domenica 14 gennaio 2018

Cgia,ripresa rallenta Italia fanalino Ue.

 © ANSA

Analizzate previsioni Pil 2018.

(ANSA) - VENEZIA, 13 GEN - Sebbene il peggio sia alle nostre spalle, la ripresa economica consolidatasi nel 2017 (+1,5 per cento circa) rischia di affievolirsi già a partire da quest'anno. E' quanto sostiene la Cgia di Mestre che rileva come gli ultimi dati di previsione elaborati dalla Commissione europea per il 2018 indichino come il Pil reale dell'Italia sia destinato ad aumentare dell'1,3%. Tra i 27 paesi Ue monitorati, nessuno conseguirà una crescita più contenuta. La Grecia, ad esempio - secondo la Cgia -, che solitamente è il fanalino di coda europeo, quest'anno dovrebbe aumentare la propria ricchezza del 2,5%, mentre la Francia segnerà il +1,7%, la Germania il +2,1% e la Spagna il +2,5%. Per la Cgia anche i consumi delle famiglie (+1,1%) e quelli della Pubblica amministrazione (+0,3%) registreranno le variazioni di aumento tra le più striminzite in tutta l'Ue. Un risultato molto preoccupante per la Cgia, visto che la somma dei valori economici di queste due componenti costituisce l'80% circa del reddito nazionale totale.

http://www.ansa.it/veneto/notizie/2018/01/13/cgiaripresa-rallenta-italia-fanalino-ue_6090e1a5-3a20-4470-900a-b85efc2fd794.html

Se hanno considerato il picco delle tredicesime come ripresa economica, è chiaro che si è già in calo....
Sono sempre più convinta che una brava casalinga saprebbe governare il paese meglio di questi pseudo economisti del cavolo!
   

Lactalis, latte in polvere per neonati contaminato da salmonella: coinvolte 83 nazioni, ritirate 12 milioni di confezioni

Lactalis, latte in polvere per neonati contaminato da salmonella: coinvolte 83 nazioni, ritirate 12 milioni di confezioni

La conferma dal Ceo dell'azienda francese, Emmanuel Besnier. 35 casi accertati in Francia, altri in Spagna e Grecia. Non ancora diffuso l'elenco completo dei Paesi dove il prodotto è stato distribuito e venduto.

Si allarga l'allarme per i casi di salmonella dovuti a partite di latte in polvere per bambini prodotti dalla Lactalis: le nazioni coinvolte sarebbero almeno 83 e sono state ritirate 12 milioni di confezioni del prodotto.

A confermare la notizia è lo stesso Ceo di Lactalis, Emmanuel Besnier, in un'intervista al settimanale "Le Journal du Dimanche". "Dobbiamo misurare la portata di questo operazione", ha spiegato, rivelando appunto che ci sono 83 nazioni coinvolte, per un numero di confezioni che supera i 12 milioni di scatole. Il Ceo di Lactalis ha assicurato che quel latte in polvere non sarà più distribuito e che tutte le confezioni in circolazione sono in corso di ritiro dai punti vendita.

Uscendo dal suo silenzio, Emmanuel Besnier, che in precedenza non si era espresso a proposito della vicenda che aveva minato la sua compagnia, ha anche promesso di risarcire "tutte le famiglie che hanno subito danni". Ha assicurato che aveva in mente prima di tutto le conseguenze di questa crisi sanitaria per i consumatori, "bambini sotto i sei mesi", ha detto: "Questo è per noi, per me, motivo di grande preoccupazione".

Dopo l'incontro di venerdì tra Besnier e il ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire, il gruppo Lactalis ha ordinato il ritiro di tutte le partite di latte per l'infanzia prodotte nel suo stabilimento di Craon (Francia occidentale). Il capo del gruppo ha affermato di aver proposto al governo che questa misura sia estesa a 83 paesi.

Trentacinque bambini con salmonellosi sono stati diagnosticati in Francia dopo aver consumato latte o alimenti per l'infanzia della Lactalis, secondo le ultime cifre ufficiali del 9 gennaio. In Spagna è stato anche scoperto un caso di salmonellosi accertata riguardante un bambino che ha consumato questo latte contaminato e un altro caso da confermare in Grecia.

