giovedì 30 ottobre 2014

Corruzione, Tremonti indagato a Milano. “Prese tangente da Finmeccanica”.

Corruzione, Tremonti indagato a Milano. “Prese tangente da Finmeccanica”

Il Corriere della Sera rivela che, secondo i pm, nel 2009 l'allora ministro dell'Economia ha ricevuto 2,4 milioni di euro per dare il via libera all'acquisizione della società americana Drs da parte del gruppo. Di cui lo stesso Tesoro ha il 30%.

L’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti è indagato dalla Procura di Milano per l’ipotesi di reato di corruzione. Nel marzo 2009, durante il quarto governo Berlusconi, avrebbe ricevuto una tangente da 2,4 milioni di euro dal gruppo Finmeccanica, controllato dallo stesso Tesoro, per dare il via libera all’acquisto della società Usa Drs. A rivelarlo è il Corriere della Sera, secondo cui entro 15 giorni gli atti sul caso saranno trasmessa al Tribunale dei ministri di Milano. I Carabinieri hanno perquisito lo studio legale tributario milanese dell’ex ministro, che si è difeso dicendo di non aver “mai chiesto o sollecitato nulla”.
Il quotidiano di via Solferino spiega che la tangente sarebbe stata “mascherata” da parcella professionale versata dal gruppo dell’aerospazio e della difesa, per una consulenza fiscale, allo studio tributaristico Vitali Romagnoli Piccardi & Associati, che Tremonti ha fondato e che formalmente aveva lasciato una volta assunto l’incarico di ministro. Oggi Tremonti, che lo scorso aprile ha patteggiato a Roma 4 mesi (convertiti in pena pecuniaria) per finanziamento illecito legato all’affitto di una casa messa a disposizione dal suo ex consigliere Marco Milanese, ne è di nuovo socio.
Insieme a Tremonti sono indagati dai pm di Milano Roberto Pellicano e Giovanni Polizzi, l’ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini (indagato anche a Roma per false fatturazioni nell’indagine sui bus e appena rinviato a giudizio a Napoli nell’inchiesta sui fondi neri legati al sistema Sistri), Alessandro Pansa, ex direttore finanziario di Finmeccanica, e Enrico Vitali, uno dei soci dello studio dell’ex ministro.
La vicenda della presunta tangente non è nuova: nel 2010 l’ex consulente di Finmeccanica Lorenzo Cola (condannato 3 anni e 4 mesi poi patteggiati per un’altra vicenda), in un interrogatorio davanti al pm romano Paolo Ielo ha collegato il cambio di atteggiamento del ministro Tremonti sull’acquisizione della società fornitrice del Pentagono proprio alla parcella liquidata da Finmeccanica allo studio dei soci del ministro.

7 storie ispiratrici delle comunità che prendono l'azione per il clima.



http://www.greenpeace.org/international/en/news/Blogs/makingwaves/communities-taking-climate-action/blog/51005/

Anomalie di sistema.



Immaginiamo un universo in cui ruotano mondi paralleli in ognuno dei quali viviamo 

tutti noi e, in ognuno di essi, il nostro "io" si comporta secondo gli schemi di quel mondo. 

Ma potrebbe succedere anche che un "io" di un mondo diametralmente opposto a 

quello in cui il mio "io-me" sta reagendo, percepisca la mia presenza, scambiandola per il 

suo alter ego, e interagisca, inconsciamente, con l' "io-me". 

E' un po' come succede in alcuni momenti della nostra vita quotidiana, quando 

vediamo con la coda dell'occhio la scia di qualcosa che non c'è, come quando ci 

si sente spiati o osservati in una stanza che sappiamo non essere occupata da altre 

presenze oltre alla nostra e che, in effetti, non c'è nessuno a spiarci ed osservarci. 

La "natura umana" non dovrebbe portare i due "io" a contrastarsi, grazie all'istinto di 

conservazione, dando origine, però, al verificarsi del "difetto", quell'anomalia di sistema.

che determina un qualche problema nei due "io" diametralmente opposti.

Naturalmente, tutto è relativo, perché nulla sappiamo dell'eventuale esistenza di altri mondi 

paralleli e di come venga percepita la natura esistenziale dell'essere vivente, quindi, è in 

discussione anche il concetto di "natura umana", vita, esistenza.

