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sabato 12 febbraio 2022

Le tre cose che il M5s doveva fare. E non ha fatto. - Jacopo Fo

 

Il M5S ha perso più di metà del suo elettorato e decine di parlamentari e ora si trova dilaniato, con Luigi Di Maio che attacca Giuseppe Conte e un generale stato di confusione, delusione e depressione. Cosa non ha funzionato?

Al convegno di fondazione delle Liste Civiche, 12 anni fa, fui invitato da Beppe Grillo a parlare. In un intervento applauditissimo posi due questioni: quella della formazione dei dirigenti e quella della selezione dei candidati alle elezioni. Proposi che solo i militanti che erano riusciti a organizzare delle iniziative pratiche vincenti nella loro città potessero candidarsi, sennò si rischiava di fare eleggere quelli che parlano bene e non sono capaci di fare niente di concreto. E ricordai che la storia è piena di movimenti che sono morti perché quelli bravi solo a far andare la bocca avevano preso il potere (qui il mio intervento: Prima parteSeconda parte).

Disgraziatamente avevo ragione: il disastro di oggi parte dall’incapacità di formare con vere scuole i candidati e dall’incapacità di selezionare i più capaci. Certamente abbiamo eletto alcuni parlamentari e sindaci bravissimi, ma è anche indubbio che in Parlamento sono finite anche persone che non erano proprio all’altezza. E si sa, quelli con poca cultura sono a volte bravissimi a sembrare capaci e lungimiranti. E a volte si convincono di essere Dio e vogliono contemporaneamente fare il capo del movimento e gestire due ministeri.

Il reddito di cittadinanza è stata una grande istituzione che ha tolto dalla miseria un numero enorme di famiglie. Ma si poteva farla un po’ meglio… alcuni dettagli hanno ridotto l’efficienza del sistema, aperto le porte ai furbetti e buttato i poveri navigator allo sbaraglio.

La seconda questione riguarda la capacità di sfruttare tutte le opportunità per fare gli interessi della gente. Durante il primo governo 5Stelle, io e alcuni amici ci rendemmo conto che c’era una risorsa enorme male utilizzata: Invitalia aveva in cassa più di un miliardo di euro per finanziare start up giovanili ma riusciva a spendere meno di 100 milioni all’anno. Questo perché pochi sapevano di questa opportunità e perché redigere un progetto per ottenere il finanziamento era difficile. Proponemmo semplicemente di replicare il modello che aveva avuto straordinario successo in Francia: avevano organizzato una flotta di pulmini arancioni, con a bordo una squadra di consulenti che giravano per i piccoli centri e le periferie, informando i giovani e aiutandoli a fare i progetti per ottenere i finanziamenti pubblici. E proponemmo anche di aiutare chi riceveva il finanziamento durante il primo anno, fornendo consulenze gratuite in modo tale da aumentare le probabilità di successo.

La nostra proposta fu accolta con grande favore da parecchi parlamentari del M5S, e in particolare quelli della commissione industria del Senato, presieduta da Gianni Girotto, e ricevemmo l’incarico di incontrare i vertici di Invitalia che si dimostrarono molto favorevoli all’iniziativa. Anche la ministra Barbara Lezzi era molto favorevole, anche perché non si trattava di stanziare fondi ma di utilizzare quelli già assegnati per promuovere l’attività di Invitalia. Incontrai brevemente anche Di Maio, che conoscevo, che mi disse: “Molto interessante, ti telefono lunedì”. Non mi telefonò, ma arrivammo comunque alla giornata fatidica nella quale dare inizio all’opera con una squadra di esperti di comunicazione e di formazione e consulenti aziendali di grande esperienza. Il progetto prevedeva anche una serie di concerti nelle maggiori città del sud per far conoscere questa grande opportunità offerta ai giovani. I tempi erano pure perfetti perché i primi 50 pulmini e 200 consulenti sarebbero stati attivi due mesi prima delle elezioni europee. Il che non avrebbe guastato.

Poi improvvisamente il meccanismo si inceppò. La ministra Lezzi alla fine ci ricevette per sette minuti comunicandoci che non se ne faceva niente. Negli ambienti del parlamento si mormorava che Di Maio avesse bloccato tutto perché Invitalia era una creatura voluta dal Partito Democratico e bisognava distruggere tutto quello che era targato Pd e non farlo funzionare meglio. Non so se sia vero, ma i fatti dimostrano che qualche cosa del genere deve essere passata per la testa di qualcuno nel cerchio magico del M5S. Le elezioni europee furono il disastro che sappiamo.

