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sabato 2 aprile 2022

Reddito Universale e salute mentale. - Matthew Smith














La povertà, la disuguaglianza e  l’isolamento sociale  possono portare a problemi di salute mentale, ansia e depressione. Il reddito universale può aiutare ad alleviare questi problemi.

Durante gli anni dopo la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti sono stati portati avanti quattro progetti di ricerca sulla psichiatria sociale e su come prevenire la malattia mentale. Il primo, Robert Faris e H. Warren Dunham’s  Mental Disorder in Urban Areas è  stato uno studio di Chicago che ha scoperto come le persone con diagnosi di  schizofrenia  tendessero a provenire dalle aree povere e caotiche della città.

Il secondo è stato il Social Class and Mental Illness di Frederick Redlich e August Hollingshead, incentrato su classi e disuguaglianze a New Haven, nel Connecticut. Il terzo studio è stato lo Stirling County Study, che si è concentrato su una contea della Nuova Scozia, in Canada, ed è stato condotto da Alexander Leighton. Questo studio ha scoperto che l’isolamento sociale potrebbe innescare problemi di salute mentale, tra cui  ansia  e  depressione .

Lo studio finale è stato  il Mental Health in the Metropolis di Leo Srole e Marvin Opler, un progetto focalizzato su Manhattan, che ha scoperto che l’isolamento sociale crea problemi e disordini di salute mentale, all’interno di una città frenetica. Lo studio ha anche enfatizzato il ruolo della povertà e stabilito un legame tra cattiva salute fisica e mentale.

Nel complesso, questi studi hanno rilevato che la povertà, la disuguaglianza e l’isolamento sociale sono tutti fattori di una cattiva salute mentale. Sebbene alcuni tentativi siano stati fatti per affrontare questi problemi durante gli anni ’60, negli anni ’70 gran parte dell’interesse per la psichiatria sociale è diminuito.

Oggi ci sono rinnovate preoccupazioni per l’aumento dei tassi di malattia mentale, ma poche persone parlano di ciò che è necessario per prevenirla. Quando penso alle soluzioni che potrebbero affrontare la povertà, la disuguaglianza e l’isolamento sociale e che sono strettamente legate alla salute mentale, penso sempre più che il reddito di base universale possa essere una possibile soluzione. 

Sono anche sempre più convinto che uno dei fattori che dobbiamo considerare per valutare se il reddito universale possa funzionare sia determinare i suoi effetti sulla salute mentale. Quando i test pilota sul reddito universale sono stati condotti in Canada, Finlandia o altrove, le persone coinvolte hanno riferito che la propria salute mentale è migliorata.

Ma perché è così? Ebbene, il reddito universale aiuta ad affrontare i tre fattori sociali implicati nella malattia mentale. In primo luogo, riduce la povertà e, inoltre, elimina l’ansia associata ai cambiamenti del sistema del welfare. Le persone semplicemente ottengono il loro reddito senza fare domande.

In secondo luogo, riduce la disuguaglianza in parte perché è dato a tutti, indipendentemente dal loro reddito, ma anche, e soprattutto, offre alle persone l’opportunità di salire la scala sociale accedendo all’istruzione, avviando un’attività in proprio, impegnandosi in attività creative o artistiche. Fornisce un cuscinetto economico in modo che le persone possano apportare cambiamenti positivi nella loro vita. Erode la disperazione e la depressione associate al vivere sui gradini più bassi della scala sociale.

Infine, fornisce alle persone mezzi economici per impegnarsi di più nelle loro comunità. Se le persone trovano che il volontariato sia significativo o desiderano dedicare del tempo alla cura dei membri della famiglia, il reddito universale consente loro di farlo. Offre un’opportunità di crescita sociale ed emotiva, piuttosto che una semplice crescita economica.

Se il sistema di welfare non fosse così tanto impegnato nel determinare chi merita i benefici e nel vagliare coloro che sono ritenuti spettanti o meno, le persone che lavorano nel sistema sarebbero in grado di dedicare il loro tempo ad aiutare effettivamente chi sta male. Libererebbe un’enorme quantità di risorse umane per affrontare problemi più difficili, come dipendenze, abusi e altri problemi di salute mentale. Il reddito universale sarebbe anche un enorme vantaggio per coloro che attualmente soffrono di malattie mentali e lottano per sbarcare il lunario mentre cercano di stare meglio. Il reddito universale non impedirebbe tutte le malattie mentali o risolverebbe tutti i nostri problemi sociali, ma darebbe un enorme carico al sistema in modo che sia più facile affrontare i problemi più difficili da sradicare.

Proprio come i professionisti della salute mentale, gli attivisti, i pazienti e gli enti di beneficenza devono essere più audaci nello spingere i cambiamenti sociali necessari per prevenire la malattia mentale; i sostenitori del reddito di base universale devono iniziare a includere le valutazioni della salute mentale nei loro progetti pilota. Soprattutto, dobbiamo iniziare a parlare e provare nuove politiche sociali progressiste che possano aiutare a ridurre l’enorme costo della malattia mentale per la società.

Articolo originale apparso su Psychology Today

https://beppegrillo.it/reddito-universale-e-salute-mentale/

mercoledì 17 gennaio 2018

Bernie Sanders: togliamo il mondo dalle mani di un gruppo minuscolo di miliardari. - Sara Ligutti

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(Bernie Sanders | John Minchillo/AP Photo)

Ecco a che punto siamo come pianeta nel 2018: dopo tutte le guerre, le rivoluzioni e i summit internazionali degli ultimi cento anni, viviamo in un mondo dove un gruppo minuscolo di individui incredibilmente ricchi può esercitare un controllo spropositato sulla vita economica e politica della comunità globale.

