lunedì 22 gennaio 2018

Boeri: «Più trasparenza sui vitalizi degli ex parlamentari». - Andrea Marini

Da sinistra, Tito Boeri, Michele Ainis, Biagio De Giovanni, Antonello Falomi (presidente dell'associazione ex parlamentari), Marco Revelli e Mauro Zampini
Da sinistra, Tito Boeri, Michele Ainis, Biagio De Giovanni, Antonello Falomi (presidente dell'associazione ex parlamentari), Marco Revelli e Mauro Zampini. 


"Che il sistema dei vitalizi dei parlamentari fosse insostenibile era chiaro fin dall’inizio. Il loro costo si aggira sui 200 milioni l’anno, che non sono pochi. Servirebbero due gesti. Primo, la massima trasparenza per ricostruire i contributi versati dai parlamentari. Secondo, un segnale di disponibilità: devolvere una parte del vitalizio a un fondo per potenziare lo strumento di contrasto alla povertà». A parlare è Tito Boeri, presidente dell’Inps. Parole pronunciate davanti a una platea non facile: l’associazione degli ex parlamentari, che ha organizzato oggi un convegno dal titolo “Populismi e democrazia rappresentativa”.
De Giovanni: ma i parlamentari non sono come gli altri. 
A difendere il ruolo dei parlamentari è stato Biagio De Giovanni, accademico dei Lincei e già esponente del Pci ed ex parlamentare europeo. «I parlamentari – ha spiegato – hanno privilegi fin dal Medioevo.
Non sono uguali agli altri cittadini perché rappresentano la nazione. È impensabile che possano, vivendo di politica, effettuare versamenti al sistema pensionistico per trenta anni, quando al massimo riescono a svolgere tre legislature». 
Boeri ha a sua volta replicato dicendo che in realtà i «dati dimostrano come il reddito di un ex parlamentare aumenti dopo che ha lasciato» la Camera o il Senato. Parole che hanno suscitato altri malumori tra la platea degli ex parlamentari.
Servono nuovi strumenti di partecipazione: il recall. 
Il tema dei vitalizi degli ex parlamentari è nato in quanto uno dei principali bersagli dei movimenti polulisti. Per Michele Ainis, professore di diritto pubblico all’Università Roma Tre, «il problema del populismo nasce anche da un deficit di partecipazione del popolo alle decisioni. La democrazia rappresentativa deve rinnovarsi. Per esempio si potrebbe introdurre il meccanismo del recall», vale a dire la possibilità per i cittadini di revocare una carica a un eletto nel caso in cui ritengano che il mandato non venga svolto correttamente.
Il peso della crisi economica, quella dei partiti e della democrazia. 
Marco Revelli, professore dell’Università degli studi del Piemonte orientale, ha sottolineato come la caratteristica che distingue il populismo «è quella di contrapporre il popolo a una oligarchia. Intendendo il popolo come un tutto omogeneo». Tra le ragioni che hanno portato alla ribalta questo fenomeno, Revelli ne evidenzia tre: «La crisi dei partiti di massa, con il loro sistema organizzativo obsoleto; la crisi della democrazia, in quanto le decisioni più importati vengono prese da organi non accessibili agli organismi rappresentativi; infine, la crisi economica».
Populismo e partiti personali 
Mauro Zampini, già segretario generale della Camera dei deputati, ha rivendicato il suo ruolo di uomo delle istituzioni: «Bisogna ridare qualità alle istituzioni, puntando sul rispetto reciproco. Il populismo va cercato in tutti i luoghi dove si trova, con la tendenza dei movimenti a diventare partiti personali: questi ultimi non sono più contendibili e non tollerano l’assenza di vincolo di mandato».
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Dovrebbero costituire una previdenza a parte, quella dei parlamentari, chiosando ciò che ha asserito De Giovanni: "ma i parlamentari non sono come gli altri"
Notare, inoltre, come un accademico dei Lincei, ex eurodeputato del Pci, appunto il De Giovanni, contrasti le realtà evidenziate da Boeri che più che limitarsi a professarlo, ragiona da comunista.

sabato 20 gennaio 2018

Quelli capaci (di tutto). - Marco Travaglio | 19 gennaio 2018

Lilli Gruber, Matteo Renzi - Roma - 08-01-2018 - Matteo Renzi ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo

