sabato 6 aprile 2019

TrigonomeTria. - Marco Travaglio



Ottimisti come siamo, confidiamo di vivere abbastanza per conoscere, dopo i segreti di Fatima e quelli del Dna, anche i misteri della fossa delle Marianne, dello Yeti e degli Ufo. Ma già sappiamo che mai verremo a capo dell’enigma degli enigmi: chi ha piazzato Giovanni Tria al ministero dell’Economia, e perché? Ma soprattutto: come mai Tria si ostina a restarci, visto che gli stanno tutti sulle palle e lui sta sulle palle a tutti? Inizialmente pareva fosse uscito dai laboratori del Quirinale, inesauribile fabbrica di ministri economici “tecnici” (Dini, Ciampi, Amato, Siniscalco, Monti, Grilli, Saccomanni, Padoan). Il che però confliggeva con la vulgata parallela: che l’avesse indicato Paolo Savona, indicato in quel ministero e poi depennato (per motivi ancora imperscrutabili) da Mattarella. In teoria quella casella toccava alla Lega, ma anche questo si stenta a crederlo, visto che Tria fa di tutto per far incazzare non solo i 5Stelle, ma pure i leghisti. Del resto, col Carroccio c’entra come i cavoli a merenda: prof a Tor Vergata, già coautore dei libri di Brunetta, membro della Fondazione Craxi e firma del Foglio, per menzionare solo i suoi meriti. Gli esordi già dicevano tutto del personaggio. Al ministero confermò tutti i boiardi di Padoan: non male per un “governo del cambiamento”. In Europa garantì subito – chissà perché e a nome di chi – un deficit-Pil all’1,6%, ben sapendo che sarebbe bastato per evitare l’aumento dell’Iva e niente Reddito né Quota 100. Poi tornò a Bruxelles con un “ops, volevo dire 2,4%”, dimostrando che la sua parola vale zero. Alla fine ci volle Conte per rimediare al disastro, spuntando un 2,04 senza procedura d’infrazione.
Intanto il ministro venuto da Marte diventava il beniamino delle opposizioni, che lo scambiavano per uno di loro, e l’idolo dei giornaloni, che gareggiavano a dipingerlo come una specie di Quintino Sella redivivo, chino sulla stabilità dei conti e sul rigore finanziario, “garante”, “argine”, “baluardo”, “diga” contro gli spendaccioni “populisti” che l’avevano scelto, una larva umana sempre sull’orlo delle dimissioni per le sevizie infertegli da quegli energumeni di Salvini e Di Maio, che lo tengono sequestrato da nove mesi a pane e acqua bullizzandolo nelle segrete di Via XX Settembre. I due vicepremier sono contro l’aumento dell’Iva? Lui è pro. Il M5S è anti Tav e pro Reddito di cittadinanza? Lui è pro Tav e anti Rdc. Salvini e Di Maio sono pro Quota 100? Lui è anti. Di Maio vuol salvare Alitalia col soccorso di Fs? Lui è contro. Di Maio e Salvini vogliono risarcire i truffati dalle banche? Lui non firma il decreto.
E ringrazia col bicchiere alzato il capo dell’Ocse che ha appena demolito Rdc e Quota 100. Un genio. Eppure, forse per ordine del medico o del confessore, resta lì. Intanto si scopre che, più che dei due vicepremier, Tria è ostaggio di Claudia Bugno, una virago amica di sua moglie che in teoria è solo una consulente, ma in realtà troneggia nell’ufficio accanto al suo, parla a suo nome, decide nomine, fa cazziatoni e scatena le proteste dei capi delle aziende di Stato. Il bello è che questa iradiddio vanta un curriculum in cui ogni singola voce è incompatibile col governo giallo-verde e alcune anche con qualsiasi altro governo, a causa di molteplici conflitti d’interessi reali e/o potenziali. Paracadutata al Mise da Scajola, fu spinta da Renzi nel Comitato Olimpico con Malagò e Montezemolo: ora il Mef si occupa dei fondi alle Olimpiadi di Milano e Cortina. Montezemolo se la portò in Alitalia come dirigente: ora il Mef ostacola il salvataggio Alitalia. Era nel Cda di Etruria con papà Boschi ed è stata multata da Bankitalia per non aver vigilato e citata per danni dal liquidatore: ora il Mef blocca i risarcimenti ai truffati. La Tinextra Spa diretta dal suo compagno Pier Andrea Chevallard ha assunto il figliastro di Tria, Nicolò Ciapetti, due mesi dopo che Tria l’aveva promossa al Mef per 74 mila euro l’anno. Non contento, Tria vuole pure piazzarla nel board di Stm a 94 mila euro l’anno, o all’Agenzia Spaziale, a 21 mila. E le opposizioni, anziché chiedere conto, si schierano col ministro vaneggiando di “volontà coartata” (Mulè, FI), “macchina del fango” (Fornaro, Articolo 1), “metodo Boffo” (Borghi, Pd, ignaro della sentenza sulle molestie di Boffo). E i giornaloni, anziché raccontare i conflitti d’interessi, blaterano di “complotti”, “dossier”, “spionaggi” e se la prendono con gli unici giornali che raccontano i fatti (la Verità e il Fatto).
“Bersaglio Tria” (Repubblica)“Tria: spazzatura contro di me. Ma l’intimidazione non passa” (Corriere), “Chi ha intimidito Giovanni Tria? C’è grande interesse sul privato del ministro, su collaboratori, attività professionali e inclinazioni politiche, col risultato di ‘normalizzare’ il Tesoro” (Huffington Post). Come se a doversi giustificare fosse chi dà le notizie, non chi le nasconde. Tria intanto invoca “la privacy” (come se fossero uscite notizie sulle sue tendenze sessuali o la sua salute) e lancia oscuri messaggi tramite il suo intervistatore preferito, Federico Fubini del Corriere che gabella lo scandalo per un “assalto per indebolire” l’eroico ministro “e magari renderlo più malleabile”: tipo pretendere che rispetti il programma del suo governo o si cerchi un altro governo con un altro programma. A certe panzane finisce per credere persino Tria, convinto di essere indispensabile: “Se andassi via dovremmo vedere quale sarebbe la reazione dei mercati”. Ora, i “mercati” han reagito maluccio anche con lui e si farebbero una ragione dell’arrivo di un altro. Qualcuno dovrebbe spiegargli col dovuto tatto che, quando c’è uno scandalo, un ministro o spiega o se ne va. Tantopiù che non fa nemmeno capoluogo.

