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giovedì 4 marzo 2021

“Aspi, trust e divorzi finti: così gli indagati nascondono i soldi”. - Marco Grasso

 

L’inchiesta. La Gdf: l’obiettivo è evitare di pagare i risarcimenti alle vittime.

C’è chi ha creato un trust, dove ha messo al riparo il patrimonio personale. Chi ha venduto case e le ha intestate a familiari. Chi si è separato, avviando così anche divisioni patrimoniali. C’è fermento all’ombra dei processi nati dal crollo del Ponte Morandi. Procedimenti che prospettano cause penali e civili milionarie. Le stime sui possibili risarcimenti ammontano a 1 miliardo e mezzo di euro, secondo lo Cassa depositi e prestiti, impegnata in un’aspra trattativa per l’acquisizione di Autostrade per l’Italia. Una valutazione non troppo lontana da quella fatta dalla Corte dei Conti, che stima in più di 1 miliardo i costi dei soccorsi prestati durante l’emergenza e i danni all’economia. Insomma, cifre da capogiro. Ed è in questo contesto che gli inquirenti hanno notato un fenomeno ricorrente: alcuni degli indagati nelle inchieste della Procura di Genova hanno cominciato a disfarsi di proprietà e conti in banca.

A segnalarlo è un’informativa della Guardia di Finanza, depositata nelle settimane scorse ai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile, i magistrati che si occupano delle indagini nate dal disastro, coordinati dal procuratore capo Francesco Cozzi e dall’aggiunto Paolo D’Ovidio. L’annotazione contiene il tracciamento di alcuni movimenti finanziari sospetti.

Al centro dell’attenzione ci sono una decina di persone, manager di medio e alto livello, nomi ricorrenti in tutti i filoni di indagine. Da una prima scrematura circa la metà di queste posizioni sono ritenute di massimo interesse. Gli investigatori stanno cercando di valutare se si tratta di manovre lecite, oppure se sono la spia di un tentativo di occultamento di capitali o di intestazioni di beni a persone fittizie, insomma movimenti strategici per evitare future aggressioni in caso di guai giudiziari.

La Procura di Genova non indaga solo sulla tragedia del viadotto Polcevera, che il 14 agosto 2018 ha provocato 43 vittime. Da quel fascicolo ne sono nati altri tre paralleli: uno sulla falsificazione dei report sulla sicurezza dei viadotti; un secondo molto simile che riguarda ispezioni ammorbidite sulle gallerie; un terzo sull’installazione di barriere antirumore difettose. Tre filoni che lasciano intravedere una medesima filosofia gestionale, orientata secondo il tribunale alla massimizzazione dei profitti, e che per questo potrebbero a un certo punto essere accorpati in un unico processo.

L’affaire barriere a novembre ha portato all’arresto dell’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci. Il manager aveva già lasciato il gruppo nel settembre del 2019, dopo la diffusione delle prime intercettazioni che coinvolgevano alcuni fedelissimi. Tra loro l’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli (licenziato due mesi più tardi), registrato mentre chiedeva a personale di Spea (società del gruppo incaricata del monitoraggio delle opere) di ammorbidire i rapporti sulla sicurezza dei viadotti. In un altro messaggio, poche settimane prima del crollo del Morandi, Donferri scrive al suo diretto superiore Paolo Berti che i cavi del ponte “sono corrosi”. Affermazione a cui il suo interlocutore risponde: “Sticazzi, io me ne vado”. E sono sempre i due dirigenti le figure che ritornano in un altro passaggio fondamentale delle indagini. A gennaio del 2020 Berti è appena stato condannato a cinque anni per i morti di Avellino. Minaccia di cambiare versione in appello e di poter mettere nei guai i vertici della società. Donferri lo va a prendere in aeroporto per portarlo a un incontro con Castellucci e in una circostanza lo convince “a stringere un accordo con il capo”.

