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venerdì 15 aprile 2022

Sauditi, Egitto e Qatar: vendiamo ancora armi agli “amici” macellai. - Giacomo Salvini

 

NON SOLO UCRAINA - La relazione annuale. Bilancio industria bellica nazionale: restano scambi di forniture con i Paesi che violano i diritti umani.

L’Italia nel 2021 ha continuato a vendere armi al regime dell’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, entrambi autori di stragi in Yemen, per un totale di 103 milioni di euro. Il dato è contenuto nella relazione annuale sulla “esportazione, importazione e transito di armi” inviata dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, al Parlamento lo scorso 5 aprile. Un documento di oltre 1.600 pagine, previsto dalla legge 185 del 1990, in cui è contenuto il volume di affari relativi all’export e all’import di armi in Italia relativo all’anno 2021, prima quindi dello scoppio della guerra in Ucraina.
Il 29 gennaio 2021 il governo Conte aveva deciso di revocare le licenze in essere e quelle future con Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, in seguito alla risoluzione approvata dal Parlamento il 22 dicembre 2020: con quell’atto le Camere bloccavano l’export di “bombe aeree e missili” verso Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti (in gran parte autorizzati dal governo Renzi) che utilizzavano quelle armi per colpire i ribelli Houthi in Yemen causando la morte di migliaia di civili. Dopo la revoca, costata all’Italia 328 milioni, il governo Draghi ha autorizzato nuovi contratti nel 2021 con Arabia Saudita (47,2 milioni) e Emirati Arabi Uniti (56,1). Senza formalmente violare la revoca, esportando armi consentite: se abbiamo esportato pistole, componenti e apparecchi elettronici negli Emirati, al regime di Mohammed bin Salman l’Italia ha venduto armi che rientrano nell’ampia categoria “004” che comprende “bombe, siluri, razzi, missili”. Contattato dal Fatto, il ministero degli Esteri non ha fornito dettagli specifici sulla fornitura. “E chi ci dice che queste bombe e missili italiani non vengano utilizzato dai sauditi nel conflitto in Yemen?” chiede Giorgio Beretta, della Rete Pace e Disarmo.

Nel 2021 il valore dei movimenti di armi è cresciuto fino a 5,3 miliardi (nel 2020 era stato di 4,8): 4,66 di esportazioni (4,65 un anno fa) e 679 milioni di importazioni rispetto ai 179 del 2020. Diminuisce invece il valore delle autorizzazioni individuali relative all’export: lo scorso anno era di 3,65 miliardi, il dato più basso degli ultimi sette anni. Ma il calo è relativo perché è paragonato al triennio 2015-2017 quando i governi Renzi e Gentiloni hanno autorizzato maxi-commesse che hanno fatto lievitare il valore delle esportazioni di armi per 7,9 miliardi nel 2015, 14,6 nel 2016 e 9,5 nel 2017. Il record era stato raggiunto sei anni fa quando la metà del valore di esportazioni riguardava una commessa di 28 Eurofighter della Leonardo al Kuwait. “Il calo di oggi è fisiologico perché la nostra industria degli armamenti è limitata – spiega Beretta – a fronte di alte commesse tra il 2015 e il 2018 oggi ci sono meno ordinativi”. A pesare è stato anche il biennio della pandemia. Per la prima volta nel 2021 l’esportazione di armi finisce per la maggior parte nei Paesi Ue-Nato (52,1%) contro un restante 47,9% a tutti gli altri. Un terzo delle esportazioni è concentrato nei Paesi Nato e il 26% tra Africa Settentrionale e Medio Oriente.

Tra i principali clienti dell’Italia ci sono Paesi governati da dittatori sanguinari e guerrafondai: il primo è il regime del Qatar, accusato di legami con l’estremismo islamico, a cui abbiamo venduto bombe, missili, munizioni, software per 813,5 milioni. Tra i primi 15 Paesi a cui vendiamo armi ci sono Pakistan, Filippine e Malaysia, mentre l’Egitto di Al Sisi passa dal primo al diciottesimo posto in graduatoria, da 991 milioni nel 2020 ai 35 del 2021. Sono quattro i player italiani che rappresentano il 76% del mercato: Leonardo con il 43,5%, Iveco Defence Vehicles (23,5%) che fa riferimento al gruppo Exor della famiglia Agnelli-Elkann, Mbda Italia (5,2%) e Ge.Avio (3,9%).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/15/sauditi-egitto-e-qatar-vendiamo-ancora-armi-agli-amici-macellai/6560603/

