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domenica 7 marzo 2021

McKinsey&C., il ritorno del metodo Draghi. - Carlo Di Foggia

 

Recovery plan - Pd e FdI contro l’incarico ai colossi della consulenza, Orlando chiama Franco. Scenario che ricorda quello visto nella stagione delle privatizzazioni.

L’arruolamento di McKinsey sul Recovery plan imbarazza il governo e il ministero dell’Economia. La notizia che il gigante mondiale della consulenza aiuterà la cabina di regia insediata al Tesoro nel valutare i progetti da inserire nella versione finale del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) ha creato diversi malumori. Fratelli d’Italia, LeU e 5Stelle chiedono chiarimenti e presenteranno interrogazioni parlamentari per chiedere all’esecutivo di riferire alle Camere, ma anche il Pd è molto critico. “La governance del Pnrr è al Tesoro con la stretta collaborazione dei ministeri competenti aveva detto Draghi. Se lo schema è cambiato, va comunicato al Parlamento”, dice l’ex viceministro all’Economia, Antonio Misiani. Stessa linea dell’ex ministro per il Sud, Peppe Provenzano. “Se fosse vero sarebbe abbastanza grave”, dice Francesco Boccia. A quanto risulta al Fatto, il ministro del Lavoro e vicesegretario Pd Andrea Orlando ha chiamato ieri il titolare dell’Economia Daniele Franco per avere chiarimenti sul ruolo del colosso e ha chiesto un incontro quanto prima. Il centrodestra tace.

Nessuno sapeva dell’incarico, anche buona parte della tecnostruttura ministeriale era all’oscuro. Il Tesoro ieri ha spiegato in una nota che gli aspetti decisionali dei progetti restano in capo ai ministeri, ma la società avrà il compito di “elaborare uno studio sui piani nazionali Next Generation già predisposti dagli altri Paesi dell’Ue e fornire un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano”. Un incarico, se possibile, perfino più rilevante. Il contratto è però di 25 mila euro, soglia che non obbliga a fare una gara e nemmeno consultare altri concorrenti.

Lunedì Franco è atteso in audizione alle Camere dove sarà potrà chiarire diversi aspetti. I più critici puntano il dito sui guai del colosso (90 anni di storia, 10 miliardi di fatturato), che negli ultimi tempi è stato coinvolto in diversi scandali, dalla crisi dei farmaci oppioidi negli Usa (ha patteggiato una multa da 400 milioni), agli stretti legami con regimi autoritari come quello saudita di Mohammed bin Salman. McKinsey è stata poi arruolata da Macron per contribuire al piano vaccinale francese. Ma il discorso è più di sistema e riguarda il ruolo dei consulenti privati in una fase decisiva del piano che dovrà spendere 210 miliardi e regolare gli investimenti pubblici dei prossimi sei anni.

Appena insediatosi Draghi ha spiegato che il Pnrr lasciato dal governo Conte sarebbe stato rivisto dalla cabina di regia che coinvolge, tra gli altri, i ministeri della Transizione ecologica e di quella digitale. Il Parlamento sarebbe stato “informato costantemente”, ma le decisioni spettano a questa ristretta task force, supportata dai consulenti privati. McKinsey non è l’unico colosso coinvolto sul piano. Al lavoro ci sono anche i giganti della revisione come Ernest & Young e Pwc e il colosso Accenture, specializzato sul settore digitale (il capitolo vale il 20% dei fondi del Recovery). Molte delle “big four” (Kpmg, Deloitte, E&Y e Pwc) già lavorano con ministeri e Pa con appalti anche milionari. Stessa cosa vale per quelle della consulenza come Boston consulting, il cui managing director, Giuseppe Falco, sedeva nella task force presieduta da Vittorio Colao, oggi ministro della Transizione digitale ma cresciuto proprio in McKinsey, che avrebbe lavorato, insieme alle altre società, anche nella fase di redazione del famoso Piano Colao dell’estate scorsa, un embrione del Pnrr.

