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sabato 26 giugno 2021

Ponte Morandi, 59 richieste di rinvio a giudizio: ci sono anche Aspi e Spea. -

 

Ora toccherà al gup convocare la prima udienza, che potrebbe tenersi già entro l'estate, fissando l'eventuale inizio del processo vero e proprio in autunno.

La procura di Genova ha chiesto il rinvio a giudizio per 59 persone per il crollo del ponte Morandi. I pm contestano ad alcuni anche la colpa cosciente. Le accuse, a vario titolo, sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo doloso, omissione d’atto d’ufficio, e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sul lavoro. Dieci le posizioni stralciate in attesa di ulteriori approfondimenti. Tre indagati, dei 71 iniziali, sono morti prima della chiusura delle indagini. Chiesto il giudizio anche per le due società Aspi e Spea. Per i pm ci fu “immobilismo” e “consapevolezza dei rischi”.

Si tratta dell'indagine relativa alla tragedia del viadotto che, nell'agosto del 2018, causò la morte di 43 persone. Rispetto ai 69 indagati, citati nell'avviso di chiusura indagini di aprile scorso, sarebbero state messe da parte, a quanto si apprende da fonti giudiziarie, circa dieci posizioni (che saranno al centro di successivi approfondimenti), portando il numero finale delle richieste di rinvio a 59.

Ora toccherà al gup convocare la prima udienza, che potrebbe tenersi già entro l'estate, fissando l'eventuale inizio del processo vero e proprio in autunno.

Inchiesta durata quasi 3 anni.

L’inchiesta della procura ligure è durata quasi tre anni e vede coinvolti, a vario titolo, ex dirigenti e top manager di Autostrade per l'Italia, della sua controllata Spea e del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Le accuse sono, a vario titolo, di omicidio colposo plurimo, crollo doloso, omicidio stradale, falso e attentato alla sicurezza dei trasporti.

Per gli investigatori, tutti sapevano che il Morandi era in cattive condizioni e che bisognava intervenire con lavori di ripristino. Ma secondo l’accusa quei lavori vennero rinviati nel tempo per seguire la logica del massimo profitto con la minima spesa e dare maggiori dividendi ai soci.

I detriti sotto sequestro.

Con la richiesta di rinvio a giudizio la procura chiederà anche al giudice di decidere sui detriti del crollo, rimasti sotto sequestro dentro i capannoni dell’Amiu, la municipalizzata dei rifiuti. Il Comune vorrebbe liberare l’area per completare i lavori per il Parco della Memoria ma anche per la riqualificazione economica. Alcuni legali delle parti avevano chiesto di tenerli ancora per consentire ulteriori approfondimenti. Avevano anche chiesto un supplemento di consulenza tecnica che però è stato respinto.

Gli altri filoni.

L’indagine vede coinvolti, tra gli altri, l’ex amministratore delegato di Aspi, Giovanni Castellucci, e gli ex dirigenti Paolo Berti e Michele Donferri Mitelli. Questi stessi nomi si trovano nelle altre tre indagini nate dopo il crollo: quella sui report edulcorati sui viadotti, quello sulle barriere fonoassorbenti pericolose e quello sui falsi report sulle gallerie, quest’ultima in particolare nata dopo il crollo il 30 dicembre 2019 di parte della volta della galleria Bertè in A26.

IlSole24Ore

giovedì 4 marzo 2021

“Aspi, trust e divorzi finti: così gli indagati nascondono i soldi”. - Marco Grasso

 

L’inchiesta. La Gdf: l’obiettivo è evitare di pagare i risarcimenti alle vittime.

C’è chi ha creato un trust, dove ha messo al riparo il patrimonio personale. Chi ha venduto case e le ha intestate a familiari. Chi si è separato, avviando così anche divisioni patrimoniali. C’è fermento all’ombra dei processi nati dal crollo del Ponte Morandi. Procedimenti che prospettano cause penali e civili milionarie. Le stime sui possibili risarcimenti ammontano a 1 miliardo e mezzo di euro, secondo lo Cassa depositi e prestiti, impegnata in un’aspra trattativa per l’acquisizione di Autostrade per l’Italia. Una valutazione non troppo lontana da quella fatta dalla Corte dei Conti, che stima in più di 1 miliardo i costi dei soccorsi prestati durante l’emergenza e i danni all’economia. Insomma, cifre da capogiro. Ed è in questo contesto che gli inquirenti hanno notato un fenomeno ricorrente: alcuni degli indagati nelle inchieste della Procura di Genova hanno cominciato a disfarsi di proprietà e conti in banca.

A segnalarlo è un’informativa della Guardia di Finanza, depositata nelle settimane scorse ai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile, i magistrati che si occupano delle indagini nate dal disastro, coordinati dal procuratore capo Francesco Cozzi e dall’aggiunto Paolo D’Ovidio. L’annotazione contiene il tracciamento di alcuni movimenti finanziari sospetti.