Nonostante sia difficile da capire, la verità è che le sei persone più ricche del mondo adesso possiedono più ricchezza della parte più povera della popolazione mondiale – 3,7 miliardi di persone. Inoltre, l’1% più benestante adesso ha più soldi del restante 99%

Nel frattempo, mentre i miliardari ostentano la loro ricchezza, quasi una persona su sette cerca di sopravvivere con meno di un dollaro e 25 al giorno e – orribile – circa 29.000 bambini muoiono ogni giorno per cause totalmente prevedibili come la diarrea, la malaria e la polmonite.

Al contempo, in tutto il mondo élite corrotte, oligarchi e monarchie anacronistiche spendono miliardi nelle stravaganze più assurde. […] In Medio Oriente, che vanta cinque dei dieci monarchi più ricchi al mondo, giovani reali fanno la bella vita in giro per il mondo mentre la regione soffre per il tasso di disoccupazione giovanile più alto del mondo e almeno 29 milioni di bambini vivono in povertà senza avere accesso ad alloggi decenti, acqua pulita e cibo nutriente. Inoltre, mentre centinaia di milioni di persone vivono in condizioni terribili, i mercanti d’armi diventano sempre più ricchi mentre i governi spendono migliaia di miliardi in armi.

Negli Stati Uniti, Jeff Bezos – fondatore di Amazon e attualmente la persona più ricca del mondo – ha un patrimonio netto di più di 100 miliardi. Possiede almeno quattro mansioni, che nel complesso valgono decine di milioni di dollari. E se questo non fosse abbastanza, sta spendendo 42 milioni di dollari per costruire un orologio all’interno di una montagna, in Texas, che dovrebbe funzionare per 10.000 anni. Ma nei magazzini di Amazon di tutto il paese, i suoi impiegati spesso lavorano per lunghe, estenuanti ore e ricevono salari così bassi che devono fare affidamento sulla Medicaid, sui buoni spesa e sugli alloggi popolari pagati dai contribuenti statunitensi.

Non solo, ma in un periodo di enorme disuguaglianze di ricchezza e di reddito, le persone di tutto il mondo stanno perdendo la fiducia nella democrazia – nei governi scelti dal popolo, per il popolo e del popolo. Le persone sono sempre più coscienti che l’economia globale è stata truccata per favorire quelli che stanno già in alto a spese di tutti gli altri. E sono arrabbiate.

Milioni di persone lavorano sempre di più per salari sempre più bassi rispetto a 40 anni fa, sia negli Stati Uniti che in molti altri paesi. 
Osservano la situazione, sentendosi indifesi di fronte ai pochi potenti che comprano le elezioni e a una élite politica ed economica che diventa sempre più ricca, mentre il futuro dei loro figli diventa sempre più cupo.

Al centro di tutta questa disparità economica, il mondo assiste a un’avanzata allarmante dell’autoritarismo e dell’estremismo di destra – che alimenta, sfrutta e amplifica il risentimento di coloro che sono stati lasciati indietro, e soffia sul fuoco dell’odio etnico e razziale.

Adesso, più che mai, quelli di noi che credono nella democrazia e nei governi progressisti devono unire i lavoratori e le persone a basso reddito di tutto il mondo dietro a programmi che riflettano i loro bisogni. Invece dell’odio e delle divisioni, dobbiamo offrire un messaggio di speranza e di solidarietà. 
Dobbiamo sviluppare un movimento internazionale che affronti l’avidità e l’ideologia della classe miliardaria e che porti a un mondo di giustizia economica, sociale e ambientale. Sarà una lotta facile, questa? Ovviamente no. Ma è una lotta che non possiamo evitare. La posta in gioco è troppo alta.

Come ha detto giustamente Papa Francesco in un discorso in Vaticano nel 2013: “Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano”. E poi: “Oggi è tutto assoggettato alle leggi della competizione e della sopravvivenza del più adatto, dove i potenti si nutrono di coloro che non hanno potere. Di conseguenza, masse di persone si ritrovano escluse e marginalizzate: senza lavoro, senza possibilità, senza mezzi per fuggire”.

Un nuovo e internazionale movimento progressista deve impegnarsi a contrastare le disuguaglianze strutturali sia fra che dentro le nazioni. Un movimento del genere deve superare le mentalità del “culto del denaro” e la “sopravvivenza del più adatto” contro cui ci ha messo in guardia il Papa. Deve supportare politiche nazionali e internazionali finalizzate ad aumentare gli standard di vita delle persone povere e della classe operaia – piena occupazione, un salario dignitoso, istruzione superiore e sanità universalistiche, accordi di commercio equo e solidale. Inoltre, dobbiamo tenere sotto controllo il potere delle grosse aziende e impedire la distruzione ambientale del nostro pianeta come conseguenza dei cambiamenti climatici.

Questo è solo un esempio di ciò che dobbiamo fare. Un paio di anni fa, il Tax Justice Network ha calcolato che le persone più ricche e le aziende più grosse del mondo hanno ammassato almeno 21-32 trilioni di dollari in paradisi fiscali offshore per evitare di pagare le tasse. Se lavoriamo insieme per eliminare gli abusi fiscali offshore, il gettito fiscale generato potrebbe mettere fine alla fame nel mondo, creare centinaia di milioni di nuovi posti di lavoro e sostanzialmente ridurre le estreme disuguaglianze di reddito e ricchezza. Potrebbe essere utilizzato per portarci con decisione verso un’agricoltura sostenibile e per accelerare la trasformazione del nostro sistema energetico, portandoci lontano dai combustibili fossili e verso fonti di energia rinnovabili.