Di norma questi colossi lavorano nelle fasi preparatorie su singoli aspetti dei progetti, ora – ed è la vera novità del governo Draghi – vengono coinvolti nella fase più alta e finale delle decisioni, quella che conta. Si tratta di giganti con fatturati a sei zeri, i contratti poco onerosi per pagare i rimborsi spese mostrano che il vantaggio è di posizionamento: lavorare al più importante piano di investimenti pubblici degli ultimi decenni avendo accesso a un grande patrimonio informativo è il vero valore aggiunto di questi incarichi. Anche perché le grandi società lavorano soprattutto con i privati e i progetti vanno poi implementati e coinvolgeranno centinaia di imprese, dai grandi colossi alle Pmi.

D’altra parte l’uso esteso dei consulenti nelle grandi operazioni pubbliche che determinano le linee programmatiche per decenni è un po’ il modello Draghi da sempre, fin dalla grande stagione delle privatizzazioni di inizio anni 90, quando l’ex Bce – uno dei padri ideologici di quella fase – era direttore generale del Tesoro (lo diventa nel 1992 nel governo Ciampi). Un periodo in cui vennero assunti molti colossi in qualità di consulenti (“contractors”) per gestire le cessioni di pezzi dell’apparato industriale italiano, da Autostrade a Tim passando per l’Iri. Stando ai dati della Corte dei conti, per le 48 privatizzazioni direttamente effettuate dal Tesoro tra il 1994 e il 2008, si ricorse a 32 società a vario titolo (Advisor, Valutatore, Global coordinator, Intermediario) per un totale di 163 incarichi. Le operazioni di cessione dell’Iri furono 36, con dozzine di consulenti. Una lista che comprendeva i colossi del settore (Deloitte, Kpmg, E&y), ma anche società specializzate e numerose banche italiane ed estere, compresi i gruppi Usa Rotschild, Morgan Stanley e Goldman Sachs (che poi hanno aperto le porte ai dirigenti del Tesoro, lo stesso Draghi è finito poi in Goldman uscito dal ministero). Complessivamente, lo Stato spese per incarichi ai consulenti 2,2 miliardi di euro, quasi il 2% di quanto incassato dalle privatizzazioni (120 miliardi).

Analizzando i 15 anni di lavoro del “Comitato permanente di consulenza globale e di garanzia per le privatizzazioni”, dove Draghi sedette dal 1993 al 2002, in una corposa relazione la Corte dei conti nel 2012 ha stigmatizzato l’eccessivo ruolo riservato ai consulenti (“una cerchia alquanto ristretta”), accusando il comitato di essersi appiattito troppo sulle loro valutazioni generando spesso procedimenti caotici: “In alcuni dei casi esaminati – scrissero i magistrati contabili – si è avuta la conferma di una tendenza del Comitato ad avvalorare il parere già espresso dai consulenti dell’Amministrazione, finendo con l’assumere un ruolo quasi formale, senza svolgere sempre quella funzione incisiva di indirizzo che il quadro normativo gli attribuisce”.

Vale la pena di ricordare che oggi la partita del Recovery coinvolge le grandi partecipate statali e ammonta a 210 miliardi di euro. Il 2% stavolta varrebbe quattro miliardi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/07/mckinseyc-il-ritorno-del-metodo-draghi/6125004/


martedì 24 novembre 2020

Le speculazioni di mia zia e della sua vicina di casa: le gatte di Wall Street. - Daniele Luttazzi

 

Mia zia e la sua vicina, una borgatara che si dà delle gran arie e parla con un accento straniero, come se venisse da qualche parte, sono in buoni rapporti diretti, ma nemiche sul piano finanziario, dove tentano di affermare la propria egemonia attraverso le loro società di revisione: una legge demenziale le autorizza a controllare i bilanci delle società cui fanno consulenza, con conflitti di interesse che sono giganteschi quanto i loro ricavi. Il bello è che non solo non debbono mai rispondere dei loro errori, ma più sbagliano più guadagnano, la classica gallina dalle uova sode. Le multe? Ridicole, dunque convenienti.