Al centro dell’attenzione ci sono una decina di persone, manager di medio e alto livello, nomi ricorrenti in tutti i filoni di indagine. Da una prima scrematura circa la metà di queste posizioni sono ritenute di massimo interesse. Gli investigatori stanno cercando di valutare se si tratta di manovre lecite, oppure se sono la spia di un tentativo di occultamento di capitali o di intestazioni di beni a persone fittizie, insomma movimenti strategici per evitare future aggressioni in caso di guai giudiziari.

La Procura di Genova non indaga solo sulla tragedia del viadotto Polcevera, che il 14 agosto 2018 ha provocato 43 vittime. Da quel fascicolo ne sono nati altri tre paralleli: uno sulla falsificazione dei report sulla sicurezza dei viadotti; un secondo molto simile che riguarda ispezioni ammorbidite sulle gallerie; un terzo sull’installazione di barriere antirumore difettose. Tre filoni che lasciano intravedere una medesima filosofia gestionale, orientata secondo il tribunale alla massimizzazione dei profitti, e che per questo potrebbero a un certo punto essere accorpati in un unico processo.

L’affaire barriere a novembre ha portato all’arresto dell’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci. Il manager aveva già lasciato il gruppo nel settembre del 2019, dopo la diffusione delle prime intercettazioni che coinvolgevano alcuni fedelissimi. Tra loro l’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli (licenziato due mesi più tardi), registrato mentre chiedeva a personale di Spea (società del gruppo incaricata del monitoraggio delle opere) di ammorbidire i rapporti sulla sicurezza dei viadotti. In un altro messaggio, poche settimane prima del crollo del Morandi, Donferri scrive al suo diretto superiore Paolo Berti che i cavi del ponte “sono corrosi”. Affermazione a cui il suo interlocutore risponde: “Sticazzi, io me ne vado”. E sono sempre i due dirigenti le figure che ritornano in un altro passaggio fondamentale delle indagini. A gennaio del 2020 Berti è appena stato condannato a cinque anni per i morti di Avellino. Minaccia di cambiare versione in appello e di poter mettere nei guai i vertici della società. Donferri lo va a prendere in aeroporto per portarlo a un incontro con Castellucci e in una circostanza lo convince “a stringere un accordo con il capo”.

L’allontanamento di Castellucci, in ogni caso, non è stata un’operazione a costo zero per Aspi. L’accordo di “risoluzione consensuale” prevedeva per il manager una buonuscita da 13 milioni di euro. Castellucci finora si è sempre difeso dicendo di essere stato tenuto fuori dai dettagli tecnici sulla sicurezza. Ma dopo l’aggravamento del quadro indiziario nei suoi confronti, Atlantia ha provato a congelare la liquidazione d’oro e a richiedere indietro anche il primo acconto da 3 milioni. La decisione è stata impugnata di fronte al giudice del lavoro di Roma, che in una prima fase ha dato il via libera al pagamento della seconda tranche. È quasi certo che la controversia sarà destinata ad avere altri sviluppi. Soprattutto quando il tribunale di Genova presenterà il conto da pagare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/04/aspi-trust-e-divorzi-finti-cosi-gli-indagati-nascondono-i-soldi/6121366/

mercoledì 11 novembre 2020

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ Autostrade, 6 misure cautelari per ex e attuali manager: ai domiciliari l’ex ad Castellucci. “Attentato a sicurezza dei trasporti e frode”.


L'indagine avviata un anno fa è un filone nato dall'inchiesta sul crollo del ponte Morandi a Genova e riguarda le barriere fonoassorbenti sulla rete autostradale. Ai domiciliari l'ex amministratore delegato insieme a Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti, rispettivamente ex responsabile manutenzioni e direttore centrale operativo dell’azienda. Per gli investigatori emerge la "consapevolezza della difettosità delle barriere e del potenziale pericolo per la sicurezza".

Sapevano che le barriere fonoassorbenti erano difettose e del potenziale pericolo per la sicurezza, ma non hanno voluto procedere alla loro sostituzione e hanno occultato la loro pericolosità. Sono queste le accuse che hanno portato a tre arresti domiciliari e tre misure interdittive per gli ex vertici e alcuni degli attuali manager di Autostrade per l’Italia. Ai domiciliari sono finiti l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci, ma anche Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti, rispettivamente ex responsabile manutenzioni e direttore centrale operativo dell’azienda. Le misure interdittive, della durata di un anno, riguardano invece Stefano Marigliani, già direttore del primo tronco di Autostrade ora trasferito a Milano, Paolo Strazzullo, che era responsabile delle ristrutturazioni pianificate sul ponte Morandi, per l’accusa mai eseguite, distaccato a Roma, e Massimo Miliani di Spea, consociata di Aspi. La Guardia di Finanza ha eseguito le sei misure cautelari: le accuse ipotizzate sono attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture. L’indagine, avviata un anno fa, è un terzo filone nato dall’inchiesta principale legata al crollo del Ponte Morandi. È relativa alle criticità – in termini di sicurezza – delle barriere fonoassorbenti montate sulla rete autostradale ed è proseguita in parallelo a quella principale sul crollo del 14 agosto 2018 che causò la morte di 43 persone. Autostrade per l’Italia comunica di aver “attivato le procedure previste dal contratto per una immediata sospensione dal servizio” dei due tecnici ancora dipendenti coinvolti nell’indagine.