L’allontanamento di Castellucci, in ogni caso, non è stata un’operazione a costo zero per Aspi. L’accordo di “risoluzione consensuale” prevedeva per il manager una buonuscita da 13 milioni di euro. Castellucci finora si è sempre difeso dicendo di essere stato tenuto fuori dai dettagli tecnici sulla sicurezza. Ma dopo l’aggravamento del quadro indiziario nei suoi confronti, Atlantia ha provato a congelare la liquidazione d’oro e a richiedere indietro anche il primo acconto da 3 milioni. La decisione è stata impugnata di fronte al giudice del lavoro di Roma, che in una prima fase ha dato il via libera al pagamento della seconda tranche. È quasi certo che la controversia sarà destinata ad avere altri sviluppi. Soprattutto quando il tribunale di Genova presenterà il conto da pagare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/04/aspi-trust-e-divorzi-finti-cosi-gli-indagati-nascondono-i-soldi/6121366/

mercoledì 5 agosto 2020

Riaperto al traffico il nuovo ponte di Genova.

Il nuovo ponte Genova San Giorgio

Il viadotto Genova-San Giorgio, sulla A10, inaugurato lunedì e' stato riaperto al traffico veicolare al termine delle verifiche compiute dalla Direzione di Tronco di Genova di Aspi e dopo che la struttura commissariale è intervenuta per rifare un piccolo tratto di asfalto. L'apertura è avvenuta alle 22:04, due ore dopo rispetto a quanto era stato ipotizzato. Ora il ponente e il levante della città sono 'ricuciti'.

Sono transitate le prime auto sul ponte San Giorgio. C'è già un flusso regolare. Le auto hanno salutato l'apertura suonando i clacson mentre i motociclisti hanno fatto il segno della vittoria con una mano. Il traffico sta scorrendo in entrambi i sensi di marcia.
 Ponte Genova-San Giorgio, il viadotto tutto d'acciaio, è finalmente aperto alle auto, ai grandi tir che vanno verso il porto, aperto all'Italia e all'Europa del Nord Ovest.

Dopo la cerimonia di inaugurazione di lunedì, alla quale - vuoi per la pioggia, vuoi per pudore nei confronti dei familiari delle vittime - è mancata la caratteristica della festa, oggi l'ufficio del Commissario straordinario per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera ha pronunciato la sua ultima parola di questa storia infinita, cedendo a Autostrade per l'Italia l'esercizio della viabilità sul nuovo viadotto. Un passo necessario, dopo il certificato di agibilità di Anas, per far riprendere la circolazione dei mezzi su quel nastro lungo 1.067 metri e fatto di acciaio e bitume che tanto vogliono dire per il traffico cittadino e interregionale, per l'economia di una regione e per il saper fare del Paese. Dopo la cessione dell'esercizio, Aspi ha compiuto i suoi primi passi - passi veri prima e passi burocratici poi - sul quel ponte che una volta sgombrato da gonfaloni e bandiere sembra sempre di più il ponte di una nave. Il Direttore di Tronco Mirko Nanni, assieme a alcuni tecnici e ingegneri specializzati, ha effettuato un sopralluogo per vedere se il tratto di autostrada dove ieri è stata allestita la zona per la cerimonia fosse tornato alla normalità, se i guardrail che erano stati rimossi fossero stati rimessi a posto, se il fondo stradale non avesse subìto i danni. Al termine della verifica, steso e firmato un verbale di sopralluogo secondo le procedure previste. è stato dato il via libera.

Intanto vanno avanti le indagini nate dal crollo del viadotto. La procura di Genova ha acquisito le due lettere di contestazione che l'ispettore Placido Migliorino ha inviato ad Aspi nelle quali si parla di un "grave inadempimento" per i cantieri sulla rete genovese e "i termini di attuazione del cronoprogramma dei lavori e delle ispezioni delle gallerie liguri". Le missive erano state inviate ai pm dal Mit.

Aspi scrive al governo, in due lettere cambia rotta - In una prima lettera del 14 luglio un meccanismo con una scissione proporzionale, un aumento di capitale riservato a Cdp e l'ingresso di nuovi soci, con risorse da riservare agli investimenti e al ripianamento del debito, prima di arrivare alla quotazione. In una seconda missiva, con la data di oggi, due diverse proposte che prevedono da una parte un processo di vendita competitivo, al quale Cdp "potrà" partecipare oppure un processo di scissione con la creazione di una società da quotare creando una public company. E' il cambio di rotta deciso, che modifica lo schema iniziale, quello contenuto in due lettere che l'ANSA ha potuto visionare che Autostrade per l'Italia ha inviato agli interlocutori di governo. Tra le due scadenze, certo, un confronto che non ha ancora portato ad un accordo.