L’ultima volta da Lilli Gruber, Matteo Renzi ha attaccato la solita equazione farlocca: siccome hanno alcuni sindaci indagati come la Raggi, mentre lui non ha “mai ricevuto un avviso di garanzia”, tutti i 5Stelle sono incapaci. E Di Maio più di tutti. La Gruber gli ha fatto osservare che anche il sindaco Pd di Milano, Beppe Sala, è sotto processo (e, aggiungiamo noi, per storie un pochino più gravi: carte truccate sul più grande appalto di Expo e commesse senza gara per il verde pubblico, con spesa triplicata). A quel punto Renzi, anziché di Sala, s’è messo a parlare della Appendino. Ora, per carità: può darsi che Di Maio, se mai avrà l’occasione di governare, si riveli un disastro, ma questo lo sapremo solo allora. Arguirlo dalle indagini sui sindaci sarebbe arduo, visto che nessuna dimostra la loro incompetenza.
A Roma la Raggi è imputata per una dichiarazione all’Anticorruzione sulla nomina di uno dei 190 dirigenti comunali, fratello del suo capo del Personale Raffaele Marra. 
A Torino la Appendino è indagata per falso per avere spostato di un anno, nel bilancio comunale, la restituzione di un prestito contratto dalla giunta Fassino, che a sua volta aveva postdatato per anni quella voce di spesa; e per omicidio e lesioni colpose nella tragedia di piazza San Carlo (1 morto e 1500 feriti), dove si proiettava la partita Juventus-Barcellona in base a una delibera analoga a quella adottata da Fassino due anni prima, già in piena emergenza Isis. 
A Livorno Nogarin è indagato per la bancarotta di una municipalizzata mai fallita (ma salvata da lui col concordato preventivo) e per omicidio e disastro colposo in una alluvione (accusa simile a quella toccata a molti altri sindaci: dalla pd Vincenzi a Genova, poi condannata, all’ex M5S Pizzarotti a Parma).
Le vicende che non investono la questione morale, perché non celano interessi privati e attendono la verifica processuale, non andrebbero usate in campagna elettorale, anche perché è inutile: per quanto disinformati da tg e giornaloni, gli italiani non hanno l’anello al naso e sanno ancora distinguere fra una mazzetta e una disgrazia. In alternativa, bisognerebbe parlare di tutti i sindaci indagati, anche dei propri. Ma concentriamoci sull’altro refrain renziano: “Mai ricevuto un avviso di garanzia”. Il che è vero: le nostre critiche alla persona di Renzi hanno sempre riguardato faccende politiche, mai giudiziarie. 
Ma con un paio di eccezioni. 
La prima è lo scandalo che l’ha appena coinvolto per la soffiata sul Decreto banche popolari che ha consentito a De Benedetti di speculare con una plusvalenza di 600 mila euro.
Una circolare del ministero della Giustizia chiarisce che, in casi come questi, il pm deve indagare i sospettati e, se ritiene che siano estranei, chiedere al gip di archiviarli con un’ordinanza trasparente. Invece Renzi e De Benedetti – diversamente da quel che accade in Procure meno “sensibili” – non furono indagati, non ricevettero avvisi di garanzia, furono sentiti come testimoni e morta lì: tutto in segreto. 
La seconda è il processo contabile per danno erariale che la Corte dei conti di Firenze aprì su Renzi presidente della Provincia, per aver assunto nella sua segreteria personale quattro portaborse (fra cui Carrai) senza laurea, con contratti e stipendi da dirigenti (che per legge devono essere laureati). 
In primo grado, nel 2011 e nel 2012, i giudici contabili toscani condannarono due volte Renzi e una ventina di suoi collaboratori a risarcire 50 mila euro (14 a suo carico) allo Stato per colpa grave, a fronte di un danno erariale per la collettività di 2,1 milioni. Poi nel 2015, già premier, Renzi fu assolto in appello con una motivazione grottesca quanto inedita: “Il Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un ‘non addetto ai lavori’”. 
Cioè: Renzi, laureato in Legge, ex presidente della Provincia, ex sindaco e infine premier, non era in grado di percepire l’illegittimità del suo operato. 
Assolto perché ignorante. 
E non capì neppure la portata devastante del verdetto, infatti se ne vantò in un tweet perché trionfava “la verità”: quella sulla sua enciclopedica incompetenza. Che ora strilli contro l’incompetenza altrui, fa molto ridere.
Ma intanto Davide Vecchi del Fatto scopre un altro altarino. Nel 2007, sempre da presidente della Provincia, il capacissimo Renzi assume quattro dirigenti al posto di uno, aumentando i costi da 3,5 a 4,2 milioni. La Procura della Corte dei conti toscana apre un fascicolo per danno erariale, archiviato su richiesta della viceprocuratore generale Acheropita Mondera Oranges, che dà tutte le colpe ai tecnici e non al presidente, anche se le nomine sono sue. 
Nel giugno 2016 la Oranges viene promossa procuratore capo, cioè primo controllore contabile della PA in tutta la regione. Il suo primo controllando è il renzianissimo sindaco di Firenze Dario Nardella. Il quale che fa? A settembre assume Celeste Oranges, 28 anni, figlia del procuratore Acheropita come “figura specializzata in ambito giuridico” della Città metropolitana per 47 mila euro l’anno. Per concorso? No a chiamata diretta, ma “visto il curriculum” (laurea con 106/110, nessuna esperienza professionale, ma esperta in “grafica, ritrattistica e arte canora”). Ora si spera che sia tutto regolare, altrimenti la mamma della neoassunta dovrebbe aprire un’inchiesta. 
Chissà che l’Anticorruzione del solerte Cantone, se avanza tempo dalle indagini su Spelacchio, ha qualcosa da obiettare. E questi sono gli amministratori bravi e oculati, tutti competenza e distintivo. Poi ci sono gli incapaci.
da il Fatto Quotidiano di
Venerdì 19 gennaio 2018 – Anno 10 – n° 18
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Cantone indaga sull’assunzione di Nardella. - Davide Vecchi