Affrontare la cupidigia di Wall Street, il potere delle multinazionali giganti e l’influenza della classe miliardaria globale non è solo l’unica cosa morale da fare – è un imperativo strategico geopolitico. Ricerche del programma di sviluppo delle Nazioni Unite hanno mostrato che la percezione dei cittadini delle disuguaglianze, della corruzione e dell’esclusione sono fra i segnali più affidabili sulla possibilità che le comunità supportino l’estremismo di destra e gruppi violenti. Quando le persone sentono che tutto è in loro sfavore e non vedono possibilità di cambiare le cose, è molto più probabile che si rivolgano a soluzioni pericolose che non fanno altro che esacerbare il problema.
Questo è un momento cruciale nella storia mondiale. Con l’esplosione della tecnologia avanzata e i progressi che questa ha portato, abbiamo la capacità di aumentare notevolmente la ricchezza globale in maniera equa. Abbiamo tutti i mezzi a nostra disposizione per eliminare la povertà, aumentare le aspettative di vita e creare un sistema energetico globale economico e non inquinante.
Questo è quello che possiamo fare se avremo il coraggio di unirci e affrontare gli interessi particolari dei più potenti che vogliono solo di più per loro stessi. Questo è ciò che dobbiamo fare per il bene dei nostri figli, dei nostri nipoti e per il futuro del nostro pianeta.

Traduzione dell’articolo di Bernie Sanders pubblicato sul Guardian con il titolo “Let’s wrench power back from the billionaires” (14 gennaio 2018).

http://www.largine.it/index.php/bernie-sanders-strappiamo-il-mondo-dalle-mani-di-un-gruppo-minuscolo-di-miliardari/

venerdì 15 settembre 2017

Vitalizi.

Risultati immagini per disuguaglianze

Scatta il vitalizio ai parlamentari neo eletti. (notizia ansa) Lavorando per 4 anni il parlamentare neo eletto matura una pensione di 1000€, percepibile a 65 anni di età, in caso di doppio mandato, la percepirebbe a 60 anni. E perchè non a 67 anni come tutti gli altri? Secondo i criteri sanciti dalla Costituzione questa legge non rispetta il principio di uguaglianza tra i cittadini. "art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese." E' impensabile, pertanto, che chi legifera decida e vari leggi che, in contrapposizione a quanto sancito dalla Costituzione, creino disuguaglianze abissali tra i cittadini, favorendo se stesso rispetto a tutti gli altri.

venerdì 1 aprile 2016

Teorie del complotto, Social Intelligent Design e disuguaglianza globale. - Francesco Suman

misinformation

Le teorie del complotto, proponendo versioni ipersemplificate della realtà sociale, presentano un'architettura esplicativa, finalistica e intenzionale, del tutto simile alla teoria dell'Intelligent Design che mirerebbe a spiegare la complessità del mondo naturale come prodotto di un agente superiore. La diffusione della disinformazione online è considerata una delle più serie minacce per la società odierna. Per questo i complottismi non vanno liquidati con quattro risate, ma colti per quello che sono: campanelli d'allarme.

Viviamo nell'era della condivisione dell'informazione: facebook, twitter, youtube, google plus, instagram, snapchat, sono alcuni dei più fruiti social media attraverso cui scorrono flussi rumorosi di informazioni di ogni tipo. Possiamo improvvisarci giornalisti filmando con lo smartphone un atto di vandalismo o le conseguenze di un'alluvione e caricarlo su youreporter per rendere testimone il mondo intero. Abbiamo un accesso potenzialmente illimitato e subitaneo a informazioni provenienti da ogni angolo del globo. Eppure, uno studio che ha fatto il giro del mondo, pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS da un gruppo di studiosi italiani che lavora al laboratorio di Computational Social Science dell'Istituto IMT Alti Studi di Lucca, diretto da Walter Quattrociocchi (The spreading of misinformation online), afferma che viviamo nell'era della disinformazione. Com'è possibile? È presto detto.

È noto che online girano tante bufale, informazioni non verificate e non filtrate che si diffondono in modo virale fino a costituirsi in leggende metropolitane o teorie del complotto.

Si passa da i sempreverdi avvistamenti UFO alla presenza sulla terra di extraterrestri rettiliani, alcuni dei quali sarebbero persino piazzati in strategiche posizioni di potere. 
Lo sbarco sulla Luna? Mai avvenuto. 
Le scie chimiche lasciate dagli aerei in quelle giornate terse sono un lento strumento di avvelenamento della popolazione da parte di un potere occulto, ma c'è anche la variante secondo cui servirebbero a influenzare il cambiamento climatico. Altre teorie invece negano proprio il cambiamento climatico. 
Vi sono poi teorie di dominio economico che incolpano un occulto e settario potere bancario detentore delle sorti dell'ordine mondiale. È difficile essere precisi nella descrizione di queste teorie, perché l'oggetto in questione, per sua definizione e natura, è esso stesso sfuggente e non definito. Il lettore può dilettarsi nella libera esplorazione del web e cercare i dettagli delle suddette teorie, rimanendo perplesso o, perché no, persuaso, dai loro argomenti.
Baggianate da liquidare con quattro risate riterranno i più. 
Invece no. 

Il World Economic Forum nel 2013 ha incluso la diffusione di informazioni fasulle tra le più serie minacce per la società. Notizie e informazioni si accumulano in modo letteralmente incontrollabile nel web, proprio per la sua natura reticolare e partecipativa. Una voce corre online e può risuonare fino all'altra parte dell'oceano in men che non si dica. Internet ci ha restituito una sorta di versione tecnologicamente implementata di cultura orale, con fascino e rischi annessi. Informazioni caotiche, e fluttuanti in prima istanza, tendono prima o poi ad aggregarsi, catturate dalle scelte dei fruitori, arrivando a costruire cluster più o meno coerenti di notizie, che, per facilità di accesso, giocano un ruolo preminente nei processi di opinion making di oggi. 
Ma con quali criteri avvengono l'aggregazione dell'informazione online e conseguentemente la formazione di opinioni?
Lo studio di Quattrociocchi e colleghi mostra che il “pregiudizio di conferma” (confirmation bias) è tra i criteri decisionali fondamentali alla base di questi processi. In un contesto di flusso massivo di informazioni non filtrate, si tende a privilegiare (e a riconoscersi in) informazioni che confermano ciò che già si pensa. 
Se una persona ha fatto un investimento in banca - “Sicuro eh!”, gli era stato detto - ma vede la banca precipitare nel baratro portando con sé i suoi risparmi, e contemporaneamente legge online che le banche sono istituti il cui unico interesse è il profitto, non curanti dei servizi che dovrebbero garantire o delle sorti del malcapitato risparmiatore, c'è da aspettarsi che quest'ultimo manifesti la sua approvazione alla “teoria del signoraggio bancario” almeno con un “like”.

