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giovedì 27 ottobre 2022

Alto profilo Governo Meloni - Iacopo Aik Conte




- Economia: Giorgetti, moglie e socio condannati per truffa.
- Esteri: Tajani, soldi ai partiti sì, ma contrario al reddito di cittadinanza
- Difesa : Crosetto, finta laurea (è solo diplomato) ha un'azienda che produce ARMI
- Interno : Piantedosi, indagato sulla Diciotti.
- Imprese : Adolfo Urso, in rapporti con un fornitore di velivoli in Iran e Libia, condannato grazie ai Servizi segreti.
- Agricoltura: Francesco Lollobrigida, cognato della Meloni indagato per corruzione
- AMBIENTE E SICUREZZA ENERGETICA: Gilberto Pichetto Fratin Indagato per fallimento Novaceta
- INFRASTRUTTURE E MOBILITA' SOSTENIBILI: Matteo Salvini no comment
- LAVORO E POLITICHE SOCIALI: Marina Calderone, il marito è nel CDA DELL'INPS
- ISTRUZIONE E MERITO: Giuseppe Valditara, indagato per il digitale nelle università
- UNIVERSITA' E RICERCA: Anna Maria Bernini, indagata per concorsi universitari truccati
- TURISMO: Daniela Santanché indagata per reati fiscali aveva solo un piccolo yacth da 400 mila euro non dichiarato.
....lasciamola lavorare

(Copiato da Silvia Quinto/Iacopo Aik Conte/facebook-22/10/22)

mercoledì 6 ottobre 2021

Lobby nera: indagati Fidanza e Jonghi Lavarini.


Inchiesta a Milano su finanziamento illecito e riciclaggio.


L'europarlamentare di Fdi Carlo Fidanza e Roberto Jonghi Lavarini, anche detto il 'barone nero', sono indagati per le ipotesi di finanziamento illecito e riciclaggio nell'indagine milanese scaturita dall'inchiesta giornalistica di Fanpage sulla campagna elettorale di Fratelli d'Italia. Oggi la Gdf ha anche effettuato delle perquisizioni.

In particolare, Fidanza e Jonghi Lavarini, che fu candidato per Fdi alla Camera nel 2018, sono indagati per le due ipotesi di reato contestate nell'inchiesta - coordinata dall'aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Piero Basilone e Giovanni Polizzi - sulla base, a quanto si è saputo, di frasi che sono state da loro pronunciate nel primo video dell'inchiesta di Fanpage.

I pm ieri hanno acquisito il filmato integrale con le registrazioni (oltre 100 ore) dei dialoghi tra un cronista 'infiltrato', Jonghi Lavarini (condannato a due anni per apologia del fascismo), Fidanza (europarlamentare Fdi che intanto si è dimesso da tutti gli incarichi di partito) e la neoconsigliera del Comune di Milano, e all'epoca candidata di Fdi, l'avvocato Chiara Valcepina (che non risulta allo stato indagata). Dialoghi da cui è venuto a galla un presunto sistema di "lavanderia", di cui parla proprio Jonghi Lavarini, per pulire soldi versati in nero destinati alla campagna elettorale e usati anche per altre elezioni.

E' stato il 'barone nero', come emerge dal filmato di Fanpage, a presentare Carlo Fidanza al giornalista e l'eurodeputato gli avrebbe spiegato, come risulta dal video, che poteva contribuire alla campagna elettorale versando sul conto corrente o "se è più comodo fare del black", del 'nero', tanto, come ha detto Jonghi Lavarini, ci sono una "serie di lavatrici" per il finanziamento.

Frasi che hanno portato, appunto, all'iscrizione dei due nel registro degli indagati e oggi ad una perquisizione del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf di Milano nella casa di Jonghi Lavarini. Un attività finalizzata a cercare eventuali riscontri, tra documenti e dispositivi informatici, sui presunti finanziamenti 'opachi' e sul riciclaggio di denaro di cui si parla nelle registrazioni di Fanpage.

"Ho appreso dagli organi di stampa di essere stato iscritto sul registro degli indagati a seguito dell'inchiesta di Fanpage" ha commentato Fidanza. "Al momento non ho ricevuto alcuna comunicazione ufficiale. Sono sereno e ovviamente a disposizione della Procura per chiarire quanto prima ogni aspetto di questa vicenda". 

ANSA

sabato 1 maggio 2021

Open, i renziani contro i pm: “Cartabia mandi gli ispettori”. - Giacomo Salvini

Alberto Bianchi, Marie Elena Boschi

 I deputati Iv chiedono l’intervento anti-Procura.

Indagare sulla fondazione Open, l’ex cassaforte del renzismo, e su tutto il Giglio magico, ai deputati di Italia Viva proprio non va bene: deve intervenire il ministro della Giustizia Marta Cartabia con “un’ispezione ministeriale” nei confronti dei pm di Firenze per capire chi abbia passato ai giornali le informazioni sull’inchiesta in corso e quanto sia stato speso per le perquisizioni. A chiedere l’intervento della Guardasigilli sono tre deputati renziani – Lucia Annibali, Roberto Giachetti e Catello Vitiello – con un’interpellanza alla Camera sull’indagine in corso. Tema da cui si dovrebbero tenere lontani anni luce per un palese conflitto d’interessi: l’inchiesta fiorentina riguarda la fondazione considerata dai pm “un’articolazione di un partito politico” (il Pd renziano) e vede indagati per finanziamento illecito il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Marco Carrai e il presidente di Open, Alberto Bianchi. Renzi aveva già attaccato la procura sull’inchiesta (“un assurdo giuridico, i pm cercano la ribalta mediatica”) ma non si è mai arrivati a tanto: oggi i renziani chiedono l’intervento di Cartabia.