Cantone indaga sull’assunzione di Nardella

Anac in azione -Dopo lo scoop del "fatto" sulla chiamata diretta si muove l'Anticorruzione.

Sarà l'autorità anticorruzzione guidata da Raffaele Cantone a far luce sulla correttezza o meno dell'incarico affidato per chiamata diretta dal sindaco Dario Nardella a Celeste Oranges che, per i casi del destino, oltre ad essere figlia del magistrato contabile che nel 2014 formulò la richiesta d'archiviazione di Matteo Renzi, appena 40 giorni prima di essere chiamata da Nardella era stata bocciata ad un concorso di Palazzo Vecchio.

Le opposizioni in Comune  hanno già presentato alcune interrogazioni : Tommaso Grassi, M5s e Fratelli d'Italia. E da Firenze sono partite due segnalazioni all'Anac che, però, può occuparsi esclusivamente di Nardella. 
Del possibile conflitto di interesse del procuratore amministrativo, invece, l'Anac non ha poteri di intervento nè di controllo. Le verifiche sulla posizione di Acheropita Mondera Oranges, da giugno alla guida della Procura della Corte dei Conti Toscana, può svolgerle il Consiglio della Corte dei Conti. 
"Prima di tutto si valuta se il suo operato possa avere dei condizionamenti" spiega una fonte apicale della Corte. " Si possono compiere accertamenti sul suo recente operato e si può agire a seguito di una specifica ovviamente." Dopo l'eventuale condizionamento si valuta "la compatibilità ambientale" e, " nel caso si ritenga legittima la sua permanenza nell'ufficio, si può adottare l'astensione da specifici interventi" ma è una strada "difficile per un organo di vertice" come in questo caso.

IL FATTO ha lungamente parlato con Acheropita Mondero prima della pubblicazione degli articoli. Martedì c'è stato un colloquio telefonico di circa 40 minuti. ma il procuratore ha chiesto che i contenuti non venissero divulgati. Abbiamo poi cercato la figlia Celeste, senza esito. 

In fine Nardella. Ancora ieri abbiamo rinnovato le domande al primo cittadino che non risponde e preferisce affidare una replica al Tgr della Toscana, bollando la vicenda come "un attacco vergognoso, segno del fatto che ormai siamo in campagna elettorale". 
Ancora. "Noi abbiamo rispettato tutte le regole. Non permetto che si facciano insinuazioni e calunnie". Insomma, Nardella continua a scappare. Attraverso il suo ufficio stampa fa sapere di avere ereditato un gruppo di lavoro già avviato in università. 
In quale ateneo, facoltà, dipartimento e con quale docente non è dato sapere. E nel decreto di nomina di Oranges da lui firmato non ne fa alcuna menzione. Anzi. E' scritto che la 28enne è stata scelta per il curriculum.

