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domenica 21 febbraio 2021

Luna di Mieli. - Marco Travaglio

 

Se Paolo Mieli fosse uno dei tanti cazzari della cosiddetta informazione, non meriterebbe una riga di replica. Ma siccome non dice mai nulla per niente, i suoi apparenti deliri a Radio24-Confindustria vanno segnalati e decrittati: “Guardo cosa bolle in pentola e vedo che il Fatto Quotidiano è schierato con gli scissionisti 5Stelle… Sarebbe una forma di libera espressione giornalistica se non sapessimo che il Fatto è molto caro alla magistratura più militante…”. Già, perché “ogni tipo di governo ha avuto problemi con magistrati più o meno combattivi” (ecco, più o meno), come nel 2008, quando Prodi cadde per l’inchiesta di S. Maria Capua Vetere su Mastella, che poverino voleva “riformare la giustizia”. E, appena ciò accade, “qualche pm di qualche parte d’Italia parte con un’inchiesta… perché sa di trovare il consenso della categoria”. Segue una supercazzola sul caso Palamara (che si porta su tutto, ma non ha svelato una sola indagine o una sola sentenza condizionata, ma solo bieche storie di carriere), poi la conclusione: “La ribellione di un nutrito gruppo di 5Stelle e l’appoggio evidente del Fatto quotidiano sono campane che mandano un suono distinto e che si sente bene. Chi vivrà vedrà. Di sicuro, dalle parti della magistratura militante, sta ribollendo qualcosa”.

Ora, per strano che possa sembrargli, la linea del Fatto la decide il Fatto, non i dissidenti M5S né i pm militanti (più o meno). Ed è la stessa da sempre: no a governi-ammucchiata usciti dal cilindro del Colle all’insaputa degli elettori e guidati da tecnici-salvatori della patria; fuori dalle istituzioni il partito del pregiudicato-prescritto-imputato finanziatore della mafia. Quanto alle inchieste che han messo nei guai premier o ministri, nascevano da notizie di reato. Non certo dalla prava volontà di pm militanti (più o meno) di compiacere il Fatto o colpire chi riforma la giustizia (peraltro riformata 120 volte in 27 anni). L’idea che il sottoscritto sia il capo dei pm militanti (più o meno) è affascinante. Ma purtroppo il primo premier della II Repubblica nei guai con la giustizia fu B. col famoso invito a comparire per corruzione (23.11.1994). E la notizia non fu anticipata né dal Fatto (ancora in grembo a Giove) né dal sottoscritto, ma dal Corriere, diretto indovinate da chi? Da Mieli, of course. Quindi, se Mieli teme che sia indagato qualche ministro di Draghi, cosa assai possibile visto il ritorno in maggioranza di tutto il vecchio magnamagna, non ha che da invitarli tutti a rispettare il Codice penale o a riesumare il Lodo Alfano per metterli al riparo dalla giustizia. Se invece sa qualcosa di indagini già aperte e tenta di screditarle o bloccarle preventivamente, lo dica e lasci perdere il Fatto. Questi giochetti, con noi, non attaccano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/21/luna-di-mieli/6108459/

sabato 19 dicembre 2020

Inchiesta Consip, atto finale: “Processate Tiziano Renzi”. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

 

La richiesta - I pm vogliono il giudizio per il padre dell’ex premier Contestati quattro reati. “Romeo e l’offerta dei 30 mila euro al mese”.

Il “babbo” di Matteo Renzi potrebbe presto dover affrontare un processo. Per Tiziano Renzi la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro capi d’imputazione. Traffico di influenze e turbativa d’asta sono i reati contestati in relazione a due gare: l’appalto Fm4 indetto da Consip (del valore 2,7 miliardi di euro) e la gara per i servizi di pulizia bandita da Grandi Stazioni. Sarà il gup (l’udienza deve essere ancora fissata) a decidere se mandare a processo Renzi e altre dieci persone: tra queste l’amico di Tiziano, Carlo Russo, l’imprenditore campano Alfredo Romeo, gli ex deputati Denis Verdini e Ignazio Abrignani e pure gli ex ad di Consip e Grandi Stazioni, Domenico Casalino e Silvio Gizzi.

Per Tiziano Renzi, inizialmente indagato solo per traffico di influenze, la Procura aveva chiesto l’archiviazione. Respinta dal Gip Gaspare Sturzo che ha disposto nuove indagini. E così le cose si sono messe male: alla fine della ulteriore attività investigativa, i pm hanno contestato a Renzi, seguendo linee guida fissate da Sturzo, non uno, bensì quattro reati.