Cetta.

martedì 28 ottobre 2014

DALLA LEOPOLDA ALLA PIAZZA. - Rosario Amico Roxas



Il 25 e 26 ottobre hanno rappresentato due giorni di esaltazione delle contraddizioni, covate da tempo ed esplose in maniera fin troppo evidente e plateale.
Alla Leopolda erano presenti in circa 12.000 persone (diamo per buone le cifre comunicate), con tavoli indipendenti dove venivano trattati i vari aspetti della politica, dell’economia, dello Stato sociale etc.etc.
E’ emersa la stella del finanziere Serra, e dei suoi seguaci, tutti appartenenti al gotha del capitalismo nazionale, ma non certamente ai gruppo dei promotori dell’economia e dei generatori di posti di lavoro; c’erano tutti o quasi gli imprenditori, i capitalisti, i dirigenti d’azienda (grande assente Marchionne), mentre i pochi contestatori stavano fuori, con mesti cartelli. Ritengo opportuno pensare che fossero presenti anche evasori fiscali, esportatori di denaro all’estero, corrotti, corruttori, corruttibili, turbatori di aste pubbliche, politici trombati in attesa di sistemazione
Hanno discusso di tutto, quindi, in pratica di nulla, infatti nessuno è riuscito a comprendere il leitmotiv delle giornate di lavori e riassumerne le conclusioni.
Ci ha pensato Renzi con alcune affermazioni categoriche, che non hanno generato dibattito, ma solo ovazioni.
In piazza, con i sindacati e parte dei politici del PD, c’erano i disoccupati, i sottoccupati, i precari, i giovani, gli esodati, i pensionati, e la parte malata della nazione, contagiata dagli ultimi rantoli di un capitalismo d’assalto che in venti anni ha decimato le aspettative di tutte le categorie fragili, perché dipendenti da altri, quegli altri ben accolti alla Leopolda a parlare del nulla; messi insieme formavano una platea di un milione di persone, portavoce della stragrande maggioranza del paese, quella che soffre e paga per tutti.
La conclusione di Renzi è stata una apologia dialettica; nulla da eccepire sulla qualità della comunicazione:


-Non daremo il PD a chi lo riporterebbe dal 41% al 25%
-Il PD non sarà più un partito di reduci ma di coloni alla scoperta del futuro.


Sarebbe stato anche convincente se in molti come me non avessimo sentito l’alitare sul collo di Renzi di un Berlusconi sornione che è riuscito a reinserirsi come deus ex machina malgrado le condanne e l’esperienza negativa di venti anni di abusi più o meno legali, che tanto furono graditi ai medesimi ospiti della Leopolda.


Sarebbe stato più credibile Renzi se avesse parlato delle riforme, bloccate dal suo partner al governo, che impedisce la nuova legge elettorale per timore di un ritorno alle urne che lo farebbe scomparire insieme al suo FI; così un eventuale ritorno anticipato alle urne dovrebbe utilizzare la legge elettorale scritta dalla Consulta, senza premio di governabilità, per cui chiunque dovesse vincere non potrebbe far altro che cercare alleanze anche innaturali. 

Anche eventualmente vincente Renzi si troverebbe nella condizione di pietire l’alleanza con il pregiudicato Berlusconi, per ufficializzare uno stallo che serve solo a quanti non vogliono riforme a vantaggio dello Stato sociale.

Sarebbe stato più credibile se avesse criticato la riforma del Senato che dovrebbe essere composto da nominati, ma protetti da immunità, servi dei loro nominatori.


Sarebbe stato più credibile se avesse garantito di mettere mano ad una legge severa sul falso in bilancio, azzerato dai governi Berlusconi, che hanno salvato il suo inventore da precedenti condanne.


Sarebbe stato più credibile si avesse accennato ad una patrimoniale, ma avrebbe disilluso i suoi ospiti alla Leopolda; patrimoniale intesa come restituzione del maltolto che ha costituito ingentissime fortune, tant’è che negli ultimi rantoli del governo Berlusconi, prima delle provvidenziali dimissioni, la proprietà della ricchezza nazionale, che prima era del 50% in mano al 10% della popolazione, era passata al 55% sempre in mano a quel 10% della popolazione, con la maggior parte presente alla Leopolda a discutere della povertà altrui e del proprio, ulteriore, arricchimento.