Nell’interpellanza, i tre deputati di Iv attaccano la procura sulle perquisizioni nei confronti di membri della fondazione e di suoi finanziatori, sul merito dell’inchiesta e sulle notizie uscite sui giornali. In primis, Annibali, Giachetti e Vitiello si improvvisano esperti del diritto e definiscono le perquisizioni con “circa 300 agenti della Gdf” un dispiego di forze “sproporzionato rispetto alle operazioni da effettuare alcune delle quali verificabili anche tramite ordine di esibizione”. Secondo i tre deputati renziani non c’era alcun motivo di perquisire i finanziatori che sono “privati cittadini che, nel rispetto della normativa vigente, in seguito all’abolizione del finanziamento pubblico, hanno contribuito, tramite operazioni bancarie tracciate e trasparenti, con risorse proprie, al finanziamento di iniziative in capo a una Fondazione regolarmente registrata”. E siccome in seguito la Cassazione si è espressa sull’illegittimità di sequestri nei confronti di Carrai e Davide Serra (non indagato), i deputati chiedono a Cartabia il rendiconto dell’operazione: quante siano state “le unità delle forze dell’ordine impiegate” e “a quanto ammontino i costi”. Annibali&c. poi provano a “smontare” l’indagine: sostengono che le pronunce della Cassazione su Carrai e Serra “nei fatti smentivano l’impianto stesso dell’inchiesta” ma nonostante questo il 7 novembre i pm fiorentini si sono incaponiti mandando un avviso di garanzia a Renzi, Boschi e Lotti.

Infine se la prendono con chi ha passato a La Verità notizie sull’iscrizione nel registro degli indagati di Renzi e gli altri e sulla pubblicazione di appunti sequestrati a Bianchi: il giornale, è la tesi dei renziani, apprende le notizie “presumibilmente da fonti interne alla Procura”. Per questo chiedono – vista la “gravità del fatto” – che la ministra ordini un’ispezione per individuare “i responsabili della violazione del segreto d’ufficio”.

ILFQ

mercoledì 18 novembre 2020

“Etihad, la promessa di Di Maio: il governo non sarà parte civile”. - Antonio Massari

 

Processo crac Alitalia, ecco il cablo dell’ambasciata.

Il governo italiano, in “gesto di amicizia” nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, rinuncerà a costituirsi parte civile nel procedimento penale su Alitalia-Etihad che si è concluso a Civitavecchia. Ad annunciarlo, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, è stato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, negli incontri dell’8 e 9 novembre con il suo omologo degli “emiratini” Abdallah bin Zayed Al Nahyan. Di Maio smentisce al Fatto di aver preso questo impegno. La notizia è però contenuta in un documento ufficiale: un cablo non classificato, dell’ambasciata italiana ad Abu Dhabi, a firma dell’ambasciatore Nicola Lener e protocollata, l’11 novembre scorso, con il numero 1.682. Oggetto: “Visita dell’onorevole ministro negli Eau. Quarta sessione del dialogo strategico”. Un documento inviato a tutte le ambasciate, da quella croata a Zagabria fino all’Algeria, inclusa la Direzione generale degli affari politici del ministero degli Esteri.

Leggiamo cosa riporta il cablo in questione. L’esordio riguarda i preliminari della “quarta sessione del dialogo strategico bilaterale”, a partire dalla cena offerta dallo sceicco Abdallah bin Zayed Al Nayan “nel pieno rispetto dei protocolli Covid-19 qui vigenti” durante la quale il ministro Di Maio ha “incontrato il ministro dell’Economia Abdullah Al Marri, il ministro della Tolleranza e Commissario generale degli Eau per Expo2020 Duibai, lo sceicco Nahyan bin Mubarak Al Nayan e la ministra di Stato per la Cooperazione internazionale e direttore generale della società Expo2020 Reem Al Hashimi”. “Su tali incontri – scrive l’ambasciatore – riferisco a parte”. All’interno del punto 2 del documento riporta poi il dialogo sulla vicenda Alitalia-Etihad.

“È stato quindi affrontato – si legge nel cablo – il delicato dossier Alitalia, su quale come noto, i due ministri avevano avuto una conversazione nei giorni scorsi, dopo che l’omologo emiratino aveva indirizzato all’on. ministro una preoccupata lettera, alla luce delle possibili conseguenze sui manager di Etihad del procedimento penale aperto nel nostro paese”.

Il 20 febbraio scorso, infatti, la Procura di Civitavecchia ha notificato agli indagati l’avviso di conclusione dell’indagine – si contano 22 indagati – accusati di concorso in bancarotta fraudolenta di Alitalia. Tra gli indagati illustri – da Luca Cordero di Montezemolo a Roberto Colaninno, da Jean Pierre Mustier a Corrado Gatti ed Enrico Laghi – figura anche James Hogan, consigliere del cda di Alitalia e amministratore delegato di Etihad. E anche altri manager legati alla compagnia araba come Mark Ball Cramer e Duncan Naysmith.

“Non sarà una rivoluzione ma una evoluzione, vogliamo rendere Alitalia più sexy” aveva annunciato James Hogan nel 2014 quando, per il salvataggio di Alitalia, Etihad mise in cantiere un investimento complessivo di 1,758 miliardi di euro. Ad Abu Dhabi non è parsa molto sexy, però, la prospettiva di vedere i suoi manager finire sotto processo. E torniamo così all’incontro tra Di Maio e lo sceicco Abdallah bin Zayed Al Nayan. Ad accompagnarli c’erano il capo di gabinetto Ettore Sequi, il direttore generale per gli affari politici Sebastiano Cardi, il capo della segreteria particolare Cristina Belotti. Riguardo le “conseguenze” del “procedimento in corso nel nostro paese” sui “manager Etihad” il cablo spiega che “il ministro Di Maio, nel far presente che in base al nostro ordinamento il governo non può interferire in un procedimento giudiziario in corso, ha indicato di aver chiesto al commissario unico di Alitalia, Leogrande (Giuseppe, ndr), di costituire un gruppo negoziale per definire le questioni contrattuali pendenti con la controparte e di aver invitato le autorità emiratine, attraverso una lettera indirizzata all’ambasciata a Roma, a fare altrettanto”.