Interrogato sulle "centinaia" di denunce presentate dai genitori di neonati in tutta la Francia, e mentre un'indagine preliminare è stata aperta alla fine di dicembre, in particolare per "lesioni involontarie" e "per aver messo in pericolo la vita degli altri", Besnier ha assicurato che non avrebbe nascosto nulla. "Ci sono lamentele, ci sarà un'indagine, collaboreremo con la giustizia dando tutti gli elementi che ci verranno chiesti. Non abbiamo mai pensato di agire diversamente".



sabato 13 gennaio 2018

Cibo ed etichetta d’origine: un regolamento Ue spazza via tutti i decreti italiani. - Federico Formica

Cibo ed etichetta d’origine: un regolamento Ue spazza via tutti i decreti italiani

Entro l’estate verrà varata la norma che farà decadere quelle italiane sull’origine di latte, riso, pasta e pomodoro. Per la trasparenza il rischio è che si tratti di un passo indietro.

Le recenti leggi che hanno introdotto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di pastarisolatte, formaggi e pomodoro saranno presto carta straccia. Nel giro di pochi mesi verranno spazzate via da un regolamento europeo tutt’altro che inatteso: la Commissione avrebbe dovuto vararlo già quattro anni fa, secondo quanto previsto da regolamento 1169/2011, entrato in vigore nel dicembre 2013. I consumatori italiani potrebbero avere molto da perdere. Mentre buona parte delle imprese alimentari del nostro Paese lamenta uno spreco di denaro.

Ora i tempi sembrano maturi: la Commissione ha sottoposto il testo a una consultazione pubblica che si chiuderà il prossimo primo febbraio. Potrebbe entrare in vigore poche settimane più tardi e si applicherà dall’aprile 2019. Tutti i decreti introdotti nel 2017 dall’Italia prevedevano questa circostanza: non appena Bruxelles approverà il testo comunitario, decadranno. Quel giorno sta per arrivare.

Cosa prevede il regolamento Ue. Il tema è l’origine dell’ingrediente primario: sarà obbligatorio indicarla se diversa da quella del prodotto finito. Ad esempio: un pacco di pasta lavorata in Italia dovrà indicare anche l’origine del grano, se questo proviene dal Canada. Stessa cosa per un prosciutto fatto in Italia con cosce suine tedesche. Così per tutti gli altri alimenti. A prima vista sembra cambiare poco rispetto ai decreti voluti dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, ma a ben leggere la bozza uscita da Bruxelles c’è poco da star tranquilli.

L’obbligo, infatti, non varrà per le indicazioni geografiche protette Dop e Igp ma soprattutto non si applicherà ai marchi registrati che, a parole o con segnali grafici, indicano già di per sé la provenienza del prodotto. Una postilla che spalanca le porte a tutte quelle aziende che fanno dell’italian sounding il proprio cavallo di battaglia: basterà avere un marchio registrato con una bandiera tricolore o un richiamo al nostro Paese per essere esentati dall’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente principale, che molto spesso l’Italia non l’ha mai vista. 


Questo problema di trasparenza già esiste negli altri Paesi dell’Unione, dove i consumatori fanno fatica a capire che un prodotto “simil-italiano” è in realtà fabbricato all’estero. Tra pochi mesi, però, l’italian sounding potrebbe ingannare gli stessi italiani perché nel nostro Paese le etichette faranno un passo indietro dal punto di vista della chiarezza dell’origine delle materie prime.

“In questo modo la Commissione europea tradisce non solo lo spirito del regolamento 1169 ma anche i consumatori. A servizio dei grandi gruppi industriali, anche italiani, che hanno interesse a occultare l’origine dell’ingrediente primario” spiega Dario Dongo, avvocato esperto in diritto alimentare e fondatore del sito Gift.

Restano però le tutele previste dal regolamento 1169. Tutti i marchi che evocano italianità nel nome o nella grafica, ma che italiani non sono, dovranno comunque precisare che il prodotto non è made in Italy. 

Attenzione però: l’origine del prodotto indica il Paese in cui l’alimento ha subito l’ultima trasformazione sostanziale. Non c’entra nulla con l’ingrediente primario. “Se la suggestione di italianità è falsa, poiché il prodotto è realizzato altrove”, spiega ancora Dongo, “la pasta ‘Miracoli’, che è tedesca, dovrebbe in ogni caso riportare la dicitura ‘Made in Germany’. Ma le autorità di controllo negli altri Stati membri dolosamente omettono di sanzionare questi inganni, poiché realizzati da aziende che producono ricchezza nei loro territori”.

Ma, spiega ancora Dongo, “se la suggestione di italianità è limitata al marchio registrato, allora ecco che la pasta ‘Miracoli’, che è tedesca, può omettere di indicare la diversa provenienza della materia prima (ad esempio grano americano)”. Proprio in virtù del regolamento oggi in discussione.

