Con i versamenti regolari e «in chiaro» Alfredo Romeo aveva ottenuto poco o niente di quello che voleva. I 60.000 euro trasferiti alla fondazione Big Bang riferibile a Matteo Renzi, diceva, non gli avevano aperto le porte che sperava. Ecco perché quando si decise a contattare il padre dell’ex premier attraverso l’imprenditore Carlo Russo, il trentatreenne amico di Tiziano Renzi che lui chiamava «il ragazzo» e i carabinieri del Noe definiscono «faccendiere», insisté molto nel dire che gli eventuali pagamenti dovevano avvenire «in nero»; in contanti, senza lasciare tracce. Lo chiamava il «metodo della mattonella», nelle sue «fluviali conversazioni» intercettate dagli investigatori dell’Arma, con l’ex deputato Italo Bocchino e con lo stesso Russo. Al quale avrebbe anche chiesto se «il dottore», che nell’interpretazione dei carabinieri è Tiziano Renzi, aveva «apprezzato l’atto». Ricevendo risposta affermativa.
Il decreto di perquisizione
L’interpretazione degli investigatori è che parole simili siano la prova dell’avvenuto pagamento, ma è un particolare tutto da dimostrare. Quello che è certo, per ora, è ciò che il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi hanno scritto nel decreto di perquisizione a Russo; e cioè che lui e Renzi senior «si facevamo promettere indebitamente utilità a contenuto economico, consistenti nell’erogazione di somme di denaro mensili», affinché intercedessero in favore di Romeo con l’amministratore delegato di Consip Luigi Marroni; in modo da fargli ottenere la fetta più appetitosa di appalti dalla centrale d’acquisto della pubblica amministrazione. Uno degli elementi che fanno pensare alla cadenza mensile dei pagamenti deriva ancora dalla possibile metafora utilizzata da Romeo, quando dice a Russo che lui andrebbe volentieri «a mangiare una bistecca ogni mese... Dobbiamo fare un ragionamento periodico».
Le mazzette in contanti
Con le «mazzette» in contanti Romeo si sentiva sicuro. Così pagava il dirigente Consip Marco Gasparri e così diceva di voler pagare anche Russo. Il quale avrebbe preferito altre forme, ma l’imprenditore campano si sentiva sicuro solo con le banconote. Accumulate, nell’ipotesi dell’accusa, «con il “nero” ricavato dalla sua attività alberghiera in Napoli», ma anche ritirando le banconote agli sportelli: «Giova rappresentare come Romeo abbia proceduto, attraverso una banca napoletana, nel solo 2016 al prelevamento di denaro contate mediante cambio di assegni intestati a “me medesimo” per un importo complessivo di euro 351.088,90». Oltre trecentocinquantamila euro. C’è però anche l’ipotesi di utilizzare un canale «estero su estero»; magari — come hanno scritto i pm della Procura di Napoli nell’ordine di perquisizione allo stesso imprenditore del 7 febbraio — «pianificando l’utilizzo di società estere, e in particolare di una società inglese nella disponibilità dello stesso Romeo e dei suoi familiari». Secondo quello che sempre Russo racconta a Romeo, il «faccendiere» aveva parlato bene di lui non solo a Tiziano Renzi ma anche a Luca Lotti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio durante il governo Renzi e oggi ministro dello Sport. Gli aveva detto che era uno del quale ci si poteva fidare; mettendo in luce non tanto le sue qualità imprenditoriali, quanto il fatto che quando era stato arrestato dalla magistratura napoletana nel 2008, in un processo che poi si concluse con l’assoluzione in Cassazione, era rimasto in carcere senza dire nulla agli inquirenti. Nelle intenzioni di Romeo c’era quella di raggiungere un «accordo quadro» con Renzi senior, per ottenere appalti in generale ma in particolare per vincere la gara a cui teneva di più: quella per la gestione delle pulizie nei palazzi nel primo municipio di Roma, il centro storico: un affare da oltre cento milioni di euro, che consente di mettere un piede nelle sedi istituzionali, il cuore del potere. Una gara per la quale aveva ingaggiato con l’impresa Cofely un duello a distanza dai risvolti politici occulti, svelati dai dialoghi tra Romeo, l’ex deputato di An suo consulente Italo Bocchino e altre persone intercettati dai carabinieri.
Il collegamento con Verdini
«C’è un problema sul lotto Municipio uno — dice Bocchino a Romeo in un colloquio del febbraio 2016 — . Già c’è il problema di uno straniero che in un lotto così delicato istituzionalmente non va bene, ma poi c’è il problema che è Bigotti (cinquantaduenne imprenditore piemontese, ndr), che entra su Roma con Cofely». Romeo spiega di aver saputo da Marco Gasparri che dietro Bigotti e la società Cofely c’è l’onorevole Denis Verdini: «Questa notizia mi ha sconcertato totalmente... questa cosa significa che Verdini è tutt’altra... Bigotti è uomo di Verdini perché Bigotti socio... numero uno di Bigotti è Paolo Berlusconi». Bocchino ribatte che «ormai ha rotto con quel mondo», ma Romeo insiste: «Va bè, però i rapporti personali so’ rapporti personali». Più avanti Romeo s’inalbera: «Cofely non doveva venire su Roma, perché io a Roma non dovevo avere problemi, perché questo non è il mestiere di Cofely, Cofely fa il calore».
Gli appoggi politici
Per contrastare l’offensiva della società che dicono essere sponsorizzata da Verdini, Romeo cerca altri appoggi politici, capaci di influire sui vertici di Consip. Tra questi sembra esserci Alberto Bianchi «presidente della Fondazione Open (la ex Big Bang alla quale era stato fatto il finanziamento ufficiale da 60.000 euro, ndr) riconducibile a Matteo Renzi e avvocato esterno di Consip», annotano i carabinieri nel loro rapporto. «Intanto mi fanno trovare Bianchi là ieri sera», dice Bocchino a Romeo che replica: «Va bene, Bianchi è un vecchio avvocato legato a Renzi da sempre». Bocchino ipotizza che qualcuno lo voglia «mandare a Consip», poi s’interroga «su quale possa essere il messaggio che il “Giglio d’oro” volesse inviare a Romeo», ma nel frattempo sembra diventare una sorta di intermediario con gli ultimi due amministratori delegati della Centrale d’acquisto della pubblica amministrazione, Domenico Casalino e Luigi Marroni. «Il discorso attiene all’incontro promosso da Casalino con il Bianchi — annotano i carabinieri nel loro rapporto — che, stando anche a quello che in seguito si diranno il Bocchino e il Romeo, era teso a cercare un equilibrio nell’assegnazione del bandi Consip, atteso che sembrerebbe che Marroni è già schierato per favorire un’altra azienda».
L’interrogatorio
È a partire da questo convincimento di essere tagliato fuori per motivi politici che Romeo — nell’ipotesi dell’accusa — cerca il contatto con Tiziano Renzi. Con l’obiettivo di scalzare la società appoggiata da Verdini. Ma il problema è che — nell’interrogatorio che il settimanale L’Espresso ha anticipato ieri — Marroni avrebbe detto che il padre dell’ex premier lo spingeva a favorire l’impresa vicina a Verdini. Resta da capire, ammesso che tutto questo corrisponda al vero, se Romeo lo sapeva e voleva far cambiare idea al «massimo livello politico» che pensava di aver raggiunto, o se invece i suoi interlocutori facevano una sorta di doppio gioco. L’imprenditore che si sentiva danneggiato cercava «una polizza assicurativa». E pensava di averla trovata.