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domenica 4 luglio 2021

Tassa minima globale: Irlanda, Estonia e Ungheria contro il via libera finale (per ora). - MIchele Pignatelli

 

Il nodo dell'unanimità. Tre paesi non hanno firmato l'intesa Ocse e per una direttiva Ue serve il via libera di tutti gli Stati membri.

All’indomani di quella che Janet Yellen, segretaria al Tesoro Usa, ha definito «una giornata storica per la diplomazia economica», l’intesa sulla tassazione globale minima siglata con il coordinamento dell’Ocse da 130 Paesi su 139 inizia a fare i conti con gli ostacoli che ancora restano per renderla effettiva.

All’appello tra i firmatari mancano 9 Paesi, ma a preoccupare sono soprattutto le tre defezioni europee. Irlanda, Ungheria ed Estonia per il momento hanno detto no al piano, già avallato dal G7, che prevede una corporate tax minima del 15% e una redistribuzione almeno parziale delle tasse pagate dalle multinazionali, allocando parte di quel gettito nei Paesi in cui gli utili vengono effettivamente realizzati.

Irlanda, Ungheria ed Estonia insieme valgono appena il 4% del Pil Ue e il 3,6% della popolazione, ma il loro potere negoziale è amplificato dalle normative comunitarie, che richiedono il varo di una direttiva approvata all’unanimità. E i primi segnali non sono incoraggianti.

L’Ungheria, spina nel fianco Ue.

«La minimum tax globale ostacolerebbe la crescita, l’aliquota del 15% è troppo alta e non dovrebbe essere applicata alle attività economiche reali», ha sentenziato ieri il ministro delle Finanze ungherese Mihaly Varga, salvo poi smorzare i toni dicendosi pronto a continuare colloqui «costruttivi» con i partner Ocse per raggiungere «un accordo appropriato». 

Budapest, con una corporate tax del 9%, ha l’aliquota più bassa nell’Unione europea e l’ha sfruttata per attrarre robusti investimenti nel settore automobilistico e manifatturiero (da Bmw agli impianti per la produzione di batterie); investimenti che hanno trainato la crescita e l’impiego, contribuendo a rafforzare il potere del premier Viktor Orban e offrendogli una solida base di consenso per reggere lo scontro con l’Unione europea sullo Stato di diritto. Non è un caso che Orban qualche giorno fa abbia definito «assurdo» il fatto che «un’organizzazione internazionale si arroghi il diritto di dire quali tasse l’Ungheria può imporre e quali no», tanto più – ha aggiunto - che il Paese «non è un paradiso fiscale», ma attrae imprese che investono veramente e non scelgono l’Ungheria soltanto come sede legale per pagare meno tasse.

L’Irlanda, allievo modello.

Discorso diverso per l’Irlanda, assurta a esempio di politiche virtuose negli anni seguiti alla crisi finanziaria e ai piani di bailout europei e ora ben integrata nelle isituzioni comunitarie, dove tra l’altro detiene, con il ministro delle Finanze, Pascal Donohoe, la presidenza dell’Eurogruppo. Alleanze strategiche e capacità negoziali hanno consentito a Dublino di resistere per anni agli attacchi di quei Paesi – Francia in testa – che l’accusavano di concorrenza sleale per una corporate tax al 12,5% e, ancor di più, per agevolazioni o accordi mirati che hanno favorito l’elusione o consentito alle multinazionali di pagare imposte irrisorie. 

L’attrattività fiscale è stata un fattore chiave per portare a Dublino il quartier generale di colossi come Google, Apple e Facebook e le nuove regole mettono ora in pericolo, secondo le prime stime, due miliardi di euro all’anno di entrate da imposte societarie, anche per effetto della riallocazione del gettito nei Paesi che sono vero mercato delle multinazionali. Così ieri il ministro delle Finanze Donohoe, che già giovedì aveva espresso le riserve irlandesi, ha ribadito la contrarietà di Dublino: «In Irlanda questo – ha detto in un’intervista radiofonica – è un tasto molto sensibile e nel testo che mi è stato presentato non c’erano sufficiente chiarezza e un adeguato riconoscimento di una questione per noi chiave».