mercoledì 13 maggio 2020

Tutto il Covid è paese. - Marco Travaglio

Burnout: patologia o patogeno?
Il proverbio “Tutto il mondo è paese” è troppo autoassolutorio: ogni cittadino ha il diritto di pretendere che (il dovere di impegnarsi perché) il proprio paese sia meglio degli altri. Però ogni tanto rende l’idea. Tre mesi fa, quando la pandemia colpì l’Europa partendo dall’Italia, tutti ci facevano i complimenti per la reazione del nostro governo e del nostro popolo (a parte i due Cazzari, che facevano il giro della stampa estera per sputtanarci in tutto il pianeta, peraltro mai creduti) e qualcuno chiedeva copia dei nostri decreti e Dpcm per copiarli. Poi il Partito Preso Divanista s’impossessò rapidamente dei media e cominciò ad accusare il governo (ma anche gli italiani) di tutto e del contrario di tutto. Dimenticando che le misure antivirus decise fin qui hanno funzionato e ci hanno portati fuori dall’emergenza, malgrado le vaccate e i sabotaggi di alcuni sindaci, sgovernatori e dirigenti sanitari incapaci, vanesii e irresponsabili, nonché della Confindustria più miope, arrogante e rapace della storia recente, con apposita stampa al seguito. Ora l’ultimo mantra è che da noi la Fase 2 è un caos, un disastro, un’apocalisse, una catastrofe, una farsa, mentre “gli altri” sono già in pieno Regno di Saturno, con balsamiche riaperture di ogni attività per grandi e piccini, tamponi e test sierologici per tutti, mascherine che piovono dal cielo, app di tracciamento garantite e sicure, il tutto gratis et amore Dei.
Il Fatto sabato e il Corriere ieri hanno pubblicato un quadro sinottico delle Fasi 2 nei vari Paesi, da cui emerge che molti sono più indietro di noi (cosa comprensibile, visto che il contagio è partito dopo) e tutti gli altri più o meno al punto nostro. Il che non assolve il nostro governo per gli errori e i ritardi (quelli veri, non quelli inventati). Né i governi stranieri che han fatto peggio di noi (le riaperture premature della Germania con rialzo dei contagi, i disastri di Boris Johnson e della Svezia, che si è semplicemente scordata di imporre il lockdown e ora conta i morti a carrettate). Ma dimostra che le incertezze, le prudenze, gli stop and go e i divieti in apparenza assurdi non dipendono dalla prava volontà di questo o quel governo, ma dai connotati di una pandemia ancora in gran parte sconosciuta, che impone a tutti di andare per gradi, anzi per tentativi, e di navigare a vista. Tutti a scompisciarsi per la regola dei “congiunti”, termine abbastanza generico per includere parenti, fidanzati e partner delle coppie di fatto, ma per escludere amici e conoscenti. E ora si scopre che lo stesso problema se lo son posto dappertutto, ma l’han risolto con soluzioni anche più comiche della nostra.
Il Belgio, per estendere gli incontri consentiti agli amici, ma non a troppi, impone a ogni coppia di indicare nell’autocertificazione al massimo altre due coppie, anche spaiate, cioè formate da single (anche ignoti l’uno all’altro). Il problema si pone quando una coppia ne sceglie altre due e una di queste, o un membro di una delle due, non sceglie la prima o la seconda, allargando il numero massimo di 6 a chissà quanti. Un casino che fa rimpiangere i congiunti. Londra: il ministro degli Esteri Dominic Raab dice in tv che i figli possono incontrare entrambi i genitori, ma a patto di non essere mai più di due. Poi gli fanno notare che, essendo i genitori notoriamente due, il figlio che li incontra porta il totale inequivocabilmente a tre. Quanto agli amici, se ne può vedere uno, ma all’aperto e a due metri di distanza: il governo suggerisce le estremità di una panchina, almeno per chi parla forte. E le scuole? Non avevano riaperto dappertutto fuorché qui? Col cavolo. Il governo francese ha già dato una dozzina di indicazioni diverse. L’ultima è che riaprono su base volontaria, cioè per gli insegnanti e gli studenti che vogliono. Non male. In Belgio riaprono tutte le scuole, ma solo a 10 studenti per aula, gli altri a casa (sarà colpa dell’Azzolina). In Germania le classi iniziali e finali dei vari cicli, ma non le elementari e solo in pochi Land. In Olanda solo le elementari. In Spagna, Irlanda e Romania nessuna.
E il lavoro? Non l’avevano ripreso tutti tranne noi, poveri pirla? Domenica Johnson annuncia che lunedì riaprono fabbriche e cantieri, così l’altroieri mattina i lavoratori escono di casa, ma mentre sono per strada arriva il contrordine: il governo s’è scordato le linee guida per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Che sarà mai. Tutti a casa, ci si riprova oggi, sempreché si abbia tempo di adeguarsi alle regole fatte ieri. E le app? Non sono partite da nessuna parte, salvo qualche sperimentazione locale, con mille problemi tecnici e di privacy. Le mascherine non bastano quasi ovunque, e molte sono irregolari, difettose e supercostose, tant’è che nessuno le ha ancora rese obbligatorie per tutti. Mille problemi anche per tamponi e test. Portogallo a parte, di geni in giro non se ne vedono. E, date le condizioni di partenza dell’Italietta inefficiente e iperburocratica, poteva andarci molto peggio: sarebbe bastato che Conte&C., anziché agli scienziati, avessero dato retta a cazzari, sgovernatori, Confindustria e Partito Preso Divanista. Lo diciamo dal primo giorno: questo è il peggior governo possibile, eccettuati tutti gli altri. Quindi Pd e 5Stelle la piantino di litigare prima che arrivi il peggio del peggio.