Mia zia, che per le sue speculazioni al ribasso viene chiamata la Samara di Wall Street, mi illustra la regola del tre: “Se leggi tre volte il bilancio di una società e non riesci ancora a capire come fanno i soldi, di solito c’è trippa per gatti. Noi siamo i gatti”. Vent’anni fa, zia fu tra i pochi a scommettere sul crollo della Enron, il gigante Usa dell’energia, in apparenza solidissimo, e guadagnò una fortuna quando la Enron implose in un gigantesco scandalo contabile. La società di revisione, di proprietà della vicina, chiuse i battenti. “La Enron derubò la banca”, dice zia, con una nota di sherry nell’alito, “ma la società della vicina fece da palo e fornì la mappa delle fognature”. Da allora, fra la zia e la vicina è in corso una guerra senza quartiere: in due, controllano la stragrande parte del business mondiale della revisione dei bilanci societari. In Italia si dividono l’88 per cento del mercato (ricavi per un miliardo all’anno, multe Consob per 2 milioni e mezzo in sei anni: una pacchia). Anche se avevano l’obbligo di farlo, non hanno visto i buchi di Parmalat, Cirio, Giacomelli, Italease, Carige, Banca Etruria, Banca Marche, Popolare di Vicenza, Mps e Popolare di Bari. Del resto, nel Cenacolo di Leonardo, solo dopo che ti hanno detto chi è Giuda gli vedi una faccia da canaglia.

Comunque, anche se due milioni di risparmiatori hanno perso un centinaio di miliardi, e fioccano i ricorsi, la zia e la vicina restano sulla cresta dell’onda. In Germania, per esempio, la società della vicina non s’è accorta dei trucchi contabili di Wirecard, il gigante dei pagamenti digitali che è finito in bancarotta dopo la scoperta dell’ammanco di 1,9 miliardi di liquidità nei suoi conti bancari; ma la vicina ha ottenuto lo stesso, dal prossimo anno, la revisione di 7 delle principali società tedesche quotate. “La supervisione europea è lenta, non ha risorse, e non è coordinata”, mi spiega zia, mentre le ciuccio le poppe (è ancora una strafiga, e facciamo sesso da quando mi svezzò, fra lenzuola ruvide, ma immacolate, in una casa colonica circondata da ortiche: avevo 15 anni, lei aveva appena cambiato sesso; fu indimenticabile, come la prima volta che vidi Shining) “cosicché i nostri pastrocchi passano spesso inosservati. Gli Stati potrebbero dotarsi di un proprio organo di revisione, ma non lo fanno. Che idioti!”. Nel 2015, zia e vicina misero da parte i dissapori per creare il cartello con cui conquistarono un maxi-appalto Consip da 66,5 milioni di euro, spartendosene i lotti. Multa dell’Antitrust: solo 23 milioni. Quanto fatturano con la pubblica amministrazione italiana? 300 milioni. L’anno prossimo ci sarà un nuovo appalto per altri cinque anni. “Tu e la vicina parteciperete di nuovo, zia?”. “Secondo te?”.

Ultim’ora. Da domenica prossima, cambia il Padre Nostro: il versetto “non indurci in tentazione” diventa “non abbandonarci alla tentazione”; e “ma liberaci dal male” diventa “ma da quando ci sei Tu, tutto questo non c’è più”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/24/le-speculazioni-di-mia-zia-e-della-sua-vicina-di-casa-le-gatte-di-wall-street/6014221/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-11-24

giovedì 15 ottobre 2020

La figlia di Fontana e le tre consulenze per gli ospedali. - Davide Milosa

 

Vertici scelti dal papà.

Ieri i camici al cognato, oggi le consulenze alla figlia. Per il presidente Attilio Fontana i guai sembrano non finire. Sul tavolo, incarichi dati da due ospedali pubblici di Milano all’avvocato Maria Cristina Fontana, figlia del governatore lombardo la cui giunta decide le nomine dei direttori generali nelle strutture sanitarie. E così dopo l’affidamento diretto per mezzo milione ad Andrea Dini e dopo il caso dell’ex consigliere regionale Luca Marsico, già ex collega dello studio legale di Fontana che, come emerso dall’inchiesta Mensa dei poveri, fu nominato nella commissione regionale del Nucleo di valutazione degli investimenti, la storia sembra ripetersi. Nel caso Marsico, Fontana è stato indagato per abuso d’ufficio, accusa archiviata su richiesta della Procura di Milano. In quella dei camici è accusato di frode in pubbliche forniture. Ecco allora la nuova storia che a oggi nulla ha di illegale. Dagli atti dell’ospedale Sacco e dell’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) Milano nord che comprende gli ospedali di Cinisello Balsamo e di Sesto San Giovanni emergono tre consulenze affidate all’avvocato Maria Cristina Fontana.