Il pregiudizio di conferma, esteso su larga scala, tende a creare le cosiddette echo chambers, ovvero luoghi virtuali di aggregazione in cui tutti i presenti tendono a pensarla allo stesso modo riguardo a uno specifico tema (sia questo la negazione del cambiamento climatico o dell’evoluzione darwiniana, le scie chimiche, o gli UFO). Chi entra in queste camere di risonanza lo fa perché sente che le proprie precostituite convinzioni, spesso istintive, grezze, di pancia, hanno finalmente voce. 
Il fatto è che da lì il pensiero tende a non venire elaborato ulteriormente, anzi, semmai l'intuizione ingenua, di pancia, si rinforza attorno a pochi punti dando luogo a proto-teorie o credenze a dire il vero alquanto bizzarre. Le teorie del complotto che proliferano online, oggetto di studio dell'articolo summenzionato, sarebbero precisamente il prodotto di tali meccanismi.
Cosa c'è che non va nelle teorie del complotto? Proviamo a dirla con William Gibson, il padre del genere letterario cyberpunk: “Le teorie del complotto sono popolari perché, non importa di cosa trattino, sono tutte realtà confortevoli, perché sono tutte modelli di semplicità totale. Penso che facciano leva sul nostro lato infantile che vuole sempre sapere cosa sta accadendo.”
(tradotto da un'intervista rilasciata nel 2007 http://thetyee.ca/Books/2007/10/18/WillG...)
Le teorie del complotto hanno così successo perché partono da fatti molto vicini alla vita quotidiana dei più e in pochi passaggi logici (o meno) giungono a individuare la causa ultima responsabile di quegli eventi; nel fare ciò, delineano una visione del mondo, che spesso identifica un nemico contro cui schierarsi. Strumenti psicologici basilari e efficacissimi per innescare meccanismi di identificazione e consenso, purtroppo all'opera anche in sistemi di reclutamento che costituiscono minacce ben più tangibili delle scie chimiche (si pensi al ruolo della rete nel reclutamento dei foreign fighters e nel processo di radicalizzazione islamica di giovani europei che in taluni casi non avevano avuto alcun contatto personale precedente con reclutatori  - un ottimo libro recente su questo è “L’ultima utopia” di Renzo Guolo, Guerini, 2015).

E’ interessante notare una similitudine tra la struttura esplicativa di queste “teorie” e l'argomento della complessità irriducibile portato dai sostenitori dell'Intelligent Design. Entrambi condividono una struttura esplicativa iper-semplificatoria.

Partiamo dal secondo. Alla sua base vi sta la tanto intuitiva quanto ingenua analogia tra complessità di artefatti umani, frutto dell'attività di un agente intenzionale dotato di scopi, e complessità di strutture naturali. Se troviamo un orologio di pregiata fattura, spiegava William Paley nella sua Teologia naturale del 1802, saremmo portati a credere che sia frutto del progetto e dell'azione intenzionale di un orologiaio; non attribuiremmo mai la complessa interazione degli ingranaggi dell'orologio al prodotto del puro caso. Così se lungo una spiaggia trovassimo il complesso disegno a spirale su di una conchiglia non potremmo fare altro che pensare all'azione di una mente suprema che ha progettato l'universo, la natura e i suoi prodotti. 
L'evoluzione esiste, ma non può che essere l'esito di un disegno intelligente.
Questo tipo di spiegazione è iper-semplificatoria perché salta dal prodotto finale alla causa ultima, ignorando un'infinità di passaggi intermedi: non prende in considerazione i tempi del processo evolutivo; non prende in considerazione le interazioni con altri soggetti del contesto (ecologico) entro cui l'evoluzione si compie; non prende in considerazione i meccanismi che possono condurre alla formazione del pattern osservato. In più, il ragionamento è uno dei più classici esempi di detestabile antropomorfismo (una forma di egocentrismo cosmico), ovvero l'attribuzione di proprietà umane, intenzionali, finalistiche, agenziali, a un'entità – la natura – che di umano non ha necessariamente niente.

Fortunatamente questi argomenti, nel dominio delle scienze biologiche, sono stati smontati (seppur non senza difficoltà, dacché sostenitori dell'Intelligent Design proliferano tutt'oggi in paesi avanzati che si dicono paladini di libertà e democrazia) dalla teoria dell'evoluzione neodarwiniana, oltre ogni ragionevole dubbio. Sfortunatamente, ad oggi, le scienze sociali non hanno ancora visto nascere il loro Charles Darwin, e venire a capo della complessità delle dinamiche sociali con un'unica elegante teoria esplicativa è un'impresa lungi dall'avere un traguardo in vista.
Avremmo proprio bisogno di una sorta di “teoria della società” che mostrasse come il salto esplicativo da evento singolo (come la perdita dei propri risparmi per colpa di un agente bancario truffaldino) alla sua causa ultima (complotto globale del signoraggio bancario), proposto dalle teorie del complotto, sia logicamente del tutto ingiustificabile, in quanto un super-agente che agisca in maniera intenzionale e che disponga del controllo di tutti i livelli di complessità dei nodi della rete sociale, e che per di più sia in grado di tenere nascosti i propri piani, pur riuscendo a metterli sistematicamente in atto, assomiglia molto a qualcosa che potremmo definire Social Intelligent Design.