Federalimentare difende però la norma sui marchi registrati, sostenendo che “vietare ad aziende italiane di utilizzare propri brand registrati, in alcuni casi, centinaia di anni fa contenenti i colori della bandiera italiana appare francamente ingiustificato ed inutile”. Il presidente Luigi Scordamaglia sostiene che l’esenzione sarà solo temporanea “ed è dovuta al fatto che esiste una normativa europea sul trademark”, includerli adesso avrebbe comportato un ulteriore allungamento dei tempi per avere un regolamento che “aziende e consumatori chiedono a gran voce da anni”. Insomma, nessun passo indietro secondo la federazione che rappresenta l’industria del cibo: “Per quanto poco, si avrebbe un quadro comune a livello europeo”.

Marcia indietro. Per le aziende alimentari italiane toccate dai decreti d’origine del 2017 si pone anche un problema concreto: nel giro di pochi mesi dovranno, per la seconda volta, cambiare tutte le etichette sulle centinaia di prodotti che escono dagli stabilimenti. “Le aziende più grandi hanno speso fino a 200.000 euro per modificare gli impianti e adeguarli alle nuove regole. E tra poco dovranno stamparne di nuove” dice Massimo Forino, direttore di Assolatte. Le etichette di origine per latte e formaggi hanno fatto la loro comparsa sugli scaffali nell’aprile del 2017. Potrebbero durare poco più di un anno. Riguardo alla clausola sui marchi registrati Forino è cauto: “Aspettiamo di vedere come verrà applicata la norma e se verrà modificata nel frattempo. Bisogna anche dire che al supermercato c’è talmente tanta scelta che il consumatore più esigente avrà sempre la possibilità di scegliere un prodotto 100% italiano”.

Una vita ancora più breve sarà quella dell’etichetta d’origine della pasta, che entrerà in vigore il prossimo 17 febbraio. “Abbiamo sempre detto che sarebbe stata una duplicazione inutile e costosa, tanto che Aidepi ha presentato ricorso al Tar contro il decreto voluto da Martina e Calenda, ma la sentenza non arriverà comunque prima dell’estate, costringendoci a cambiare l’etichetta per due volte in pochi mesi” dice Luigi Cristiano Laurenza, segretario pastai italiani di Aidepi.

Febbraio sarà anche il mese in cui farà il suo debutto l’etichetta d’origine del riso mentre quella del pomodoro potrebbe anche non vedere mai la luce: il decreto non è ancora stato pubblicato in Gazzetta ufficiale.

Una stoccata arriva anche da Federalimentare, che queste associazioni le rappresenta: “L'anomalia è rappresentata dai decreti nazionali e non dal fatto che essi decadranno all'entrata in vigore della proposta. Si dovrebbero garantire norme uguali per tutti, senza avvantaggiare chi non produce nel proprio territorio nazionale, come invece avviene per i decreti nazionali” dice Scordamaglia.


http://www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/diritti-consumatori/2018/01/12/news/cibo_ed_etichetta_d_origine_un_regolamento_ue_spazza_via_tutti_i_decreti_italiani-186230046/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1

Carte di credito, lʼUe elimina costi extra e commissioni

Risultati immagini per carte di credito

LʼUnione Europea elimina i costi extra e le commissioni sui pagamenti con carte di credito e debito sia online sia nei negozi. Aumentano anche i diritti dei consumatori.


L'Unione Europea elimina i costi extra e le commissioni sui pagamenti con carte di credito e debito sia online sia nei negozi. Secondo le stime grazie alla nuova direttiva i consumatori europei risparmieranno fino a 500 milioni di euro all'anno. Niente più sorprese addebitate all'ultimo quando su internet si arriva alla pagina del conto né quando qualche commerciante aggiunge un costo extra a chi non paga in contanti. Aumentano anche i diritti dei consumatori.

La direttiva Ue è già entrata in vigore - La nuova direttiva europea Psd2 sui servizi di pagamento è già operativa e dovrebbe impattare da subito ad esempio sui costi applicati per l'acquisto con carte di credito dei biglietti aerei delle compagnie low cost che imponevano "balzelli" anche di 5€ a transazione.
Le nuove tutele rafforzano i diritti dei consumatori anche in altre situazioni: in caso di furto frodi con carte o bancomat, il cliente fino ad oggi era tenuto a pagare 150 euro per operazioni che non riconosceva, effettuate prima della sua denuncia. Ora la sua responsabilità scende a 50 euro.

Aumenta anche la trasparenza dei costi di commissione quando si acquista qualcosa (non in contanti) in una valuta europea diversa dall'euro. Fino ad oggi, alla transazione veniva applicato un tasso di cambio arbitrario, in ogni caso poco chiaro. Infine, aumenta la protezione della privacy di chi utilizza i servizi che creano un legame tra il conto del cliente e quello del venditore: da ora anche questi dovranno rispettare standard molto rigidi di protezione dei dati finanziari, e dovranno dotarsi di una sicurezza ulteriore per assicurare le transazioni.