E poi arriva il punto più caldo del cablo: “Egli ha anche fatto presente che, quale gesto di amicizia nei confronti degli Eau, il governo rinuncerà a costituirsi parte civile nel processo penale”. E ancora: “Abdallah ha ringraziato per l’apertura manifestata dall’on. ministro, auspicando che la questione possa evolversi ‘in un modo che possiamo controllare’, perché altrimenti essa rischia di produrre un impatto su future decisioni emiratine di investimento nel nostro Paese. ‘Ricordo – ha aggiunto – che fu il governo italiano a chiederci di entrare in Alitalia’. Sul punto è intervenuto anche il ministro Ali Sayegh, che ha indicato, senza elaborare oltre, che ‘nel sistema italiano ci sono precedenti di soluzioni di analoghe questioni nel settore dell’aviazione civile’, insistendo che il partenariato tra Alitalia ed Etihad è stato reso possibile da un’intesa tra i due governi e augurandosi che possano esservi sviluppi positivi entro l’anno”. Di Maio al Fatto smentisce di aver assunto questo impegno. Fonti della Farnesina spiegano che la proposta di non costituirsi parte civile è stata invece avanzata dagli Emirati arabi uniti (Eau) e non da Di Maio. Quando facciamo notare che la notizia in nostro possesso è stata trascritta in una fonte ufficiale – il cablo in questione – la Farnesina, attraverso fonti diplomatiche, conferma l’esistenza e il contenuto del cablo. “Evidentemente – precisa la Farnesina – l’ambasciatore non ha ben compreso quanto si sono riportate le parti”. Deve aver frainteso quindi anche il ringraziamento del ministro Abdallah bin Zayed Al Nayhan. Il punto è che, anche alla Farnesina, non devono aver ben compreso qualcosa: il contenuto del cablo. Dall’11 novembre a oggi non ci risultano altri cablo sulla questione con errata corrige annessi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/18/etihad-la-promessa-di-di-maio-il-governo-non-sara-parte-civile/6007413/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-18

martedì 12 novembre 2019

Cognato di Renzi e fratelli: pm chiedono rinvio a giudizio per i milioni destinati ai bambini africani e poi spariti. - Letizia Giorgianni

Cognato di Renzi e fratelli: pm chiedono rinvio a giudizio per i milioni destinati ai bambini africani e poi spariti

La Procura di Firenze ha chiesto il processo per Andrea, Alessandro e Luca Conticini accusati a vario titolo di appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio.
Alessandro, Luca e Andrea Conticini (il cognato di Renzi in quanto marito di sua sorella Matilde) vanno processati per appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio. È la richiesta della Procura di Firenze, che ha chiesto il rinvio a giudizio per i fratelli, indagati a vario titolo nell’ambito di un’inchiesta che ipotizza, tra l’altro, la sottrazione di 6,6 milioni di dollari destinati all’assistenza all’infanzia in Africa. I reati contestati dagli inquirenti sono appropriazione indebita e autoriciclaggio ad Alessandro e Luca Conticini, e riciclaggio ad Andrea Conticini. Le donazioni oggetto d’indagine provenivano da Fondazione Pulitzer tramite Operation Usa, Unicef e altri enti umanitari internazionali. Secondo le indagini, Alessandro e Luca Conticini sono accusati di appropriazione indebita di 6,6 milioni di euro, parte dei 10 milioni donati da Fondazione Pulitzer alle organizzazioni no profit Play Therapy Africa LimitedInternational development association limited e International development association Sa, di cui era titolare effettivo lo stesso Alessandro Conticini.
Per l’accusa il denaro è transitato, senza alcuna giustificazione, sui conti correnti personali di Alessandro Conticini, accesi presso la Cassa di Risparmio di Rimini, agenzia di Castenaso (Bologna). La procura accusa inoltre Alessandro e Luca Conticini di autoriciclaggio, per aver impiegato parte dei 6,6 milioni di dollari per sottoscrivere nel settembre 2015 un prestito obbligazionario per 798mila euro emesso dalla società Red Friar Private Equity Limited Guernsey, e per aver fatto un investimento immobiliare in Portogallo di 1.965.455 euro tra il 2015 e il 2017. Accusato di riciclaggio Andrea Conticini: per l’accusa, in qualità di procuratore speciale del fratello Alessandro (procura speciale datata 30 dicembre 2010), nel 2011 ha utilizzato parte del denaro destinato all’Africa per l’acquisto di partecipazioni societarie della ‘Eventi 6 srl’ di Rignano sull’Arno – società riconducile a familiari dell’ex premier Matteo Renzi (di cui è cognato) – per un totale di 187.900 euro, della Quality Press Italia srl per 158mila euro, e di Dot Media srl per 4mila euro.
Contestualmente l’avvocato Federico Bagattini lascia l’incarico di difensore di Andrea Conticini, per cui i pm Luca Turco e Giuseppina Mione contestano un ipotesi di riciclaggio di circa 350mila euro. A dare l’annuncio della rinuncia all’incarico lo stesso Bagattini: “La propagazione alla stampa della richiesta di rinvio a giudizio quando ancora il professionista si trovava in una fase di attesa rispetto alle determinazioni del pubblico ministero – si legge in una nota diffusa dal legale – crea grave e insuperabile imbarazzo nei confronti del cliente, rispetto al quale erano state fornite notizie conformi alle attività di recente compiute dal suo difensore. “In questo modo – prosegue – è stata svilita la professionalità del difensore al quale, a tutela della propria onorabilità e delle ragioni del proprio cliente, non resta che rinunciare all’incarico”. Andrea Conticini, a differenza dei fratelli, dopo aver ricevuto la notifica della chiusura indagini aveva chiesto e ottenuto di essere interrogato dai pubblici ministeri titolari dell’inchiesta, e aveva risposto alle loro domande. 
L’avvocato Federico Bagattini resta al momento difensore di Alessandro e Luca Conticini.

mercoledì 23 ottobre 2019

Senato: la rivolta di intoccabili e indagati contro i tagli ai vitalizi. - Ilaria Proietti



IL 4 NOVEMBRE L’ORGANISMO DI GIUSTIZIA DI PALAZZO MADAMA DOVRÀ ESPRIMERSI SU 772 RICORSI CHE SI OPPONGONO ALLE DECURTAZIONI IN VIGORE DAL 1° GENNAIO 2019.

“Giaaacomo! Giacomino”. “Senatore bello, amico mio”. Giacomo (Giacomino) Caliendo è più omaggiato che mai a Palazzo Madama, manco le lancette dell’orologio fossero tornate indietro di un decennio quando era potentissimo sottosegretario alla Giustizia del governo Berlusconi. Lui gongola per i salamelecchi, per niente sorpreso: da quando la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati lo ha voluto come presidente dell’organismo di giustizia interna di Palazzo Madama, frotte di ex senatori che da gennaio si sono visti decurtare il vitalizio lo hanno elevato a nume tutelare. In vista della sua decisione sulla legittimità del ricalcolo con metodo contributivo degli assegni in vigore da gennaio cui gli ex onorevoli senatori si oppongono strenuamente.

