione dovuta.
Così alla fine i sindacati hanno rinunciato all’assemblea, anche in seguito a una minacciosa circolare del Comando in cui, citando le porzioni di legge a proprio favore, se ne chiedeva uno spostamento e si minacciavano sanzioni disciplinari pesanti a chi vi avesse aderito: sebbene legalmente non fosse chiaro quanto e se fosse davvero nel giusto, i sindacati hanno deciso di non fare l’assemblea, insomma hanno “frenato per primi”.
A quel punto, senza assemblea, i vigili sono rimasti fermi a capire come il Comune volesse comunque organizzare le cose, a Capodanno, viste le scarsissime adesioni allo straordinario.
La risposta è stata questa: oltre il 50 per cento di chi era di turno il giorno 31 o il giorno 1, anche se come propria turnazione era previsto di mattina o di pomeriggio (e in base a questo avesse organizzato la propria esistenza), si è ritrovato improvvisamente spostato in orario 17-24, 18-01 o 23-06.
Un abuso? Probabilmente sì, specie perché accompagnato da telefonate intimidatorie al personale poche ore prima (del tipo: “Se non ti presenti sarai punito disciplinarmente, anche i malati saranno denunciati” ecc).
Il risultato è stato che, in maniera del tutto spontanea e slegata da qualsiasi proposta sindacale, molti vigili hanno iniziato per conto proprio a studiare il proprio contratto e hanno scoperto di aver diritto da contratto, per esempio, a donare sangue in un giorno di lavoro o ad assistere il proprio parente infermo o a effettuare una visita medica: tutti istituti contrattuali regolari, previsti, ovviamente da esercitarsi con giustificativo a norma di legge.
Dunque, quale che sia la motivazione con cui questi diritti sono stati usufruiti (fosse anche vero l’intento di voler smascherare il Re Nudo), essi rappresentano un legale esercizio delle proprie facoltà, proprio quelle norme opposte impugnate a proprio favore dal Comando sulla base del medesimo dettato contrattuale per impedire l’assemblea e per spostare i turni.
E i malati? Ammalarsi falsamente, è chiaro, è invece reato (reato anche per il medico che scrive il falso, s’intende); dunque chi ha fatto esercizio di un simile pretesto per non andare a lavorare lo ha fatto non usufruendo di un proprio diritto ma “delinquendo”.
Aggiungo tuttavia che la maggior parte dei malati ha ricevuto regolare visita del medico fiscale.
E, soprattutto, veniamo ora ai numeri reali, quelli non detti dal Comune.
I vigili a Roma sono circa 6000, di questi la stragrande maggioranza (oltre 4000, forse quasi 5000) erano già assenti il 31 dicembre perché in precedenza regolarmente autorizzati (si fa perlopiù riferimento ai piani ferie e riposi che ogni dirigente vaglia, modifica e sottoscrive come in ogni posto di lavoro); io stesso ero in ferie e dunque assente giustificato.
Dei circa 1000 e spiccioli rimanenti, con cui il Comune/Comando sperava di fare “le nozze coi fichi secchi”, circa 800 erano gli assenti per altre ragioni al di fuori dalle ferie di cui sopra: il dato del cosiddetto «83% di assenteismo» deriva quindi da questo calcolo.
Di questi 800 circa, i dati circolati parlano di meno della metà di malati (tutti gli altri hanno usufruito di diritti contrattuali di altra natura), e più d’uno da ben prima che il 31 dicembre venisse imposto il “servizio coatto” in centro: il numero degli ipotetici fannulloni quindi scende in modo vertiginoso. Tra l’altro, se invece di limitarsi al dato del 31 dicembre ci si sposta a verificare il lavoro del primo gennaio, si scopre che degli oltre 300 previsti a lavorare nella fascia oraria fino alle 6 di mattina solo 115 sono venuti a mancare per le ragioni già spiegate (siamo intorno al 30-35% del totale, e circa la metà significa una cifra tra il 10 e il 20% di malati, cifra in linea con la stagione e con la situazione meteorologica cui sono stati costretti gli agenti a fine dicembre).
Un ultimo dato significativo a cui è stato dato pochissimo risalto: il ricorso all’istituto della reperibilità dal Comando per coprire i servizi del 31 dicembre.