Il ministro ha espresso tuttavia ottimismo sul raggiungimento di un’intesa entro l’anno. Ed è probabile che Dublino, con qualche ulteriore concessione, sia pronta a dire sì; anche il mondo del business sembra già preparato alle nuove regole, forte di un appeal basato anche su altri fattori oltre a quello fiscale e su investimenti ormai consolidati nel Paese.

L’Estonia e gli utili detassati.

L’Estonia, da anni in cima alla classifica di competitività fiscale del think tank americano Tax Foundation, ha tra i suoi punti di forza una corporate tax relativamente bassa (oscilla tra il 14 e il 20% degli utili) applicata però solo in caso di dividendi. Non vengono cioè tassati gli utili reinvestiti.

Il Paese baltico si è opposto con decisione alle nuove regole. Il ministero delle Finanze ieri ha diffuso un comunicato in cui sottolinea che il Paese non è pronto «a sostenere completamente» le proposte per una minimum tax globale. Più esplicita (e dura) era stata nei giorni scorsi la ministra delle Finanze Keit Pentus-Rosimannus, che aveva definito la proposta «pericolosa per le imprese, la concorrenza internazionale e la creazione di posti di lavoro».

Verso il via libera del G20.

Nonostante gli ostacoli - tra i quali vanno menzionati anche la necessaria approvazione del Congresso Usa, con i repubblicani pronti a dare battaglia, e il nodo della digital tax, su cui Janet Yellen e la vicepresidente della Commissione Ue, Margrethe Vestager, avranno un colloquio il 6 luglio - all’indomani dell’intesa prevale l’ottimismo, anche considerando che l’hanno siglata Paesi importanti e in dubbio fino all’ultimo, come l’India e la Cina (con le regioni amministrative speciali di Hong Kong e Macao).

In attesa dei dettagli tecnici, da mettere a punto ancora in sede Ocse a ottobre, sembra dunque spianata la strada al via libera dei ministri delle Finanze del G20, in programma a Venezia la prossima settimana, priorità della presidenza italiana. «Le notizie che arrivano dall’Ocse - ha confermato il ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco - sono un passo avanti verso l’intesa politica. Siamo fiduciosi sulla possibilità di trovare un accordo a livello G20 sulla struttura di nuove regole per la riallocazione dei profitti delle grandi multinazionali e per la tassazione minima effettiva, che cambierebbero radicalmente l’attuale architettura della fiscalità internazionale».

Intanto, mentre il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, promette di raddoppiare gli sforzi per convincere i Paesi riluttanti, la Commissione Ue mantiene un cauto ottimismo. «Siamo fiduciosi che, mentre si mettono a punto i dettagli, anche gli altri Stati membri possano firmare», ha dichiarato un portavoce.

IlSole24Ore

venerdì 11 ottobre 2019

Brú na Bóinne



Brú na Bóinne (la dimora del Boyne, in irlandese) costituisce uno dei più importanti siti archeologici di origine preistorica al mondo. Si trova nella valle del fiume Boyne in Irlanda, a circa 40 km da Dublino e a pochi chilometri dalle città di Slane (5 km) e Drogheda (8 km). L'area include un complesso archeologico con oltre 90 monumenti costruiti nel neolitico da un'antichissima civiltà contadina preceltica repentinamente scomparsa. Tra questi spiccano in particolare i grandi tumuli di Newgrange, Knowth e Dowth.
Originariamente costruito intorno al 3200 a.C., giacque dimenticato per millenni fino al XVII secolo. Fu oggetto di una prima estesa campagna di restauri tra il 1962 e il 1975 e tuttora proseguono gli scavi archeologici. È stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1993.[1]