La loro attesa, snervante, sta per finire: la camera di consiglio della Commissione contenziosa presieduta da Caliendo che deciderà sulla decurtazione degli assegni è stata fissata per il 4 novembre. Ne fanno parte oltre al forzista, anche Simone Pillon della Lega ed Elvira Evangelista dei Movimento 5 Stelle. Ma anche due membri “laici”, sempre indicati dalla presidente Casellati: l’avvocato Alessandro Mattoni e soprattutto una vecchia conoscenza dell’attuale capo di gabinetto della presidente Casellati Nitto Palma, ossia l’ex magistrato Cesare Martellino che è relatore dei 772 ricorsi sui vitalizi presentati a Palazzo Madama.

Ma cosa prevede questa delibera? Che dal 1° gennaio 2019 i vitalizi sono rideterminati moltiplicando il montante contributivo individuale di ciascun ex senatore per un coefficiente di trasformazione correlato all’età anagrafica. Ma ci sono meccanismi sia per scongiurare tagli troppo drastici sia per evitare che aumentino ancora assegni già assai alti. Proprio per questo sono sugli scudi anche i 78 ex senatori che dovranno accontentarsi di ricevere come prima. Non malaccio, comunque. Franco Bassanini, Alfredo Biondi, Emanuele Macaluso, Nicola Mancino, Beppe Pisanu, Clemente Mastella manterranno un vitalizio mensile lordo pari a 10.631,34 euro.

A quota 10 mila Anna Finocchiaro e Achille Occhetto seguiti da Franco Marini e Roberto Castelli (9.512,25). Mantengono lo stesso trattamento anche alcuni ex senatori che hanno ancora un conto aperto con la giustizia: a Luigi Grillo che in passato ha patteggiato una condanna per episodi corruttivi legati all’Expo di Milano tocca un vitalizio mensile di 10.382,6; Antonio D’Alì, a processo per concorso in associazione mafiosa continua a prendere 9.201,40 euro. Carlo Giovanardi su cui pende una richiesta di autorizzazione all’uso delle intercettazioni per l’inchiesta Aemilia continuerà a intascarne 9.387,91. Sempre meglio di Ottaviano Del Turco condannato in via definitiva a 3 anni e 11 mesi per induzione indebita nel processo sulla Sanitopoli abruzzese: il suo vitalizio scende a 5.507,72 euro contro i 6.590,19 precedenti. Antonio Azzollini, a processo per la presunta maxitruffa del porto di Molfetta, passa da poco più di 8 mila euro a 5.505.

L’elenco degli 830 vitalizi ricalcolati comprende anche l’ex sindaco di Catania Enzo Bianco (il suo assegno scende da circa 8 mila euro a 6.171 proprio come l’esponente storico dell’ultradestra Domenico Gramazio). Goffredo Bettini è dimagrito da 6.590 a 3.960 euro. Salasso pure per Mariapia Garavaglia da 9.200 a 4.150, mentre Luigi Compagna scende da 6.200 euro a 4.600. Stringe la cinghia il grande vecchio della finanza italiana Giuseppe Guzzetti: la sforbiciata ha toccato il suo assegno da 4.700 euro, ora ridotto a 2.395. Sacrifici per Pietro Ichino che per il ricalcolo contributivo passa da 4.352 a 2.668. A dieta anche Linda Lanzillotta (la moglie di Bassanini scende da 3.200 a 1.787), Nicola Latorre (6.200 oggi ricalcolati a 4.065), Luigi Manconi (4.725 oggi a 2.532). Alessandra Mussolini ha buoni motivi per essere nera: il suo assegno scende da 9mila euro a 5.200. Un altro arrabbiato è Francesco Rutelli che si è visto tagliare l’assegno da 9.500 euro e oggi ne percepisce solo 7.780. Nitto Palma, infine, è il più infuriato di tutti: nonostante il prestigioso incarico ottenuto al fianco di Casellati il suo vitalizio è sceso da 6.200 euro al mese a 5.400. Anche lui guarda con grande speranza alla decisione di Caliendo.

https://infosannio.wordpress.com/2019/10/23/senato-la-rivolta-di-intoccabili-e-indagati-contro-i-tagli-ai-vitalizi/

venerdì 21 giugno 2019

Pedofilia: diffusione video on line, 51 indagati.


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Trenta sono minorenni, perquisizioni in tutta Italia.

                                                                                                                                            Cinquantuno persone, tra le quali 30 minorenni, sono indagate in diverse regioni italiane dalla Procura Distrettuale e quella per i Minorenni di Catania per detenzione e divulgazione di pornografia minorile online in un'operazione condotta dal Compartimento di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Catania sotto la direzione del Centro nazionale contrasto pedopornografia on line (Cncpo) che sta effettuando perquisizioni in tutta Italia.
Le indagini hanno preso avvio dopo la denuncia della madre di un adolescente che si era accorta della presenza nello smartphone del figlio di immagini erotiche di minori pubblicate su due gruppi WhatsApp, ai quali il figlio aveva aderito, chiamati "Tana della Luna" - da cui il nome dell'operazione - e "scoobyDank", che inizialmente condividevano immagini e video di torture, suicidi e simili.
La Polizia Postale ha acquisito il contenuto dello smartphone, che la donna ha consegnato spontaneamente, e quello dei gruppi Whatsapp, individuando così circa 300 persone che vi avevano aderito e riuscendo ad identificare quelle che avevano divulgato o richiesto video e immagini di pornografia minorile, con vittime anche in età infantile.
L'operazione - sottolineano gli investigatori - ha messo in luce la gravita' di un fenomeno, quello della diffusione di materiale pedopornografico da parte di adolescenti, che cercano e si scambiano tra loro il materiale. Perquisizioni della Polizia Postale sono state compiute in Sicilia, Puglia, Lazio, Piemonte, Lombardia, Toscana, Veneto, Calabria, Campania, Sardegna, Friuli-Venezia-Giulia, Basilicata, Emilia Romagna ed Abruzzo. Le province interessate Catania, Ragusa, Bari, Brindisi, Foggia, Taranto, Roma, Torino, Alessandria, Asti, Novara, Milano, Brescia, Pavia, Firenze, Livorno, Prato, Venezia, Treviso, Verona, Reggio Calabria, Catanzaro, Napoli, Oristano, Gorizia, Terni, Genova, Matera, Forlì e L' Aquila. Numeroso il materiale informatico sequestrati, che sarà sottoposto ad approfondite analisi informatiche.
http://www.ansa.it/sicilia/notizie/2019/06/21/pedofilia-diffusione-video-on-line-51-indagati_0b6ba550-f3fd-4b9d-bab4-5bea33339aeb.html