C’è dunque la gara Fm4, appalto indetto nel 2016 e sospeso dopo l’esplosione dell’inchiesta partita a Napoli e poi trasferita a Roma per competenza. Stando alle accuse, era Carlo Russo a farsi promettere denaro in nero da Romeo per sé e per Renzi sr., in cambio della propria mediazione sull’ex ad di Consip, Luigi Marroni (estraneo alle indagini) affinché favorisse le società dell’imprenditore campano nella gara Fm4. Russo (accusato di turbativa d’asta), secondo le accuse, quindi “agiva in accordo con Tiziano Renzi” (che però ha sempre smentito). La “mediazione illecita” di Russo consisteva così nell’istigare Marroni a intervenire “sulla commissione aggiudicatrice della gara Fm4 (…) e in particolare sul presidente Francesco Licci (allora presidente della commissione di gara di Fm4, indagato per traffico di influenze, ndr) anche per il tramite di Domenico Casalino, per facilitare la Romeo Gestioni Spa”, società che partecipava a quell’appalto. In cambio di questa “mediazione illecita”, Russo “si faceva promettere da Alfredo Romeo”, tra le altre cose, “numerose ospitalità negli hotel di proprietà del gruppo Romeo”, oltre che “denaro in nero per sé e per Tiziano Renzi”. Nella questione della gara Fm4, la turbativa d’asta e il traffico di influenze sono contestati anche a Romeo, Casalino e a Italo Bocchino.

L’altra grana di Tiziano Renzi riguarda poi la gara per i servizi di pulizia indetta da Grandi Stazioni. Anche in questo filone, Romeo e Bocchino sono accusati di traffico di influenze e turbativa d’asta. Reato, quest’ultimo, contestato anche a Russo e a Silvio Gizzi, ex amministratore delegato di Grandi Stazioni. Anche in questo caso, per i pm, è il solito Russo a voler favorire la Romeo Gestioni Spa, agendo sempre “in accordo con Tiziano Renzi”. E anche questa volta sfruttava le proprie relazioni, stavolta però con l’ex numero uno di Grandi stazioni, Gizzi, “relazioni – è scritto nel capo di imputazione – ottenute anche per il tramite di Maurizio Gentile, ad di Rfi Spa (estraneo alle indagini, ndr), a sua volta sollecitato da Tiziano Renzi”. Come prezzo della propria mediazione, Russo “si faceva promettere da Romeo, il quale agiva in accordo con Italo Bocchino, utilità consistenti in somme di denaro periodiche”.

Nell’indagine romana, il solo Russo è accusato anche di estorsione: avrebbe minacciato Marroni, spiegandogli che qualora non fosse intervenuto su Fm4 a favore della Romeo Gestione Spa, “sarebbero intervenuti Tiziano Renzi e Denis Verdini, persone che per relazioni e ruolo potevano farlo licenziare”. Non riuscì nell’intento, “per la resistenza” di Marroni”.

Proprio Verdini, che ora si trova in carcere per altre vicende di bancarotta, ha qualche grana pure in questa inchiesta romana. Il fondatore di Ala è indagato insieme anche all’ex deputato Abrignani. I due, per i pm, avrebbero concorso nella turbativa della gara Fm4 parteggiando per Cofely. Sono accusati anche di concussione: secondo i pm, Verdini, nel 2016 quando era ancora parlamentare, “costringeva Marroni”, Ad di una “società pubblica i cui vertici vengono designati proprio dal governo”, “a erogare a Ezio Bigotti (…) l’utilità consistita nell’incontrarlo e ascoltarlo in quanto interessato a conoscere notizie riservate sulla gara FM4 e a sollecitare una minore resistenza di Consip nei contenziosi pendenti”. Ancora qualche tempo e il gup deciderà se dare vita a un ulteriore processo Consip.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/19/inchiesta-consip-atto-finale-processate-tiziano-renzi/6042399/

sabato 13 giugno 2020

Inchiesta zona rossa. Il Pm: 'Collaborazione massima con Conte e i ministri'.

Coronavirus: pm Rota a P.Chigi per ascoltare Conte © ANSA
Coronavirus: pm Rota a P.Chigi per ascoltare Conte.

Il premier Conte è stato ascoltato come persona informata sui fatti.

