domenica 6 agosto 2017

Adesso l'Anac inguaia la Consip: "Gara truccata per 2,7 miliardi". - Luca Romano



Secondo l'Anac guidata da Raffaele Cantone, l'appalto di 2,7 miliardi di euro per la gestione dei servizi della pubblica amministrazione potrebbe essere stato truccato.

Colpo di scena nel caso Consip. Secondo l'Anac guidata da Raffaele Cantone, l'appalto di 2,7 miliardi di euro per la gestione dei servizi della pubblica amministrazione potrebbe essere stato truccato.

E di fatto l'Anac, come rirporta il Corriere, sottolinea un presunto accordo d cartello tra le imprese concorrenti. Il dossiere adesso arriverà sui tavoli della Procura di Roma che è titolare dell'inchiesta per cui è finito in carcere l'imprenditore Alfredo Romeo e sotto indagine Tiziano Renzi e Carlo Russo. Questi ultimi due sono indagati per traffico di influenze illecite. E nella stessa inchiesta sono conincolti anche Luca Lotti, ministro dello sport, e il comandante dei carabinieri Tullio Del Sette con il generale Saltalamacchia.
Ora nell'indagine si apre un nuovo filone che mette nel mirino i vertici della "centrale acquisti". Bisognerà definire il loro ruolo nella spartizione tra le aziende delle commesse. Inoltre nel corso delle verifiche sull’appalto Fm4, Anac ha valutato anche la posizione della Manital, un'azienda esclusa dalla gara dopo aver vinto quattro lotti. Ad escluderla dalla gara una contestazione fiscale. Poi il ricorso al Tar. Secondo l'Anac l'esclusione dell'azienda dalla gara "presenta ripetute omissioni in materia di verifica, e l’avvio della procedura che determinò l’esclusione viene definito "irrituale". insomma a quanto pare il caso Consip non è del tutto chiuso. E adesso il nuovo filone delle indagini alla luce della relazione dell'Anac potrebbe avere nuovi colpi di scena.

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/adesso-lanac-inguaia-consip-gara-truccata-27-miliardi-1428758.html

Primi respingimenti in Libia Fermati in mare 800 migranti. - Valentina Raffa



Sono stati arrestati dalla Marina libica. Missione italiana, il governo assicura: nessuna minaccia.

È l'inizio di una nuova era? Guardia costiera e marina militare libiche hanno raggiunto in mare e bloccato diversi gommoni stracolmi di migranti che erano diretti verso le coste italiane o magari, visto l'andazzo degli ultimi tempi, speravano di potere essere trasbordati su qualche nave dei soccorritori per essere poi condotti nel Belpaese.
Secondo quanto riferisce il portavoce della Marina militare libica, Ayoub Qassem, i migranti sono stati riportati sulla terraferma per venire consegnati all'organismo di lotta alla migrazione clandestina. Sono 826, tra cui anche bambini, di nazionalità libica, marocchina, tunisina, algerina, sudanese, siriana e dei Paesi subshariani. Viaggiavano su tre gommoni e due barche in legno. Di questi, 464 sono stati recuperati dalla guardia costiera di Zawia a bordo di due barconi. In un'altra operazione i guardiacoste di Sabrata hanno fermato 360 persone su dei gommoni. Giovedì hanno recuperato 128 immigrati a nord di Sabrata, venerdì la Guardia costiera di Misurata ne ha riportati in patria 43. Pare dunque che qualcosa si sia messa in moto e che finalmente le acque libiche siano pattugliate per impedire i viaggi della speranza.
Intanto procede apparentemente senza problemi la fase preliminare di ricognizione del pattugliatore «Comandante Borsini» della Marina militare italiana nelle acque territoriali libiche nel quadro di una missione «bilaterale e su richiesta delle stesse autorità libiche» dicono fonti di governo italiane. «Non c'è sentore di minaccia» malgrado le dichiarazioni belliche dei giorni scorsi del generale Khalifa Haftar, rivale del premier libico Fayez al-Sarraj riconosciuto dalla comunità internazionale, e del vice presidente del Consiglio presidenziale libico, Fathi Majburi, che continuano a osteggiare la missione bilaterale volta a stroncare il traffico di esseri umani.
Così, mentre prosegue il confronto tra le autorità militari italiane e libiche per trovare un punto d'accordo su come e quando operare, e si sta decidendo l'area da pattugliare e i mezzi da utilizzare, Al-Mejbari prende le distanze dall'autorizzazione data da al Sarraj alla missione navale italiana, che - come riporta il sito della Tv LibyaChannel - rappresenta «un'infrazione esplicita dell'accordo politico» e delle sue clausole, in particolare quelle relative alla «sovranità della Libia». Al Mejbari ha sottolineato come la decisione di al Sarraj «non esprime né la volontà dell'intero Consiglio presidenziale né tantomeno del governo di intesa». Così chiede all'Italia di «cessare immediatamente la violazione della sovranità della Libia, di rispettare gli accordi internazionali, di mantenere delle relazioni di buon vicinato e di rispettare gli accordi in vigore tra i due Paesi». E ha lanciato un appello alla comunità internazionale e al Consiglio di Sicurezza Onu di «esprimersi riguardo alla violazione» e alla Lega Araba e all'Unione Africana di condannare la violazione.
Intanto a Tripoli, dove era in visita per la prima volta, ieri l'inviato delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamé, che ha assunto il suo incarico lo scorso 22 giugno, ha incontrato al Sarraj, e il ministro degli Esteri, Mohamad al Taher Siala. «Assumo il mio ruolo con il più grande rispetto per la sovranità nazionale, l'indipendenza e l'unità della Libia. Abbiamo avuto un incontro costruttivo sulle sfide economiche, politiche e di sicurezza - ha detto - Abbiamo convenuto sull'urgenza di porre fine alle sofferenze del popolo libico».