Ora se ne occuperà l'Anac. Alla quale sono stati già inviati due esposti, uno anche dall'Adusbef. "stiamo molto attenti a ogni segnalazione che ci arriva e non faremo eccezioni", esordisce Cantone. E spiega cosa, nel caso specifico, riguarderà la verifica: 
"Accerterà se il sindaco e l'ente hanno seguito le procedure eventualmente previste dal Piano di prevenzione della corruzione della città metropolitana di Firenze relativamente agli incarichi di questo tipo, compresi gli obblighi di trasparenza dell'avviso di selezione".

Quelle che appaioni come similitudini con altri casi, in particolare relativi alle nomine compiute al Comune di Roma da Virginia Raggi, in realtà secondo Cantone sono "totalmente diversi da questo". E spiega: "La nomina di Renato Marra era firmata dal fratello, quindi il conflitto di interessi era lampante" mentre "per quanto riguarda Romeo e Ranieri ce ne siamo occupati solo perchè fu la sindaca a chiedere all'Anac un parere, per sapere se era stata utilizzata una procedura corretta". Comunque. garantisce, ora si occuperà di Nardella.

https://www.pressreader.com/italy/il-fatto-quotidiano/20180120/281767039640579

Due per mille ai partiti politici: 15 milioni assegnati, otto vanno al Pd. - Luca Tremolada

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È il Partito democratico a confermarsi il campione del 2xmille. Come dire, se guardiamo ai soldi che i contribuenti liberamente decidono di assegnare  con la dichiarazione dei redditi 2017 ai partiti politici, i più amati, anzi i più gettonati sono quelli del partito democratico. Non è una sorpresa. L’anno scorsa è stato così. Anche prima della cosiddetta riforma del finanziamento dei partiti. Quest’anno (i redditi sono relativi al 2016)  degli oltre 40,7 milioni di contribuenti ha scelto di finanziare il sistema dei partiti solo il 3 per cento. In totale ai partiti sono andati 15,3 milioni di euro, in crescita di 3,5 milioni. Al partito democratico andranno quindi quasi otto milioni di euro, elargiti da poco meno di 602mila cittadini (l’1,48% del totale dei contribuenti). Molto distante c’è la Lega con 1,8 milioni di euro incassati e Forza Italia con 850mila. Non è in classifica il Movimento 5 Stelle in quanto movimento e non partito. Alla destinazione del 2 per mille partecipano solo i partiti che hanno trasmesso il proprio statuto alla “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”.
Se invece guardiamo le scelte indicate il numero come mostra l’Info Data è salto a 1,2 milioni. La Lega arriva a 345mila e Sinistra Ecologia e Libertà a 130mila. Quest’ultimo è il risultato più interessante perché indica un attaccamento ancora forte di una parte del suo elettorato. Stesso discorso si può fare con Fratelli D’Italia che quanto a scelte supera Forza Italia.