L’inchiesta della Procura di Genova, procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio e pm Walter Cotugno, parte da analisi dei documenti, indagini tecniche e testimonianze che hanno portato a “raccogliere numerosi e gravi elementi indiziari e fonti di prova in capo ai soggetti colpiti da misura”, si legge nel comunicato della Guardia di Finanza. In particolare, per gli investigatori emerge la “consapevolezza della difettosità delle barriere e del potenziale pericolo per la sicurezza stradale, con rischio cedimento nelle giornate di forte vento (fatti peraltro realmente avvenuti nel corso del 2016 e 2017 sulla rete autostradale genovese)”. Si parla delle barriere integrate modello ‘Integautos’ con specifico riferimento a quelle del primo tronco autostradale, dove sono stati registrati anche alcuni parziali cedimenti dei pannelli sulla A12.

“È emersa la consapevolezza di difetti progettuali e di sottostima dell’azione del vento, nonché dell’utilizzo di alcuni materiali per l’ancoraggio a terra non conformi alle certificazioni europee e scarsamente performanti”, si legge ancora nel comunicato. Che evidenzia anche altri due elementi. Da un lato, la “volontà di non procedere a lavori di sostituzione e messa in sicurezza adeguati, eludendo tale obbligo con alcuni accorgimenti temporanei non idonei e non risolutivi”. Infine, si ipotizza anche la frode nei confronti dello Stato, “per non aver adeguato la rete da un punto di vista acustico (così come previsto dalla Convenzione tra Autostrade e lo Stato) e di gestione in sicurezza della stessa, occultando l’inidoneità e pericolosità delle barriere, senza alcuna comunicazione – obbligatoria – all’organo di vigilanza (ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti)”.

Castellucci non è più amministratore delegato di Aspi da settembre 2019, quando a un anno dal crollo del Ponte Morandi lasciò la guida della holding Atlantia concordando una buonuscita da 13 milioni di euro. Successivamente, nel dicembre dello stesso anno, il gruppo guidato dalla famiglia Benetton decise di sospendere la seconda rata del pagamento per “elementi sopravvenuti emersi dalle indagini in corso”. Quando la buonuscita fu concordata però erano già noti i tentativi di ostacolare le intercettazioni con l’utilizzo dei disturbatori di frequenze, le registrazioni dei dialoghi tra i manager addetti alle manutenzioni che strepitavano per risparmiare sui lavori e anche la circostanza secondo cui uno dei funzionari di Autostrade condannati in primo grado per la strage del bus ad Avellino non abbia raccontato tutto durante il processo. Un processo in cui l’ex ad Castellucci è stato assolto perché “nessuna norma imponeva la sostituzione delle barriere”.

La nota di Aspi – Autostrade per l’Italia “ha attivato le procedure previste dal contratto per una immediata sospensione dal servizio” dei due tecnici dipendenti coinvolti nell’indagine, si legge in una nota della società, in cui si precisa che gli altri 4 coinvolti sono già ex manager. “L’indagine della Procura di Genova, che ha portato stamane a misure cautelari nei confronti di 4 ex manager di Aspi e di due tecnici (uno del Tronco genovese e l’altro trasferito presso il Traforo del Monte Bianco), riguarda una specifica tipologia di barriere integrate anti-rumore, denominate “Integautos”, presenti su circa 60 dei 3000 km di rete di Autostrade per l’Italia”. Aspi sottolinea poi che “la totalità di queste barriere è già stata verificata e messa in sicurezza con opportuni interventi tecnici tra la fine del 2019 e gennaio 2020, nell’ambito del generale assessment delle infrastrutture messo in atto dalla società su tutta la rete autostradale”.

“La società era venuta a conoscenza delle attività di indagine lo scorso 10 dicembre 2019, a seguito di un provvedimento di sequestro di documentazione notificatole dalla Guardia di Finanza di Genova, come reso noto dalla società stessa nella successiva trimestrale”, si legge nella nota. “Per tali infrastrutture è stato parallelamente definito a inizio 2020 un piano di sostituzione – spiega ancora Aspi – di intesa con il Dicastero concedente, articolato in tre fasi: una prima fase propedeutica agli interventi, attualmente in corso. Una seconda fase, che prevede la sostituzione delle barriere nei punti maggiormente esposti a impatto acustico, pianificata dalla seconda metà del 2021. Una successiva terza fase completerà invece la sostituzione sugli altri punti”. “La spesa per la totalità degli interventi di sostituzione, pari a circa 170 milioni di euro, è già stata autorizzata dal Consiglio di amministrazione di Aspi dell’aprile 2020 e sarà a completo carico della società”, puntualizza Autostrade, aggiungendo che “tutte le procedure di controllo e di sicurezza, nonché le soluzioni progettuali per la sostituzione delle barriere, sono stati definiti con gli organi tecnici preposti del ministero delle infrastrutture e trasporti”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/11/autostrade-6-misure-cautelari-nei-confronti-di-ex-e-attuali-manager-ai-domiciliari-lex-ad-castellucci-attentato-a-sicurezza-trasporti-e-frode/5999467/