Karl Popper si pronuncia così nel secondo volume de La Società aperta e i suoi nemici: “Bisogna riconoscere che la struttura del nostro ambiente sociale è, in un certo senso, fatta dall’uomo: che le sue istituzioni e tradizioni non sono il lavoro né di Dio né della natura, ma i risultati di azioni e decisioni umane, ed alterabili da azioni e decisioni umane. Ma ciò non significa che esse siano tutte coscientemente progettate e spiegabili in termini di bisogni, speranze e moventi. Al contrario, anche quelle che sorgono come risultato di azioni umane coscienti e intenzionali sono, di regola, i sottoprodotti indiretti, inintenzionali e spesso non voluti di tali azioni. (…) Io non intendo affermare, con questo, che cospirazioni non avvengano mai. Al contrario, esse sono tipici fenomeni sociali. (…) Cospirazioni avvengono, bisogna ammetterlo. Ma il fatto notevole che, nonostante la loro presenza, smentisce la teoria della cospirazione, è che poche di queste cospirazioni alla fine hanno successo. I cospiratori raramente riescono ad attuare la loro cospirazione”

Cosa intende qui Karl Popper ce lo spiega oggi David Robert Grimes, un fisico dell'università di Oxford, che ha mostrato con una formula pubblicata in un articolo apparso su PLOS ONE (http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0147905), che le grandi cospirazioni non possono restare segrete troppo a lungo: questo tipo di macchinazioni necessariamente coinvolge un numero di “complici” elevato al punto che la probabilità che uno di questi non faccia un passo falso, facendosi scoprire, è troppo bassa per far sì che la cospirazione si realizzi.
L'intenzionalità dell'azione umana ha un raggio d'azione limitato. La libertà individuale finisce dove comincia quella degli altri, ma si potrebbe dire anche che l'intenzionalità di un'azione finisce quando si incontra con l'intenzionalità degli altri. All'interno della rete sociale, l'intenzionalità individuale si diluisce, e un soggetto super partes capace di direzionare un'amplissima moltitudine di intenzionalità singole, per di più in maniera occulta, semplicemente non può esistere. L'azione collettiva è un risultato non intenzionale di interazioni intenzionali a livello individuale.

Nonostante tutto questo, le teorie del complotto persistono e anzi, come mostrato da Quattrociocchi e colleghi, più ci si sforza di smontarle (facendo azione di debunking) più i loro sostenitori si chiudono a guscio all'interno delle loro camere di risonanza, attaccandosi alle loro convinzioni.
Ricercare le cause di un evento traumatico (la perdita dei risparmi, o la paura derivante da un percepito stato di instabilità) è un meccanismo di elaborazione fondamentale che si innesta per affrontare il superamento del trauma. Le risposte cui si giunge sono però spesso più autoconsolatorie che veramente conformi alla realtà delle cose. Come venire a capo allora di questo enorme fenomeno psicodrammatico-sociale nel villaggio globale?

Le soluzioni immediate sembrano non esserci. Siamo destinati ad andare incontro a un mondo in cui vige l'anarchia intellettuale, ovvero in cui non abbiamo modo di discriminare tra diversi sistemi di credenze, all'interno della medesima società e del medesimo intorno culturale? È davvero equivalente credere che i vaccini facciano venire l'autismo oppure essere convinti che vaccinarsi sia l'unico metodo sicuro per prevenire la diffusione di gravi malattie infettive?

Karl Popper, assieme a molti altri filosofi della scienza, dedicò gran parte della sua vita a ragionare intorno al cosiddetto Principio di Demarcazione, ovvero sviluppare un criterio secondo cui distinguere rigorosamente una proposizione scientifica da una proposizione pseudo-scientifica o metafisica. Spesso ai filosofi viene rimproverato che il loro lavoro non ha ricadute applicative sulla società. Sarebbe interessante e proficuo se i filosofi riuscissero a sviluppare (se mai fosse possibile) un Principio di Demarcazione che ci aiutasse a saggiare la qualità dell'informazione, a distinguere cosa può essere ritenuto informazione affidabile, verificata, filtrata e cosa informazione inaffidabile, spazzatura, infondata. Il ramo della filosofia dell'informazione - un'interessante intersezione tra filosofia della scienza e etica, di cui si occupa Luciano Floridi, docente di Oxford  e membro dell'“Ethics Advisory Group on the ethical dimensions of data protection” - potrebbe essere un buon candidato a studiare soluzioni a riguardo.

Applicando poi il noto slogan di Marshall McLuhan “il medium è il messaggio”, dovremmo forse incolpare direttamente internet per la scarsa qualità delle informazioni che produce? Certo la struttura degli strumenti di diffusione dell'informazione influenza di molto la ricettività delle informazioni stesse, ma addossare la colpa a internet e demonizzarlo, come molti già fanno, sarebbe un po' come incolpare il motore a scoppio per il tasso di inquinamento delle nostre città, invece di prendersela con la gestione miope delle giunte comunali. Internet è una tecnologia dalle potenzialità rivoluzionarie e ciò che aiuterebbe sarebbe una maggiore educazione all'uso di questo strumento straordinario: viviamo in un'epoca in cui metà della popolazione (quella vecchia) è analfabeta digitale e l'altra metà (quella giovane) soffre di bulimia digitale. Anche in un mondo futuristico, i vecchi rimedi (istruzione, ricerca, innovazione) non sono mai da buttare.

Infine, una riflessione in parte politica. La classe dirigente e quella intellettuale troppo spesso si misurano con i cosiddetti “complottisti” con una detestabile, e invero poco intelligente, supponenza, liquidandoli per lo più come gli ultimi difensori dell'ancien régime trattavano la plebe ignorante. 