L’altra questione drammatica è stata la comunicazione. Credo che pochi militanti del M5S sappiano che tra Camera, Senato e Presidenza del Consiglio il M5S aveva più di 200 esperti della comunicazione pagati il giusto a spese dello Stato. Io con 200 esperti ci faccio un quotidiano, una radio, una tv e incontri con la gente in tutta Italia. Loro riuscirono a scrivere un po’ di comunicati stampa e organizzare qualche comparsata in tv. A un certo punto venni chiamato dai membri del 5 Stelle della commissione Sanità di Camera e Senato e da altri parlamentari che mi chiesero qualche idea per rianimare la comunicazione del Movimento.

Mi offrii di realizzare, del tutto gratuitamente, pagando io operatori e montaggio, una serie di spot. Ad esempio, proposi di girarne uno nel quale la ministra della Sanità Giulia Grillo entrava in farmacia, comprava delle aspirine e poi si stupiva perché il prezzo è più del doppio di quel che si paga in Francia. È così per gran parte delle medicine da banco che arrivano a costare fino a cinque volte di più che in altri paesi europei. Un altro spot riguardava l’eccessivo uso di antibiotici e i rischi conseguenti. E poi ce n’era uno nel quale la ministra entrava in una casa di giovani sposi con figli e vedeva che vicino alla culla c’era un erogatore di insetticida acceso; allora la ministra spiegava che bisogna areare i locali dopo aver fatto funzionare l’erogatore e non bisogna tenerlo acceso quando si è in casa. L’idea era che la Grillo lanciasse una serie di spot che informavano i cittadini su questioni di base relative alla salute e agli sprechi del sistema sanitario italiano.

Mi pareva che molte trasmissioni televisive l’avrebbero invitata a parlare e avrebbero trasmesso gratis i suoi spot. Cioè avremmo fatto una campagna di informazione sanitaria a costo zero per lo Stato… insomma mi pareva che avremmo fatto una gran bella figura!

Esposi la mia proposta alla Grillo, durante un’intervista sulla sua geniale idea di tagliare i costi delle medicine organizzando aste per comprarle a livello nazionale ed europeo, ottenendo un risparmio di più di cinque miliardi all’anno per le casse dello Stato. Mi parve che la proposta le piacesse. Incontrai quindi una, non eletta, capa della comunicazione del M5S e le raccontai la mia idea; lei mi interruppe, balzò in piedi colpendo il tavolo con entrambe le mani aperte producendo un gran fragore e proferì alterata le seguenti parole: “Sei pazzo! Noi siamo al governo, non facciamo queste cose!”.

Le dissi che se non le avessero fatte non sarebbero riusciti a comunicare con la gente e le ricordai che erano al governo perché Beppe Grillo aveva realizzato una comunicazione divertente e fuori dagli schemi, tipo attraversare lo Stretto di Messina a nuoto. La riunione fu troncata e della mia proposta non si fece più niente.

Questi sono solo alcuni esempi del tipo di proposte che ho fatto ai vertici del M5S e che non sono andate da nessuna parte. Poi ho smesso. Il M5S ha ottenuto grandi risultati nell’interesse degli italiani. Ma non è stato in grado di raccontarli, non è stato in grado di usare molte grandi opportunità che si potevano sfruttare a costo zero; e non è stato in grado di selezionare i suoi leader in modo sensato. Ha ancora possibilità di risollevarsi? Credo di sì, ma serve cambiare logica.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/11/le-tre-cose-che-il-m5s-doveva-fare-e-non-ha-fatto/6489409/?fbclid=IwAR2IHi0JlPOGh8gmdhSfzUYXdWQ8Uai0qt9--GgECiO5EyB6WyZKwp3BuqI#

giovedì 25 marzo 2021

Covid, un farmaco intrappola il virus bloccandone la diffusione.

 

Già usato nell'uomo, può essere sperimentato rapidamente.