Leggi anche: 

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/11/autostrade-lintercettazione-dellarrestato-40-morti-di-qua-43-di-la-stiamo-tutti-sulla-stessa-barca-lex-dirigente-condannato-per-la-strage-di-avellino-sullex-ad-castellucci-se-dicev/5999647/

giovedì 9 luglio 2020

La Corte costituzionale dà torto ad Autostrade: "Legittimo estromettere la società dalla costruzione del nuovo ponte". - Liliana Milella e Marco Preve

La Corte costituzionale dà torto ad Autostrade: "Legittimo estromettere la società dalla costruzione del nuovo ponte"
(Leoni)

Aspi aveva presentato ricorso contro il decreto con cui veniva istituito il commissario per la ricostruzione dell'opera, escludendo di fatto la società. La Consulta: "Scelta dettata dalla grave situazione". I 5Stelle esultano: "Avevamo ragione". Conte: "Una scelta che ci conforta".

"L'eccezionale gravità della situazione" giustifica l'esclusione di Aspi dai lavori per la ricostruzione del ponte di Genova. Con questa motivazione la Corte costituzionale ha respinto i 6 ricorsi del Tar della Liguria che aveva sollevato dubbi di costituzionalità sull'articolo 41 della Carta per l'esclusione di Aspi dalla ricostruzione del Morandi, il cui crollo provocò la morte di 43 persone. Era stata la società a rivolgersi al Tar per lamentare la violazione di una serie di diritti che sconfinavano, secondo i legali dell'azienda, nell'illegittimità costituzionale. La sentenza arriva nel giorno delle polemiche per la notizia che sarà Aspi a gestire il nuovo ponte di Genova, almeno fino alla possibile revoca della concessione. A reagire sono innanzitutto i 5Stelle: "Avevamo ragione". E Di Maio: "Grazie a Toninelli". "La sentenza ci conforta", dice il premier, Giuseppe Conte. "Conferma la piena legittimità costituzionale della soluzione normativa a suo tempo elaborata dal governo". Ma ecco il comunicato con cui la Corte ha annunciato la sua decisione.

Il comunicato della Corte.

"La Corte costituzionale ha esaminato nell'odierna camera di consiglio le questioni sollevate dal Tar della Liguria riguardanti numerose disposizioni del Decreto legge n. 109 del 2018 (cosiddetto Decreto Genova) emanato dopo il crollo del Ponte Morandi. Il Decreto ha affidato a un commissario straordinario le attività volte alla demolizione integrale e alla ricostruzione del Ponte nonché all'espropriazione delle aree a ciò necessarie. Inoltre, è stato demandato al commissario di individuare le imprese affidatarie, precludendogli di rivolgersi alla concessionaria Autostrade Spa (Aspi) e alle società da essa controllate o con essa collegate. Infine, il Decreto impugnato ha obbligato Aspi a far fronte ai costi della ricostruzione e degli espropri.  

In attesa del deposito della sentenza, l'Ufficio stampa fa sapere che la Corte ha ritenuto non fondate le questioni relative all'esclusione legislativa di Aspi dalla procedura negoziata volta alla scelta delle imprese alle quali affidare le opere di demolizione e di ricostruzione. La decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso. La Corte ha poi dichiarato inammissibili le questioni sull'analoga esclusione delle imprese collegate ad Aspi e quelle concernenti l'obbligo della concessionaria di far fronte alle spese di ricostruzione del Ponte e di esproprio delle aree interessate". 

La ricostruzione del caso.

Il ricorso affrontato oggi dalla Consulta era intitolato "Aspi contro la presidenza del Consiglio dei ministri e altri undici". Fra questi "undici" c'era soprattutto la struttura commissariale, presieduta da Marco Bucci, il sindaco di Genova e commissario per la ricostruzione del ponte Morandi, che ha poi ricostruito il viadotto sul Polcevera.
 
Con il celebre decreto Genova, poi diventato legge, Autostrade per l'Italia era stata estromessa dalle attività di ricostruzione del Ponte Morandi, affidate al Commissario straordinario con spese a carico del concessionario. Aspi aveva presentato una serie di ricorsi al Tar Liguria. L'elenco delle presunte violazioni di diritti costituzionali era lungo e ruotava in primis attorno al mancato rispetto della Convenzione fra Stato e concessionaria. Soprattutto sull'imposizione ad Aspi, lasciata fuori dalla porta della ricostruzione, dei costi per il nuovo viadotto ma anche di quelli per i risarcimenti alle imprese e agli sfollati: "Non è dato comprendere - hanno scritto i giudici del Tar - con precisione sulla scorta di quali parametri economici sono state determinate le indennità per metro quadro".
 