Le teorie del complotto sono una manifestazione di un'inquietudine e un malcontento della società troppo profondi per essere archiviati con quattro risate. Questo disagio, che si manifesta in espressioni ingenue, paranoiche, o addirittura patetiche (dal complotto rettiliano all'ordine mondiale in mano a una sorta di Spectre), sta in realtà per qualcos'altro, di molto più grave, che riflette una realtà di fatto alla base delle più grosse questioni globali degli anni a venire: l'allargamento della forbice della disuguaglianza
Le teorie del complotto altro non sono che elaborazioni collettive, immaginifiche e fantasiose, che riflettono la struttura bipolare del sistema economico odierno, che ha portato a concentrare enormi capitali, di denaro e di potere, in mano a pochi, lasciando un sempre più alto numero di persone a farsi la guerra per le briciole. Questa distribuzione purtroppo si rivela valida sia a livello nazionale sia a livello globale. Esistono colossi aziendali (settori energetico, informatico, della grande distribuzione) che hanno fatturati di gran lunga superiori a PIL di Stati nazionali e non riconoscere che questi possono trattare alla pari, se non dall'alto in basso, almeno con i piccoli Stati è ingenuo quanto credere alle teorie del complotto. Queste ultime lanciano un'indiretta ma fortissima critica a un modello di sistema economico che genera storture, accusandolo di essere lontano dagli interessi dei molti e vicino agli interessi di pochi.

Le teorie del complotto rappresentano una sorta di bestemmia contro ciò che viene avvertito come un potere lontano e dispotico, un impotente e frustrato grido di ribellione contro un ordine odiosamente immutabile, che schiaccia. Le teorie del complotto sono il prodotto grezzo di un incontro inedito: un sentimento collettivo di frustrazione implementato da una nuova tecnologia, la rete. 
Forse non sono tra le più eleganti espressioni di critica ai sistemi totalitari come possono essere stati 1984 di Orwell o The Wall dei Pink Floyd (che difficilmente liquideremmo come opere di complottisti), ma sono comunque una nuova forma di espressione, a tratti addirittura inconsapevole, in quanto frutto di un'azione collettiva non del tutto intenzionale, di forte critica al potere costituito e al sistema economico ad esso intrecciato.
In questo senso le teorie del complotto dovrebbero essere un campanello d'allarme capace di sollevare una questione politica. Sempre che vi sia una classe politica, dirigente e intellettuale capace di cogliere i segnali d'allarme. L'attenzione su questi temi deve crescere e non è un caso che il premio Nobel per l'economia 2015 sia stato assegnato allo scozzese Angus Deaton per i suoi studi sui consumi, sulla povertà e sul welfare.
In conclusione, le iper-semplificazioni sono ciò di cui occorre diffidare, sempre. La realtà è complessa ad un livello inavvicinabile anche dalle più audaci fantasie. Per questo non c'è nulla di più affascinante da indagare che le trame della realtà stessa, senza cedere a scorciatoie esplicative che ci priverebbero di quel gusto unico e irrinunciabile di scoprire le cose. Diceva Charles Darwin, nell'Origine delle specie (p. 241, edizione Bollati Boringhieri): “è indispensabile che la ragione vinca; ma io ho sentito troppo acutamente queste difficoltà per essere sorpreso dell'altrui esitazione”.

http://lameladinewton-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/03/10/teorie-del-complotto-social-intelligent-design-e-disuguaglianza-globale/

Una disamina opinabile della materia , disamina che confuterei semplicemente citando un detto vecchio come il cucco: "vox populi, vox dei". e non aggiungo altro. Cetta,

mercoledì 12 agosto 2015

IL COLLASSO DELLA BIOSFERA: LA PIU' GRANDE BOLLA ECONOMICA DI SEMPRE. - GLEN BERRY

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EcoInternet

La terribile diseguaglianza per cui 200 persone possiedono metà delle ricchezze della terra mentre più di un miliardo vive con meno di 1,50$ al giorno è il diavolo incarnato e ci ucciderà” - Dr. Glen Barry

I giornali sono pieni di avvertimenti disastrosi che potrebbero verificarsi nel caso in cui l’economia della Grecia non dovesse tornare a crescere, o qualora quella cinese perdesse un paio di punti in termini di crescita. Raramente, nella storia dell’essere umano, così tanti si sono sbagliati in modo così lampante sull’importanza e l’opportunità, o anche solo la possibilità, di una crescita economica perpetua.

La vera minaccia al benessere dell’essere umano non è la scarsa crescita economica, ma il fatto che c’è troppo e che abbiamo oltrepassato il limite oltre il quale la crescita va verso la distruzione del nostro ambiente condiviso.
La crescita industriale economica sta saccheggiando gli ecosistemi naturali. Grandi quantità di capitale naturale -inclusa l’acqua, la soia, le foreste antiche, il pesce selvatico, ecc- sono state saccheggiate per gonfiare artificialmente i numeri della crescita economica di breve periodo.
La miope lente del capitalismo moderno industriale che usa la crescita del PIL come parametro di una società in stato di benessere ha completamente fallito nel tener conto dei reali e rovinosi costi di liquidazione dei sistemi naturali terrestri.
Una crescita infinita in un pianeta finito è la ricetta del disastro. Niente cresce per sempre. Niente cresce per sempre e il tentarlo squarcia inevitabilmente il sistema che tenta di farlo.
Continuare a devastare gli ecosistemi naturali della terra per una crescita sul breve periodo è la più grande bolla economica mai vista. Un tale breve periodo, uno sguardo miope sulla crescita economica può solo finire in un collasso sociale ed ecologico.