Dalla metà del 2018 la figlia di Fontana è titolare dello studio dopo che il padre, eletto governatore, si è dimesso. A oggi, va detto subito, la vicenda non ha rilievo penale. Resta invece il rilievo politico e di trasparenza. Tra il 6 e il 20 settembre 2018, con Fontana presidente, l’area affari legali dell’Asst Milano nord affida all’avvocato Maria Cristina Fontana due incarichi professionali. Il primo inizia il 6 settembre e viene pagato 6.383 euro. Il secondo è del 20 settembre. Stessa voce: incarico professionale, ma nessun riferimento al costo che, si comprende dall’atto, viene pagato da una delle compagnie assicurative dell’ospedale. In quel settembre, Fontana è già governatore (il mandato inizia il 26 marzo) e sulla poltrona di direttore generale dell’Asst Milano nord siede Fulvio Odinolfi nominato dalla giunta di Bobo Maroni. La cronologia prosegue con un documento dell’ospedale Sacco di Milano, diventato noto a livello mondiale dopo l’inizio della pandemia. Qui il direttore generale è Alessandro Visconti nominato a inizio del 2019 da Fontana. Nomina di cui la Procura chiede conto al presidente durante l’interrogatorio per l’inchiesta Mensa dei poveri. In quel caso il governatore conferma la nomina, ma spiega la scelta non dal punto di vista dell’appartenenza politica ma delle capacità professionali. Maria Cristina Fontana sotto la direzione di Visconti ottiene una consulenza dal Sacco. Il documento è del 31 gennaio 2019.

Nell’oggetto si legge: “Costituzione nel giudizio promosso inanzi al tribunale di Milano (…) e conferimento dell’incarico a difesa dell’ente all’avvocato Maria Cristina Fontana”. Costo della consulenza pagata dal Sacco: 5.836 euro. Cifra che sommata alla precedente del 2018 porta a un totale di 12.246 euro pagati da due ospedali pubblici alla figlia del governatore, il quale decide sulle nomine dei direttori generali. Dal Sacco si torna all’Asst Milano nord, è il 29 aprile scorso. Qui il dg, dopo il valzer delle nomine di fine 2018, è la dottoressa Elisabetta Fabbrini. Il documento firmato anche dal dg è la delibera 284 che segue un verbale del 27 aprile della Commissione per la valutazione delle domande di iscrizione all’elenco degli avvocati esterni agli enti. I nomi dei legali vengono divisi per categorie. In due, quella fallimentare e quella sulla medical malpractice, compare l’avvocato Maria Cristina Fontana. Qui non vi sono costi perché le consulenze saranno affidate solo se l’ente ne avrà necessità.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/15/la-figlia-di-fontana-e-le-tre-consulenze-per-gli-ospedali/5966578/?fbclid=IwAR23eiR3bbZkdTVmrJBc_fRRxxPRLY4p3-yiono8JQIXlX99WqTULo0Bg0M

sabato 18 luglio 2020

Come farsi pagare per ricevere una consulenza anziché fornirla. - Giorgio Gandola – la Verità


Sandro Gozi ha spiegato la sua presenza in una foto accanto ad ...