"Le audizioni si sono svolte in un clima di massima distensione e di massima collaborazione istituzionale". Lo ha detto il procuratore di Bergamo Maria Cristina Rota in una dichiarazione dopo aver sentito a Palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte e i ministri Roberto Speranza e Luciana Lamorgese come persone informate sui fatti. 
"Ora - ha aggiunto il procuratore che si è fermato qualche istante con i giornalisti davanti a palazzo Chigi - noi ce ne andiamo, grati delle dichiarazioni che abbiamo avuto, a completare il nostro lavoro".
Lei aveva detto che la zona rossa era responsabilità del governo? "No. Avevo dichiarato che dalle dichiarazioni che avevamo in atto c'era quella in quel momento. Oggi non ho altro da aggiungere" ribatte ai cronisti la Pm di Bergamo.
Si è dunque conclusa l'audizione del premier Giuseppe Conte che è stato sentito per circa 3 ore nell'ambito dell'indagine sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro come persona informata dei fatti. E sono stati ascoltati anche i ministri dell'Interno Luciana Lamorgese e della Salute Roberto Speranza. "Penso che chiunque abbia avuto responsabilità dentro questa emergenza, dal capo dell'Oms al sindaco del più piccolo Paese, debba essere pronto a rendere conto delle scelte fatte. È la bellezza della democrazia. È giusto che sia così. Da parte mia ci sarà sempre massima disponibilità nei confronti di chi sta indagando". Così in un post su Facebook il ministro della Salute, Roberto Speranza, dopo essere stato sentito in qualità di persona informata sui fatti dai pm di Bergamo nell'indagine sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro.
Il premier è stato sentito come persona informata sui fatti dai Pm di Bergamo che da ieri sono a Roma per raccogliere le deposizioni degli esponenti di governo e dei tecnici che hanno lavorato al loro fianco nell'emergenza Coronavirus e in particolare per avere la loro versione sulla mancata zona rossa ad Alzano e Nembro. Vicenda sulla quale la magistratura ha acceso un faro per capire se istituirla spettava al Governo o alla Regione o a entrambi, se ci siano o meno responsabilità penali e se il non aver isolato i due Comuni, dove già dalla fine di febbraio i contagi erano cresciuti i maniera esponenziale, sia stata una delle cause che ha portato all'alto numero di morti in Val Seriana e nelle sue Rsa, altro tema di indagine assieme a quello del caso dell'ospedale di Alzano.
Ma intanto proseguono le polemiche. In questo caso innescate dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori che in un tweet si è lamentato che in Regione "da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molti di più di quelli "ufficiali", hanno secretato i dati per provincia". Immediata la replica del Pirellone secondo cui la denuncia di Gori "non corrisponde al vero" perché l'informazione "non è cambiata e continua a essere la stessa".
Mentre due giorni fa il pool di magistrati guidati dal Procuratore facente funzione Maria Cristina Rota ha ascoltato il presidente dell'istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, il lavoro è proseguito anche nella raccolta del materiale, come carteggi, verbali interni del comitato tecnico scientifico della Protezione Civile, delibere e Dcpm, per ricostruire passo a passo cosa è accaduto esattamente dal 3 al 7 marzo, quando poi l'esecutivo ha deciso di trasformare l'intera Lombardia e altre 14 province in Zona Rossa.
Il programma dei magistrati prevede di ascoltare i ministri della Salute Roberto Speranza e dell'Interno Luciana Lamorgese (per il numero uno del Viminale l'audizione dovrebbe riguardare tra l'altro l'interlocuzione con il prefetto di Bergamo quando in quei giorni si decise il rinforzo del personale chiamato a presidiare l'area che poi non venne più chiusa).
Conte aveva dichiarato che avrebbe ribadito come la Regione Lombardia, con cui da mesi c'è un rimpallo di responsabilità, aveva gli strumenti tecnici per agire in autonomia come hanno fatto altre Regioni. Concluse le audizioni romane, i Pm bergamaschi, che sulla vicenda hanno già sentito tra gli altri il presidente della Lombardia Attilio Fontana e l'assessore al Welfare Giulio Gallera, dovrebbero cominciare a tirare le fila e stabilire se si sia trattato di atti da incasellare in scelte politiche o se ci siano o meno responsabilità penali. Nell'eventualità in cui si dovessero ipotizzare responsabilità a carico di esponenti del governo durante l'esercizio della funzione, il procedimento dovrebbe essere trasmesso al Tribunale dei Ministri del distretto e quindi a quello che ha sede presso la Corte d'Appello di Brescia. Quel che è certo è che la ricostruzione sulla mancata zona rossa servirà a inquirenti e investigatori per avere un quadro di fondo per proseguire con gli altri filoni di indagine, quella sull'anomala riapertura del pronto soccorso dell'ospedale di Alzano lo scorso 23 febbraio e le morti nelle Rsa bergamasche.
Ancora ieri Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità ha spiegato che è stata sollevata "l'attenzione sulle aree dove c'erano il numero maggiore di casi e sono state fatte, con una tempistica stringente e non perdendo assolutamente tempo, tutte le analisi che hanno permesso al decisore politico di fare le scelte del caso".
Dopo che il Pm di Bergamo ha ascoltato a Palazzo Chigi Conte e i ministri, è scoppiata una polemica tra il senatore del M5S Elio Lannutti e il centrodestra. "Sbaglio o si tratta della stessa Pm che ha già emesso sentenza assolutoria in Tv per Fontana?", scrive su Twitter Lannutti osservando che "se ci fosse un Csm, sarebbe già intervenuto". Immediata la risposta della leader di FdI Giorgia Meloni e il portavoce di FI, Giorgio Mulè. "Il grillino Lannuti richiede l'intervento del CSM per mettere la museruola al Pm di Bergamo che ha ascoltato il Presidente Conte sulla mancata istituzione delle zone rosse. Siamo oltre il colpo di Stato: per i pentastellati i PM non hanno nemmeno il diritto di indagare...se le indagini si orientano su di loro", commenta Meloni. Mentre Mulè dice: "Sentire i 5stelle che attaccano la Magistratura, cavallo di Troia con il quale strumentalmente hanno sfondato a suon di populismo e del giustizialismo più becero le porte del Parlamento, fa tenerezza e suscita imbarazzo".