Storia

La costruzione delle tombe a corridoio che caratterizzano il sito fu iniziata nel III millennio A.C. in un'area nella quale si era già insediata e sviluppata una civiltà contadina. Sono stati rinvenuti resti di abitazioni, recinti e di sistemi agricoli che provano, infatti, la presenza di insediamenti umani nell'area del Boyne già durante il IV millennio a.C. Le costruzioni presenti nell'area testimoniano, inoltre, l'esistenza di una civiltà socialmente e culturalmente evoluta, originaria della Bretagna e della Penisola Iberica occidentale e influenzata dalla cultura del vaso campaniforme.
L'area fu temporaneamente abbandonata durante l'Età del Bronzo e poi nuovamente rioccupata nel I millennio A.C. In seguito, Knowth divenne un insediamento fortificato e al suo interno vi furono ricavati altri spazi di sepoltura secondari.
Durante la prima era cristiana, dall'VIII secolo d.C. in avanti, sorsero altre tre fortificazioni circolari e quello di Knowth si sviluppò in un grande insediamento, che comprendeva abitazioni a pianta rettangolare e sotterranei e nel quale si svolgevano attività sia agricole sia industriali.
Quando nel XII secolo fu invaso dai Normanni, l'insediamento si era ormai costituito come capitale del Regno di Knowth. Sotto il loro dominio, l'area divenne centro di innovazioni e fu assorbita nel sistema di fattorie e tenute agricole dei Cistercensi. Da allora è rimasta una zona prevalentemente rurale.[2]
Le strutture del complesso archeologico cominciarono ad essere oggetto di studi durante l'Ottocento, ma solo dal 1962 si diede il via agli scavi archeologici nella zona, con l'obiettivo di rivalutarne il patrimonio storico e facilitarne l'accesso ai turisti. I primi scavi, effettuati intorno al grande tumulo di Newgrange sotto la direzione dell'archeologo Michael J. O'Kelly (1962-1975), permisero di approfondire gli studi sul contesto storico e la civiltà nei quali Newgrange venne costruito, nonché di iniziare un'operazione di recupero e restauro di quanto era venuto alla luce. La più importante scoperta di O'Kelly fu lo scioglimento del mistero che si nascondeva dietro la piccola apertura quadrata posta sopra l'ingresso principale. Fu proprio il suo gruppo di ricerca a scoprire, infatti, che il giorno del solstizio d'inverno i raggi del sole penetravano nel passaggio a illuminare il cammino verso la camera funeraria. Ulteriori scavi furono realizzati in seguito anche intorno a Knowth e Dowth.[3]

Complesso archeologico

Pianta e sezione della tomba di Newgrange. William Frederick Wakeman, 1903.
Il complesso archeologico sorge su un'area di 7,8 km² che prende il suo nome dal fatto che risulta circordata su tre lati dal fiume Boyne. Le strutture principali sono tre grandi monumenti: Newgrange, Knowth e Dowth. Si tratta di ampie tombe a corridoio sovrastate da grandi colline artificiali costruite durante il III millennio a.C. circondate da altri numerosi passaggi e corridoi secondari.
Anche se vengono comunemente definite tombe a corridoio, lo scopo preciso di queste costruzioni non è ancora stato accertato, malgrado siano stati accuratamente scandagliati. Probabilmente non fu solo, o non principalmente, funerario, ma certamente connesso alle cerimonie religiose e forse a un culto solare. Rimangono, comunque, come enigmatica testimonianza di una civiltà complessa e progredita che popolò l'Irlanda prima dell'avvento dei Celti e ben prima degli invasori Vichinghi, sei secoli prima della costruzione delle piramidi egizie.