Mi domando quanto tempo dovremmo impiegare per ripristinare etica e buon costume. Lungi da me criticare i diversi, le cui tendenze rispetto, ma la pedofilia mi risulta insopportabile a pelle. Cetta.

mercoledì 12 giugno 2019

Magistrati indagati, nelle carte nuovi nomi di consiglieri del Csm. E Lotti vantava legami col Quirinale.

Magistrati indagati, nelle carte nuovi nomi di consiglieri del Csm. E Lotti vantava legami col Quirinale

La novità - riportata da Repubblica e Corriere della Sera - emerge dalle trascrizioni integrali delle intercettazioni operate con il trojan installato sul cellulare di Palamara, consegnate alla procura di Perugia dal Gico della Guardia di Finanza. L'ex ministro sosteneva di essere andato da Sergio Mattarella a raccontare la propria vicenda giudiziaria, dipingendosi come una vittima della procura romana che vuole processarlo per favoreggiamento nell'ambito dell'inchiesta Consip.


Ci sono almeno altri due consiglieri del Csm che incontravano Luca LottiLuca Palamara e Cosimo Ferri per discutere dei giochi di corrente che avrebbero portato alla conquista della procura di Roma. La novità – riportata da Repubblica e Corriere della Sera – emerge dalle trascrizioni integrali delle intercettazioni operate con il trojan installato sul cellulare di Palamara, consegnate alla procura di Perugia dal Gico della Guardia di Finanza. Alle riunioni notturne per discutere del futuro della procura capitolina, dunque, non partecipavano solo i consiglieri Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Paolo Criscuoli, Gianluigi Morlini (non indagati, autosospesi) e Luigi Spina, accusato di favoreggiamento e violazione di segreto: si è dimesso alcuni giorni fa. Ma c’erano anche altri due membri di Palazzo dei marescialli.
Lo scandalo nato con l’inchiesta della procura di Perugia su Palamara, dunque, sembra destinato ad allargarsi. E a terremotare ulteriormente il mondo della magistratura. Anche perché nei dialoghi registrati, Lotti ha anche detto a Palamara di essere andato addirittura al Quirinale. Il motivo? Raccontare a Sergio Mattarella la propria vicenda giudiziaria, dipingendosi come una vittima della procura romana che vuole processarlo per favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta Consip. Il braccio destro di Matteo Renzi sosteneva di essersi lamentato col presidente della Repubblica del procuratore Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo. Lotti avrebbe anche sostenuto di essere in grado di tornare al Colle per provare a trovare una sponda nel risiko che avrebbe dovuto portare alla nomina del nuovo capo dell’ufficio inquirente capitolino. Affermazioni al momento senza alcun riscontro che potrebbero anche essere solo delle millanterie. 
I veleni sul Quirinale si allungano anche nell’interrogatorio reso da Palamara, accusato di corruzione, con la procura di Perugia. L’ex presidente dell’Anm ha raccontato che, pochi giorni prima delle perquisizioni ai suoi danni, una persona a lui vicina (già identificata dai pm umbri) gli aveva raccontato di aver saputo da una misteriosa talpa del Colle che sul suo telefonino era installato un trojan. Non si sa chi è quella persona autrice di quella fuga di notizia e se esista davvero. È un fatto però che a Palamara quella notizia è arrivata. Ma è anche vero che il pm nei giorni successivi ha continuato a usare il suo cellulare come se niente fosse. 
E infatti il suo smartphone ha continuato a registrare ogni dialogo. Come quelli con Cesare Sirignano, pm della procura nazionale Antimafia iscritto a Unicost, la stessa corrente di cui Palamara è leader. Il magistrato sotto inchiesta ha interesse affinché a Perugia fosse nominato un magistrato a lui vicino in modo da affossare l’inchiesta ai suoi danni. Sirignano fa il nome del procuratore aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli. Palamara non è convinto ma Sirignano insiste dipingengo Borrelli come un magistrato avvicinabile. Borrelli, però, ha denunciato Sirignano a Perugia “producendo una documentazione che comprova la più totale estraneità ai fatti”, come recita una nota fatta avere a Repubblica.

Depistaggio Borsellino, dopo 27 anni il colpo di scena: indagati alcuni magistrati.

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Non è più a carico di ignoti l’indagine della Procura di Messina sul depistaggio dell’inchiesta sulla Strage di via d’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e degli agenti della scorta.
I pm della città dello Stretto hanno iscritto nel registro degli indagati alcuni magistrati del pool che indagò sull’attentato. Agli indagati e alle persone offese oggi la Procura ha notificato l’esecuzione di accertamenti tecnici irripetibili.
Si tratta di due ex magistrati della procura di Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, che si occuparono della prima inchiesta sulla strage.
Gli accertamenti irripetibili riguardano l’analisi di 19 cassette su cui vennero registrati una serie di interrogatori e che potrebbero essere danneggiate dall’ascolto. Da qui l’esigenza che all’esame partecipino i legali delle persone coinvolte con l’ausilio di consulenti.
Dopo 27 anni da quel tragico 19 luglio 1992, dunque, si apre un nuovo squarcio.
Tra coloro che indagarono sulla strage e che gestirono il falso pentito Vincenzo Scarantino, figurano oltre Carmelo Petralia (procuratore aggiunto a Catania) e Anna Maria Palma (avvocato generale di Palermo), anche Nino Di Matteo (attualmente alla Dna) e Giovanni Tinebra (ormai deceduto).
Solo pochi giorni fa Scarantino ha ritrattato le sue accuse ai pm, facendo un clamoroso dietrofront“Non furono i pm a orchestrare il depistaggio sulla strage Borsellino, furono solo i poliziotti. Il dottor Di Matteo non mi ha mai suggerito niente, il dottor Carmelo Petralia neppure. Mi hanno convinto i poliziotti a parlare della strage” (LEGGI QUI). 
Intanto, per il depistaggio (accertato con la sentenza Trattativa), sono indagati e sotto processo proprio tre poliziotti a Caltanissetta: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.

domenica 24 marzo 2019

Venite già mangiati. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 24 Marzo.