Hiroshima, 72 anni da disastro nucleare.

 © EPA


50mila nel Parco della Pace.

Circa 50mila persone si sono radunate nel parco della Pace di Hiroshima per commemorare il 72esimo anniversario del bombardamento atomico sulla città a ovest del Giappone. Insieme a loro rappresentanti di 80 nazioni e una delegazione degli 'Hibakusha', i sopravvissuti al disastro nucleare, la cui età media supera di poco gli 81 anni.
Alle 8:15 il rintocco della campana ha scandito il minuto di silenzio, nell'ora esatta di quel 6 agosto del 1945 in cui l'ordigno atomico fu sganciato dal bombardiere americano, provocando 140.000 morti. Una seconda bomba venne lanciata su Nagasaki il 9 agosto, decretando di fatto la fine della Seconda guerra mondiale in coincidenza della resa incondizionata del Giappone nei 6 giorni successivi. Il sindaco della città di Hiroshima, Kazumi Matsui, nel tradizionale discorso ha fatto un riferimento al trattato Onu che proibisce l'uso delle armi atomiche, firmato da 122 paesi ma non dalle potenze nucleari come gli Usa - che hanno boicottato i negoziati - e dallo stesso Giappone.

Affondo Usa contro Corea del Nord: "Pronti a guerra preventiva". - Ugo Caltagirone

Il consigliere per la sicurezza nazionale americano H.R. McMaster © ANSA
Il consigliere per la sicurezza nazionale americano H.R. McMaster.

'E' una delle opzioni per fermare minaccia nucleare Pyongyang'.