lunedì 7 ottobre 2019

Fatture false, genitori Renzi condannati a 1 anno e 9 mesi. - Paolo Martini

Fatture false, genitori Renzi condannati a 1 anno e 9 mesi

Un anno e nove mesi di reclusione (pena sospesa) per Laura Bovoli e Tiziano Renzi, genitori dell'ex premier Matteo Renzi, e due anni per l'imprenditore Luigi Dagostino. E' questa la sentenza emessa oggi pomeriggio dal tribunale di Firenze al termine del processo per due fatture false emesse dalla Party srl (da 20mila euro più Iva) e alla Eventi 6 srl (140mila euro più Iva), società imprenditoriali gestite dai coniugi Renzi. Dagostino era accusato, oltre che di fatture false, anche di truffa aggravata, perché avrebbe pagato i coniugi di Rignano sull'Arno (Fi) per lavori inesistenti.

Il giudice Fabio Gugliotta ha accolto in piene le richieste del pm Christine Von Borries nei confronti dei Renzi. L'accusa aveva invece chiesto 2 anni e 3 mesi per Dagostino, che è stato condannato anche al pagamento dei danni alle parti civili e delle spese processuali. Renzi e Bovoli sono stati, inoltre, interdetti per sei mesi da incarichi direttivi nelle imprese e per un anno dai pubblici uffici e dal trattare con la pubblica amministrazione. Il giudice ha concesso la sospensione condizionale della pena.
"Abbiamo comunicato la notizia ai nostri assistiti, che sono molto sereni, molto tranquilli. Quello che dovevamo dire lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto in una memoria consegnata al giudice. Aspettiamo le motivazione della sentenza e poi faremo assolutamente ricorso", ha commentato l'avvocato Lorenzo Pellegrini, uno dei difensori dei coniugi Renzi. Il difensore di Dagostino, l'avvocato Alessandro Traversi, ha detto dopo la sentenza: "Aspettiamo le motivazioni della sentenza per capire le ragioni per le quali le fatture sono state ritenute relative a operazioni non effettivamente esistenti. Ovviamente ricorreremo in appello".
Lo stesso Tiziano Renzi ha commentato: "Ho il dovere di credere nella giustizia italiana, oggi più che mai. E continuo a farlo anche se con grande amarezza. Perché i fatti sono evidenti: il lavoro che mi viene contestato è stato regolarmente svolto, regolarmente fatturato, regolarmente pagato. Nessuno può negare questo e sono certo che i prossimi gradi di giudizio lo dimostreranno. Nell’attesa presenteremo immediatamente l’appello. Almeno è stato appurato che non c’è un neanche un centesimo di evasione: passerò i prossimi anni nei tribunali ma dimostrerò la totale innocenza".
I fatti al centro delle indagini risalgono al 2015, quando l'imprenditore Luigi Dagostino, anch'egli a giudizio con l'accusa di false fatturazioni e, nel suo caso, anche truffa, era amministratore delegato della Tramor, società di gestione dell'outlet del lusso The Mall di Leccio di Reggello (Firenze), e avrebbe incaricato le società Party ed Eventi 6, entrambe facenti capo ai Renzi, di studi di fattibilità per lavori all'outlet.
Le fatture considerate false e oggetto del processo, perché secondo l'accusa non corrisponderebbero a prestazioni realmente effettuate, sono due: una da 20mila e l'altra da 140mila euro più Iva. Le fatture vennero pagate alla società Party srl (quella da 20mila euro) e alla Eventi 6 srl (quella da 140mila euro) nel luglio 2015.
Secondo la procura la fattura da 140 mila euro per progetti di fattibilità su aree ricreative e per la ristorazione all'outlet del lusso 'The Mall' sarebbe per consulenze pagate ma non realizzate L'altra fattura da 20 mila euro risulta emessa dalla Party srl (unica fattura emessa dalla Party nel 2015), società fondata da Tiziano Renzi (con il 40% della quote) e dalla Nikila Invest, srl amministrata da Ilaria Niccolai (60%), compagna dell'imprenditore Luigi Dagostino.
Durante il dibattimento in aula, un consulente tecnico citato dalla difesa, il commercialista Francesco Mancini, rispondendo alle domande di uno dei legali di Laura Bovoli, avvocato Francesco Pistolesi, aveva affermato che le due fatture oggetto del processo furono regolarmente contabilizzate e non provocarono alcun danno all'Erario.
D'Agostino, rilasciando dichiarazioni spontanee, aveva detto di non aver emesso "nessuna fattura falsa" e di non aver "truffato nessuno", sostenendo di essere rimasto perplesso per l'importo delle fatture ma di aver "subito la sudditanza psicologica" per il fatto che "i coniugi Renzi erano i genitori del presidente del Consiglio" e quindi "ho ritenuto di non contestarle". Il legale dei Renzi, l'avvocato Federico Bagattini, aveva replicato affermando che "se avesse ritenuto quelle fatture troppo alte per il lavoro svolto avrebbe dovuto non pagarle".