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono

Oggi si vota in Basilicata. E qualche ingenuo poteva forse immaginare un piccolo dibattito sul rapporto della commissione parlamentare Antimafia a proposito dei candidati impresentabili in lista: due condannati in primo grado e tre imputati, spudoratamente presentati dal centrodestra e dal Pd in barba al codice di autodisciplina che tutti i partiti approvano a ogni legislatura per poi violarlo allegramente. Roba da provocare un surplus di sdegno fra gli indignati speciali che in questi giorni bivaccano in Campidoglio vibranti di sacrosanta passione civile per l’arresto del pentastellato De Vito: se si scandalizzano, e giustamente, per un politico in manette, figurarsi che dovrebbero dire delle condanne e dei rinvii a giudizio, per giunta a carico di politici mai espulsi né sospesi né esclusi dai rispettivi partiti in attesa delle sentenze definitive, ma addirittura candidati. Invece tutti tacciono. E intanto continuano a tuonare contro i 5Stelle che hanno cacciato il loro presidente dell’Assemblea capitolina al solo clic delle manette, senza neppure attendere la richiesta di rinvio a giudizio. Strano, vero? Il centrosinistra, anzi il “nuovo centrosinistra” di Nicola Zingaretti, per distinguersi da quello vecchio che aveva visto cadere la sua giunta per l’arresto del governatore Marcello Pittella, ricandida Sergio Claudio Cantiani e Massimo Maria Molinari, alla sbarra dinanzi al Tribunale di Potenza. 
Cantiani è imputato per concussione, con l’accusa – risalente a quando era candidato a sindaco di Marsicotevere – di aver “costretto” la ditta aggiudicataria dell’appalto per la raccolta rifiuti ad assumere il fratello della sua segretaria e, una volta eletto, di aver “minacciato” di revocare l’appalto in caso di licenziamento dell’operaio, “malgrado le reiterate inadempienze” di quest’ultimo. 
Molinari invece risponde di corruzione in veste di ex vicesindaco di Potenza: l’accusa è aver facilitato l’iter di una gara per la gestione di parcheggi e premuto per l’acquisto di pubblicità sul settimanale edito da un parente.
Poi c’è il centrodestra, che almeno non si spaccia per nuovo, e infatti è orgogliosamente così vecchio che più vecchio non si può. Per non farsi mancare niente e tener fede alle tradizioni nazionali, schiera anche due condannati in primo grado: Paolo Galante (Psi) e Rocco Sarli (Fratelli d’Italia). Sono stati entrambi condannati in primo grado a 3 anni e 6 mesi di reclusione per peculato nello stesso processo. Galante, già consigliere e vicepresidente del Consiglio regionale, era vicepresidente del Consorzio per lo sviluppo di Potenza, mentre Sarli sedeva nel Cda.
Il primo, consigliere uscente, fu sospeso dalla carica per 18 mesi in base alla legge Severino. Il secondo invece, consigliere entrante, lo sarà se verrà condannato anche in appello, mentre l’altro starebbe fermo altri 12 mesi. 
Vincenzo Clemente, terzo impresentabile del centrodestra, è imputato di corruzione in cambio della rateizzazione dei canoni d’affitto di una casa di riposo gestita da una società a Corleto Perticara. 
Ora, com’è noto, da tempo immemorabile tutti i partiti si sono impegnati formalmente in commissione Antimafia a non candidare indagati (e, a maggior ragione, imputati e condannati) per reati contro la Pubblica amministrazione: in primis per concussione, corruzione e peculato, che implicano tutti e tre il latrocinio di denaro pubblico. L’hanno fatto soltanto per farsi belli dinanzi agli elettori, specialmente dopo le prime denunce di Beppe Grillo nel 2006 sul suo blog contro il Parlamento degli inquisiti, prim’ancora che nascessero i 5Stelle. Poi, naturalmente, hanno sempre tradito l’impegno, prendendosela pure col presidente di turno dell’Antimafia (ieri Rosy Bindi, ora Nicola Morra) che si permette addirittura di pubblicare i nomi degli impresentabili, come previsto dalla loro legge-spot. Ora questi impuniti hanno pure il coraggio di accusare chi caccia i propri inquisiti senza neppure lo straccio di una richiesta di rinvio a giudizio di “essere come gli altri” (cioè come loro, che gli inquisiti non li cacciano nemmeno dopo il rinvio a giudizio, la condanna provvisoria e quella definitiva, anzi li candidano, li premiano e li promuovono).
Siccome c’è un limite a tutto, anche alla faccia di culo, proponiamo al presidente Morra un emendamento esplicativo e chiarificatore al Codice di autodisciplina dell’Antimafia. Un norma elementare di due soli articoli: 
“1. Chiunque venga arrestato, rinviato e giudizio, condannato in primo o secondo o terzo grado, è da ritenersi innocente per definizione e matura il diritto acquisito a essere candidato ed eletto a una carica pubblica adeguata, cioè non inferiore a quella di consigliere comunale. 
2. La regola di cui sopra vale soltanto per i politici iscritti a partiti che non hanno mai promesso ‘onestà’, anzi statutariamente rifuggono da simili turpiloqui. Chi si fosse lasciato sfuggire anche una sola volta quel termine ignominioso o suoi sinonimi, deve vergognarsi a prescindere”. 
Così finalmente verrà codificato un principio che ora si sente echeggiare sui giornali e in bocca ai politici, ma un po’ alla rinfusa: se finisce dentro un 5Stelle, si può dire subito che rubano tutti i 5Stelle (arrestano De Vito e tutti chiedono la testa della Raggi e di Frongia, forse perché De Vito è stato subito cacciato); se invece finiscono dentro decine di forzisti, pidini, leghisti, non si può dire che sono impresentabili neanche se li rinviano a giudizio e/o li condannano. Ergo, è infinitamente più grave candidare un incensurato insospettabile e poi espellerlo se lo arrestano, che candidare indagati e poi ricandidarli se li rinviano a giudizio o li condannano. Il segreto per rubare indisturbati è venire già mangiati.