E' possibile intrappolare il virus SarsCoV2 impedendogli di uscire dalle cellule infettate per diffondersi a tutti i tessuti del corpo: questo grazie a un composto naturale e ben tollerato dall'organismo umano, chiamato I3C (Indolo-3 Carbinolo), che nei primi test in provetta si è dimostrato capace di inibire gli enzimi che favoriscono l'evasione del virus. Il prodotto è già utilizzato per altri trattamenti e dunque potrebbe essere avviato rapidamente ai test clinici contro la Covid-19. Lo indica lo studio pubblicato sulla rivista Cell Death & Disease da un gruppo internazionale coordinato dai genetisti Giuseppe Novelli (Università di Tor Vergata, Università del Nevada) e Pier Paolo Pandolfi (Università di Torino, Università del Nevada).

Allo studio, cofinanziato dalla Fondazione Roma, hanno collaborato anche l'Ospedale Bambino Gesù di Roma, l'Istituto Spallanzani e l'Università San Raffaele di Roma, insieme a diverse istituzioni americane (Harvard, Yale, Rockfeller, NIH, Mount Sinai, Boston University), canadesi (Università di Toronto) e francesi (INSERM Parigi, Hopital Avicenne).

I ricercatori hanno identificato una classe di enzimi (E3-ubiquitin ligasi) che servono al virus SarsCoV2 per uscire dalle cellule infettate e diffondersi a tutti i tessuti dell'organismo: questi enzimi sono espressi a livelli elevati nei polmoni dei pazienti Covid e in altri tessuti infettati dal virus. In un sottogruppo di pazienti gravi sono state identificate anche delle alterazioni genetiche rare che aumentano l'attività degli enzimi favorendo l'evasione del virus infettante.

Test in vitro hanno dimostrato che questo processo può essere bloccato con il composto I3C, che dunque si candida a essere usato come antivirale da solo o in combinazione con altre terapie.

"Dobbiamo testare il farmaco in studi clinici con pazienti Covid-19 per valutare rigorosamente se può prevenire la manifestazione di sintomi gravi e potenzialmente fatali", sottolinea Novelli. "Avere opzioni per il trattamento, in particolare per i pazienti che non possono essere vaccinati, è di fondamentale importanza per salvare sempre più vite umane e contribuire a una migliore condizione e gestione della salute pubblica".

"Dobbiamo pensare a lungo termine", aggiunge Pandolfi. "I vaccini, pur essendo molto efficaci, potrebbero non esserlo più in futuro, perché il virus muta, e quindi è necessario disporre di più armi per combatterlo". In futuro "sarà importante valutare se I3C possa anche ridurre le gravissime complicazioni cliniche che molti pazienti sperimentano dopo aver superato la fase acuta dell'infezione. Questo rappresenterà un grave problema negli anni a venire, che dovremo gestire".

ANSA

giovedì 19 marzo 2020

Perché l’inquinamento da Pm10 può agevolare la diffusione del virus. - M. Cristina Ceresa

Reuters

Le correlazioni vengono al pettine: l'inquinamento, soprattutto quello atmosferico, potrebbe aver preparato il terreno al Coronavirus e alla sua diffusione. Quantomeno i dati evidenziano una relazione tra i superamenti dei limiti di legge per il Pm10 e il numero di casi infetti da Covid-19.

Lo dimostra uno studio curato da una dozzina di ricercatori italiani e medici della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima). Leonardo Setti dell'Università di Bologna e Gianluigi de Gennaro dell'Università di Bari hanno passato gli ultimi venti giorni sui dati registrati nel periodo tra il 10 e il 29 febbraio e li hanno incrociati: da una parte quelli provenienti dalle centraline di rilevamento delle Arpa, le agenzie regionali per la protezione ambientale, dall'altra i dati del contagio da Covid19 riportati dalla Protezione Civile, aggiornati al 3 marzo, lasso temporale necessario considerando il ritardo temporale intermedio di 14 giorni pari al tempo di incubazione del virus. La conclusione è che si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 e PM2,5 e il numero di casi infetti da Covid-19.

La Pianura padana è in codice rosso anche nello studio: qui si sono osservate le curve di espansione dell’infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale, in evidente coincidenza, a distanza di due settimane, con le più elevate concentrazioni di particolato atmosferico.

Il Pm10 avrebbe, secondo la ricerca, esercitato un'azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell'epidemia. Leonardo Setti lo mette in luce: «Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura padana hanno prodotto un'accelerazione alla diffusione del Covid19. L'effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai».