Il padre e la madre di Matteo Renzi avevano scelto, invece, di non presentarsi in aula ma, tramite i loro legali, hanno depositato due memorie scritte. Nelle memorie difensive "i coniugi Renzi - spiegò Bagattini - hanno sostenuto quello che i loro difensori hanno già anticipato, e cioè che le due fatture sono assolutamente vere, relative a prestazioni effettivamente eseguite, e che tutte le tasse e le imposte relative a questa fatturazione sono state regolarmente versate".
"Ho sempre lavorato e dato lavoro: non ho avuto bisogno di avere il figlio premier per lavorare" e "chi dice il contrario mente" scrisse Tiziano Renzi in un passaggio della memoria consegnata al tribunale. "Non c'è nessuna fattura falsa - proseguiva Tiziano Renzi - solo tante tasse vere, tutte pagate fino all'ultimo centesimo: questo è oggettivamente esistente". Mentre Laura Bovoli aveva scritto che "non sono abituata alle telecamere e vivo con profondo disagio tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi" in cui "sono passata da cittadina irreprensibile a criminale incallita" e "da nonna premurosa al 'lady truffa'".
Nel febbraio scorso Tiziano Renzi e Laura Bovoli, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatture, erano finiti agli arresti domiciliari nell'ambito di un'altra inchiesta della procura fiorentina sul fallimento di alcune cooperative che facevano capo a loro. Misura poi revocata l'8 marzo dal tribunale del riesame.
Durante la requisitoria di oggi, il pm Von Borries ha puntualizzato , sollevando le riserve dei legali degli imputati, che la fattura di 20mila euro alla società Party fu pagata da Luigi Dagostino il 17 giugno 2015, lo stesso giorno in cui l’imprenditore pugliese fu ricevuto a Palazzo Chigi. Il pm ha citato un atto estraneo al processo fiorentino e relativo a un’inchiesta della Procura di Trani da cui emerge che nel 2015 Dagostino si era rivolto a Tiziano Renzi, che aveva conosciuto l'anno precedente, per chiedergli di fissare un appuntamento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con l'allora sottosegretario Luca Lotti, considerato il braccio destro di Matteo Renzi.
L'incontro a Palazzo Chigi avvenne il 17 giugno 2015 e durò, secondo la ricostruzione del pm fiorentino, circa 40 minuti. Nello stesso giorno Dagostino saldò la fattura a Bovoli. All’incontro nell’ufficio di Lotti a Palazzo Chigi, ha precisato il pm Von Borries, intervennero anche Antonio Savasta, all’epoca pm a Trani, e l’avvocato Ruggero Sfrecola. A sollecitare l’incontro a Dagostino con Lotti sarebbe stato il suo avvocato. In quel periodo Savasta indagava su un giro di fatture false in Puglia che coinvolgeva anche Dagostino. Il pm Von Borries ha anche ricostruito "i tanti incontri incastrati con l’emissione delle fatture false" tra Tiziano Renzi e Dagostino, avvenuti soprattutto a Roma con esponenti della politica e "anche con pubblici ufficiali".
L'incontro che il magistrato pugliese Antonio Savasta ebbe con Luca Lotti a Palazzo Chigi era annotato anche nell'agenda dell'imprenditore Dagostino, ha precisato Von Borries, Altri incontri, secondo la ricostruzione del pubblico ministero Von Borries, avvennero nell'estate 2015 e "si intersecarono" con la data del 22 luglio, quando venne pagata alla Eventi 6 la fattura da 140mila euro per una consulenza. Il pm ha citato, tra gli altri, gli incontri con il senatore Nicola Latorre e uno con il magistrato Cosimo Bottazzi, che sarebbero avvenuti alla presenza sia di Tiziano Renzi che di Dagostino.
L'incontro tra Dagostino e Lotti "non c'entra assolutamente nulla: è una coincidenza temporale, che non è esposta nel capo di imputazione e che quindi non ha il benché minimo riferimento e rilevanza rispetto a questa vicenda", ha commentato l'avvocato Federico Bagattini, difensore di Tiziano Renzi. "E' una coincidenza che crea una suggestione e che fa fare delle domande ma che ai fini del processo non vuol dire assolutamente nulla", ha aggiunto il legale. "D'altro canto il fatto di avere rapporti personali di amicizia, conoscenza e frequentazione tra Tiziano Renzi e Luigi Dagostino non fa sì che questo tipo di rapporto generi rapporti illeciti e fatture false", ha concluso Bagattini.
Sempre a proposito dell'incontro Dagostino-Lotti, il difensore dell'imprenditore, avvocato Alessandro Traversi, ha commentato dopo la sentenza: "E' oggetto di altri eventuali procedimenti. In questo processo non c'è nessun atto che faccia riferimento a quello di cui ha parlato la pm questa mattina. Infatti gli abbiamo contestato la non conferenza di questi richiami a palazzo Chigi, a Lotti, a Sfrecola a Savasta. Sono oggetto di altre indagini e altri procedimenti che qui assolutamente non hanno nessuna attinenza con questo processo".