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domenica 24 febbraio 2019

Reggio Emilia, 18 dirigenti indagati per “violazioni nell’assegnazione di incarichi esterni”. C’è la moglie del sindaco Pd. - Paolo Bonacini

Reggio Emilia, 18 dirigenti indagati per “violazioni nell’assegnazione di incarichi esterni”. C’è la moglie del sindaco Pd

I dipendenti erano in servizio nel 2013, quando il primo cittadino era l'attuale deputato Graziano Delrio. La Procura della Repubblica contesta a loro i reati di falso ideologico e abuso d’ufficio. Nel 2016 i 5 stelle presentarono una serie di esposti alla Corte dei Conti e si rivolsero all'Anac per segnalare le presunte anomalie.

Diciotto dirigenti del Comune di Reggio Emilia, in servizio nel 2013, indagati dalla Procura della Repubblica per i reati di falso ideologico e abuso d’ufficio. Tra gli altri la moglie dell’attuale sindaco Pd Luca VecchiMaria Sergio, dirigente all’urbanistica di allora, quando a vestire la fascia tricolore era l’attuale capogruppo democratico alla Camera Graziano Delrio. La materia del contendere è il regolamento comunale per l’assegnazione degli incarichi esterni, realizzata per anni nella Città del Tricolore, come rilevava la Corte dei Conti già nel 2008, senza la necessaria “procedura comparativa per la valutazione dei curricola con criteri predeterminati, certi e trasparenti, in applicazione dei principi di buona andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’art.97 della Costituzione”. Sette anni dopo, nel 2015, la sezione emiliano-romagnola della Corte dei Conti scriveva nuovamente al Consiglio Comunale di Reggio Emilia evidenziando che il regolamento, non modificato dopo la prima contestazione, era da considerarsi “illegittimo”, poiché escludeva la previsione di procedure comparative con avviso pubblico rivolto a tutti i potenziali interessati. Il presidente facente funzioni della Corte, dott. Marco Pieroni, trasmise gli atti anche alla Procura regionale della medesima Corte e, in seguito, la Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Emilia, ha sviluppato indagini su quegli anni sfociate negli avvisi di garanzia. Il Comune di Reggio Emilia nel 2015 ha poi modificato le procedure, ma resta da capire perché non lo abbia fatto prima, lasciando inascoltati quei rilievi della Corte dei Conti. Procedendo invece in centinaia di casi, tra il 2008 e il 2015 e per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro, ad affidare incarichi senza i necessari criteri di trasparenza e comparazione.
Il primo fronte caldo aperto a Reggio Emilia riguarda dunque gli avvisi di garanzia inviati dal sostituto procuratore Giacomo Forte. Martedì 26 febbraio sono previsti i primi interrogatori da parte della Guardia di Finanza dei 18 dirigenti. Diversi di loro, stando alle prime dichiarazioni dei legali, si avvarranno presumibilmente della facoltà di non rispondere in attesa di conoscere i dettagli delle contestazioni. Perché i reati ipotizzati sono cosa diversa dalla messa in discussione di un regolamento illegittimo la cui stesura è però di competenza del Consiglio Comunale. Il secondo fronte è lo scontro politico che la notizia ha immediatamente aperto in città. Il Movimento 5 stelle attacca la giunta e il sindaco rivendicando di essere stata la prima e unica forza politica, con i propri consiglieri comunali, a segnalare il problema degli incarichi affidati senza adeguate procedure con esposti alla Corte dei Conti nel settembre 2016 e all’Autorità Nazionale anticorruzione nell’ottobre dello stesso anno. La candidata sindaco del movimento, Rossella Ognibene, e la consigliera Alessandra Guatteri che firmò gli esposti alla Corte dei Conti, annunciano una richiesta di accesso agli atti per spulciare tutti gli incarichi affidati fino al 2015.
L’attuale sindaco Vecchi, all’epoca dei fatti, era capogruppo del Pd in quel Consiglio Comunale che deliberava i regolamenti per l’affidamento degli incarichi esterni, e la presenza della moglie nell’elenco degli indagati complica la sua posizione in piena campagna elettorale. La prima voce che si alza dalla coalizione di maggioranza che governa il Comune è quella del vicesindaco Matteo Sassi (Mdp, non si ricandida) che attacca i dirigenti in una intervista alla Gazzetta di Reggio. Sassi sostiene (senza fare nomi) che “hanno tramato per non fare aggiornare il regolamento”, e aggiunge che “qualcuno di loro andrebbe sospeso”. Ma dice anche che serve “una posizione più netta della maggioranza, a tre mesi dal voto, rispetto alle frasi di circostanza pronunciate dal sindaco”. Il riferimento è a Luca Vecchi, che ha commentato la vicenda limitandosi ad esprimere fiducia nell’operato della magistratura e contemporanea fiducia nell’operato dei dirigenti comunali. Difficile tenerle assieme le due fiducie, secondo il vicesindaco Matteo Sassi, ma altrettanto difficile è credere all’idea che fossero i dirigenti a fare il bello e cattivo tempo, senza rendere conto a chi governava. Cioè ai partiti di maggioranza in quel consiglio comunale al quale, fino a prova contraria, toccava il compito di stendere e approvare i regolamenti. Anche di modificarli se avessero voluto, soprattutto per gli incarichi esterni.

venerdì 7 settembre 2018

Voti in cambio case: arrestati ex amministratori Lecce.





Sono 46 le persone indagate.