I giudici, nelle sei ordinanze sul tavolo della Consulta, sostenevano "la sussistenza di un contrasto con i principi di  separazione dei poteri, di difesa e del giusto processo, nonché del complesso delle disposizioni censurate  con il principio di proporzionalità".  E che "l'esclusione della società concessionaria dalle attività  in questione costituirebbe una restrizione della libertà di iniziativa  economica  in contrasto con l'articolo 41 della Costituzione (che garantisce la libertà dell'iniziativa economica privata, ndr)".
 

L'esclusione di Aspi dalla ricostruzione, inoltre, era stata decisa in assenza di qualsiasi responsabilità accertata processualmente della società - visto che l'inchiesta della procura non è neppure arrivata all'udienza preliminare - nel crollo del 14 agosto 2018. Secondo i giudici del Tar "il legislatore" avrebbe "alterato il complesso di diritti e obblighi attribuiti alla ricorrente Aspi dalla Convenzione unica". Sulla base di queste considerazioni giuridiche il Tar ha sospeso il giudizio sul ricorso perché ha ritenuto "rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale". Ma oggi la Consulta ha bocciato queste argomentazioni. E ora, tra governo ed Autostrade, si preannuncia lo scontro finale.

https://www.repubblica.it/politica/2020/07/08/news/consulta_ponte_concessione_autostrade-261342237/?fbclid=IwAR3e0KZ4IO5QSURk2KcQolWOfSNpk0OK-Ku3oBDotin2XMp3cFtCJ9MEKME

mercoledì 24 giugno 2020

Salvini e la pisciatina sul ponte. - Tommaso Merlo


Il leader della Lega Matteo Salvini durante la visita al cantiere del nuovo Ponte di Genova, 22 Giugno 2020. ANSA/LUCA ZENNARO

Salvini si concede una pisciatina sul nuovo ponte di Genova. Gilet fosforescente, caschetto e pure la museruola a tema. Ieri le felpe, oggi le museruole. Tra gli applausi delle istituzioni locali che lo assistono e dei follower superstiti che lo seguono. Tirata su la cerniera Salvini indica i pannelli a metano che permetteranno al ponte di autoalimentarsi. Già, come no. Tapioca come se fosse antani. Sembrano passati secoli. Salvini era fresco ministro quando crollò il Ponte Morandi. Lui e Di Maio vennero accolti tra gli applausi ai funerali delle 43 vittime. Questo perché il governo si schierò dalla parte dei cittadini per una volta e promise giustizia. Questo perché soffiava un piacevole vento di cambiamento “populista” in senso sano. Col popolo che a seguito del 4 marzo si riappropriava del potere democratico a scapito della prepotenza lobbistica che si spartiva il paese da troppo tempo. A far crollare il ponte non è stato qualche tirante marcito, è stato il vecchio regime partitocratico che prima ha regalato le concessioni ai Benetton e poi gli ha permesso di farsi i propri comodi lucrandoci sopra indegnamente fregandosene della sicurezza. Salvini e Di Maio rappresentavano il nuovo corso e il Ponte Morandi divenne un simbolo di rinascita per l’intero paese. Era il tempo della luna di miele gialloverde. Salvini votava tutti i provvedimenti che il Movimento tirava fuori belli pronti dai cassetti mentre lui varava la sua tournée ministeriale permanente. Strada facendo si capì che Salvini avrebbe fatto ricostruire il ponte anche ai Benetton e cioè non avrebbe cambiato una beata mazza di niente. 

Ma il Movimento s’impuntò mirando fin da subito alla revoca delle concessioni e su impulso del ministro Toninelli nacque il Modello Genova. Per fare in fretta, per fare bene. Senza ruberie e senza cedere alle prepotenze delle lobby. L’aria sembrava davvero cambiata. Trasparenza, unità d’intenti e i cittadini che tornavano al centro della politica. Ma Salvini fingeva di far parte di quel cambiamento e dopo solo un annetto ha mandato tutto in malora per inseguire il miraggio egoistico dei pieni poteri. Sembrano passati secoli ma i Benetton ancora non mollano l’osso e il nuovo governo si appresta allo scontro finale. Il cambiamento in Italia è davvero una faticaccia. Il Ponte Morandi era il simbolo della rinascita di un intero paese e rischia di trasformarsi nel simbolo della restaurazione. Il simbolo del vecchio regime partitocratico che prova a riciclarsi per l’ennesima volta grazie a Salvini e a tutto il sottobosco lobbistico alle sue spalle. Il ponte è quasi pronto e Salvini inaugura la gara per attribuirsene i meriti. Lo fa salendoci sopra e concedendosi una pisciatina in compagnia delle istituzioni locali. Del resto tempo libero non gliene manca e faccia tosta nemmeno. Caschetto, gilè, museruola a tema. 
Tirata su la cerniera Salvini indica i pannelli a metano. Già, tapioca come se fosse antani e pure prematurata.