sabato 6 luglio 2019

Arrestato all'aeroporto di Fiumicidio l'ex pm di Siracusa Longo.

Risultati immagini per Giancarlo Longo


E' stato arrestato all'aeroporto di Fiumicino l'ex pm di Siracusa Giancarlo Longo. E' divenuta definitiva infatti la sentenza con cui il magistrato ha patteggiato la condanna a 5 anni, le dimissioni dalla magistratura e l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici: pertanto la Procura di Messina, che lo indagò e lo fece condannare, ha emesso l'ordine di carcerazione per espiazione della pena. Longo deve scontare 4 anni, un mese e 20 giorni avendo già subito un periodo in custodia cautelare in carcere.

Longo era accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Il procedimento a suo carico, denominato 'Sistema Siracusa', nasce da una inchiesta dei pm della città dello Stretto, guidati da Maurizio De Lucia, competenti proprio per il coinvolgimento di Longo, che all'epoca delle accuse era in servizio alla Procura di Aretusea. L'inchiesta aveva al centro due avvocati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore che, per anni, avrebbero pilotato indagini e fascicoli per avvantaggiare loro clienti di peso come i costruttori siracusani Frontino. Longo, in cambio di mazzette e regali, avrebbe messo a disposizione la sua funzione di magistrato condizionando l'andamento dei procedimenti penali. Dopo l'arresto Calafiore ed Amara hanno cominciato a collaborare con i pm. Le loro dichiarazioni hanno portato all'apertura di altre indagini tra le quali quella sull' ex giudice del Cga siciliano Giuseppe Mineo, accusato di corruzione in atti giudiziari e ritenuto un pezzo di quel "sistema Siracusa" finito al centro dell'inchiesta, e all'inchiesta per finanziamento illecito ai partiti dell'ex senatore di Ala Denis Verdini.


https://www.nuovosud.it/articoli/94892-cronaca-siracusa/arrestato-allaeroporto-di-fiumicidio-lex-pm-di-siracusa-giancarlo?fbclid=IwAR2_4ujn3M1FpmwP1c8AoILjijAs-hT1fNhXIWQo9v68wUSTHWwVUllGA9U

mercoledì 8 maggio 2019

Trani, ex pm arrestato Savasta: «Mi sono venduto per 120mila euro». - Massimiliano Scagliarini

Ex pm Trani arrestato: «Savasta insabbiò l'indagine su Giancaspro»

Si va verso l'incidente probatorio. La confessione: «Nardi mi ricattava, se mi avessero scoperto era la fine».