La tecnologia rivoluziona i pagamenti - La prima direttiva di questo tipo risale al 2007, ed era pensata per favorire l'ingresso nel mercato di altri attori, per non lasciare il terreno dei pagamenti soltanto alle banche e alle carte di credito. Negli ultimi anni si sono quindi sempre più diffusi nuovi metodi: da sistemi come Paypal (che però ha acquisito una licenza bancaria) alle app di mobile payment, come Apple Pay e Samsung Pay, o in Italia anche Satispay. Sono esponenti della cosiddetta Fintech, la tecnologia applicata ai servizi finanziari, area che vale sempre di più ma che finora non è stata mai regolata. Spesso nemmeno a livello nazionale. Per questo gli Stati membri hanno chiesto una revisione della direttiva del 2007, che includesse i nuovi servizi.

venerdì 12 gennaio 2018

De Benedetti alla Consob: «Ecco cosa mi ha detto Renzi sulle Popolari». - Lorenzo Bagnoli* e Angelo Mincuzzi




"Allora, con le nostre controparti ... avevamo fatto 620 milioni, di cui le Popolari solo 5. Tutte le altre operazioni hanno il taglio di 20, ma se io avessi saputo, avrei fatto 20 anche sulle Popolari, o di più, e ho fatto meno! Cioè è una roba che è un controsenso. Cioè questa è la prova provata che, che io non sapevo niente della, della, dei tempi ...». Sono le 11,15 dell'11 febbraio 2016 e Carlo De Benedetti è negli uffici della Consob in via Broletto 35 a Milano.

L’ingegnere è stato convocato «ai sensi dell'articolo 187-octies, comma 3, lettera c), del decreto legislativo numero 58/1998 nell'ambito di indagini amministrative relative a ipotesi di abuso di informazioni privilegiate con riguardo a operazioni effettuate da Romed Spa il 16 e il 19 gennaio 2015 su azioni ordinarie Banco Popolare, Banca Popolare dell'Emilia Romagna, Banca Popolare di Milano, Ubi Banca, Credito Valtellinese e Banca Popolare di Sondrio». A porgli le domande sono Maria Antonietta Scopelliti, responsabile divisione Mercati della Consob, e il responsabile dell'Ufficio abusi di mercato, Giovanni Portioli.
In quei giorni del 2015, poco prima che il governo Renzi varasse il decreto per trasformare le Popolari in Spa nel Consiglio dei ministri del 20 gennaio, qualcuno aveva operato in Borsa sui titoli delle banche coinvolte.

«Un'operatività potenzialmente anomala di alcuni intermediari, in grado di generare plusvalenze per 10 milioni di euro», racconterà l'allora presidente della Consob, Giuseppe Vegas, in un'audizione davanti alle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera l'11 febbraio 2015. Tra gli intermediari sui quali la Consob in quei giorni concentra l'attenzione c'è anche la Romed, società di trading presieduta fino a gennaio 2015 da Carlo De Benedetti.
Davanti ai funzionari della Consob, l'ingegnere si difende dalle ipotesi accusatorie e racconta degli incontri avuti con il premier Matteo Renzi il 15 gennaio 2015 e con il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Fabio Panetta, il 14 gennaio. Afferma che entrambi gli interlocutori gli parlarono incidentalmente della imminente riforma delle popolari ma che nessuno di loro accennò né ai modi né ai tempi delle misure.

Nella sua audizione, De Benedetti si dilunga anche sulle colazioni periodiche con l'ex premier, sugli incontri con il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, e sull'amicizia con Maria Elena Boschi. E sostiene di essere il vero “padre” del Jobs Act.

L’incontro in Bankitalia. 
I funzionari della Consob esordiscono spiegando che De Benedetti ha la facoltà di non rendere dichiarazioni ma l'ingegnere sceglie di rispondere alle domande e le sue parole vengono dunque registrate e trascritte in un verbale che Irpi (Investigative reporting project Italy) e il Sole 24 Ore hanno potuto leggere. 
Il racconto parte dal 14 gennaio 2015, quando l'allora presidente del gruppo Espresso incontra il direttore generale di Bankitalia, Fabio Panetta. «Ero tornato dalle vacanze ed ero andato a trovare Panetta in Banca d'Italia - spiega l'ingegnere -, come faccio abbastanza abitualmente o con lui o con Visco, una volta al mese una volta ogni due mesi, non c'è una scadenza precisa ma, diciamo, una consuetudine precisa».