giovedì 15 marzo 2018

Le tasse calano per le multinazionali (-9%) ma non per i cittadini (+6%). - Enrico Marro








Sul fatto che la grande crisi finanziaria del 2008 abbia rappresentato uno spartiacque storico pochi hanno dubbi. Anche sotto il profilo della pressione fiscale, con i Governi alle prese con il contenimento del deficit e la riduzione dei debiti pubblici. Il risultato è che nei Paesi Ocse il livello di tassazione sulle persone fisiche dal 2008 a oggi è aumentato in media del 6%, secondo i dati di Kpmg, mentre la pressione fiscale sulle imprese è scesa del 5%. Fin qui restiamo nel regno della logica: non tartassare le imprese in teoria significa sostenere il lavoro, e quindi i redditi delle persone fisiche.
Quello che però fa impressione è come le grandi multinazionali riescano a “tagliarsi” le tasse a una velocità quasi doppia rispetto alla media delle imprese: secondo uno studio del Financial Times, dal 2008 a oggi le big corporation sono riuscite a diminuire del 9% la tassazione sui profitti rispetto al periodo precrisi, grazie anche alle note tecniche di elusione legalizzata effettuate parcheggiando montagne di denaro in sofisticate scatole societarie all’estero.
Ma le grandi multinazionali, elusione a parte, hanno anche raccolto i frutti della corsa mondiale ad abbassare la corporate tax, con diversi Paesi in competizione per attrarre le grandi società. L’aliquota media per le imprese nei Paesi Ocse, che superava quota 32% nel 2000, è progressivamente calata al 26% nel 2008 e al 25% nel 2015, come attesta lo studio “Tax Policy Reforms in Oecd”. I Paesi che hanno tagliato di più nel periodo 2000-2015 risultano essere Germania, Canada, Grecia e Turchia, con le soltanto Ungheria e Cile che hanno ritoccato verso l’alto le aliquote.
Anche l’Italia, dal 1° gennaio 2017, ha ridotto dal 27,5% al 24% l’Ires, l’imposta sul reddito delle imprese, mentre da quest’anno la riforma fiscale voluta da Donald Trump ha quasi dimezzato la corporate tax statunitense, passata dal 35% al 21% con un risparmio stimato per le società di circa 500 miliardi di dollari.
Il risultato della gara globale ad attrarre le grandi compagnie è che dal 2000 a oggi, stando allo studio del Financial Times, le maggiori multinazionali mondiali sono riuscite a “tagliarsi” le tasse di un terzo del totale. Il gettito fiscale perduto è stato compensato dall’aumento di altre imposte, spiega invece l’analisi dell’Ocse, in particolare l’Iva, che nei Paesi Ocse è passata da un’aliquota media del 17,6% nel 2008 al 19,2% nel 2015.
Un esempio da manuale resta quello dell’Irlanda. La famosa corporate tax al 12,5% che fin dall’inizio degli anni Duemila ha fatto la fortuna della Tigre Celtica si ritrovava, negli anni Ottanta, all’astronomico livello del 50%. Con un Pil che continua a macinare record proprio grazie alle multinazionali che hanno spostato la loro sede nell’isola di Smeraldo “fondendosi” con controparti irlandesi, Dublino è un ottimo esempio di come un’aggressiva detassazione possa far correre il prodotto interno lordo. E di come le multinazionali abbiano gioco facile, in questo risiko fiscale planetario, a lasciare che siano i cittadini (o le piccole imprese) a contribuire alle finanze pubbliche dei singoli Stati.