Il Ministero della Verità. - Marco Travaglio

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L’invito è ufficiale, anzi ufficialissimo: “Domani 18 gennaio alle ore 17.00, presso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC) al Polo Tuscolano in Via Tuscolana 1548, alla presenza del Ministro dell’Interno Marco Minniti e del Capo della Polizia Franco Gabrielli, verrà presentato il nuovo servizio di segnalazione istantanea contro le fake news. Ti aspettiamo”. Quel “ti aspettiamo” ha un che di vagamente inquietante, tipo quando ballavo in discoteca con una tipa che mi piaceva e un coetaneo più robusto di me (ci voleva poco) mi diceva “ti aspetto fuori”.
In effetti l’idea che a decidere quali news sono fake, cioè false, siano il Viminale e la Polizia di Franco Gabrielli detto Nazareno, cioè il governo, allarma un po’. Riporta alla mente il ministero della Verità di George Orwell in 1984, che fra l’altro spacciava fake news a tutto spiano, le più pericolose e imperiture perché consacrate dal timbro dell’ufficialità, dall’ipse dixit dell’autorità. Il ministero aveva sede in una mega-piramide bianca che recava sulla facciata gli slogan “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù” e “L’ignoranza è forza”. E aveva il compito di riscrivere secondo i dettami e la “neolingua” della propaganda governativa tutto ciò che la contraddiceva: romanzi, cronache, statistiche, libri di storia.
È anche il sogno del nostro pericolante e tremebondo regimetto, in vista delle elezioni che potrebbero spazzarlo via dalla faccia della terra. Dunque che faranno le nostre forze dell’ordine? Disperderanno le fake news, o presunte tali, con gli idranti? Le calpesteranno con plotoni di carabinieri a cavallo? Caricheranno gli autori con agenti in tenuta antisommossa armati di manganello? Niente paura. Siamo in Italia, dove ogni dramma diventa melodramma e ogni tragedia si muta in farsa. Infatti la mirabolante guerra alle fake news sarà affidata a una decina di appuntati chiusi in un commissariato. I quali, nei ritagli di tempo fra una denuncia di furto, una di documenti smarriti e una di gattini scomparsi, raccoglieranno le segnalazioni dai privati che si sentiranno offesi dal tal sito, blog, social network; dopodiché dovranno rivolgersi al server per convincerlo a cancellare tutto e, se quello opporrà resistenza, chiameranno un pm perché indaghi sull’eventuale contenuto diffamatorio del messaggio incriminato ed eventualmente sequestri il corpo del reato (la fake news) o l’arma del delitto (il sito o la pagina facebook, twitter, instagram ecc.). Già, perché è dato per scontato che le fake news siano un’esclusiva della Rete.
Invece i tg e i giornali sono dei pozzi di scienza e verità, scevri come sono da conflitti d’interessi e da intenti propagandistici. Lo dice il 10 gennaio lo stesso sito della Polizia: “ATTENZIONE!! Fake news. È tempo di campagna elettorale e, come spesso purtroppo accade, assistiamo ad un’impennata nella diffusione di fake news via internet e social network… la ben nota e poco edificante attività di creazione a tavolino, e successiva diffusione, di notizie prive di fondamento, relative a fatti o personaggi di pubblico interesse, al solo scopo di condizionare fraudolentemente l’opinione pubblica. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, ha interessato la Presidente della Camera, Laura Boldrini” e te pareva: “ai suoi danni è circolata su whatsapp la bufala virale secondo cui un ragazzo di 22 anni senza adeguate referenze professionali, presunto nipote della Presidente, sarebbe stato assunto a Palazzo Chigi”. La classica bufala a cui credono poche migliaia di gonzi, mai ripresa da giornali o tg, dunque innocua.
Invece contro le balle dei giornaloni, che di solito si muovono a testuggine, ripresi poi da tutti i tg, nulla è previsto perché per lorsignori il problema non esiste: e ci mancherebbe, visto che giornaloni e tg li controllano loro e spacciano solo le fake news che vogliono loro. La madre di tutte le fake news dell’ultimo quarto di secolo la raccontano gli ex pm Caselli e Lo Forte nel libro "La verità sul processo Andreotti" (ed. Laterza): la falsa assoluzione, annunciata a reti ed edicole unificate, del sette volte premier, dichiarato colpevole in appello e in Cassazione di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, reato “commesso” ma prescritto poco prima della sentenza. Fecero tutto le tv e i giornaloni. E tutt’oggi milioni di italiani non sanno come finì il processo del secolo, anzi peggio: sono convinti dell’opposto della verità.
C’è poi un altro trascurabile dettaglio: che si fa se le fake news le raccontano direttamente i politici? La polizia irrompe negli studi televisivi per imbavagliarli e ristabilire ipso facto la verità? L’altra sera abbiamo tanto sperato che ciò avvenisse a Matrix, mentre B. sparava le sue cifre mirabolanti sulla flat tax che aumenta il gettito (uahahah), sulla lotta all’evasione (parola di un pregiudicato per frode) e sulla sua prossima abolizione dell’Imu sulle prime case (abolita due anni fa). 
Se poi la guerra alle fake news fosse retroattiva, non vorremmo essere nei panni di Renzi che, tra un “Enrico stai sereno” e un “Se vince il No lascio la politica”, dovrebbe subire il sequestro della lingua a vita. 
Infine ci sarebbero le fake news sulle fake news, tipo le balle senza prove sul mandante Putin, per nascondere le vere interferenze straniere nelle elezioni italiane: quelle degli americani e dei governi europei, ma anche della Ue (ultimo esemplare: il commissario Moscovici, lo stesso Nostradamus che nel 2016 vaticinò l’apocalisse “populista” in caso di No al referendum). Ma di questo si occuperà senz’altro la “Task force europea contro le fake news” istituita da Juncker al quarto whisky e composta da 39 “esperti”, fra cui Gianni Riotta. Quindi tranquilli, siamo in buone mani.

venerdì 19 gennaio 2018

Gentiloni vuole l'ex sottosegretario di Monti a Segretario generale del Cnel. La destra attacca: "Lottizzazione a Camere sciolte". - Claudio Paudice


L'ente che il Pd voleva abolire verso la ricomposizione. Ma centrodestra e Confimprenditori attaccano.