Farsi pagare per ricevere una consulenza anziché fornirla è una magia da fuoriclasse del ramo, peraltro in linea con il prestigio di Sandro Gozi. Il paradosso è contenuto nel decreto di archiviazione del caso San Marino, vicenda giudiziaria legata a presunte prestazioni fantasma e finita su un binario morto perché la magistratura della piccola repubblica non è riuscita a dimostrare condotte penalmente rilevanti da parte del poliedrico politico prodiano, veltroniano, Ignazio mariniano, renziano, macroniano, muscatiano (nel senso del premier di Malta), da sempre impegnato in un interminabile Erasmus all’estero.
Nel fascicolo archiviato, come messaggi in bottiglia lanciati da un’isola deserta, galleggiano però considerazioni curiose degli inquirenti. Per esempio che «la pretesa consulenza ad ampio spettro non ebbe alcuna estrinsecazione concreta. Il consulente ricevette (e non fornì) indicazioni, valutazioni strategiche, relazioni e documenti». Bello sapere che esiste un mondo al contrario, dove Gozi incassava una parcella di 10.000 euro al mese per avere supporto dal cliente invece che offrirlo.
La storia è semplice e ruota attorno all’inchiesta della magistratura sammarinese partita da un esposto che denunciava una consulenza fantasma di 220.000 euro a beneficio di Gozi da parte della Bcsm (la banca centrale di San Marino); il motivo doveva essere «l’adeguamento normativo per armonizzare i rapporti con Unione europea e istituzioni estere». Sotto inchiesta era finita (poi archiviata) anche la presidente dell’istituto Catia Tomasetti, 56 anni, di Rimini.
Famiglia storicamente di sinistra (il padre è stato il tesoriere del Pci della città), ha costruito la sua carriera nelle aziende e nella finanza. Avvocato del ramo finanziario nello studio Bonelli Erede, prima di guidare la banca centrale di San Marino è stata presidente di Acea e consulente di Terna. Dopo due anni di indagini, il Commissario della legge ha ritenuto che non emergesse alcuna condotta rilevante a loro carico, ma in tempi di reputation anche i comportamenti hanno il loro peso, soprattutto politico.
Così il sito d’informazione di San Marino, Libertas, è andato a spulciare il decreto di archiviazione e ha scoperto dettagli interessanti. Emerge dalle carte che il gran visir di Matteo Renzi si era proposto tempo addietro all’allora segretario di Stato alle Finanze, Simone Celli, come consulente strategico del governo per il negoziato sull’Accordo di associazione con la Ue.
La proposta fu bocciata da segretario agli Esteri Nicola Renzi che «non ritenne opportuna una consulenza di un ex esponente del governo italiano», quindi da tutto l’esecutivo del principato. Gozi ha ottenuto comunque una consulenza definita ad ampio spettro, di sicuro impressionista nella concretizzazione. Come scrive Libertas – L’informazione di San Marino dopo aver letto il decreto d’archiviazione, «fu anzi la struttura di Bcsm ad elaborare gli interventi e a predisporre i documenti che Gozi riceveva nell’imminenza di un appuntamento e che poi esponeva come se fossero stati da lui elaborati».
E ancora: «Gozi telefonava alla struttura di Banca Centrale con una certa frequenza per chiedere aggiornamenti sullo stadio della trattativa e, in generale, per informarsi su tutto ciò che Banca Centrale stesse facendo. Chiedeva di avere aggiornamenti e che gli fossero inoltrati i documenti che Banca Centrale aveva ricevuto dalla segreteria Affari Esteri». Insomma, secondo gli investigatori le dritte a pagamento se le faceva dare lui. Sapendo che l’interessato poliglotta coglie al volo: toujours perdrix.Sandro Gozi è un politico eclettico, romagnolo doc, 52 anni passati dentro i palazzi dell’amministrazione, soprattutto europea.
Bruxelles non ha segreti per lui, uomo d’apparato della casta globalista dai tempi di Romano Prodi presidente della Commissione, poi discepolo di ogni leader della sinistra riformista, sottosegretario agli Affari europei con Renzi e Gentiloni. Tutto questo prima dello sbarco in Francia, folgorato sulla via di Emmanuel Macron. Egualmente affezionato della Leopolda, quando il senatore di Scandicci ha fondato Italia viva, si è tuffato e adesso nuota senza far rumore.
Le consulenze sono il suo forte, non solo a San Marino. L’anno scorso ha suscitato polemiche un incarico ottenuto dall’ex premier maltese Joseph Muscat sulla gestione dei flussi migratori, al centro di un’inchiesta di Le Monde e di The Times of Malta. Non è passata sotto silenzio neppure la scelta di proporsi come consulente per gli Affari europei all’ex premier francese Eduard Philippe, con automatica accusa di tradimento dell’Italia. Cosa incomprensibile per lui, grand commis di Bruxelles per il quale gli Stati nazionali sono un cascame del ‘900.
Ora sul monte Titano la partita giudiziaria è chiusa, ma il passaggio di Gozi a livello politico-diplomatico non deve aver lasciato ricordi indelebili. «Non dava la sensazione di conoscere la situazione sammarinese in relazione ai rapporti tra San Marino e l’Unione europea. Non aveva contezza del problema relativo, ad esempio, al recepimento delle direttive e dei regolamenti comunitari. Sicuramente era più propenso alle pubbliche relazioni».
Alcune frasi del provvedimento di archiviazione riportate dal sito Libertas – L’informazione di San Marino, mostrano una leggiadra ferocia. Il giudice sottolinea come fosse la Banca Centrale a fornire indicazioni, ragguagli, relazioni e documenti sui quali Gozi «esprimeva sintetiche valutazioni». E conclude con un giudizio negativo dell’apporto dell’abbronzato consulente planetario: «Appare indubitabile che l’incarico di consulenza sia rimasto inattuato». Ma la bocciatura professionale non è reato.