https://repubblicaeuropea.com/2020/06/23/salvini-e-la-pisciatina-sul-ponte/

sabato 23 maggio 2020

Autostrade, Atlantia ricatta il governo per avere garanzie statali: “Senza prestito stop a 14,5 miliardi di investimenti. Pronti alle vie legali”. - Andrea Tundo

Autostrade, Atlantia ricatta il governo per avere garanzie statali: “Senza prestito stop a 14,5 miliardi di investimenti. Pronti alle vie legali”

La società dei Benetton ha convocato un consiglio di amministrazione straordinario per analizzare la situazione di Autostrade e la presa di posizione al termine della riunione è netta: "Incertezza sulla revoca e decreto Milleproproghe hanno provocato gravi danni al gruppo". Quindi l'avviso al governo, dopo il "no grazie" di Stefano Buffagni alle indiscrezioni sulla garanzia da 1,2 miliardi: "Mandato ai legali di valutare tutte le iniziative necessarie per la tutela della società".
Congelamento dei 14,5 miliardi di investimenti, a parte 900 milioni per la sicurezza, e l’avviso di essere pronta a fare causa allo Stato. E ancora: un duro attacco alla norma del decreto Milleproroghe che ‘cancella’ le penali da versare ai concessionari in caso di revoca per inadempimento e al viceministro Stefano Buffagni che ha anticipato un “no grazie” alla richiesta della garanzia statale su un prestito da 1,2 miliardi di euro per sostenere i conti nel pieno dell’emergenza coronavirus. La holding Atlantia, controllata dai Benetton e ‘padrona’ di Autostrade, prepara il terreno per un nuovo scontro frontale con il governo nella battaglia aperta dal crollo del ponte Morandi il 14 agosto 2018. A leggere tra le righe del comunicato, nel quale si parla di “gravi danni” e si lascia intravedere la crisi di liquidità, l’ultimo ricatto è proprio sulla garanzia statale miliardaria visto il crollo del traffico a causa del Covid-19: in caso di no, verranno cancellati gli investimenti. Non solo: la società annuncia anche un’imminente azione legale per tutelarsi.
La netta presa di posizione è maturata nel corso di un consiglio di amministrazione straordinario convocata per analizzare la situazione di Autostrade. Si parte criticando la mancanza di risposte “alla proposta formale inviata” da Autostrade al ministero delle Infrastrutture e Trasporti lo scorso 5 marzo, “al fine di trovare una soluzione condivisa relativamente al procedimento di contestazione in corso ormai da quasi due anni”. Insomma la holding dice di aver teso la mano all’alba dell’emergenza Covid-19 e di restare in una “situazione di incertezza” pur “avendo autorevoli esponenti dell’esecutivo manifestato pubblicamente, fin dallo scorso febbraio, la propria disponibilità a valutare le proposte” che ammontano appunto a 14,5 miliardi di investimenti, compresi 2,9 come compensazione per il Morandi, una riduzione delle tariffe per i pendolari e la ricostruzione del ponte. Nel frattempo, attacca ancora Atlantia, la ministra Paola De Micheli ha “dichiarato l’avvenuta conclusione dell’analisi del dossier” che potrebbe portare alla revoca della concessione.
I due anni di battaglia, l’incertezza sulla revoca e le mosse propedeutiche del governo, è la lettura di Autostrade, hanno “determinato gravi danni all’intero gruppo” e generato “preoccupazione sul mercato e a tutti gli stakeholder”. Ad infastidire Atlantia, che vorrebbe la seconda più alta maxi-garanzia dopo i 6,3 miliardi chiesti da Fca, è in particolare l’articolo 35 del decreto Milleproroghe che ha eliminato le penali da versare ai concessionari in caso di revoca per inadempimento, caso in cui potrebbe rientrare il crollo del ponte Morandi e quanto sta emergendo dalle inchieste della procura di Genova: quelle modifiche, secondo la holding dei Benetton, hanno finito per stravolgere “il quadro di riferimento” per gli investitori e le banche e “hanno determinato il downgrade del rating” da parte di Moody’s lo scorso 3 gennaio.
E quindi è diventato, scrive Atlantia, “particolarmente difficile l’accesso ai mercati finanziari” e si è generata una “grave tensione finanziaria” che è stata “aggravata anche dai pesanti effetti della pandemia”. Di fronte ai quali, sostiene ancora la holding che controlla Autostrade, Cassa Depositi e Prestiti ha rifiutato anche a “inizio aprile” una linea di finanziamento da 200 milioni “anche in ragione” del Milleproroghe nonostante fosse stata “definita” già nel 2017 e restino “ad oggi inutilizzati 1,3 miliardi di euro”.
Il traffico sulla rete gestito da Autostrade, nel periodo di lockdown, continua Atlantia, “ha subìto un tracollo con punte massime dell’80%, generando una perdita di ricavi stimata in oltre 1 miliardo di euro per il solo 2020″. E, insomma, è il ragionamento in questo scenario il prestito garantito è essenziale per non dover tagliare posti di lavoro. Di fronte alle indiscrezioni, il viceministro allo Sviluppo Economico, Stefano Buffagni, aveva già detto “no grazie”. E la holding lo attacca bollando la sua risposta come “contrastante” con lo spirito del decreto Rilancio e “basate piuttosto su valutazioni e criteri di natura ampiamente discrezionale e soggettiva”.
“Tutto ciò causa danni per Atlantia e le sue controllate. Per cui diventa impossibile per la società – che deve tutelare 31.000 dipendenti di cui 13.500 in Italia oltre all’indotto, rispondere ai propri creditori, bondholders e alle proprie controparti commerciali, oltre che a più di 40.000 azionisti nazionali e internazionali – non valutare di intraprendere azioni a tutela dei propri interessi”, è l’avviso del consiglio di amministrazione di Atlantia che ha quindi deciso lo stop agli investimenti, salvo 900 milioni per “garantire manutenzioni e investimenti per la sicurezza” della rete e ha dato mandato “ai propri legali di valutare tutte le iniziative necessarie per la tutela della società e del gruppo, visti i gravi danni”.
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sabato 7 dicembre 2019