Si tratta di un istituto per cui i dipendenti, suddivisi in squadre lavorative, devono farsi eventualmente trovare pronti ad intervenire quanto prima in caso di estrema necessità. Il dipendente riceve un’indennità a tal proposito, e viene poi pagato (ad ore, diciamo con le stesse modalità dello straordinario) nel caso in cui venga chiamato effettivamente a prestare servizio. E’ un istituto da usarsi solo per estreme emergenze, molto costoso una volta attivato per il Comune, e utilizzato in tempi recenti solo per una delle nevicate romane degli ultimi anni con Alemanno (ma non, per esempio, per l’alluvione del 31 gennaio 2014). E’ corretto averne fatto uso per un evento ampiamente programmabile e meglio gestibile, non di certo una calamità, come un concerto in piazza? O è stato costosamente utilizzato per far fronte alla disorganizzazione per cui si era fatto affidamento su lavoro non dovuto dei dipendenti, si erano sbagliati i piani ferie, il personale è sotto organico ecc?
Comico, poi, il fatto che siano stati erroneamente contattati anche dipendenti in pensione, trasferiti in altro Comune o addirittura deceduti: si è perso tempo che sarebbe stato prezioso nel caso di un’emergenza vera a causa di elenchi mal aggiornati, responsabilità imputabile a chi dirige il Corpo.

Cordiali saluti.

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Vigili assenti a Roma, Grillo: “Noi stiamo con loro. Accanimento pro Jobs act”

Il leader del Movimento 5 stelle sul blog pubblica la lettera di un poliziotto al quotidiano online Fanpage: "Vogliono distogliere l'attenzione da mafia capitale"
“Noi stiamo con i vigili”. Dopo le polemiche sui vigili urbani assenti a Capodanno a Roma, interviene Beppe Grillo pubblicando sul suo blog la lettera di un poliziotto al giornale online Fanpage che racconta la sua versione dei fatti. “Stop alla disinformazione”, scrive il leader del Movimento 5 stelle. “L’accanimento mediatico da parte del governo e dei giornali al suo servizio ha due obiettivi precisi: distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla vicenda di mafia capitale collusa con i politici del Comune (a proposito Marino e Poletti quando vi dimettete?), in secondo luogo criminalizzare una categoria sul piano mediatico per agire con misure sempre più restrittive nei confronti di una parte del pubblico impiego”.
Nella lettera del vigile urbano, si cercano di ridimensionare i numeri della polemica. “Per giustificare la disorganizzazione figlia della presunzione e dell’arroganza”, scrive il vigile, “non si è trovato di meglio che sparare cifre a capocchia sui malati. 835, come ripreso anche dal premier. Solo che in quel numero c’erano anche ferie, riposi, maternità, donazioni. Oggi si parla di 44 casi sospetti, non 835. Ma per estendere il Jobs act ai pubblici dipendenti 835 suona meglio. Anche evitare di parlare della protesta è meglio. Perché twittare dalla pista di Courmayeur è scomodo, bisogna essere sintetici”.
L’agente racconta poi i motivi sindacali per cui si è arrivati allo scontro con il Campidoglio. “Non vi raccontano”, si legge nella lettera, “che i vigili sono in agitazione, insieme agli altri comunali, da un mese. Non vi raccontano che Marino, mostrando insofferenza e un po’ di schifo verso la categoria, non si è mai presentato agli incontri con i sindacati. Non vi raccontano che dal primo gennaio è entrato in vigore un nuovo contratto, imposto unilateralmente che prevede riduzioni di stipendio per tutti, su un contratto fermo già da 8 anni”.
Prosegue il ‘j’accusè del vigile, fino ad arrivare alla notte incriminata, quella di San Silvestro con l’astensione in massa da lavoro. “I vigili hanno dichiarato che – spiega l’interessato – come forma di protesta avrebbero disertato la prestazione straordinaria volontaria di capodanno, anche perché sciopero ed assemblea non sono stati autorizzati. Non vi raccontano che ‘siccome i vigili si comprano con un caffè’, nessuno al comando ha preparato il servizio ordinario per il 31, nessuno ha sospeso richieste e riposi come prassi. Perché tanto i vigili verranno a frotte volontari, visto che la notte del 31 è ben pagata. Alla faccia dei sindacati”. E conclude: “Per la prima volta, i vigili hanno tenuto il punto, e le adesioni volontarie sono state zero. Così Campidoglio e comando si sono trovati, a poche ore dal capodanno, nel panico più totale, per colpa della loro schifosa arroganza.