sabato 27 maggio 2017

G7: intesa su freno al protezionismo. Trump e Merkel disertano le conferenze stampa finali.

G7: intesa su freno al protezionismo. Trump e Merkel disertano le conferenze stampa finali

Insolita decisione dei leader di Stati Uniti e Germania. Concluso il vertice con i Paesi africani sul tema delle migrazioni. Nuova riunione dei Grandi Sette fino alle 15. Prime indiscrezioni sul dossier: stallo sul clima, "più tempo agli Usa" per prendere decisione sull'accordo di Parigi.

TAORMINA - Quello di oggi è il secondo e ultimo giorno di quello che è stato definito "il G7 più impegnativo degli ultimi anni". Dopo la prima giornata di vertice, conclusasi con l'accordo sul terrorismo, restano ancora divergenze tra i leader riguardo al clima, alla questione migranti e al commercio internazionale. Secondo le prime indiscrezioni sul dossier finale del G7, è stata raggiunta un'intesa comune sul nodo della lotta al protezionismo. Stallo invece sul rispetto degli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici: agli Stati Uniti è stato concesso più tempo per prendere una decisione.

Il vertice con i Paesi africani. Il programma di inizio mattina prevedeva all'hotel San Domenico a Taormina una sessione "outreach" dedicata al tema delle grandi migrazioni. Presenti i leader di Tunisia, Niger, Nigeria, Kenya ed Etiopia, alcune organizzazioni internazionali, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale. Assente la premier britannica Theresa May, ripartita ieri pomeriggio per seguire da vicino le indagini sulla strage avvenuta lunedì a Manchester. Al termine del vertice, foto di gruppo in giardino, prima dell'inizio del nuovo vertice tra i 'Sette Grandi'.

Ad aprire i lavori il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: "Quest'anno abbiamo messo al centro di questa sessione aperta i rapporti con l'Africa. Già Taormina e la Sicilia dicono quanto è importante per noi il rapporto con l'Africa, ci troviamo nel cuore del Mediterraneo e oggi la discussione si concentra sull'esigenza di partnership a tutto campo tra G7, organismi internazionali e Paesi africani". Il premier ha aggiunto che "oltre all'innovazione della produttività", all'Africa servono "infrastrutture di qualità e investimenti per lo sviluppo del capitale umano", per poi ricordare che il prossimo G20, in programma il 7 e 8 luglio in Germania, "avrà una linea di continuità con l'incontro di oggi, dedicando attenzione particolare all'Africa e all'attrazione degli investimenti". Il primo ministro italiano ha sottolineato come l'agenda del G7 debba dialogare "con quella per lo sviluppo per l'Africa, l'agenda 2063, che è un caposaldo strategico per lo sviluppo del Continente".

E al termine della sessione estesa ai leader dei Paesi africani è arrivato un post di Donald Trump su Twitter: "Un grande meeting del G7 oggi. Molte importantissime questioni in discussione. In cima alla lista naturalmente il terrorismo".

Il presidente americano ha anche comunicato che "molti Paesi della Nato sono stati d'accordo ad aumentare il loro contributo considerevolmente, come dovrebbero. Se il denaro comincerà ad essere versato la Nato sarà molto più forte".

Niente conferenza stampa finale per Trump e Merkel. A sorpresa, la cancelliera tedesca e il presidente americano non parleranno al termine della seconda giornata di lavori del G7. Merkel avrà solo un breve colloquio con i giornalisti tedeschi e non con la stampa internazionale. 