Potrebbe quindi essere questo uno dei motivi per cui la Pianura padana, rispetto alle altre zone d'Italia, ha cullato il virus in maniera più concentrata. A questo proposito è emblematico il caso di Roma, in cui la presenza di contagi era già manifesta negli stessi giorni delle regioni padane senza però innescare un fenomeno così virulento. Brescia è tra le città più colpite per inquinamento e caso di focolai di Coronavirus.

L'idea che l'inquinamento da Pm10 sia facilitatore delle infezioni non è nuova, a partire da polmonite e morbillo. La letteratura è lì a dimostrarlo e a suggerire norme importanti per ridurre l'inquinamento.

Il presupposto con il Coronavirus è lo stesso: il particolato funge da carrier per il trasporto del virus. Anche nell'etere. Forse tanto quanto una stretta di mano: «Più ci sono polveri sottili – afferma Gianluigi de Gennaro, dell'Università di Bari - più si creano autostrade per i contagi. È necessario ridurre al minimo le emissioni».

È noto che il particolato atmosferico funziona da vettore di trasporto per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus che si “attaccano” (con un processo di coagulazione) anche per ore, giorni o settimane. Inoltre, sarebbero lunghe le distanze che il virus potrebbe percorrere così trasportato.

Lo studio mette in luce un altro fattore: «L'attuale distanza considerata di sicurezza – fa notare Alessandro Miani, Presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) riferendosi allo spazio di un metro - potrebbe non essere sufficiente». Così come evidentemente non sono sufficienti le misure finora adottate per contenere l'inquinamento atmosferico.

https://www.ilsole24ore.com/art/l-inquinamento-particolato-ha-agevolato-diffusione-coronavirus-ADCbb0D?fbclid=IwAR1kCBBxaRQwx-QYP_bdUqqzd7YKSmBSB-Uj2hBzMVqBSVlX41KR1xQKsx0

sabato 6 luglio 2019

Washington Post – La mafia straniera si diffonde in Italia. - Carmenthesister


Risultati immagini per mafia nigeriana


Le ultime vicende della Sea Watch hanno riacceso la polemica sull’immigrazione e sulla politica dei porti chiusi che in mezzo a mille difficoltà viene portata avanti dal governo italiano. Il dibattito si polarizza tra coloro che si identificano come “i buoni”, che inalberano la bandiera dell’accoglienza, e quelli che vogliono fermare l’ondata, perché magari vivono più da vicino nei quartieri delle loro città  i problemi di un flusso migratorio a lungo incontrollato e mal gestito o comunque prevedono i danni che potranno derivarne.

A questo proposito sul Washington Post del 25 giugno troviamo una lunga inchiesta sulla mafia nigeriana, che si è diffusa in Italia in seguito ai flussi di migranti provenienti dall’Africa negli ultimi anni; l’indagine è basata su documenti e relazioni degli investigatori e uomini di giustizia che da anni operano sul territorio, visionati dai due corrispondenti del quotidiano americano, Chico Harlan e Stefano Pitrelli.

L’articolo osserva come, in un paese che ha combattutto per decenni contro la propria mafia locale, un nuovo gruppo criminale straniero sta acquistando forza. Si tratta soprattutto dei nigeriani, che su tutto il territorio italiano,  da Nord a Sud, da Torino a Palermo, nel corso di diversi anni di flussi di immigrazione incontrollata hanno reclutato nuovi membri tra i migranti dei centri di accoglienza, concretizzando uno  scenario che i nazionalisti italiani ed europei avevano già previsto e sui cui erano stati già da tempo lanciati preoccupati allarmi.

Il giornale descrive la polarizzazione della politica italiana: da una parte  i leader dei nuovi partiti giunti al governo con l’impegno di fermare l’invasione, e dall’altra la sinistra, insieme alla Chiesa cattolica di Papa Francesco, che  sostengono le politiche dell’accoglienza e negano queste paure, affermando che i delinquenti possono trovarsi ovunque, e anzi che la mafia è “made in Italy” e non sono i nigeriani ad averla inventata.

Alcuni estratti dell’articolo in cui si descrive la situazione che i due corrispondenti hanno trovato in Italia.