Gli Stati Uniti sono pronti a tutto per porre fine alla minaccia nucleare della Corea del Nord, anche a "una guerra preventiva". Parola di H.R. McMaster, il consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, che sferra un affondo senza precedenti verso Pyongayang proprio nel giorno in cui al Palazzo di Vetro dell'Onu vengono approvate sanzioni economiche senza precedenti contro il regime di Kim Jong-un. Votate all'unanimita' dopo l'accordo raggiunto con la Cina. "Se mi chiedete se stiamo preparando piani per una guerra preventiva rispondo di sì", ha affermato McMaster in tv, ricordando come "Trump sia stato molto chiaro su questo. Ha detto che non tollererà più le minacce della Corea del Nord. Per lui è intollerabile che abbiano armi nucleari che possano minacciare gli Usa. L'opzione militare è dunque sul tavolo". McMaster ha aggiunto di essere consapevole che un attacco alla Corea del Nord potrebbe portare a "una guerra molto costosa con sofferenze immense soprattutto alla popolazione sudcoreana".
E ha spiegato di non poter dire se Pyongyang con i suoi missili è in grado di raggiungere San Francisco o Washington: "Quello che posso dire è che siamo di fronte a una minaccia gravissima". Intanto l'Onu invia un messaggio forte varando la risoluzione proposta dagli Usa con l'obiettivo di mettere in ginocchio l'export di Pyongyang, con un divieto assoluto che riguarda i settori del carbone, ferro, piombo e dei prodotti ittici. Un colpo durissimo per un Paese povero e già profondamente isolato. Per il regime di Kim le nuove misure punitive significano un taglio di un miliardo di dollari l'anno, un terzo delle entrate complessive legate alle esportazioni. Il testo della risoluzione è frutto di un duro lavoro diplomatico svolto nelle ultime settimane al Palazzo di Vetro con i rappresentanti della Cina, il principale partner commerciale di Pyongyang. Con Pechino che, dopo mesi di braccio di ferro, per la prima volta non solo si e' astenuta dal veto ma ha appoggiato il testo americano.
Con tanto di ringraziamenti da parte dell'ambasciatrice Usa Nikki Haley. I timori per gli ultimi test missilistici e nucleari sono alti. Il regime di Kim Jong-un ha mostrato con le ultime provocazioni di poter davvero colpire gli Usa, senza considerare il pericolo di un conflitto nell'area del sudest asiatico con le continue minacce di Pyonyang a Giappone e Corea del Sud. Proprio questi timori hanno spinto le grandi potenze a lavorare per una mediazione in seno all'Onu.
Il testo di risoluzione non è duro come avrebbe voluto l'amministrazione Trump, che puntava anche a impedire definitivamente l'accesso della Nord Corea ai mercati valutari internazionali e alle forniture di petrolio. Ma oltre a colpire interi settori dell'export, le sanzioni proposte pongono nuovi limiti alla possibilità di Pyongyang di stipulare joint venture e alle attività della Foreign Trade Bank nordcoreana. Previsto pure il divieto di inviare nuovi lavoratori all'estero. Solo qualche giorno fa dal segretario di stato Rex Tillerson era partito il primo serio tentativo diplomatico per aprire una breccia e intavolare con Pyongyang discussioni che possano portare a veri e propri negoziati.

Divelta e distrutta la cabina TIM in contrada Rinazzo.



Ignoti hanno distrutto lunedì sera la cabina. Da poche settimane era stato integrato l'apparecchio per la fibra.


Monreale, 2 agosto 2017 – Un ammasso di frantumi è quello che resta dell’armadio TIM in zona Contrada Rinazzo. Ignoti hanno estrapolato tutti i cavi della cabina martedì sera distruggendola completamente il giorno dopo. Da poche settimane era stato integrato l’apparecchio per l’implementazione della rete alla fibra.

Un gesto apparentemente insensato che lascia pensare a un atto vandalico. Un grosso danno rimane però per i residenti che si ritrovano del tutto isolati con i disagi che un’assenza di linea può arrecare. Allertati i Carabinieri e la compagnia telefonica.

sabato 5 agosto 2017

Time out.


Questa pagina resterà in pausa per un periodo indefinito di tempo per mancanza di linea perchè qualche buontempone si è divertito a divellere completamente la cabina Tim fibra che forniva il servizio alla zona.

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lunedì 31 luglio 2017

I primi uomini arrivarono in Australia già 65.000 anni fa. - Dario Iori



Alcuni scavi nel Kakadu National Park in Australia hanno portato alla luce un gran numero di manufatti la cui datazione permette di anticipare di almeno 15.000 la prima colonizzazione del paese, mettendo ancora una volta in discussione le nostre conoscenze sulle migrazioni umane.

Molti aspetti legati alle migrazioni di Homo sapiens dall’Africa risultano ancora oscuri e ampiamente da chiarire; fino ad oggi i modelli proposti non riescono a rimanere al passo con i ritrovamenti e le scoperte che quasi quotidianamente mettono in discussione le ipotesi degli scienziati. Se lo scenario si presenta enormemente complesso per quanto riguarda le migrazioni in Europa e nelle Americhe, la matassa sembrava più facile da districare in relazione all’arrivo dell’uomo moderno in Australia: i primi uomini sarebbero giunti in Australia attraversando l’Asia meridionale circa 45-50.000 anni fa, come confermato anche da analisi del DNA mitocondriale (Pikaia ne ha parlato qui) e avrebbero contribuito, tra le altre cose, all’estinzione dei marsupiali giganti della Tasmania e della megafauna dell’Australia (Pikaia ne ha parlato qui).