Trump invece lascerà Taormina dopo il pranzo di lavoro con gli altri leader, per recarsi alla base di Sigonella, dove parlerà in quello che secondo il suo portavoce Sean Spicer "non sarà solo un messaggio alle truppe" Usa. Poi l'imbarco sull'Air Force One che lo riporterà con la first lady Melania a Washington. Al suo posto, parleranno con la stampa il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, generale H.R. McMaster, ed il direttore del Consiglio economico, Gary Cohn.

Decisioni insolite, che sottolineano il gelo tra i due leader dopo le polemiche emerse ieri in seguito ad alcune dichiarazioni di Trump, che ha definito i tedeschi "molto cattivi" sul commercio internazionale. Si terranno invece regolarmente le conferenze del premier italiano Paolo Gentiloni alle 15, e a seguire, salvo cambiamenti di programma, quelle del presidente francese Emmanuel Macron, del premier giapponese Shinzo Abe e del premier canadese Justin Trudeau.

Commercio internazionale. Il tema del commercio internazionale risulta essere "ancora una questione aperta". Il nodo riguarda la decisione di includere o meno nel documento finale una condanna ad "ogni forma di protezionismo". Ma da quanto emerge, gli Stati Uniti, pur continuando a prediligere la strada degli accordi bilaterali, avrebbero accettato che nel comunicato finale sia inserita l'espressione "lotta al protezionismo". Un traguardo che, secondo fonti diplomatiche, è un grande successo della presidenza italiana e del G7 nel suo insieme.

Clima. Secondo quanto trapela da alcune fonti al G7, dopo "un confronto franco e onesto" sulla questione del clima ci sarà "un'unica dichiarazione a sette" al termine del vertice, nella quale i sei altri partner si impegneranno "a lasciare più tempo agli Stati Uniti per prendere una decisione sull'accordo di Parigi". Una presa d'atto dello stallo sul tema del rispetto dell'accordo sui cambiamenti climatici. I Paesi europei, sostenuti da Giappone e Canada, si sono impegnati a fondo per spiegare agli Usa le ragioni "non solo ambientali, ma anche economiche" che spingono a favore dell'accordo di Parigi.

Migranti. Il tema è ancora in discussione nella riunione di oggi, ma da quanto trapela da Taormina c'è consenso sulla formulazione degli impegni sui migranti nel comunicato finale dei Sette. Non vi sarà tuttavia un documento separato, allegato al comunicato, contenente un piano per la gestione dei flussi migratori.

Caso Russia-Ucraina. All'ordine del giorno anche una discussione sulla crisi tra Russia e Ucraina: nel dossier finale i Sette Grandi si impegneranno a prendere "ulteriori azioni" nei confronti della Russia, se non rispetta gli accordi di Minsk sull'Ucraina. Sulla necessità di non levare le sanzioni a Mosca ci sarebbe quindi anche l'accordo degli Usa.

Tensione a Giardini Naxos. Proprio mentre a Taormina i leader saranno impegnati nelle conferenze stampa finali, nella vicina Giardini Naxos è previsto un corteo "no summit", in cui sono attese più di tremila persone. Un'ordinanza del sindaco Lo Turco ha previsto per oggi la chiusura di negozi, scuole e uffici. Tuttavia, molte attività sono chiuse già da ieri per timore di scontri tra i manifestanti e le forze dell'ordine. I commercianti della zona hanno realizzato barriere in legno e alluminio a protezione delle proprie vetrine.


http://www.repubblica.it/esteri/2017/05/27/news/taormina_g7_secondo_giorno-166531413/

G7?
Più che di G7 io parlerei del G1+6...: gli USA + gli altri.
Grande confusione, pertanto, su "protezionismo" e "clima", uniche certezze, invece, sulle sanzioni alla Russia.
Gentiloni: "..all'Africa servono "infrastrutture di qualità e investimenti per lo sviluppo del capitale umano.."
Questi personaggi alquanto bizzarri, son bravi a stabilire ciò che serve alle altre popolazioni, mentre sono pessimi amministratori delle popolazioni che sono stati chiamati a governare.
Paradossi e dintorni.
"Niente conferenza stampa finale per la Merkel." 
Ha, ha, ha....La Merkel non si fida dei nostri giornalisti...neanche io mi fiderei...
"Trump, invece, lascerà Taormina per recarsi alla base di Sigonella."
Naturamente, Trump a Sigonella è a casa sua....