Genitori di una vittima: 'La festa aumenta il nostro dolore' - "Altro che festeggiamenti, altro che orgoglio nazionale. Il nuovo ponte di Genova non è una rinascita, ma il simbolo del fallimento e di 43 vite ingoiate da un ponte fatiscente che qualcuno ha permesso crollasse in qualche modo". Lo hanno detto Franco e Daniela Fanfani, in un'intervista al quotidiano La Nazione: sono i genitori di Alberto Fanfani, medico morto a 32 anni nel crollo del ponte Morandi insieme alla fidanzata Marta Danisi, 29 anni, mentre lui la accompagnava ad Alessandria dove aveva ottenuto in ospedale il posto a tempo indeterminato come infermiera. Le celebrazioni per l'inaugurazione del nuovo ponte 'Genova San Giorgio', ha affermato Franco Fanfani, "è insopportabile per chi come noi ha perso un proprio caro. Serve solo a aumentare il dolore che mia moglie e io portiamo dietro, come tutte le altre famiglie coinvolte. Non è una una rinascita, non c'è niente da celebrare. Altro che sfilate dei politici". Daniela Fanfani ha parlato di "pianto e dolore. Ogni ponte che vedo mi si chiude lo stomaco. Altro che passerelle. I politici e gli amministratori avrebbero dovuto mettersi sotto il ponte, chinare la testa e vergognarsi di ciò che è successo". La madre di Alberto ha ricordato che il figlio "stava accompagnando" la fidanzata "a Alessandria, all'ospedale dove aveva ottenuto il contratto a tempo indeterminato come infermiera. Lui stava per prendere la specializzazione in medicina. 'Potrò fare il medico come sogno da sempre' mi aveva detto con orgoglio. Avevano anche fissato la data delle nozze: 25 maggio 2019. Erano felici. Erano insieme. E insieme sono morti in quel maledetto crollo".

giovedì 4 giugno 2020

Il gruppo ‘noi denunceremo’: “il 10 giugno sarà il d-day”. - Maddalena Oliva

Il gruppo ‘noi denunceremo’: “il 10 giugno sarà il d-day”