venerdì 5 aprile 2013

Crocetta denuncia le consulenze d’oro di Serit: “10 milioni all’anno”. - Claudio Porcasi

crocetta serit e social trinacria


A sorpresa, nel primo pomeriggio di oggi, Rosario Crocetta convoca una conferenza stampa relativa a “comunicazioni importanti” su Serit Sicilia e Social Trinacria.
Il governatore, che incontra i giornalisti nella Sala degli Specchi di Palazzo d’Orléans, esordisce commentando l’approvazione della legge sulla doppia preferenza. “Non si può gridare all’inciucio dopo l’esito del voto di ieri – puntualizza Crocetta -. I grillini hanno perso un’occasione. Il modello Sicilia è questo. Vogliamo essere la prima Regione d’Italia a introdurre il voto elettronico dopo quello sulla doppia preferenza di genere per eliminare il problema del controllo dei voti di preferenza”.
Poi, si passa alla ‘difficile’ situazione di Serit.
Serit – dichiara il governatore – ha uno scoperto bancario di 160 milioni di euro con Monte dei Paschi. La Serit, da quando Montepaschi è uscita dalla società di riscossione siciliana, paga un mutuo con un rateo annuo di 20 milioni alla banca toscana. Mi ha colpito, scorrendo le carte, notare che Serit ha inoltre affidato 400 incarichi per 10 milioni all’anno a soli tre professionisti. Come se non bastasse per 15 anni è stati erogati circa 1 milione e 300mila euro di euro all’anno per consulenze legali a uno studio di Palermo. Inoltre il servizio di riscossione costa alla Serit 12 milioni all’anno. Un fiume di denaro ingiustificato”.
In merito a Social Trinacria Onlus, Crocetta non le manda certo ‘a dire’ e presenta la sua visione di una piena emergenza lavorativa che coinvolge oltre 3.000 persone: “I lavoratori di Social Trinacria – dice il presidente della Regione – sono gli auto flagellanti, che percorrono in corteo spesso le vie di Palermo. La situazione attuale è che sono pagati regolarmente. Prendono il doppio di quanto dovrebbero, dal momento che a loro spetterebbe solo un sussidio di disoccupazione. Non c’è nessuna traccia formale del legame tra Social Trinacria e la Regione. Non vi è traccia del patrocinio. Motivo per cui si potrebbe configurare il reato di millantato credito. E ancora: “La legge prevedeva un sussidio invece di fatto una Onlus pagata dalla Regione ha assunto 3500 persone senza un criterio. Non sappiamo nemmeno cosa fanno questi lavoratori della Social Trinacria. Sia chiaro che per me ci sono i poveri e basta. Non quelli che fanno comodo alla politica per far vincere le elezioni”.
Il presidente annuncia poi di aver presentato, sia per Social Trinacria che per Serit, un esposto alla Procura della Corte dei Conti e alla Procura antimafia.
In merito alla notizia, circolata ieri, di una probabile offerta di Crocetta ad Antonio Ingroia della poltrona di dirigente dell’ufficio di Presidenza della Regione siciliana a Roma, il governatore chiarisce: “Con Ingroia beviamo tanti caffè e basta”.
Crocetta, infine, a margine della conferenza stampa, rivolge invece parole rassicuranti nei confronti dei lavoratori dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese e dell’indotto industriale che hanno manifestato oggi per le vie di Palermo insieme ai dipendenti della Keller di Carini e anche davanti alla presidenza della Regione. “Stiamo lavorando per trovare una soluzione sia per i lavoratori dell’ex stabilimento Fiat si per quelli della Keller – spiega il governatore. – Certo l’assenza di un governo nazionale stabile con cui confrontarsi non rende agevole il nostro lavoro”.
Intanto il presidente Crocetta sta per ricevere i lavoratori ex Pip e Social Trinacria con una delegazione sindacale. I sindacati chiedono chiarezza sulle accuse mosse dal governatore nel corso della conferenza stampa e sul futuro dei lavoratori.