Il problema
Il sistema ecologico globale sta collassando, sta morendo. La biosfera- il nostro ambiente condiviso che rende la terra abitabile- vede i suoi ecosistemi costitutivi liquidati per lo sfruttamento delle sue risorse. L’eccessivo e ineguale consumo ha raggiunto un punto in cui i confini ecologici del pianeta sono stati sorpassati, arrivando alla reale possibilità di tirar giù la biosfera quando noi collasseremo.
Ci siamo spinti oltre, al punto in cui il brusco cambiamento climatico nelle sue varie forme di perdita dell’ecosistema naturale quali zone oceaniche morte, erosione terrestre, deposito di nitrogeno e molti altri aspetti del declino ecologico si incorporano e si danneggiano gli uni con gli altri.
Questa improvvisa crescita dell’impatto umano sull’evoluzione naturale della biosfera –gli esseri umani sono passati da uno a sette miliardi in un secolo- può onestamente essere definito come un ecocidio intenzionale.
Questa implacabile crescita industriale continua ancora ad essere, in modo del tutto erroneo, accostata al progresso. Molti non saranno disposti a cogliere le avvisaglie di un tragico epilogo da parte degli scienziati fino a che questi non saranno notevolmente più a disagio e preoccupati di quanto siano ora. Sarà comunque troppo tardi.
Il processo intrapreso per evitare il collasso della biosfera globale è stato bloccato da molti altri mali che affliggono la condizione umana incluse le condizioni di disuguaglianza, le guerre permanenti, le malattie, la miserabile povertà e l’autoritarismo. Un’orrenda iniquità, dove 200 persone possiedono metà dei beni presenti sulla Terra mentre più di un miliardo vive con meno di 1,50$ al giorno, è l’incarnazione del diavolo e ci ucciderà tutti.

La visione
Una crescita economica esponenziale in una Terra finita può portare solo a un collasso. L’umanità deve accettare una situazione economica stabile –in cui l’incremento del capitale naturale raccolto viene rigenerato annualmente- o la sua stessa fine. Ampi e connessi ecosistemi naturali devono rimanere il teatro della società umana.
L’umanità eviterà il collasso della biosfera se sceglieremo di vivere in modo più semplice, condividendo di più con gli altri, tornando al valore della terra, avendo meno figli, proteggendo e ricostituendo gli ecosistemi, nutrendoci di più del nostro cibo, smettendo di usare i combustibili fossili e accogliendo la giustizia sociale e l’amore.
Coloro che sono intelligenti e che lavorano più duramente continueranno ad avere di più ma non in maniera così grottesca. I bisogni primari di tutta l’umanità, degli ecosistemi naturali e delle specie simili verranno così soddisfatti.
La sfida del nostro tempo è di abbracciare rapidamente questi bisogni cercando di rimanere liberi ed estendere i benefici di un’esistenza libera ed economicamente sicura a tutti gli abitanti della Terra. Gli insediamenti umani devono essere costretti a vivere sottostando ai limiti delle loro bioregioni, agganciando l’essere umano ai limiti ecologici locali.
Il fallimento nel tentativo di generare un minor numero di figli, di terminare l’uso dei combustibili fossili, di restaurare gli ecosistemi naturali, comporterà la diffusione e il peggioramento del caos ecologico, morti in massa e una sorta di anarchia, prima che l’umanità ricada nel nulla più completo.

La transizione
Una vita migliore delle tossiche cazzate che uccidono noi e gli altri, è possibile. Richiede un ritorno a un involucro primordiale di sistemi naturali che rivalutino l’esperienza del troppo. Si conosce già molto in termini di tecniche per vivere e lavorare in modo più sostenibile, per educare se stessi e iniziare la transizione della propria famiglia verso una vita più leggera sulla Terra.
Dobbiamo cercare di tornare alla terra. Il più della nostra sussistenza dovrà venire da quello che produciamo dalla terra, dalla soia, dal sole e dal duro lavoro. Il futuro del lavoro risiede nella permacultura, imprese rivitalizzate, e una propria espressione creativa che alimenti la conoscenza e l’evoluzione umana.
La visione Jeffersoniana di una democrazia agraria richiede uno stile di vita totalmente sano sulla terra, frutto delle nostre mani e menti, con la volontà di respingere l’autoritarismo e il suo odio deleterio, il bigottismo e i capri espiatori. Dobbiamo partecipare assieme agli altri alla nostra comunità per rilocalizzare le nostre esistenze, e abbracciare la famiglia globale.
Il capitalismo potrà avere un qualche futuro nel momento in cui ci mobilitiamo per evitare il collasso della biosfera, introduciamo una tassa sul carbone che cerchi di abolire gradualmente l’emissione di combustibili fossili e una deindustrializzazione di tutte le attività che hanno un impatto negativo sulla biosfera; tutto ciò sarà essenziale. Altrimenti il capitalismo industriale dovrà essere sostituito a tutti i costi.
Negli Stati Uniti e nel mondo stiamo già assistendo alla crescita della demagogia autoritaria. La natura ciarlatana di tale pensiero politico dev’essere espulso come segno del nostro impegno verso una libertà verde. Assieme possiamo farcela.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15422

VIVA IL MODELLO AMERICANO ! O FORSE NO, QUESTI DIMOSTRANO UN'ALTRA VERITA'. - Marcello Foa

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Il Cuore Del Mondo

Confesso : sono stato, in gioventù, un grande ammiratore degli Stati Uniti. Poi, da inviato speciale, ho iniziato a girare questo grande Paese in lungo e in largo ma non nelle solite, note grandi città – New York, San Francisco, Boston, Washington – bensì nell’America profonda, quella, noiosissima, mai battuta dai turisti e dove i giornalisti si recano solo se costretti dai loro direttori. Un paio di anni fa con la mia famiglia abbiamo trascorso le vacanze negli Usa ; lasciammo la Grande Mela per addentrarci nello Stato di New York, su verso Albany e Catskills Mountains, sedotti dalla descrizione, letta sulle guide turistiche, dei tipici, deliziosi villaggi, simbolo di una vecchia America.