Newgrange

Newgrange
Il tumulo di Newgrange, la costruzione di cui si hanno maggiori informazioni, risale al 3200 a.C. circa. Il nome anglosassone deriva dall'unione delle parole new ("nuovo") e grange ("fattoria"). Dopo la fondazione dell'abbazia cistercense a Mellifont nel 1142, le terre di quest'area vennero acquisite dal relativo ordine e utilizzate per l'agricoltura.[4]
Il tumulo ha un diametro di circa 80 m; è cinto da un alto muro perimetrale costruito in pietre di quarzo bianche e scure e da un altro cerchio più largo, composto da 97 grosse pietre (kerbstone), la più interessante delle quali è quella posta di fronte all'entrata, decorata con motivi a losanga e a spirale. Questa pietra, definita "una delle pietre più famose nell'intero repertorio dell'arte megalitica"[5], include un motivo a triplice spirale, rinvenuto soltanto a Newgrange e ripetuto all'interno della camera funeraria, che rievoca il motivo del triskelion dell'isola di Man e le spirali della cultura di Castelluccio in Sicilia ma soprattutto dei Templi megalitici di Malta, i cui primi esempi sono più antichi di Newgrange.
I motivi a losanga e spirale sulla pietra d'entrata
All'interno, un passaggio lungo 19 m conduce ad una camera centrale a pianta cruciforme con tre vani, caratterizzata da una volta a thòlos in lastroni di pietra alta 6 m e ancora oggi completamente impermeabile all'acqua. In ognuno dei tre vani è presente un vascone in pietra che conteneva i resti dei defunti che furono sepolti nel tumulo. Posta sopra all'entrata, un'apertura quadrata (roofbox) permette al sole di penetrare nel passaggio e di illuminarlo nel giorno del solstizio d'inverno, che coincideva allora con l'inizio del nuovo anno. I raggi di sole che penetrano nel passaggio verso la camera funeraria avrebbero simboleggiato il risveglio della natura e la rinascita, infondendo nuova vita nelle sementi, negli animali e negli esseri umani, oppure, secondo altre interpretazioni, avrebbero rappresentato la vittoria della vita sulla morte e la promessa di una nuova vita per i defunti.
Vicino al tumulo di Newgrange, altri resti di costruzioni posteriori visitabili sono il Pit Circle, un'area circolare delimitata da paletti di legno dentro la quale venivano cremati e sepolti gli animali, e lo Stone Circle, una costruzione costituita da megaliti disposti a cerchio, eretto presumibilmente dopo il 2000 A.C. con funzioni di studio astronomico.[6]

Knowth

Tumulo di Knowth
Il corridoio sotto il tumulo di Knowth
Il tumulo di Knowth è il più grande e ampio del sito. Con il suo diametro di 95 m, si estende su una superficie di circa 5 km² ed è circondato da altri 18 tumuli più piccoli, alcuni dei quali risultano collegati al tumulo principale. Questo presenta due passaggi, ognuno dei quali conduce a due camere funerarie separate. Attorno alle entrate sono disposte grosse pietre perimetrali di quarzo e granito, molte delle quali sono scolpite con articolati graffiti dalle forme geometriche e astratte.
La tomba situata all'estremità orientale del tumulo è costituita da un lungo corridoio di 40 m che conduce a una camera mortuaria con tre vani laterali, molto simile a quella di Newgrange. La tomba occidentale è invece caratterizzata da un lungo e stretto passaggio a L, che conduce a una camera mortuaria rettangolare alta 2 m e ricoperta da una lunga e grossa lastra di pietra. Anche questa conteneva in origine una vasca di pietra in cui venivano riposti i resti cremati dei defunti e che attualmente giace invece nel corridoio.
Di fronte alla tomba orientale, gli scavi hanno portato alla luce resti di un monumento in legno dalla forma circolare che fu costruito intorno al 2500 A.C. e hanno provato che l'intera struttura di Knowth fu utilizzata, nelle epoche a seguire, per la sepoltura dei defunti e che su di essa vi fu costruito persino un villaggio fortificato.[7]

Dowth

Incisioni nelle pietre del tumulo di Dowth
Dowth, costruito più di 5000 anni fa, è rimasto il tumulo meno conosciuto e meno esplorato del sito archeologico di Brú na Bóinne. Il tumulo ha un diametro di 85 m ed è circondato da un totale di 115 pietre perimetrali. Al suo interno vi sono due camere funerarie, riportate alla luce da alcuni scavi eseguiti nel 1847, i cui corridoi di entrata sono rivolti entrambi a Ovest, ma il tumulo è circondato da altre tombe più piccole. I due passaggi che conducono alle camere mortuarie sono entrambi relativamente brevi. Uno conduce verso meridione ad una stanza circolare, mentre l'altro porta a Nord, fino a una camera di forma cruciforme con tre vani con una bassa copertura a thòlos. Il passaggio che conduce a quest'ultima camera è collegato anche ad un sotterraneo, scavato all'interno della cerchia perimetrale, e si ritiene avesse come scopo quello di costituire un rifugio nei casi di pericolo. Il sotterraneo veniva, inoltre, utilizzato anche come deposito di merci e provviste importanti.
Secondo la raccolta di manoscritti medioevali conosciuta come Dindsenchas, l'origine del nome Dowth (Dubad) deriverebbe da un mito che racconta di un sovrano che volle riunire per un giorno tutti gli uomini d'Irlanda per far loro costruire una torre tanto alto da arrivare al Cielo. La sorella del re, però, fermò il sole nel cielo con la magia rendendo quel giorno interminabile. Col passare del tempo, gli uomini cominciarono quindi a sentirsi sempre più stanchi finché si accorsero di essere stati imbrogliati. L'incantesimo si spezzò nel momento in cui il re e sua sorella si addormentarono, così calò la notte e i lavori vennero abbandonati e fu da allora che quel luogo venne chiamato Dubad (oscurità).[8]