“Non esistono stime affidabili di quanti membri della mafia nigeriana operino in Italia. Ma interviste con investigatori, procuratori, operatori umanitari e vittime della tratta degli esseri umani e centinaia di pagine di documenti investigativi mostrano che la mafia nigeriana ha costruito in Italia il suo hub europeo per il contrabbando di cocaina dal Sud America, di eroina dall’Asia, e per il traffico della prostituzione che coinvolge donne africane a decine di migliaia.

Gli investigatori italiani dicono che il consorzio nigeriano risponde alla definizione di mafia, piuttosto che di una qualsiasi banda criminale, perché ha un codice di comportamento e utilizza la potenza implicita del gruppo per intimidire e imporre il silenzio. I membri nigeriani sono stati condannati per quegli stessi reati di mafia codificati dall’Italia nella sua lunga lotta contro la mafia locale.

Anche se forse meno conosciuto della criminità organizzata dei giapponesi, russi e cinesi, secondo l’agenzia di intelligence italiana quest’anno il gruppo nigeriano è diventato “il più strutturato e dinamico” tra le organizzazioni criminali straniere operanti in Italia. Alcuni nigeriani entrano illegalmente in Italia già con l’intenzione di unirsi al gruppo criminale. Altri vengono reclutati dopo l’arrivo.”

Il Washington Post prosegue osservando come la mafia nigeriana sia stata presente in tutta Europa sin dagli anni ’80, e come tuttavia negli ultimi anni questo gruppo sia cresciuto, diffondendosi proprio in quella parte del territorio italiano in cui nessun gruppo criminale straniero sino ad ora aveva osato entrare, la Sicilia, la porta d’ingresso in Italia per i migranti fino alla politica dei porti chiusi di Salvini dello scorso anno.

Per la maggior parte del secolo scorso – si osserva nell’articolo –  i padroni dell’isola erano i membri di Cosa Nostra, specializzati in racket, gioco d’azzardo e omicidi, i quali non erano certo disposti a condividere il controllo del loro territorio con altri gruppi criminali. La Sicilia di oggi però è diversa. Cosa Nostra è azzoppata e i suoi capi sono finiti in carcere, uno dopo l’altro. Il gruppo è diventato più tranquillo, meno apertamente violento, e negli ultimi dieci anni sono emerse le prove che la mafia siciliana starebbe cooperando nel traffico di droga con il gruppo criminale straniero alimentatato dalle centinaia di migliaia di africani arrivati nell’isola, molti dei quali si sono trasferiti in altre parti d’Italia e anche in Europa, mentre alcuni sono rimasti. Questa cooperazione è possibile e si mantiene anche perché la mafia nigeriana ha costruito molto del suo business sulla prostituzione, un terreno in cui Cosa Nostra non ha mai mostrato interesse.


“Alcuni esperti dicono che ben 20.000 donne nigeriane, alcune delle quali minorenni, sono arrivate in Sicilia tra il 2016 e il 2018, in un traffico coordinato tra i nigeriani in Italia e quelli nel loro paese.

‘Centinaia di donne, che dal porto si riversavano nel paese ogni giorno’, dice Sergio Cipolla, presidente della Cooperazione Internazionale Sud Sud, un’organizzazione no-profit con sede a Palermo che si occupa di migranti, descrivendo quel periodo. ‘Le donne venivano portate nei centri di accoglienza. Ma non erano costrette a rimanere lì, quindi fuggivano e si perdevano le tracce’.

Secondo quanto risulta dai documenti, dai resoconti degli investigatori e di altre persone, le donne venivano in Italia accettando di pagare una tariffa molto salata – di 20.000 o 30.000 euro – illuse dalla promessa di sistemarsi in Europa con un lavoro. Prima di lasciare la Nigeria, la maggior parte di loro giurava con un rito voodoo di rimborsare quel debito. Le donne però sono arrivate in Italia per poi scoprire che non c’era nessun  lavoro da baby sitter o da parrucchiera che le aspettava.”
[…]
A causa di questi giuramenti (in cui credono e di cui hanno paura, ndt), è raro che le donne vadano alla polizia, ma se lo fanno per gli investigatori può essere molto importante. Francesco Del Grosso, capo della sezione criminalità straniera presso l’unità di polizia nazionale di Palermo, nel 2017 era alla sua scrivania quando una donna nigeriana si presentò, dicendo che aveva paura, ma era pronta a parlare. La donna descrisse diversi anni di schiavitù sessuale – una gravidanza, e poi di nuovo costretta a uscire per strada – e disse di essere stata poi aiutata da un gruppo di beneficenza. 