«Effettivamente c’è stata la mia deviazione dal punto di vista morale di magistrato e tutto il resto». Antonio Savasta ha ammesso di aver preso circa 120mila euro: un sacco di soldi per vendere la giustizia, eppure quasi nulla rispetto alle molte centinaia di migliaia di euro che sembrerebbero essere passati di mano negli anni in cui nel Tribunale di Trani era in servizio la cricca dei giudici. L’ex pm ha confessato, ammettendo le responsabilità in oltre 200 pagine di verbali: «Ero ai limiti, vi dico sinceramente, del suicidio, vi giuro ho pensato un giorno di buttarmi sotto la metro, non ce la facevo più». Ma ha anche detto di sentirsi «ricattato» da Michele Nardi, l’ex gip tuttora in carcere, e da Flavio D’Introno per conto del quale ha creato procedimenti penali fasulli allo scopo di proteggere l’imprenditore da un processo per usura.

GLI INIZI.
È tutto nelle carte che la Procura di Lecce ha depositato in vista dell’incidente probatorio in cui, da lunedì, Savasta, D’Introno e il poliziotto Vincenzo Di Chiaro (anche lui in carcere) verranno messi a confronto con gli altri indagati (tra cui pure l’ex pm Luigi Scimè, ora giudice a Salerno) per trasformare in prove le decine di ore di interrogatori raccolti dal procuratore Leonardo Leone de Castris e dalla pm Roberta Licci. Le parole di Savasta sono il fulcro di tutto.
Savasta dice di essere stato avvicinato da Nardi «per mero interesse»: «Aveva l’interesse di tutelare il D’Introno, quindi l'interesse suo era ricavare dal D’Introno quanto più denaro poteva essere e spostare diciamo il sottoscritto per tutta una serie di cose, tenuto conto poi che io in quel periodo poi, perché dal 2012 in poi visto i miei problemi disciplinari, e lui si faceva diciamo “non ti preoccupare, ti aiuterò” e infatti poi dopo successe anche nel 2016 (..) e quindi io stavo in una situazione tale che diciamo in un certo senso mi sentivo in debito nei confronti di questa persona, anche se questa persona non ha fatto niente per me». Ma cosa avrebbe promesso Nardi a Savasta? «Vantava ottimi rapporti con il procuratore (Capristo, ndr), e mi rappresentava che grazie alla sua posizione avrebbe potuto in qualche modo fare andare bene le cose anche per me, tutelarmi o rovinarmi». Ed ecco che, sempre secondo Savasta, Nardi gli chiede di aiutare D’Introno sequestrando alcune cartelle esattoriali milionarie: «“Ma perché ci tieni tanto a questa persona?”, dice: “Sai il D’Introno è una persona che mi sta aiutando nella mia vicenda personale, cioè lui in realtà si presta nei confronti di mia moglie a giustificare il fatto che delle volte io faccio delle scappatelle». Insomma, bisogna fare in modo di bloccare le cartelle esattoriali: «Qui entra in gioco la Cuomo (avvocato di D’Introno attualmente interdetta, ndr) che fece un’istanza nel fascicolo dicendo sostanzialmente che c’era uno soggetto, questo Patruno Gianluigi, che era amico di alcuni messi notificatori...».

«IL RICATTO»
È questo, secondo Savasta, il punto di non ritorno. «Feci presente alla Cuomo che probabilmente non avrei chiesto un rinvio a giudizio, loro invece lo volevano (...). E quindi fu lì che il D’Introno diciamo esce fuori una vicenda particolare che è quella che io ritengo diciamo del ricatto. Allora qui dice (D’Introno, ndr) “io ho speso soldi, ho fatto regali a vostro cognato, regali a Nardi, voi siete tutti d'accordo, io cioè in questa situazione non posso essere condannato”. Allora io in questa situazione diciamo ho accettato di fare un rinvio a giudizio, (...) qua si trattava veramente di fare una cosa non giusta, però d'altro canto se questo a un certo punto cominciava a mettere nei guai, cioè a raccontare di queste vicende dalla cartella esattoriale, io in quel periodo ero sotto procedimento disciplinare, ci sono tutte quelle vicende note della masseria e quei procedimenti in questione, cioè una cosa del genere per me avrebbe rappresentato la fine, sostanzialmente da quel momento in poi mi sono asservito a queste richieste del D’Introno». In cambio, per quel primo rinvio a giudizio, intorno a Natale 2014 «il D’Introno mi portò 10.000 euro».