Sarebbe stato più credibile se avesse garantito di non mettere mai più mano a condoni, sanatorie e scudi fiscali.


Sarebbe stato più credibile se avesse parlato di una riforma della giustizia, limitando il garantismo pur senza eccedere nel giustizialismo.


Niente di tutto ciò e anche di altro, ma solo slogan dialettici degni di un affabulatore, capace di stimolare falsi entusiasmi, tale e quale come nel 1994.


Nell’etere viaggia una ipotesi di scissione nel PD, sarebbe una catastrofe a vantaggio del pregiudicato che otterrebbe il suo “divide et impera”; ma tale ipotesi dovrà essere scongiurata dall’analisi dei risultati delle amministrative di Reggio Calabria, che “il Giornale” della famiglia di Berlusconi, diretto da Sallusti, relega in fondo pagina e commenta con rabbia:
Il candidato sindaco del centrosinistra Giuseppe Falcomatà (Pd, Sel, Psi e liste civiche) veleggia, infatti, oltre il 61,24%


Tratto da http://masadaweb.org/2014/10/28/masada-n-1584-27-10-2014-italia-delenda-est/

Il Giappone senza centrali da un anno: come se la cava? - Luca Scialò



Buon compleanno al Giappone senza centrali nucleari da un anno! 
Esattamente lo scorso 15 settembre, quando sono stati chiusi gli ultimi reattori in funzione. Una meta in fondo impensabile per un paese che ha fatto dell’energia nucleare il proprio punto di forza. Ma che si è visto costretto a rivedere i propri piani dopo lo tsunami del Tohoku dell’11 marzo 2011 e della successiva esplosione in sequenza di tre reattori della centrale di Fukushima.
D’altronde gli effetti di quell’incidente dureranno a lungo: la situazione della contaminazione nel sito della centrale è solo “vagamente” sotto controllo e non ci sono soluzioni definitive per lo smaltimento delle acque radioattive se non versarle (in maniera illegale) nelle acque dell’Oceano Pacifico. Per non parlare del fatto che l’esistenza di decine di migliaia di persone è ancora sconvolta, sia psicologicamente che economicamente, dal tragico incidente.
E come sta facendo ora per l’energia un Giappone senza centrali? Attraverso interventi di efficienza negli usi dell’elettricità e, in modo minore ma significativo, investendo nella crescita delle rinnovabili assieme ad un aumento dell’uso del gas naturale.
Il Paese del Sol Levante cerca di produrre energia anche ricorrendo alle rinnovabili; le installazioni di pannelli fotovoltaici, ad esempio,hanno un sistema di incentivi solo nel 2012, ma sono quest’anno esplose, diventando seconde solo al record cinese. Con le energie alternative, pulite e rinnovabili, i giapponesi adesso producono lo stesso quantitativo delle tre centrali nucleari e l’obiettivo è arrivare al 40% dell’elettricità totale.
Questa nuova gestione dell’energia ha portato anche benefici economici. Il risparmio è stato di 1.700 miliardi di yen (125 milioni di euro). In totale, si tratta di poco meno di 12,3 ossia il valore dell’energia elettrica prodotta in un anno da 13 reattori nucleari. Non male per un Paese che non ha fonti combustibili…
Le tragedie devono servire anche a questo: da occasione per non commettere più certi errori.

domenica 26 ottobre 2014

Falange Armata, romanzo criminale dal delitto Mormile alla Uno bianca. - Giuseppe Pipitone

Falange Armata, romanzo criminale<br>dal delitto Mormile alla Uno bianca

La prima puntata dell’inchiesta sulla sigla oscura che per un lustro rivendica ogni singolo atto criminale della strategia stragista: dai delitti della Banda della Uno Bianca, fino agli eccidi di Cosa Nostra.