La donna diede alcuni dettagli sull’organizzazione di uomini che aveva intorno: strette di mano rituali, abiti blu e gialli codificati per colore. Le rivelazioni riguardavano il gruppo Eiye, uno dei principali clan della mafia nigeriana. Sulla base delle sue rivelazioni, Del Grosso aprì una nuova indagine e diciannove mesi dopo 14 membri di Eiye vennero arrestati per reati di mafia e droga, tra cui il presunto capo Eiye siciliano, Osabuohien Ehigiator. Del Grosso ha detto che tutte le 14 persone arrestate erano arrivate in Italia negli ultimi anni “sui barconi”.


Per inquadrare il tema in un contesto più ampio e significativo rispetto alla polemica  che contrappone i difensori dei confini nazionali ai sedicenti eroi dell’accoglienza, può essere utile anche questo toccante video in cui il leader panafricanista  Mouhamed Konare commenta la crisi della Sea Watch. Konare  afferma che il problema della immigrazione non potrà mai essere veramente risolto se non si affrontano alla radice le cause che portano tanti giovani africani ad emigrare e cadere nella rete dei trafficanti, per poi finire a  lavorare come schiavi o entrare nella criminalità organizzata, i più probabili scenari  futuri che li aspettano dopo essere stati “salvati” dalle anime belle dell’accoglienza.

venerdì 21 giugno 2019

Pedofilia: diffusione video on line, 51 indagati.


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Trenta sono minorenni, perquisizioni in tutta Italia.

                                                                                                                                            Cinquantuno persone, tra le quali 30 minorenni, sono indagate in diverse regioni italiane dalla Procura Distrettuale e quella per i Minorenni di Catania per detenzione e divulgazione di pornografia minorile online in un'operazione condotta dal Compartimento di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Catania sotto la direzione del Centro nazionale contrasto pedopornografia on line (Cncpo) che sta effettuando perquisizioni in tutta Italia.
Le indagini hanno preso avvio dopo la denuncia della madre di un adolescente che si era accorta della presenza nello smartphone del figlio di immagini erotiche di minori pubblicate su due gruppi WhatsApp, ai quali il figlio aveva aderito, chiamati "Tana della Luna" - da cui il nome dell'operazione - e "scoobyDank", che inizialmente condividevano immagini e video di torture, suicidi e simili.
La Polizia Postale ha acquisito il contenuto dello smartphone, che la donna ha consegnato spontaneamente, e quello dei gruppi Whatsapp, individuando così circa 300 persone che vi avevano aderito e riuscendo ad identificare quelle che avevano divulgato o richiesto video e immagini di pornografia minorile, con vittime anche in età infantile.
L'operazione - sottolineano gli investigatori - ha messo in luce la gravita' di un fenomeno, quello della diffusione di materiale pedopornografico da parte di adolescenti, che cercano e si scambiano tra loro il materiale. Perquisizioni della Polizia Postale sono state compiute in Sicilia, Puglia, Lazio, Piemonte, Lombardia, Toscana, Veneto, Calabria, Campania, Sardegna, Friuli-Venezia-Giulia, Basilicata, Emilia Romagna ed Abruzzo. Le province interessate Catania, Ragusa, Bari, Brindisi, Foggia, Taranto, Roma, Torino, Alessandria, Asti, Novara, Milano, Brescia, Pavia, Firenze, Livorno, Prato, Venezia, Treviso, Verona, Reggio Calabria, Catanzaro, Napoli, Oristano, Gorizia, Terni, Genova, Matera, Forlì e L' Aquila. Numeroso il materiale informatico sequestrati, che sarà sottoposto ad approfondite analisi informatiche.
http://www.ansa.it/sicilia/notizie/2019/06/21/pedofilia-diffusione-video-on-line-51-indagati_0b6ba550-f3fd-4b9d-bab4-5bea33339aeb.html


Mi domando quanto tempo dovremmo impiegare per ripristinare etica e buon costume. Lungi da me criticare i diversi, le cui tendenze rispetto, ma la pedofilia mi risulta insopportabile a pelle. Cetta.