C'è vita al Cnel. Il "vituperato" Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro ha un nuovo presidente da maggio e 48 consiglieri già scelti a fine agosto, la cui nomina è stata firmata dalla sottosegretaria Maria Elena Boschi, madrina della riforma costituzionale che voleva abolirlo. 
A breve avrà anche un nuovo Segretario generale: si tratta di Paolo Peluffo, ex sottosegretario all'Editoria e alle Comunicazioni del Governo Monti e storico portavoce di Ciampi. Paolo Gentiloni, premier del governo in carica per gli affari correnti, ha inviato una lettera al presidente di Villa Lubin Tiziano Treu - pubblicata da LabParlamento - informandolo "dell'intendimento di proporre il cons. Paolo Peluffo per la nomina a Segretario generale" dell'organo costituzionale. Dopo la scampata abolizione con la vittoria del No al referendum che ha bocciato la riforma Boschi, il Consiglio si rimette quindi a nuovo nel giro di pochi mesi.
Ma il nuovo look non piace affatto al centrodestra né ad alcuni esponenti del mondo imprenditoriale che, insieme a quello del lavoro, delle categorie e delle libere professioni, forma il Consiglio. La notizia della nomina di Peluffo da diversi giorni gira nei Palazzi e c'è chi, annusata la nomina, ha subito storto il naso perché si tratta pur sempre di una scelta fatta "a Camere sciolte" da parte di un governo dimissionario se non nella forma (Gentiloni non ha mai rassegnato le dimissioni ma ha dichiarato "esaurito" il suo mandato) almeno nella sostanza. Come Daniele Capezzone, esponente della "quarta gamba" di Noi con l'Italia: "Se non parlassimo di cose serie, ci sarebbe perfino da sorridere. Un governo in articulo mortis pronto a nominare, occupare, lottizzare il Cnel (che voleva abolire). Spero sia uno scherzo, un pesce d'aprile anticipato...".
Anche la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, qualche giorno fa, aveva lanciato sottili moniti contro la scelta che Palazzo Chigi si appresta a fare: "Dopo le nomine scandalose del Consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato, gira voce che il Governo stia per nominare i nuovi vertici del Cnel, lo stesso Cnel che Renzi e il Pd volevano abolire perché ritenuto inutile e che ora si trasforma in un prezioso strumento di abolizione del potere". Meloni annuncia quindi battaglia: "Se è vero, a Camere sciolte e con un governo in carica solo per l'ordinaria amministrazione sarebbe un'altra dimostrazione del disprezzo che questa gente nutre verso le istituzioni e i cittadini. Speriamo sia solo una diceria, perché se fosse vero lo denunceremmo a ogni livello possibile".
Come detto, ci sono anche le proteste delle imprese riunite in Confimprenditori, l'unica associazione datoriale che si era schierata per il No al referendum del 4 dicembre 2016. "In queste ore - si legge in una nota - sta emergendo come il governo Gentiloni, in carica solo per l'ordinaria amministrazione, si stia affrettando a nominare un nuovo segretario generale dell'ente di Palazzo Lubin". L'associazione critica anche il decreto di rinnovo per il quinquennio 2017-2022: "Il governo si sta preparando a respingere i 19 ricorsi presentati dagli esclusi del nuovo consiglio del Cnel - nominato per cooptazione con criteri di assoluto arbitrio - per blindare le nomine attuali", puntando il dito contro la "selvaggia lottizzazione".
La nomina di Peluffo riporta così il Cnel al centro dell'agone proprio mentre inizia la campagna elettorale. Allievo della Normale di Pisa, ex giornalista del Messaggero, pur non avendo mai legato la sua figura ad un partito politico gode di un cursus honorum di tutto rispetto: diventa, a soli 29 anni Capo ufficio stampa del Governo Ciampi nell'aprile del 1993, nel dicembre del '98 viene nominato dirigente generale al ministero dell'Economia. Pochi mesi dopo ottiene l'incarico di Consigliere per la Stampa e l'Informazione del Presidente della Repubblica, sempre con Carlo Azeglio Ciampi. A marzo del 2006, ancora, approda alla Corte dei Conti come consigliere. Nel 2011 è consulente per Palazzo Chigi per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia e infine viene scelto da Mario Monti come sottosegretario alle Comunicazioni e poi, dopo le dimissioni di Malinconico, anche all'Editoria nel Governo tecnico dopo la crisi dello spread.
Ultimo appunto sulle peripezie del Cnel: l'ente considerato inutile dalla maggioranza uscente e dal Pd in particolare si era adoperato con un ricorso contro il Governo perché lasciato dal 2015 senza "diritto al rimborso delle spese per la partecipazione alle riunioni e all'indennità". Ragione che aveva indotto diversi consiglieri "fuori sede" a dimettersi. Ma con l'ultima legge di Bilancio il Cnel è stato accontentato grazie a una norma che autorizza rimborsi viaggi per i membri, ovviamente con le risorse del budget a disposizione per il funzionamento dell'ente. La norma che ha accolto le richieste dei membri del Consiglio è stata presentata dal Partito Democratico.