Come un treno. Senti il suono che arriva in lontananza. Si ferma a ogni fermata. E tu continui a fare le tue cose. Piano piano il rumore si fa forte. Inizi ad accorgerti delle immagini al telegiornale. E intanto, quello, si avvicina sempre più. Poi è un secondo. Il treno arriva, ti trancia le gambe. Tu lo vedi passarti sopra: oramai agonizzante. Non è più solo in Cina, ora. Il virus è dietro, dentro casa tua. E ti porta via tuo padre. Tua madre. In dei casi, entrambi. Luca Fusco, commercialista 58enne di Brusaporto, in provincia di Bergamo, ha perso il padre, Osvaldo, 85 anni, che fino a tre mesi fa ogni giorno passava in studio a vedere se “con le pratiche tutto bene”. “Non so nemmeno se quelle ceneri che mi hanno restituito siano le sue… per due volte sono state perse”, racconta. “Cuneo, Ferrara, non si sapeva in che città l’avessero portato. Quelli delle pompe funebri si ammalavano uno dopo l’altro, e mio padre si perdeva. È successo tutto così. Ma c’è un punto in cui quella velocità, e la sospensione che dall’altra parte tutto il Paese viveva, si sono incontrate”. È stato suo figlio a creare il gruppo Facebook. “Papà, io te lo faccio, ma guarda che sarà un casino stargli dietro, sai in quanti scriveranno?”. Solo che Luca davvero non riusciva ad immaginare. Con la sua compagna decidono il nome: Noi denunceremo. “L’idea era nata in cucina, una sera. Per condividere, innanzitutto. Non c'è un bergamasco che non abbia un parente o amico morto”. In meno di 24 ore gli iscritti diventano migliaia: oggi, oltre 55mila. E da tutt’Italia. Così “Noi denunceremo” è diventato un comitato, e un sito con migliaia di storie. Tutte con lo stesso canovaccio. Abbandono dei malati, e dei familiari (senza tampone). Nessun contatto dalle Ats. Mancanza di assistenza domiciliare. Difficoltà di ricovero per i casi gravi. Pronto soccorso di Alzano. E quei “sacchi neri dell’immondizia”, in cui vengono raccolte le ultime cose delle persone che non ci sono più.
“Ancora oggi – prosegue Luca – mi rendo conto, quando sento gli amici di Milano che si lamentano per le chiusure, che chi non vive qui non può capire. Siamo stati sacrificati. Per interessi altri. Per incapacità. Per errori”. Qui, in queste valli di “lavoratori a testa bassa, proprio come piacciono a loro”, le serrande sono quasi tutte abbassate. Ed è il silenzio che ti accompagna per strada. Ma non perché le persone siano chiuse per le ultime ore di lockdown. Perché proprio non ci sono più. Morte. E prima la bacheca Facebook, poi il sito, hanno raccolto, attraverso le testimonianze dei familiari, le loro storie.
Non s’allude mai alla possibilità di contrarlo o meno, il Covid-19. Il punto, a leggere quei ricordi, era soltanto capire quando. Ora, scritte nere su bianco, quelle centinaia di storie sono diventate esposti, che verranno presentati davanti alla Procura di Bergamo il 10 giugno. “Sarà il nostro D-Day, il nostro Denuncia-Day”, spiega Consuelo Locati, anche lei rimasta orfana di padre, che coordina il team di avvocati. “Saremo tutti in fila. Ordinati, distanziati. Ma persone, non numeri: e vogliamo che si veda anche con un’immagine”. Ogni denuncia si porterà dietro il familiare che l’ha presentata. L’idea è nata, dopo essere stati chiamati più volte in Procura in via informale, “per aiutare i magistrati a fare chiarezza”. Le storie sono state raccolte e divise in tre filoni: ospedali, Rsa e “nessun tampone”. Poi, è scattato il progetto di una vera e propria azione legale, in sede penale e in sede civile. “Non possiamo puntare a una class action perché per il momento nel nostro ordinamento è prevista solo per tutelare i diritti dei consumatori. Ma – riprende a spiegare Consuelo – se dovessimo fare un buco nell’acqua, perché nel penale sarà molto difficile arrivare a un’incriminazione per epidemia colposa o per omicidio colposo, ci rivolgeremo al giudizio civile. E chiameremo a rispondere le autorità, per non aver ottemperato agli obblighi di responsabilità civile secondo l’ex articolo 2043 del Codice. E se nemmeno così otterremo giustizia, dopo il secondo grado andremo alla Corte di Strasburgo, per violazione dell’articolo 32 della Costituzione”. “Parliamo di decine di migliaia di morti”. Ora è Luca a parlare, la mente del Comitato. Siamo seduti a un tavolo all’aperto di un’osteria di passaggio: è la loro prima uscita dal lockdown. “Non si possono nascondere tutte quelle persone, cancellarle. Ci sono responsabilità di gestione nelle strutture – a livello comunale, regionale e centrale – che vanno chiarite. Non ne facciamo una questione politica di questo o quello schieramento, motivo per cui i giornalisti ci hanno chiesto subito se fossimo dei 5Stelle. Si figuri che io sono di destra, quelli della Lega li ho frequentati da vicino per tanto tempo. Ma qualcosa, quando il virus ha cominciato a diffondersi qui, nella Bergamasca, non ha funzionato. Altro che tsunami. La situazione è sfuggita di mano. E laVal Seriananon è stata chiusa, come chiesto dai sindaci della zona. Il resto, purtroppo, è noto”.
Marina Verzelletti
Mia mamma è caduta in casa il 15 marzo. Da li è iniziato un calvario, verso il più vicino ospedale. La dimettono, dopo averla medicata. Mi dicono: “Lei è fortunata, sua madre non ha il coronavirus.” Gli avevano fatto esami del sangue, una tac polmonare e il tampone. Che però non aveva esito. Mia mamma peggiora. Non era più lei. Ci telefonano dall’ospedale: la mamma era risultata positiva. Tre giorni dopo. Ho chiesto se noi dovevamo stare in quarantena e mi ha detto che non dovevamo fare nulla. La sera, ho guardato il certificato che mi aveva dato. Era retrodatato di due giorni. Era come se io avessi saputo che al momento delle dimissioni era positiva. L’impresa porta mia mamma insieme a un sacchettino della spazzatura nero. Dentro avrei dovuto trovare i suoi effetti personali. Invece c’erano quelli di un’altra persona.
Ezio Limonta
Il 13 febbraio ti ho accompagnato, contro la tua volontà, al pronto soccorso di Alzano, per problemi di calcolosi. Da qualche giorno tossivi. Giovedì 20 la tua tosse peggiora: “bronchite”, disse il medico. Notai che nella camera di fronte, c’era un signore con uno strano cilindro in testa pieno di tubi (un respiratore). Sabato 22 febbraio alle 8.00 notai che il personale portava la mascherina. Che notte ho passato, tu che continuamente tossivi e mi dicevi che avevi la gola arsa e non riuscivi a respirare. Le infermiere, impegnate nella stanza di fronte dal signore col respiratore, anzi coi signori col respiratore, perché da uno erano diventati due. Dopo le 12.00 è successo il finimondo, l’ospedale è stato chiuso per caso di Covitd-19 e, cara mamma, era esattamente sul tuo piano, nella camera di fronte. Come te, nei giorni successivi, tutte le persone della tua camera sono decedute.
Mariangela Armanni
Sabato 28 marzo. Congestione nasale e febbre sotto i 37,5. Assunzione di mucolitici e Tachipirina. La saturazione oscilla tra 93-94%. Martedì 31 marzo. La saturazione scende a 90, nessun medico è disponibile per visitarlo. Mercoledì 1 aprile. Un medico dell’Usca ci contatta al telefono e parla con mio papà. Ci consiglia di continuare con le cure domiciliari, contatterà il medico di base. La telefonata non avverrà.
Cristina Longhini
Mercoledì 18 Marzo avvisano mamma che papà è peggiorato: senza un posto in terapia intensiva non si salverà. Papà viene trasferito in pronto soccorso. Chiamo tutti quelli che conosco: il posto non si trova. Papà viene intubato verso sera, ma senza arrivare alla terapia intensiva. Alle 5 mi chiama il Dr. Manzoni: “L’ossigeno non arriva agli organi periferici, la richiamo appena suo papà sarà morto”. Poi il vuoto. Alle 7:45 richiamo io. Papà risulta essere morto da dieci minuti.
Isabella Sala
È l’11marzo, Maria Rosa si ammala: un po’ di tosse, un po’ di febbre, sarà influenza. Il medico le prescrive un antibiotico. “Mamma, non è meglio telefonare al numero verde della Regione?” L’operatore dice: se non c’è affanno, va bene così. È il 20 marzo. “Ma se non c’é affanno”, dice l’operatore del 112. Alla fine l’affanno arriva, e con esso l’ambulanza. Il saturimetro indica 45. L’operatore scuote la testa: 45 non è un valore compatibile con la vita. Non la rivedremo più. Quando ho scritto questa cronaca noi figli non eravamo ancora riusciti a ottenere un tampone, a 60 giorni dall’ultimo contatto con mia madre.
– Continua qui:

“Agiamo in via penale e civile: lo dobbiamo ai nostri nonni e papà”

“Agiamo in via penale  e civile: lo dobbiamo ai nostri nonni e papà”
Era il 22 marzo, quando in quattro abbiamo deciso da Bergamo di costituire il gruppo Facebook “Noi Denunceremo”, che conta oggi più di 55.000 followers.
La nascita del gruppo ha unito forze centripete e contrastanti, il dolore, la rabbia. Ha creato legami, permettendo la nascita di nuovi rapporti tra le persone. Persone con visioni politiche agli antipodi che si sono incontrate e comprese su un comune terreno: quello del senso civico, della condivisione, della solidarietà. Il terreno in cui sono cresciuti i nostri genitori, i nostri nonni, proprio le generazioni falciate dal virus. Chi ha sviluppato la propria vita politica a sinistra ha trovato un’intesa profonda con “quelli di destra”, a dimostrazione che la voglia di buon governo e di giustizia unisce, e non divide.
Tutto in nome delle domande che devono avere risposta. Chi doveva fare, ha fatto? Chi doveva vigilare, ha vigilato? Chi doveva difendere, ha difeso?
Quello che pretendiamo come comitato no- proft “Noi Denunceremo: Verità e Giustizia per le Vittime Covid-19” – nato quasi naturalmente dal gruppo social, il 29 aprile – è che l’autorità giudiziaria indaghi a 360°, noncurante delle pressioni politiche, sulla strage che ha colpito la Lombardia in particolare, ma anche tutto il nostro Paese.
Chiediamo che le Procure incarnino quell’obbligo morale di cui sono investite da tutti i cittadini italiani.
Vogliamo, per coloro che hanno dato mandato al Comitato di agire in sede prima in sede penale, e poi civile, verità e giustizia per le migliaia di morti, per molti versi inspiegabili, dei nostri genitori e dei nostri nonni.
E, nel nome di questa generazione scomparsa, non ci fermeremo finché non saranno acclarate e determinate le responsabilità delle amministrazioni locali – in particolare quelle regionali, poiché è alle Regioni che la nostra Costituzione demanda la gestione della sanità – e del governo centrale.
Ecco perché il 10 giugno decine di aderenti al Comitato attenderanno pazientemente il proprio turno per depositare, davanti alla Procura delle Repubblica di Bergamo, le denunce che come Comitato, assieme ai nostri legali, abbiamo preparato. Non smetteremo di chiedere conto a quella politica che non è stata capace di tutelare la salute dei propri cittadini, i diritti della persona ed il bene comune, tradendo i valori su cui la nostra Costituzione si impernia, finché non avremo risposta.