Un team di ricercatori guidati da Chris Clarkson della School of Social Science dell’Università del Queensland, però, ha rinvenuto, nella grotta di Madjedbebe all’interno del Kakadu National Park, a nord dell’Australia, alcuni reperti la cui datazione suggerisce la presenza dell’uomo già intorno a 65.000 anni fa, ovvero più di 15.000 anni prima di quanto si pensasse in precedenza. A partire dal 1973, il sito archeologico di Madjedbebe ha restituito più di 11.000 manufatti, ma sono stati gli ultimi scavi del 2012 e del 2015 i più fruttuosi, che hanno visto la cooperazione degli aborigeni locali della Terra di Mirrar. L’analisi dei manufatti rinvenuti e le tecniche di datazione utilizzate sono stati descritti su Nature.

Tra i ritrovamenti all’interno del sito, degna di nota vi è la presenza di rudimentali pastelli (ocra e altri colori) probabilmente importanti per il simbolismo e le manifestazioni artistiche (portata alla luce anche la mascella di una tigre della Tasmania, Thylacinus cynocephalus, ricoperta di rosso) e di mortai per la macinazione e la lavorazione di semi. Sono state rinvenute anche le asce più antiche mai ritrovate (risalgono a 20.000 anni prima delle altre trovate in precedenza) e altri strumenti.

Per quanto riguarda la datazione dei manufatti, i ricercatori hanno utilizzato il metodo del Carbonio-14 (tecnica che può arrivare ad analizzare materiale organico di 45-50.000 anni) per i reperti più superficiali, mentre per quelli più antichi, rinvenuti a circa 2,5 metri di profondità, si sono serviti della luminescenza stimolata otticamente (OSL) che si basa sull’ultima volta che del terreno è stato esposto alla luce del sole. Alcuni studenti coinvolti nell’indagine hanno poi esaminato al microscopio ottico la composizione dei vari strati di sedimento rinvenuti nello scavo, e tali analisi, insieme ad altre prove (ad esempio la cottura di campioni di suolo a differenti temperature) hanno permesso una ricostruzione del clima nord- australiano al momento dell’arrivo dei primi colonizzatori, che doveva essere più umido e freddo rispetto ad oggi.

Come già affermato, la datazione dei sedimenti suggerisce che i primi insediamenti nel luogo siano avvenuti circa 65.000 anni fa, anche se alcuni reperti potrebbero risalire addirittura a 80.000 anni fa. Questa retrodatazione, che trova conferma in un’analisi condotta sul materiale genetico ottenuto dalla ciocca di capelli di un aborigeno dell’Australia sud occidentale risalente a circa 100 anni fa (Pikaia ne ha parlato qui) ha numerose implicazioni.

Prima di tutto, il fatto che gli antenati degli aborigeni fossero presenti in Australia già 65.000 anni fa, permette di affermare che essi convissero per quasi 20.000 anni con la megafauna locale (canguri, vombati e tartarughe giganti) e probabilmente non è dunque attribuibile a loro l’estinzione di queste specie animali. In secondo luogo, la presenza di Homo sapiens nel continente australiano 10.000 anni prima rispetto alle nostre conoscenze precedenti, consente di ipotizzare un loro contatto con Homo floresiensis (l’hobbit dell’isola di Flores, in Indonesia, di cui Pikaia ha parlato ad esempio qui) andando ad aggiungere altre possibili interazioni tra le specie del genere Homo (Neanderthal, Denisoviani) in uno scenario già di per sé estremamente complesso.

Riferimento:
hris Clarkson, Zenobia Jacobs, Ben Marwick, Richard Fullagar, Lynley Wallis, Mike Smith, Richard G. Roberts, Elspeth Hayes, Kelsey Lowe, Xavier Carah, S. Anna Florin, Jessica McNeil, Delyth Cox, Lee J. Arnold, Quan Hua, Jillian Huntley, Helen E. A. Brand, Tiina Manne, Andrew Fairbairn, James Shulmeister, Lindsey Lyle, Makiah Salinas, Mara Page, Kate Connell, Gayoung Park, Kasih Norman, Tessa Murphy, Colin Pardoe. Human occupation of northern Australia by 65,000 years agoNature, 2017; 547 (7663): 306 DOI: 10.1038/nature22968

Immagine da Wikimedia Commons