I 120.000 EURO
La Procura di Lecce contesta a Savasta di aver preso circa 300mila euro. Lui, però, rifà i conti e riduce il totale a 120.000, compresi i soldi che D’Introno aveva speso per favorire il cognato del magistrato aprendogli una palestra in locali di sua proprietà, ammettendo anche alcuni viaggi tra cui uno in Turchia: «Vicenda Tarantini 60.000 euro, ristrutturazione della palestra, a dire di D’Introno, aveva speso circa 30-40mila euro, poi le 10.000 euro delle piante che io pensavo fossero regalo di D’Introno invece poi pare che è stato fatturato a Tarantini, i viaggi che lui (D’Introno, ndr) dice “complessivamente ho speso 20mila euro di viaggi tra te, Savino, la sorella, mia sorella... Poi ricordo, come dissi l’altra volta, che a Natale in una busta mise, non ricordo se erano 8-10mila euro come dissi l’altra volta, basta».
LICCI: «Poi c’era altro? Da Trony lei non ha mai comprato niente? Manco un telefonino?».
SAVASTA: «Non mi piacciono i telefonini».
L: «Neanche un televisore?».
S: «No No».
L: «Un frullatore? Niente?».
S: «No no».

LA STANGATA
Una delle accuse riguarda i soldi che Savasta e Nardi avrebbero ottenuto da un altro imprenditore di Corato, Paolo Tarantini, per far sparire una indagine fiscale che era stata inventata apposta: in cambio Savasta dice di aver chiesto 300mila euro, ma di aver avuto molto meno. «A quel punto mia sorella mi consegnò questa cosa, io aprii e dentro stavano circa 60.000 euro. Che questa è la cifra che lui (Tarantini, ndr) ha dato per quanto mi riguarda, naturalmente avendo appreso che Nardi aveva preso 200 eccetera, questo è stato un altro dei motivi per cui dici io cioè questo Nardi, il collega Nardi mi ha messo “nella merda più totale”». Ma da Tarantini arrivano anche i soldi per tacitare un tale Gianluigi Patruno, deferito per falsa testimonianza che minacciava di raccontare del fatto che era stato tutto organizzato da Savasta e D’Introno con l’avvocato Cuomo: «Organizzammo a Corato un incontro a un bar vicino al Duomo di Corato, e li c’era Tarantini, il Tarantini effettivamente diceva all’inizio “io veramente con tutto il rispetto, però non ho in questo periodo... un po’ di difficoltà”, disse “io massimo posso le 40-50.000 euro, non di più”, io dissi “vabbè quello che riuscite a trovare, però io ho necessità con una certa urgenza”, dissi io nella ferocia concordata con il D’Introno, dissi “io è inutile che ritorno a Corato o ci vediamo per prendere soldi eccetera, ve la vedete con D’Introno». E anche D’Introno ci fa la cresta su: «Il D’Introno mi disse questi soldi “allevate” circa 4-5.000 euro da queste 50.000 che mi sono servite perché avevo dei debiti se no mi arrivava a mia moglie delle notifiche", praticamente dice “a parte quello, tutto il resto ho dovuto darglielo al Patruno”. Quindi andai dal Tarantini, il Tarantini disse “io ho dato 50”, dissi “tante grazie ma io non ho ricevuto 50, ne ho ricevuti di meno”, lui disse “Eh si la solita cosa, quel D’Introno”». E poi ci sono i soldi che Tarantini dà a Nardi: «Mi raccontò del fatto che Nardi aveva preso 200.000 con la sorella». L’ex gip avrebbe preso da Tarantini anche altri 30mila euro per truccare un appello di lavoro.

GLI «OMISSIS»
Una parte delle dichiarazioni di Savasta è ancora oscurata, perché fa riferimento a ulteriori episodi di possibile corruzione: riguarderebbero sia fascicoli penali che tributari. Tra le persone coinvolte c’è anche un commercialista, Massimiliano Soave, consulente della Procura di Trani in numerosi procedimenti.

IL CASO D’AGOSTINO
Savasta ha escluso di avere ricevuto tangenti, direttamente o per interposta persona, per favorire il re degli outlet Luigi D’Agostino. Tuttavia ha riconosciuto che avrebbe dovuto astenersi dall’indagine, avendo chiesto favori all’imprenditore barlettano.

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