Con Panetta, quel giorno De Benedetti discute soprattutto della situazione della Grecia e del rischio - possibile - di un default. Al termine del colloquio - racconta De Benedetti agli uomini della Consob -, Panetta accompagnandolo all'ascensore accenna al tema delle popolari: «Mi ha detto, “guardi, l'unica cosa, sono negativissimo, sono pessimista, solo lei si illude. Guardi! L'unica cosa positiva che mi pare che finalmente il governo si sia deciso ad implementare quella roba che noi chiediamo da anni e cioé: la trasforma ..., la riforma delle, delle popolari”. Per dire - prosegue De Benedetti -: non mi fece altra affermazione, né date, né di, né di quando, né di che cosa, in che cosa sarebbe consistito, ecco! Mi ha solo detto: “Guardi, con tanta roba che va male, finalmente quella roba lì l'abbiam portata in porto o la porteremo in porto”. Adesso le parole esatte non me le ricordo».
Il responsabile dell'Ufficio abusi di mercato della Consob, Giovanni Portioli, chiede allora a De Benedetti se Panetta gli abbia specificato che il governo avrebbe adottato lo strumento del decreto legge per il provvedimento sulle Popolari. «No - risponde De Benedetti -. Mi ha detto: “Il governo lo farà”. Il governo si è convinto».

La colazione a Palazzo Chigi. 
Il giorno seguente, il 15 gennaio, alle 7 del mattino, De Benedetti incontra Renzi a Palazzo Chigi. Fanno colazione insieme e discutono soprattutto della situazione in Grecia e di questioni di politica interna. Spiega De Benedetti: «Anche lui - e sembra una condanna - accompagnandomi all'ascensore di Palazzo Chigi mi ha detto: “Ah! Sai, quella roba di cui ti avevo parlato a Firenze, e cioè delle Popolari, la facciamo”. Ma proprio mentre un commesso stava aprendo la porta dell'ascensore, quindi non fu parte della conversazione durante la colazione, fu proprio nel dirci: ciao, arrivederci, mi ha detto: “Ah, ti ricordi di quella volta, ti ricordi di quando ti parlai che volevo fare le Popolari? Ecco, lo faremo”. Non mi ha detto con che. Ero già un piede sull'ascensore; non mi ha detto se le faceva con un decreto, con disegno, quando. Non mi ha detto niente, però mi ha detto sta' roba riferendosi ad una conversazione più ampia che avevamo avuto ancora a Firenze su che cos'erano le cose che lui doveva fare».

La telefonata con Bolengo 
È a questo punto che l'audizione si concentra sulla telefonata tra De Benedetti e il broker della Intermonte Sim, Gianluca Bolengo, finita in questi giorni sulle pagine dei giornali. La conversazione telefonica avviene tra le 9,02 e le 9,10 di venerdì 16 gennaio 2015, quindi il giorno dopo il breakfast con Renzi e due giorni dopo l'incontro con il direttore generale di Bankitalia.

I funzionari della Consob leggono a De Benedetti la trascrizione della telefonata e si concentrano soprattutto su una frase pronunciata dall'ingegnere: «Faranno un provvedimento in cui le p... il governo farà un provvedimento in cui le popolari per togliere la storia del voto capitario nei prossimi me... (incomprensibile) una o due settimane». Sembra che lei abbia avuto un'indicazione precisa sui tempi, gli chiede Portioli. «Non è così», ribatte De Benedetti. 

“Nessuno mi ha parlato di decreto. Né io con Bolengo ho parlato di decreto. Io mi sono limitato a dire che io sapevo che passava ” Carlo De Benedetti 

L'audizione prosegue concentrandosi sull'incontro tra Renzi e De Benedetti ma torna quasi subito sulla telefonata con Bolengo e in particolare su una frase di quest'ultimo quando l'ingegnere gli chiede: «Salgono le popolari?». Bolengo gli risponde: «Sì, se questo su questo se passa un decreto fatto bene salgono». E De Benedetti risponde: «Passa, ho parlato con Renzi ieri, passa».

L'ingegnere conferma di aver pronunciato quelle parole ma aggiunge: «... nessuno mi ha parlato di decreto. Né io con Bolengo ho parlato di decreto. Io mi sono limitato a dire che io sapevo che passava ma, ripeto, non, ma poi non è neanche nella natura di Renzi quella di parlare della tecnicalità con cui fa le cose. Ecco non, proprio non, è uno molto, è uno molto poco tecnico, ecco».
De Benedetti insiste ancora, più avanti, su questo punto e ai funzionari della Consob tiene a spiegare che «se io avessi saputo e qualcuno mi avesse detto che si trattava di una roba che usciva per decreto martedì, non, non ipotizzo di dire mesi o settimane, dico la prossima settimana».