giovedì 15 marzo 2018

Le tasse calano per le multinazionali (-9%) ma non per i cittadini (+6%). - Enrico Marro








Sul fatto che la grande crisi finanziaria del 2008 abbia rappresentato uno spartiacque storico pochi hanno dubbi. Anche sotto il profilo della pressione fiscale, con i Governi alle prese con il contenimento del deficit e la riduzione dei debiti pubblici. Il risultato è che nei Paesi Ocse il livello di tassazione sulle persone fisiche dal 2008 a oggi è aumentato in media del 6%, secondo i dati di Kpmg, mentre la pressione fiscale sulle imprese è scesa del 5%. Fin qui restiamo nel regno della logica: non tartassare le imprese in teoria significa sostenere il lavoro, e quindi i redditi delle persone fisiche.
Quello che però fa impressione è come le grandi multinazionali riescano a “tagliarsi” le tasse a una velocità quasi doppia rispetto alla media delle imprese: secondo uno studio del Financial Times, dal 2008 a oggi le big corporation sono riuscite a diminuire del 9% la tassazione sui profitti rispetto al periodo precrisi, grazie anche alle note tecniche di elusione legalizzata effettuate parcheggiando montagne di denaro in sofisticate scatole societarie all’estero.
Ma le grandi multinazionali, elusione a parte, hanno anche raccolto i frutti della corsa mondiale ad abbassare la corporate tax, con diversi Paesi in competizione per attrarre le grandi società. L’aliquota media per le imprese nei Paesi Ocse, che superava quota 32% nel 2000, è progressivamente calata al 26% nel 2008 e al 25% nel 2015, come attesta lo studio “Tax Policy Reforms in Oecd”. I Paesi che hanno tagliato di più nel periodo 2000-2015 risultano essere Germania, Canada, Grecia e Turchia, con le soltanto Ungheria e Cile che hanno ritoccato verso l’alto le aliquote.
Anche l’Italia, dal 1° gennaio 2017, ha ridotto dal 27,5% al 24% l’Ires, l’imposta sul reddito delle imprese, mentre da quest’anno la riforma fiscale voluta da Donald Trump ha quasi dimezzato la corporate tax statunitense, passata dal 35% al 21% con un risparmio stimato per le società di circa 500 miliardi di dollari.
Il risultato della gara globale ad attrarre le grandi compagnie è che dal 2000 a oggi, stando allo studio del Financial Times, le maggiori multinazionali mondiali sono riuscite a “tagliarsi” le tasse di un terzo del totale. Il gettito fiscale perduto è stato compensato dall’aumento di altre imposte, spiega invece l’analisi dell’Ocse, in particolare l’Iva, che nei Paesi Ocse è passata da un’aliquota media del 17,6% nel 2008 al 19,2% nel 2015.
Un esempio da manuale resta quello dell’Irlanda. La famosa corporate tax al 12,5% che fin dall’inizio degli anni Duemila ha fatto la fortuna della Tigre Celtica si ritrovava, negli anni Ottanta, all’astronomico livello del 50%. Con un Pil che continua a macinare record proprio grazie alle multinazionali che hanno spostato la loro sede nell’isola di Smeraldo “fondendosi” con controparti irlandesi, Dublino è un ottimo esempio di come un’aggressiva detassazione possa far correre il prodotto interno lordo. E di come le multinazionali abbiano gioco facile, in questo risiko fiscale planetario, a lasciare che siano i cittadini (o le piccole imprese) a contribuire alle finanze pubbliche dei singoli Stati.

sabato 4 marzo 2017

Fossa comune in orfanotrofio cattolico, il caso che scuote l’Irlanda. - Luigi Ippolito

L’ingresso del sito dove è stata trovata la fossa comune (Reuters)
        L’ingresso del sito dove è stata trovata la fossa comune (Reuters)

Centinaia di sepolture non classificate di bambini. Chiusa l’indagine: il dna dei loro resti conferma che i bimbi avevano età comprese fra 35 settimane e 3 anni.