Questa è una storia di omicidi e stragi, di patti tra pezzi dello Stato e associazioni criminali, di boss di Cosa Nostra che imbucano lettere per rivendicare i loro delitti, di presidenti del consiglio che rivelano in Parlamento l’esistenza di organizzazioni militari clandestine. Una storia che lascia traccia di sé nei comunicati inviati ai giornali, nelle voci metalliche che telefonano alle agenzie di stampa, nelle rivendicazioni di delitti che partono dal profondo nord, si fermano in Emilia Romagna, dove imperversa la banda della Uno Bianca, e sbarcano in Sicilia seguendo la scia di sangue tracciata dagli eccidi targati Cosa Nostra. Una linea della palma al contrario, che semina terrore, panico e confusione, e che alla fine ha sempre la stessa sigla: Falange Armata. Due parole che suonano minacciose, che strizzano l’occhio all’estremismo della destra eversiva – la Falange era il partito fondato in Spagna negli anni ’30 dal militare José Primo de Rivera – e che presto rimangono impresse nella memoria di chi inizia a leggerle sui giornali. Perché quelle due parole, Falange Armata, sui quotidiani e sui tg ci finiscono sempre più spesso, ogni volta che su e giù per lo stivale mitra e tritolo vengono azionate seminando morte. Chi ci sia dietro quella firma di terrore che per un lustro rivendica ogni singolo atto criminale della strategia stragista è un mistero, come un mistero rimane ancora oggi cosa sia nel dettaglio la Falange Armata. Perché la sigla oscura torna alla ribalta nell’ottobre 2013: una lettera spedita nel carcere milanese di Opera al capomafia Totò Riina con l’invito a “chiudere la bocca” per il boss corleonese. Un messaggio inquietante dato che in quei mesi il capo dei capi viene intercettato dalla Dia di Palermo mentre si lascia andare a rivelazioni inedite con il compagno d’ora d’aria Alberto Lorusso. Stralci di quelle conversazioni finiranno sui giornali soltanto alcune settimane dopo: gli estensori di quella missiva come fanno quindi a sapere che Riina viene ascoltato in carcere dai pm palermitani? Un interrogativo ancora oggi al vaglio degli inquirenti, particolarmente colpiti dal fatto che la Falange sia tornata a farsi sentire dopo vent’anni esatti di silenzio.
Gli esordi del terrore: da Mormile, alla Uno Bianca 
Indicata all’inizio come un’organizzazione terroristica creata per destabilizzare il Paese, la Falange esordisce quando mette la firma sull’esecuzione di Umberto Mormile, educatore nel carcere milanese di Opera, ucciso a colpi di pistola l’11 ottobre del 1990, da un commando in motocicletta, mentre sta andando a lavoro con la sua automobile. Per quell’omicidio sarà poi condannato il boss della ‘Ndrangheta Domenico Papalia, all’epoca recluso a Opera, deluso dal fatto che Mormile, dopo aver intascato denaro, lo avesse abbandonato senza procurargli i benefici carcerari promessi. Un nome, quello di Papalia, che ricomparirà più volte tra i rivoli di mistero dei primi anni ’90: a citarlo è il boss mafioso Nino Gioè, nella lettera lasciata in carcere prima che i secondini lo trovassero morto nella sua cella cella; diranno poi che si trattò di suicidio, mentre ancora oggi sono molti i punti di domanda che si annidano sulla fine del boss di Altofonte. Oltre alla lettera di Gioè, Papalia compare anche in un’informativa della Dia nel 1994, dove è indicato tra gli ‘ndranghetisti che a Milano erano in contatto con ambienti legati alla Massoneria, forse con Licio Gelli in persona. Papalia, però, non è l’unico personaggio interessante coinvolto nell’esecuzione di Mormile. Secondo le prime piste investigative imboccate all’epoca, un ruolo nell’esecuzione dell’educatore carcerario lo gioca Angelo Antonio Pelle, lo ‘ndranghetista che nel 2004 finirà nella lista allegata al Protocollo Farfalla: d’accordo con il Dipartimento d’amministrazione penitenziaria, il Sisde allora guidato daMario Mori metterà a libro paga a otto boss detenuti, che diventeranno confidenti dei servizi in cambio di denaro. Corsi e ricorsi di una storia che nell’aprile del 1990 deve ancora cominciare.
L’atto primo va in scena precisamente il 27 ottobre 1990 quando al centralino dell’Ansa di Bologna arriva una strana telefonata che rivendica l’assassinio di Mormile, ammazzato ormai sei mesi prima: “Il terrorismo non è morto, ci conoscerete in seguito” dice al telefono una voce, che sembra voler tradire appositamente un accento tedesco. In coda alla comunicazione c’è la firma letta al telefonista: Falange Armata Carceraria. Quella prima rivendicazione è importante per due motivi: l’estensione nella sigla, quel “Carceraria”, utilizzata per prendersi la responsabilità dell’assassinio proprio di un educatore di detenuti, che poi sparirà presto dalle rivendicazioni di morte dei falangisti; il dato più rilevante però è il tempo: tra l’omicidio Mormile e la telefonata all’Ansa, passano ben sei mesi. In quei giorni, l’opinione pubblica italiana è in fibrillazione perché il 24 ottobre l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti interviene alla Camera dei Deputati, rivelando l’esistenza di Gladio, l’evoluzione di Stay Behind, l’organizzazione militare segreta costituita in ottemperanza al Patto Atlantico. Andreotti alla Camera definirà Gladio come “un’organizzazione di informazione, risposta e salvaguardia”. Passano 72 ore e sulla scena italiana compare la Falange, rivendicando un fatto di sangue accaduto parecchi mesi prima. Complice il caos mediatico suscitato dalle ammissioni di Andreotti, però, quella prima telefonata dei falangisti. non lascia particolare segno.
Risonanza maggiore avranno le rivendicazioni successive dei falangisti, che dopo qualche mese si spostano un po’ più a sud, sulla via Emilia, dove dalla fine degli anni ’80 la Banda della Uno Bianca semina terrore e morte a buon mercato. Il 4 gennaio del 1991, la banda guidata dai fratelli Savi massacra tre carabinieri di pattuglia al quartiere Pilastro a Bologna; 24 ore dopo, questa volta puntualissima come se il sistema fosse ormai rodato, arriva la rivendicazione della Falange, che come sempre conclude i suoi comunicati con quel leit motiv inquietante :“Il terrorismo non è morto, ci conoscerete in seguito”. In seguito, però, arriverà solo una perizia della balistica che indicherà come una delle pistole utilizzate dalla Banda della Uno Bianca nella strage del Pilastro sia la stessa che ha messo fine alla vita di Mormile un anno prima: una connessione che rimarrà soltanto agli atti, dato i due omicidi non sono mai stati messi in relazione. E in comune hanno soltanto quella voce metallica, che tenta di depistare le indagini, di confondere i mass media e seminare terrore. Poi, dopo il Pilastro la Falange scompare: o meglio, scende ancora più a sud, in Sicilia.