Bastarono poche decine di chilometri per restare sconcertati: i villaggi erano davvero vecchi ma tutt’altro che deliziosi. Erano angoscianti, costellati di case derelitte e talvolta piegate su ste stesse ; viaggiavamo su strade piene di buche da cui spuntavano erbacce che nessuno strappava più da tempo e intorno a noi vedvamo solo povera gente. I più fortunati vivevano in baracche di legno, gli altri vagavano trascinando i propri cenci nei carrelli della spesa.
Scoprimmo, allora, l’altro volto dell’America, quello che i turisti non vedono mai sulla Fifth Avenue o nel centro di San Francisco ed è un’America molto più numerosa di quanto si immagini, isolata, ignorata da tutti, abbandonata a se stessa.

Capii allora che erano veritiere le denunce di un commentatore molto coraggioso l’economista Paul Craig Roberts; non uno qualunque, ma uno dei principali collaboratori del presidente Reagan, docente universitario, pluripremiato. Craig Roberts sostiene che parte dei dati concernenti gli Usa, a cominciare da quelli sulla disoccupazione, non sono attendibili, in quanto manipolati alla fonte. Per intenderci : è uno di destra, un liberale. Ma con gli occhi aperti e un’autentica passione civica al servizio del proprio Paese.

Ora, grazie alla segnalazione di un amico, scopro uno studio di due docenti americani, Hershey H. Friedman e Sarah Hertz, intitolato: “Gli Stati Uniti sono il miglior Paese al mondo? Ripensateci”, basato su una serie di statistiche internazionali, da cui trova conferma il ritratto di un Paese in fase di evidente involuzione sociale, politica ed economica. Qualche dato: nella classifica sulla percentuale della popolazione che vive in povertà, gli Usa sono al 35 esimo posto su 153. Quella riguardante i bambini in povertà nei Paesi occidentali è ancora più disastrosa: gli Usa sono 34esimi su 35, solo la Romania fa peggio. Sono il quarto Paese al mondo con la maggior disuguaglianza reddituale, dietro a Cile, Messico e Turchia. E gli stessi americani non si sentono molto felici: sono appena al diciassettesimo posto della classifica mondiale. L’aspettativa di vita è bassa: gli Usa sono appena 42esimi, mentre battono tutti riguardo la popolazione carceraria: hanno 2,2 milioni di detenuti, molto più della Cina (1,6 milioni) che però ha una popolazione oltre 3 volte maggiore e della Russia dell’orribile Putin (600 mila). Secondo una fonte insospettabile, l’Economist, nemmeno Stalin raggiungeva queste cifre.
Potrei continuare ma mi fermo qui. Intuisco lo sconcerto del lettore, che si chiede: ma come? Io pensavo che l’America… Già, lo pensavamo tutti, ma per valutare davvero questo Paese non ci si può limitare agli annunci ufficiali, che descrivono solo una parte della realtà, ignorando tutto quello che non collima con la verità ufficiale, con il mito che Hollywood e le tv continuano ad alimentare.
Quanti film avete visto sui 45 milioni di americani in povertà?
Quante denunce giornalistiche?
Chi solleva questo tema nei dibattiti televisivi?
La risposta è sempre la stessa: nessuno.

Tutti pavidi e conformisti, tranne pochi commentatori coraggiosi come Paul Craig Roberts.
That’s America. Purtroppo.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15427

sabato 18 maggio 2013

Crisi: piu' disuguaglianza, 47% ricchezza a 10% famiglie.


  


Fisac Cgil, compenso manager 163 volte quello dipendente.

ROMA - Cresce e si divarica sempre piu' la forbice delle disuguaglianze sociali. Il 10% delle famiglie italiane detiene poco meno della meta' (47%) della ricchezza totale. Il resto (53%) e' suddiviso tra il 90% delle famiglie. Lo segnala la Fisac Cgil, sulla base di uno studio sui salari nel 2012. Una differenza che diventa macroscopica mettendo a confronto il compenso medio di un lavoratore dipendente e quello di un top manager: nel 2012 il rapporto e' stato di 1 a 64 nel settore del credito, di 1 a 163 nel resto del campo economico. Nel 1970, sempre secondo lo studio del sindacato del credito della Cgil, tale rapporto era di 1 a 20. ''Qui c'e' la vera ingiustizia'' commenta il segretario generale della Fisac Agostino Megale. In pratica, in 4 anni, dal 2009 al 2012, un lavoratore in media ha percepito 104 mila euro di salario lordi. Un amministratore delegato (dati riferiti ai primi 10 gruppi per capitalizzazione a piazza Affari), nella media dei 4 anni, ha accumulato invece 17 milioni 304 mila euro, con una differenza a favore di quest'ultimi di 17.200.000. Il rapporto calcola in 26mila euro lordi il salario medio di un dipendente, a fronte dei 4 milioni 326mila euro del compenso medio per un top manager. Per Megale, i numeri del rapporto sottendono ''un distacco enorme che richiede subito una legge che imponga un tetto alle retribuzione dei top manager''.
Infatti, prosegue, ''in questi sei anni di crisi il potere d'acquisto dei salari e delle pensioni si e' piu' che dimezzato mentre non hanno subito alcuna flessione i compensi dei top manager, cosi' come nessuna incidenza ha subito quel 10% di famiglie piu' ricche, incrementando la forbice delle diseguaglianze''. La proposta della Fisac e' quindi quella di un'imposta patrimoniale per le famiglie che possono contare su una ricchezza complessiva oltre gli 800mila euro, pari a 1 milione 208.000 famiglie, in pratica la meta' del gruppo delle piu' ricche (2 milioni 400 mila, che possiedono mediamente circa 1.600 mila euro). Nel 2012 il salario netto mensile percepito da un lavoratore standard e' stato pari a 1.333 euro che cala del 12% se si tratta di una dipendente donna, e del 27% se e' giovane (973 euro). Per i giovani poi la retribuzione in 10 anni non si e' mai accresciuta: mille euro mensili circa in busta paga, immutata dal 2003.