La Chiesa e i tabù
La Chiesa cattolica ha avuto una presa fondamentale sulla società irlandese per secoli e solo di recente sono stati rotti i tabù che impedivano di parlare di vicende dolorose. Si pensi al film Magdalene del 2002 in cui si raccontavano le angherie e i soprusi subiti in convento da ragazze rinchiuse lì perché “peccaminose”. O al più recente Filomena, del 2013, su una donna costretta ad abbandonare il figlio partorito in convento. Nel caso delle fosse comuni di neonati fa specie la mancanza di pietà umana e religiosa mostrata da istituzioni che si suppone fossero fondate sulla fede. Ora si è deciso di dare nuova, dignitosa sepoltura ai resti di tutti quegli innocenti.

venerdì 6 giugno 2014

Irlanda, 796 cadaveri di bambini in una fossa vicino a ex orfanatrofio di suore.

Irlanda, 796 cadaveri di bambini in una fossa vicino a ex orfanatrofio di suore

La ricercatrice Catherine Corless ha scoperto i documenti delle morti infantili presso l'istituto di Tuam, gestito dalle suore del Bon Secour dal '25 al '61. Fino agli anni '90 strutture statali gestite da ordini religiosi prendevano in custodia le ragazze madri coi loro bambini. Gli abusi denunciati anche in alcuni film, tra cui 'Magdalene' e 'Philomena'.
Quasi 800 bimbi sepolti in una fossa comune vicino a un ex orfanotrofio per i figli di donne non sposate, gestito da suore cattoliche dell’ordine del Bon Secour. In Irlanda, i documenti rinvenuti dalla ricercatrice Catherine Corless sulle morti infantili presso la struttura di Tuam, nella contea diGalway, fanno pensare che si trattasse della fossa biologica dove sono stati sepolti molti, se non tutti, i piccoli deceduti all’interno dell’istituto. Secondo i documenti i 796 bambini, la maggior parte neonati o piccoli, sono morti di malattie nell’orfanotrofio, che è stato in funzione dal 1925 al 1961. Un report sanitario del 1944 sulla struttura parla di “madri emaciate e psicologicamente in difficoltà” e di minori denutriti.
I residenti hanno scoperto il deposito di ossa nel 1975, molti anni prima della ricerca di Corless, ma credevano che si trattasse soprattutto di vittime della carestia nell’Irlanda di metà Ottocento. Corless e una commissione appositamente istituita stanno raccogliendo fondi per realizzare un memoriale dedicato ai bambini, in cui compaiano tutti i loro nomi.
L’arcivescovo di Tuam e i vertici del Bon Secours si incontreranno presto per discutere del memoriale e le suore hanno donato “quello che la tv irlandese RTÉ descrive come ‘una piccola somma di denaro’ alla commissione”. Padre Fintan Monaghan, segretario dell’arcidiocesi di Tuam, ha dichiarato: “Immagino non possiamo giudicare il passato dal nostro punto di vista. Tutto quello che possiamo fare è garantire che ci sia un luogo per ricordare i bambini morti”. 
Fino agli anni ’90, come scrive Emer O’Toole sul Guardian, in Irlanda le ragazze madri e i loro bambini erano presi in custodia da istituti statali gestiti da ordini religiosi chiamati “mother and baby homes” o “Magdalene asylums”. Lì le donne “lavoravano per purificare i loro peccati e i bambini venivano allontanati dalle loro madri”. Le testimonianze legate a queste strutture hanno ispirato vari film, tra cui Magdalene - Leone d’oro al Festival di Venezia nel 2002 – e Philomena, interpretato da Judi Dench e candidato all’Oscar. Entrambi sono basati su storie vere e, oltre alle violenze subite dalle giovani ridotte a uno stato di prigionia, mettono in luce la pratica delle adozioni illegali dei bambini irlandesi figli di ragazze madri, ceduti a famiglie americane dietro compenso e senza il consenso delle mamme.