Prima puntata – Continua 

Ecco chi c'è dietro la Leopolda: raccolti quasi 2 milioni di euro.



Manca una settimana alla prossima Leopolda, la convention dei renziani organizzata dalla Fondazione Open e che vede in prima linea Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Marco Carrai.
Ma da dove arrivano i 300mila euro necessari a mettere in piedi la manifestazione? Come spiega La Stampa, la fondazione ha già raccolto 2 milioni di euro che provengono soprattutto da alcuni personaggi che gravitano attorno al premier. Primo finanziatore è Davide Serra, che avrebbe tirato fuori 175 mila euro, seguito da Guido Ghisolfi - proprietario dell’azienda chimica Mossi e Ghisolfi -  che avrebbero già sborsato 120 mila euro. Ci sono poi una serie di aziende, come quella alimentare Gf Group (50 mila euro), quella immobiliare Blau Meer srl o Simon Fiduciaria nel cui consiglio c'è Giorgio Gori (20mila euro a testa). 60mila euro arrivano poi dall'imprenditore di Isvafim Alfredo Romeo, mentre il banchiere d'affari Guido Roberto Vitale ha donato 5 mila euro.
E poi ci sono i grandi nomi. Come quello di Fabrizio Landi (10mila euro), fresco di nomina in Finmeccanica e considerato tra i pionieri del business biomedico in Italia, oltre a uno dei nomi forti che avrebbero aiutato l'ascesa di Renzi. O come il finanziere Carlo Micheli o l'azienda di telefonia Telit, Paolo Fresco e la signora Marie Edmée Jacquelin, Renato Giallombardo (uno degli esperti italiani in fusioni, acquisizioni, operazioni di private equity), Jacopo Mazzei fino al manager tv Antonio Campo dall’Orto.