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La lettera del vigile David:
La lettera del vigile David: “Per chi avesse voglia di conoscere la verità sui vigili brutti e cattivi”

David, un vigile urbano della Capitale, scrive a Fanpage per raccontare la sua verità sulla notte di Capodanno: "Per chi avesse voglia di conoscere la verità sui vigili brutti e cattivi, che non è quella che vi raccontano".
Per chi avesse voglia di conoscere la verità sui vigili brutti e cattivi, che non è quella che vi raccontano.
Non vi raccontano che i vigili sono in agitazione, insieme agli altri comunali, da un mese. Non vi raccontano che Marino, mostrando insofferenza e un po’ di schifo verso la categoria, non si è mai presentato agli incontri con i sindacati.
Non vi raccontano che dal primo gennaio è entrato in vigore un nuovo contratto, imposto unilateralmente che prevede riduzioni di stipendio per tutti, su un contratto fermo già da 8 anni.
Non vi raccontano che il vicesindaco Nieri, eletto con Sel, ha da subito manifestato una sorta di fastidio epidermico nell’incontrare i rappresentanti dei vigili. E che, all richiesta di un agente circa il perché di tanto accanimento, lui rispondeva su Facebook: “dovete imparare a nuotare in mezzo bicchiere d’acqua”.
E non vi raccontano che i vigili sono in agitazione perché il provvedimento anticorruzione voluto da Brunetta è stato recepito dall’amministrazione nel modo più estensivo e punitivo possibile. Non per i corrotti o i ladri, ma per tutti. E finora ha portato al trasferimento in altre sedi di persone integerrime, senza macchia alcuna, a pochi mesi dalla pensione. Con una cattiveria ed un cinismo unici.
Non vi raccontano, soprattutto, che i vigili hanno dichiarato che, come forma di protesta avrebbero disertato la prestazione straordinaria volontaria di Capodanno, anche perché sciopero ed assemblea non sono stati autorizzati.
Non vi raccontano che “siccome i vigili si comprano con un caffè” , nessuno al comando ha preparato il servizio ordinario per il 31, nessuno ha sospeso richieste e riposi come prassi. Perché tanto i vigili verranno a frotte volontari, visto che la notte del 31 è ben pagata. Alla faccia dei sindacati.
Ed invece, per la prima volta, i vigili hanno tenuto il punto, e le adesioni volontarie sono state 0 (leggi zero)
Così Campidoglio e comando si sono trovati, a poche ore dal capodanno, nel panico più totale, per colpa della loro schifosa arroganza. E per metterci una toppa hanno commesso ogni genere di sopruso, modificando arbitrariamente turni di lavoro, cercando di richiamare abusivamente in servizio gente in ferie o a riposo. Ed utilizzando la reperibilità, strumento utilizzabile solo per catastrofi. Per gestire un concerto. Dall’altra parte, ovviamente, ogni genere di resistenza, lecita e meno lecita, con ogni mezzo per difendersi da una serie di porcate mai viste.
E per giustificare questa disorganizzazione figlia della presunzione e dell‘arroganza, per giustificare l’aver tenuto le persone in servizio appiedato 19 ore, non si é trovato di meglio che sparare cifre a capocchia sui malati. 835, come ripreso anche dal premier. Solo che in quel numero c’erano anche ferie, riposi, maternità, donazioni. Oggi si parla di 44 casi sospetti, non 835. Ma per estendere il Jobs act ai pubblici dipendenti 835 suona meglio. Anche evitare di parlare della protesta è meglio.
C'è da dire, però, che quando si ha a che fare con disonesti bisogna usare prudenza e intelligenza; i vigili sono stati ingenui ed hanno prestato, con il loro comportamento, il fianco alle critiche della gente ed alle probabili punizioni delle amministrazioni.La contestazione si può manifestare in altri modi, uno fra i tanti, ed oserei dire il migliore, è quello manifesto e non violento. 
Loro si sono "assentati".