San Benetton, la prescrizione e i poveri cristi. - Tommaso Merlo



I Benetton sono a casa a tifare Pd, Lega e renzuscones oggi più che mai. Dopo la tragedia del Morandi per loro si mette davvero male. Le inchieste stanno facendo emergere un quadro agghiacciante ed hanno disperato bisogno che salti la riforma della prescrizione. Se così sarà, ci saranno ottime possibilità che la facciano tranquillamente franca. Come da tradizione nostrana. Gli basterà mettere mano al portafoglio, ingaggiare qualche branco feroce di avvocati senza scrupoli che tempesti i tribunali di cavilli ed attendere serenamente il fatidico giorno del giudizio. Quando usciranno dal tribunale con un bel gesto dell’ombrello rivolto ai giudici e alle vittime con tanto di pernacchia finale. Al resto ci penseranno i giornalai venduti che gli garantiranno una bella ripulita spacciando la prescrizione come assoluzione perché tanto il popolo bue certe sottigliezze non le capisce. Al resto ci penseranno i politicanti venduti che andranno in qualche latrina televisiva ad osannare San Benetton che tanto di buono ha fatto per questo paese e a scagliarsi contro quei maledetti forcaioli che volavano crocifiggerlo come un barabba qualsiasi invece di inginocchiarsi umilmente ai suoi piedi. In Italia ha sempre funzionato così. I delinquenti ricchi e potenti non hanno mai davvero pagato i loro debiti con la giustizia. Come se fossero al di sopra della legge. E questo grazie a codici limati su misura e a connivenze altolocate. Berlusconi è solo il caso più eclatante, ma la lista dei malviventi in doppiopetto che ha devastato il nostro paese senza vedere le patrie galere nemmeno col binocolo, è impressionante. Cricche che per decenni non solo non hanno pagato i loro debiti nei tribunali, ma nemmeno fuori riuscendo a riciclarsi senza vergogna. Tutto grazie ad un vero e proprio regime in cui affaristi, politici e giornalai hanno stretto un patto che tra gli altri privilegi ha sempre preteso anche quello dell’impunità. La prescrizione è una di quelle porcherie che non ha colore politico, è sempre piaciuta alle cricche di destra come di sinistra. Come conferma la cronaca di queste ore. La solita ammucchiata di zombie del Pd, Lega e renzuscones stanno tentando un estremo tentativo di bloccare una riforma di civiltà che permetterebbe ai poveri cristi di ottenere giustizia e ai farabutti altolocati di rispettare le leggi. Per riuscire nel loro intento, stanno usando il solito metodo. Dire che bisognerebbe fare prima questo o quello e solo dopo fare questo e quello. Insulse scuse al solo scopo di salvare una delle perversioni giuridiche più schifose del nostro paese e allo stesso tempo salvare la propria faccia di tolla. San Benetton segue gli sviluppi con trepidazione e tifa strenuamente affinché non cambi nulla. Se sarà così, nel giro di pochi anni San Benetton potrà festeggiare con tanto di gesto dell’ombrello e pernacchia fuori dal tribunale. Perché sarà andata a finire come al solito. Con interminabili ed estenuanti processi finiti nel nulla e con l’opinione pubblica drogata dai giornalai che si sarà dimenticata del ponte Morandi. Rimarrà giusto il solito gruppetto di famigliari delle vittime con uno striscione in mano a reclamare giustizia fuori da qualche tribunale. Ma quelli sono dettagli. Sono i poveri cristi.

https://infosannio.wordpress.com/2019/12/06/san-benetton-la-prescrizione-e-i-poveri-cristi/?fbclid=IwAR2o1hACj5HtMxBqgXSSxLXOX9irL7JRwnrcH-0mQhxyHYWgb-ujfIzzCU4

giovedì 21 novembre 2019

Ponte Morandi, “dal 2014 Autostrade e Atlantia avevano in mano un report che avvertiva del ‘rischio crollo'”. Per 4 anni nessun intervento.