L’albero dai 40 frutti di Sam Van Aken. - Laura Cannarella

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Il risultato del progetto The Tree of 40 Fruit dell’artista-agricoltore americano Sam Van Aken è un’opera d’arte che è sia un museo vivente che un esperimento di botanica fuori dall’ordinario: “l’Albero dai 40 frutti”.
L’incredibile albero capace di produrre quaranta diversi tipi di frutta a nocciolo, tra cui pesche, prugne, albicocche, nettarine, ciliegie e mandorle, è stato realizzato senza interventi genetici ma esclusivamente tramite una lunga serie di innesti.

Albero dai 40 frutti Sam Van Aken
La sua incredibile storia non è solo la realizzazione di una scommessa di un eclettico artista dal pollice verde ma è il frutto del salvataggio di alcune varietà native di frutti con nocciolo in pericolo, alcune delle quali avevano alle spalle una storia di più di 150 anni.
Un antico frutteto da salvare
Nel 2008 Sam Van Aken, professore d’arte alla Syracuse University, era alla ricerca di esemplari per creare un albero in fiore a più colori per un progetto artistico e ha deciso di acquisire un antico frutteto urbano di 3 acri dalla Experiment Station di New York State Agricultural che stava per chiudere e salvare così centinaia di varietà autoctone di alberi da frutta con nocciolo dalla storia centenaria dal rischio di andare perdute per sempre.
Quaranta frutti in un unico albero.
Dopo 5 anni, diversi tentativi e fallimenti, l’albero dai 40 frutti è diventato realtà!
Van Aken, figlio di agricoltori con ottime conoscenza di botanica, ha lavorato su 250 diverse specie di frutti con nocciolo e ne ha selezionate solo qualche decina.
Il primo abbozzo per l’albero dai 40 frutti era una sorta di tabella con l’analisi dei tempi di fioritura e di maturazione delle drupacee per poter programmare con precisione unacatena di innesti su un singolo albero da frutto, con tecniche complesse come quella del sovrainnesto, chiamata “chip-budding”, per consentire di far germogliare sui rami diverse gemme di differenti varietà.
Si parte prendendo un pezzo di un albero da frutto che includa delle gemme e viene inserita in una incisione corrispondente in un albero ospite che abbia almeno tre anni.
Albero dai 40 frutti Sam Van Aken fioritura

Da tavolozza di colori a frutteto in miniatura

In primavera l’Albero dai 40 frutti fiorisce in molte tonalità di bianco, rosa e viola e in estate comincia a dare frutti in successione e ha inizio la raccolta di decine di varietà di frutta: prugne, pesche, noci, albicocche, ciliegie, mandorle.
L’agenda perfettamente sincronizzata da Van Aken permette che venga prodotta una corretta quantità di frutti, con la giusta alternanza e senza esagerare, per variare spesso e contenere gli sprechi.
Albero dai 40 frutti Sam Van Aken raccolta frutti

Non uno ma tanti “alberi dai 40 frutti”

Non esiste un solo albero ma più di una decina di “alberi dai 40 frutti” ibridati da Sam Van Aken e innestati in diversi luoghi degli Stati Uniti; ogni albero è adatto all’ambiente in cui è stato piantato perché innestato con varietà locali.
16 esemplari creati finora sono conservati presso vari musei, istituzioni e collezioni d’arte con l’obiettivo di prolungare la discendenza di specie di drupacee che non rispondono alle leggi commerciali della grande distribuzione e che altrimenti sparirebbero.