martedì 20 dicembre 2016

Terrore sul Natale, 12 morti a Berlino. Fermato un pachistano.

Risultati immagini per attentato berlino

E' salito a 12 morti e 48 feriti il bilancio dell'attacco di ieri sera ad un mercatino di Natale a Berlino. Per la prima volta dall'apertura delle indagini, la polizia tedesca ha parlato di "probabile attacco terrorista". Le autorità hanno anche riferito che l'uomo trovato morto nel camion, identificato come cittadino polacco, non si trovava al volante quando il tir è piombato sul mercatino.
Il presunto attentatore viene invece indicato da fonti della sicurezza come Naved B., 23 anni. L'uomo si era servito di due altri nomi. Non era noto alle autorità tedesche per legami con il terrorismo islamico, ma ha dei piccoli precedenti penali.
A quanto riferisce l'emittente pubblica tedesca 'RBB', è un cittadino pachistano arrivato in Germania nel 2015, entrato in qualità di rifugiato il 31 dicembre 2015 attraverso il posto di confine di Passau, città bavarese alla frontiera con l'Austria.
L'uomo sarebbe di nazionalità pachistana, ma fonti della sicurezza hanno spiegato all'agenzia stampa Dpa che non è stato ancora possibile identificarlo con certezza assoluta dato che in passato si è servito di diverse identità.
PERQUISIZIONI - Intanto le forze speciali tedesche hanno perquisito un campo profughi nell'ex aeroporto Tempelhof di Berlino. L'ex scalo ospita il più grande campo di rifugiati della città. Fonti della sicurezza hanno riferito all'agenzia 'Dpa' che il sospetto autista killer del camion era arrivato in Germania attraverso la cosiddetta rotta dei Balcani e viveva a Berlino dall'inizio di quest'anno.
MERCATINI APERTI - I mercatini di Natale della Germania dovrebbero comunque rimanere aperti per tutta la durata del periodo festivo. Lo hanno affermato i ministri dell'Interno regionali tedeschi nel corso di una videoconferenza convocata a Berlino.

Guarda la versione ingrandita di Attentato Berlino: giovane pachistano è il terrorista del mercatino (foto Ansa)

http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2016/12/20/terrore-berlino-tir-piomba-sulla-folla-mercato-morti-rivendica-attentato_0zrqmF7ZSkPZAp8AgdFKbJ.html?refresh_ce

martedì 18 dicembre 2012

DRAMMA NEL CUORE DI PALERMO “ESPLODE BOMBOLA”, CROLLA PALAZZINA.


crollo palazzina palermo
Terribile incidente nel cuore di Palermo. Nella zona dei Cantieri navali,  in via Sebastiano Bagolino (fra i civici 47 e 49) è crollata, probabilmente a causa di un’esplosione a seguito di una fuga di gas, una palazzina. Sei persone, fra cui 2 bambini, risultano al momento disperse tra le macerie.
Diversi feriti sono stati estratti dalle macerie e trasportati in ospedale con le numerose ambulanze giunte sul posto. Fra queste, una bambina di 8 anni.
Il dramma si è materializzato prima di mezzanotte, quando la palazzina di 4 piani, in cui abitavano cinque famiglie, è crollata giù. Sotto le macerie sarebbero rimasti, secondo le prime informazioni, anche due anziani, che vivono al piano terra.
I residenti, subito accorsi in strada, fanno riferimento allo scoppio di una bombola. Ipotesi confermata dal forte odore d gas nella zona del crollo.