Ponte Morandi, “dal 2014 Autostrade e Atlantia avevano in mano un report che avvertiva del ‘rischio crollo'”. Per 4 anni nessun intervento

I pm di Genova Massimo Terrile e Walter Cotugno, racconta Repubblica, hanno in mano il documento trovato dai finanzieri nella sede di Atlantia a Roma e anche in quella di Aspi. L'Ufficio Rischio per due anni parla di "rischio crollo", poi la dicitura nel 2017 diventa "rischio perdita stabilità". I primi lavori programmati solo per l'autunno 2018.

Autostrade per l’Italia e Atlantia, la capogruppo della famiglia Benetton, sapevano che il Ponte Morandi era a “rischio crollo” già dal 2014. I pm di Genova Massimo Terrile e Walter Cotugno, racconta Repubblica, hanno in mano il documento che lo attesta: è stato trovato dai finanzieri nella sede di Atlantia a Roma e anche in quella di Aspi. Un documento stilato dall’Ufficio Rischio che dal 2014 al 2016 parla di “rischio crollo”: dicitura che poi nel 2017 diventa improvvisamente “rischio perdita stabilità“. In ogni caso, soltanto 4 anni più tardi, nel febbraio 2018, viene sottoposto alla valutazione del provveditorato alle Opere pubbliche il progetto di retrofitting finalizzato al consolidamento del ponte. I lavori vengono pianificati per il successivo autunno. È troppo tardi: il 14 agosto 2018 il ponte crolla e a Genova muoiono 43 persone.

La rilevazione di Repubblica smentisce quanto finora i dirigenti di Autostrade hanno dichiarato a magistrati e media. I risultati dei monitoraggi sul ponte Morandi “non avevano segnalato motivi di allarme o di urgenza”, rispondeva Autostrade nell’ottobre 2018, due mesi dopo la strage. Il Fatto Quotidiano ha invece raccontato come Aspi fosse consapevole delle fragilità del viadotto già dal 2011, quando parlava di “rischio inagibilità. Sempre a ottobre 2018, uno dei primi ex dirigenti di Aspi a parlare davanti ai magistrati della procura di Genova fu Mario Bergamo: “Nel 2015 – spiegò – ricevemmo dei dati sullo stato del viadotto che ci fecero avviare il progetto di retrofitting nello stesso anno. Quei dati mi fecero notare un problema importante. Andai via da Autostrade nel 2016, non so perché si bloccò il progetto“.

Il professore Carmelo Gentile, docente del Politecnico di Milano che nel novembre 2017 consegnò il suo studio ad Autostrade segnalando le anomalie sul pilone 9 per le “deformate non conformi”, aveva spiegato già un anno fa al pm Terrile che Spea sapeva, aveva calcolato il livello di efficienza che “era sotto uno” e “con quel dato il ponte andava chiuso”. Più di recente, il Finacial Times ha riportato di un rapporto interno ad Atlantia, commissionato dopo il crollo, secondo cui i problemi di sicurezza del ponte Morandi si erano manifestati nei dieci anni precedenti.

Spea è una società controllata da Autostrade che fino a un mese fa era delegata al monitoraggio e alla sorveglianza della rete autostradale. Ora che dalle inchieste – quella sul Morandi ma anche il filone bis della strage di Avellino – sta emergendo secondo chi indaga un sistematico insabbiamento dei problemi di ponti e viadotti, il gruppo Atlantia ha deciso di togliere il compito di monitoraggio alla sua Spea per affidarsi a un’altra società “di livello internazionale”.

Ora emerge un altro documento che, stando a quanto riporta Repubblica, sarebbe poi stato insabbiato. I pm Terrile e Cotugno ne chiederanno conto ai 73 indagati per omicidio e disastro colposo plurimi. Secondo il quotidiano, il report era stato presentato ai consigli di amministrazione sia di Atlantia che di Autostrade, proprio per programmare interventi e chiedere consulenze esterne. Dal 2014 in poi sarebbero infatti aumentate le polizze assicurative sul Morandi, mentre i primi lavori vennero pianificati solo 4 anni più tardi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/20/ponte-morandi-dal-2014-autostrade-e-atlantia-avevano-in-mano-un-report-che-avvertiva-del-rischio-crollo-per-4-anni-nessun-intervento/5571837/?fbclid=IwAR0EQiQ0z11iQMXLGa2adbmuAXH5_-Spy88oCvz1FbZ-PxCX-c1PVkfLwvA