L’operazione da cinque milioni di euro. 
De Benedetti ribadisce più volte che se avesse saputo che il governo si apprestava a varare un decreto sulle Popolari pochi giorni dopo non avrebbe certamente investito solo 5 milioni di euro. A gennaio di quell'anno, afferma De Benedetti, «l'operatività della Romed è stata di 620 milioni di cui 5.066.451 solo Popolare, cioè per dirle - prosegue - che questa è un'operazione fuori size perché lei prende tutte le altre operazioni sono almeno da 20 milioni. Quindi noi 5 milioni per noi è un'operazione che non facciamo ... d'altronde noi facciamo 20 miliardi all'anno, se fossimo andati avanti con 5 milioni non li faremmo mai».
«Ma se io avessi saputo - incalza De Benedetti - avrei fatto 20 anche sulle Popolari, o di più, e ho fatto meno!... ma perché l'avrei fatta così piccola? Se avessi saputo?». Il trading sulle Popolari ha consentito alla Romed di incassare una plusvalenza di 600mila euro.

«Quella - si difende ancora De Benedetti - era mini operazione per il nostro standard ... Cioé se io avessi voluto veramente e fortemente, chiamavo Tronci (Roberto Tronci, all'epoca amministratore delegato della Romed, ndr) e gli dicevo: “Guardi: faccia questa operazione”. Ho detto a Bolengo: “Dica a un suo collaboratore di parlare con Tronci, tanto era per me obiettivamente secondaria, sia in size che nel fatto che la facesse o non la facesse. Se Tronci non l'avesse fatta: pace!».

La copertura del rischio. 
Un altro elemento che De Benedetti porta in sua difesa è la decisione dell'ex ad di Romed, Roberto Tronci, di coprirsi dal rischio dell'acquisto dei titoli delle Popolari con una strategia di hedging (copertura). 

Tronci, spiega De Benedetti, «è talmente poco convinto di fare l'operazione che la hedgea (nel testo del verbale la parola è scritta senza l’h iniziale, ndr). Ma se fosse stata un'operazione a tre giorni o quattro giorni o una settimana, che cacchio vai a hedgeare? - si chiede De Benedetti - E tanto è vero che chiude l'hedge il lunedì mattina. Chiuse l'operazione Popolari e chiude l'hedge che ha fatto per cinque milioni esatti, cioé per quella roba lì. Quindi non c'è logica a pensare che uno sapesse che salivano e allora perché la hedgei? ... per spendere dei soldi inutili veramente totalmente inutili. È che Tronci era talmente pessimista sulla Borsa che - data l'indeterminazione temporale dell'operazione sulle Popolari, voleva hedgearsi, ma se avesse saputo che l'opera ... il lasso di tempo che erano tre giorni, pessimista o non pessimista sulla Borsa, non ti hedgei perché, comunque, spendi dei soldi».

C'è un altro fattore su cui De Benedetti insiste, ed è la reputazione personale. «Avendo compiuto 81 anni - afferma - ... non mi caccerei in una situazione dove potrei perdere la reputation anche in relazione al fatto che l'unica cosa che mi è rimasta, per mia volontà, è la presidenza de L'Espresso (lasciata poi il 23 giugno 2017, ndr), che se domani viene fuori che io ho fatto dell'insider trading sulle Banche popolari io posso smettere io posso dimettere dall'Espresso domani mattina, perché è una cosa che non sta bene».

Renzi, Boschi, Visco e il Jobs Act 
Per spiegare il contesto all'interno del quale sono avvenuti gli incontri con Renzi e Panetta, De Benedetti racconta ai funzionari della Consob delle sue frequentazioni politiche.

«Io normalmente con Renzi faccio, facciamo breakfast insieme a Palazzo Chigi - fa mettere a verbale - ... e io devo dire che quando lui ha iniziato, quando lui ha chiesto di conoscermi, che era ancora sindaco di Firenze, e io ... mi ha detto: “Senta”... ci davamo del Lei all'epoca, mi ha detto: “Senta, io avrei il piacere di poter ricorrere a Lei per chiederle pareri, consigli quando sento il bisogno. Gli ho detto: “Guardi! va benissimo. Non faccio, non stacco parcelle, però sia chiara una roba: che se Lei fa una cazzata, io Le dico: caro amico, è una cazzata».

Nel suo ruolo di advisor informale, De Benedetti parla anche del Jobs Act e di un consiglio dato a Renzi quando era ancora sindaco di Firenze: «Io gli dicevo che lui doveva toccare, per primo, il problema lavoro e il job-act è stato - qui lo dico senza, senza vanto, anche perché non mi date una medaglia, ma il job-act gliel'ho, gliel'ho suggerito io all'epoca come una cosa che poteva - secondo me - essere utile e che poi, di fatto, lui poi è stato sempre molto grato perché è l'unica cosa che gli è stata poi riconosciuta».