Ex amministratori comunali, consiglieri comunali, alcuni dei quali ancora in carica, e dirigenti del Comune di Lecce vengono arrestati in queste ore dai militari della Guardia di Finanza. Gli arresti sono stati richiesti dai Pm Massimiliano Carducci e Roberta Licci. Sono 46 le persone indagate, tutte a vario titolo accusate per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale, abuso d'ufficio e falso ideologico. Voti elettorali sarebbero stati 'scambiati' con alloggi popolari.
Compare anche il nome del senatore leccese della Lega Roberto Marti tra i 34 indagati che non sono stati raggiunti da alcun provvedimento restrittivo. Marti, dal 2004 al 2010, è stato assessore a Lecce ai Servizi sociali, ai progetti mirati e alle pari opportunità. Il reato contestato é abuso d'ufficio e falso ideologico.
http://www.ansa.it/puglia/notizie/2018/09/07/voti-in-cambio-case-arrestati-ex-amministratori-lecce-_6bfe9c42-0126-461d-af94-ed7994ee2904.html

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Lecce, voti in cambio di case popolari: arrestati ex amministratori e consiglieri comunali. Indagato senatore della Lega.

Sette le misure di custodia cautelare, anche nei confronti dell'ex assessore e attuale consigliere comunale Attilio Monosi (centrodestra), del consigliere comunale Pd Antonio Torricelli e dell'ex assessore della giunta Perrone Luca Pasqualini (centrodestra). Tutti gli indagati sono accusati di associazione a delinquere, peculato, corruzione, corruzione elettorale, abuso d’ufficio, falso, occupazione abusiva, violenza privata e lesioni. Sotto inchiesta anche il senatore leghista Roberto Marti.

Sette persone arrestate e 46 indagati a Lecce. Sono ex amministratori comunali, consiglieri – alcuni dei quali ancora in carica – e dirigenti, tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale, abuso d’ufficio e falso ideologico. Scambiavano voti per alloggi popolari. Sono finiti ai domiciliari l’ex assessore e attuale consigliere comunale Attilio Monosi (centrodestra), il consigliere comunale Pd Antonio Torricelli, l’ex assessore della giunta Perrone Luca Pasqualini (oggi consigliere di centrodestra), il dirigente comunale Lillino Gorgoni e il 27enne Andrea Santoro. Interdittiva invece per i dirigenti e funzionari dell’ufficio casa Piera Perulli, Giovanni Puce, Paolo Rollo e Luisa FracassoTra gli indagati c’è anche il senatore della Lega, Roberto Marti, ex assessore leccese, il cui nome era emerso già oltre un anno fa in un altro filone dell’inchiesta sulle case popolari. Gli arresti sono stati richiesti dai pm Massimiliano Carducci e Roberta Licci. Il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, è sostenuto da una maggioranza di centrosinistra ed è stato eletto nel 2017, dopo 20 anni di amministrazione di centrodestra.

I finanzieri del Comando Provinciale di Lecce, al termine di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica, hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare nei confronti di 9 persone (di cui due in carcere, cinque agli arresti domiciliari e due con obblighi di dimora), indagati a vario titolo per reati di associazione a delinquere, peculato, corruzione, corruzione elettorale, abuso d’ufficio, falso, occupazione abusiva, violenza privata e lesioni. Secondo quanto riporta il Nuovo Quotidiano di Puglia, a Pasqualini viene contestata anche l’accusa “di avere approfittato delle prestazioni di una donna” che “sarebbe la moglie di un uomo residente nel Quartiere Stadio che sarebbe stato particolarmente raccomandato all’assessore per avere una casa parcheggio“. Le indagini, scrive il quotidiano leccese, hanno documentato uno scambio di telefonate e messaggi con questa donna con cui ci sarebbero stati due incontri.

L’ordinanza di 800 pagine, che ha interessato, tra gli altri, amministratori pubblici pro-tempore e dipendenti della amministrazione comunale, è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo, in seguito a richiesta avanzata dalla Procura nel mese di dicembre dello scorso anno nell’ambito di indagini svolte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Lecce. Secondo l’ipotesi di reato formulata dai magistrati, è stata accertata l’assegnazione indebita di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica in favore di persone non collocati in graduatoria in posizione utile, l’occupazione abusiva di alloggi resisi disponibili per l’assegnazione nonché l’accesso illegittimo a forme di sanatoria di cui alla Legge Regionale 10 del 2014 concesse in assenza dei requisiti richiesti. Si tratta di comportamenti che al momento non vedono coinvolti ulteriori soggetti oltre a quelli colpiti dalla misura cautelare di oggi. Secondo i magistrati la finalità era quella di acquisire consenso elettorale dei potenziali beneficiari di alloggi pubblici.
Dalle intercettazioni telefoniche e dai capi di imputazione che compaiono nella corposa ordinanza, ci sono anche nomi di vari big della politica locale e nazionale, ma il loro coinvolgimento nel mercato illecito dello scambio di voti in cambio di alloggi popolari è stato escluso dagli investigatori. Le indagini a loro carico non hanno prodotto alcun elemento che ne attestasse il coinvolgimento. Nell’ordinanza vengono ricostruiti su fonti di prova, concrete, episodi e modalità con cui avveniva il giro del mercato illecito legato all’assegnazione degli alloggi popolari in cambio di voti elettorali.

L’inchiesta principale, aperta tre anni fa, aveva conosciuto un primo momento di svolta nel pieno della campagna elettorale 2017, quando emerse il nome dell’allora sindaco Paolo Perrone, l’ex primo cittadino Adriana Poli Bortone, gli ex assessori alle Politiche giovanili e al Welfare, Damiano D’Autilia e Nunzia Brandi; i due ultimi segretari comunali Domenico Maresca e Vincenzo Specchia; il capo di Gabinetto Maria Luisa De Salvo; i dirigenti Luigi ManiglioNicola Elia e Raffaele Attisani; l’ex consigliere regionale di Azzurro Popolare Aldo Aloisi. Intere palazzine di via Potenza, via Pistoia, Piazzale Cuneo e Piazzale Genova sarebbero state assegnate con criteri poco trasparenti, tra il 2006 e il 2016. Per almeno 28 appartamenti, cioè, si sospettano attribuzioni senza requisiti, a colpi di sanatorie di occupazioni abusive, semplici delibere, passaggi indebiti dalle case parcheggio agli alloggi. Il tutto con la presunta influenza degli amministratori e commistione dei dipendenti di Palazzo Carafa, per agevolare precisi gruppi di inquilini. Tra questi ci sono anche persone ritenute vicine ai clan della Scu.