Gli uomini della Consob gli chiedono poi se abbia incontri con qualcun altro dello staff della presidenza del Consiglio. «No - risponde De Benedetti -. Guardi io sono molto amico di Elena Boschi, ma non la incontro mai a Palazzo Chigi. Lei viene sovente a cena a casa nostra ma non ... diciamo io, del Governo vedo sovente la Boschi, Padoan. Anche lui viene a cena a casa mia e basta. Perché poi sa, quello lì si chiama Governo, ma non è un Governo, sono quattro persone, ecco».

De Benedetti accenna infine - sempre rispondendo a una domanda - ai suoi incontri con il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. «... l'ultima volta ho visto Visco, anziché, anziché Panetta, forse perché Panetta era via, ma poi, perché ho un buon rapporto con Visco da quando lui era all'Ocse per cui ci vediamo anche così per fare quattro chiacchiere ... Visco non parla tanto volentieri dell'Italia; gli piace di più parlare del mondo, ecco».

L'indagine della Consob è stata archiviata. L'istituto ha trasmesso gli atti alla procura di Roma, che ha chiesto l'archiviazione per l'unico indagato, Gianluca Bolengo. Il gip si deve ancora pronunciare.

*Irpi (Investigative reporting project Italy)

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-01-11/de-benedetti-consob-ecco-cosa-mi-ha-detto-renzi-popolari-155756.shtml?uuid=AEBy69fD&refresh_ce=1
Leggi anche:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-01-10/manovre-popolari-atti-consob-retroscena-acquisti-125002.shtml?uuid=AEJ6xkeD
e anche: 
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-01-10/banche-renzi-riforma-lecita-se-ne-parlava-giornali-194526.shtml?uuid=AEu1itfD

Abbinati così, olio d’oliva e alloro creano un potente unguento analgesico naturale.

olio d'oliva e alloro

Olio d’oliva e alloro sono due ingredienti che posseggono proprietà e benefici ottimi per la nostra salute.Abbinandoli si crea un potente unguento analgesico naturale.

Dalla combinazione di questi due elementi  si ottiene un vero e proprio rimedio naturale che funge da calmante, da protezione per l’organismo, da antidolorifico, da stimolante per il cervello ecc.
Per preparare il composto bastano un barattolo di vetro da 250 ml a chiusura ermetica, 30 grammi di foglie d’alloro e dell’ olio d’oliva.
Innanzitutto le foglie d’alloro devono essere abbastanza secche in modo da poterle sminuzzare facilmente, magari con un mortaio simile a quelli per fare il pesto. Una volta ottenuto il “pesto d’ alloro” bisogna versarlo nel barattolo con l’olio d’oliva e lasciarlo macerare per 2 settimane.
Dopo 2 settimane filtrare l’olio, aggiungere altri 30 grammi di alloro sminuzzato e lasciarlo macerare per altre 2 settimane.
Terminato il periodo, filtrare nuovamente l’olio e l’unguento analgesico a base di alloro è pronto per essere utilizzato.
Teniamo a precisare che questo unguento naturale è anche commestibile (in quanto sono commestibili entrambi gli ingredienti). Infatti bevendone qualche goccia o utilizzandolo come condimento nei pasti, grazie alle sue proprietà è in grado di calmare il sistema nervoso, rinforzare il sistema immunitario, proteggere il colon, migliorare l’appetito, eliminare il mal di stomaco e normalizzare le funzioni renali.
Basta invece applicarlo sulle zone interessate per calmare i dolori articolari, eliminare brufoli e acne, curare il mal di testa e stimolare il cervello (massaggiando le tempie con qualche goccia d’olio), ridurre il dolore alle orecchie (versando un paio di gocce all’interno dell’ orecchio medio).

giovedì 11 gennaio 2018

I giovani? Pagati 6.500 euro in meno dei coetanei europei. - Alberto Magnani



L'attacco (con retromarcia) di Berlusconi al Jobs act ha fatto riemergere numeri e risultati della riforma voluta dal governo Renzi nel 2014. Tra i primi beneficiari della legge ci sarebbero dovuti essere i giovani, una delle categorie che ha sofferto e continua a soffrire di più sul mercato italiano. Come è andata dal 2015 ad oggi? Gli ultimi dati Istat hanno registrato una disoccupazione giovanile al 32,7%, dato che brilla rispetto ai picchi di oltre il 40% raggiunti dopo la crisi. Ma la statistica inquadra il fenomeno solo in parte. In primo luogo perché con «giovanile» si intende esclusivamente la fascia dai 15 ai 24 anni, in larga parte assorbita dagli studi secondari e universitari (dove è più raro dedicarsi a tempo pieno alla ricerca di lavoro, l’attività che qualifica appunto come disoccupati). In seconda battuta perché non contempla alcuni fattori integrati all'occupazione in sé, dalla tipologia di contratto alla retribuzione media.
Se si dà uno sguardo all'andamento delle assunzioni tra 2015 e 2017, secondo i dati stimati dall'Inps, emerge un quadro un po' più articolato. Le assunzioni dei giovani sono in crescita, ma con contratti a termine e retribuzioni basse sia rispetto agli altri blocchi anagrafici che alla media in Europa.
Crescono le assunzioni, cala la stabilità 
Per iniziare dai contratti, il triennio 2015-2017 rispecchia l'andamento complessivo del mercato: un calo delle assunzioni a tempo indeterminato che si bilancia alla crescita di quelle a termine, incoraggiate anche dall'obbligo di stabilizzare i vecchi rapporti di collaborazione (aboliti proprio dal Jobs Act). Il risultato è che, nell'arco di tre anni, si è passati dalle 397.878 nuove assunzioni a tempo indeterminato per 15-29enni nel periodo gennaio-ottobre 2015 alle 235.600 dello stesso periodo del 2017: 
144.278 rapporti permanenti in meno rispetto agli standard di tre anni prima, nonostante il viatico delle cosiddette tutele crescenti. Viceversa, i contratti a termine per under 29 sono lievitati nello stesso periodo dai circa 1,01 milioni del 2015 agli 1,5 milioni del 2017.
La prevalenza dei rapporti a termine non è di per sé patologica, e si allinea agli standard europei sui cosiddetti temporary contracts (contratti temporanei). Su scala continentale, secondo dati Eurostat, il 43,8% dei lavoratori dai 15 ai 24 viene assunto con contratti a breve termine, con picchi di oltre il 70% in paesi come la Slovenia e Spagna, del 66,3% in Portogallo e del 58,3% in Francia. Il problema è che nel resto d’Europa la percentuale scende al 13,1% quando si passa alla fascia 25-49 anni d’età. In Italia, sempre tra 2015 e 2017, i lavoratori nella fascia 25-29 anni hanno visto aumentare le assunzioni a termine da 501.386 a 690.718 (+189.332) e calare quelle a tempo indeterminato da 222.727 a 132.288 (-90.439).
Stipendi al palo: in Germania un giovane guadagna 11mila euro in più. 
L’instabilità si fa sentire anche in busta paga. Sulle circa 4 milioni di assunzioni a tempo attivate nel 2017, quelle che prevedono retribuzioni sotto ai 1.500 euro lordi sono oltre 1,4 milioni. Più di una su tre. Le retribuzioni dei giovani, però, sembrano anche più confinate in una sorta di limbo distante sia dalla media delle altre fasce anagrafiche sia, e soprattutto, rispetto alle attese dei coetanei assunti in Francia e Germania. JobPricing, una società, di ricerca, ha evidenziato che la Ral (retribuzione annua lorda) per il 2017 nella fascia 25-34 anni viaggia sui 25.632 euro lordi, contro i 29.238 euro lordi della platea complessiva di lavoratori dai 15 ai 55 anni. E il dato è anche generoso rispetto a quello rilevato dall’Istat per il blocco 16-29 anni nel 2015, anno di debutto del Jobs Act: 13.553 euro lordi, in discesa dai 13.667 euro del 2014.
Potrebbe essere ovvio che la retribuzione cresca con l’esperienza, permettendo a un over 50 di guadagnare di più di un 26enne ai primi contratti. Ma l’anomalia italiana sta nel fatto che la curva degli stipendi viaggia a un ritmo rallentato rispetto alla media Ue: nel resto del Continente le remunerazioni salgono già dai primi anni e raggiungono l’apice a 40, in Italia bisogna aspettare oltre ai 55 per avvicinarsi alle stesse condizioni.
Non a caso il paragone si fa più pesante su scala europea, termine di confronto naturale per neolaureati e professionisti disposti a trasferirsi (anche) a seconda delle retribuzioni. Secondo dati di Willis Tower Watson, una società di consulenza, un giovane assunto comeentry level (contratto di ingresso) dopo la laurea magistrale in Germania guadagna in media 37mila euro lordi all’anno: circa 11mila euro in più rispetto ai 25-34enni italiani fotografati da JobPricing. Se si allarga il confronto ad altri paesi Ue, la forbice si allarga a oltre 6.500 euro lordi: dai circa 25.600 euro lordi che si guadagnano in Italia ai 32.214 euro nella media dei laureati magistrali tra Francia Irlanda, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svezia .