Pensioni, come cambia l’adeguamento al costo della vita: taglio delle rivalutazioni inferiore a quelli degli ultimi governi. - Chiara Brusini

Pensioni, come cambia l’adeguamento al costo della vita: taglio delle rivalutazioni inferiore a quelli degli ultimi governi

Per i pensionati con gli assegni più bassi, fino a 1.539 euro lordi, non cambierà nulla. Gli altri riceveranno qualche euro in più rispetto alle cifre incassate negli ultimi sette anni. Mentre subiranno un piccolo taglio rispetto agli aumenti previsti dalla legge che sarebbe tornata in vigore l’anno prossimo se non ci fossero stati interventi. Con un’eccezione: chi prende tra i 1.539 e i 2.052 euro lordi avrà comunque un mini vantaggio. Sarà questo l’effetto del “raffreddamento” dell’indicizzazione delle pensioni inserito nel maxi emendamento del governo alla manovra che ha appena ottenuto il via libera definitivo della Camera. A conti fatti il nuovo schema di rivalutazione per il triennio 2019-2021, contro il quale si sono già mobilitati i sindacati, è più generoso rispetto a quelli adottati a partire dal 2011.

Il punto di partenza è che la legge di Bilancio per il 2019 non interviene su una situazione di completo adeguamento degli assegni previdenziali all’aumento del costo della vita. Anzi: fin dagli anni Novanta la perequazione di quelli superiori a tre volte il minimo non è piena e nel dicembre 2011 è stata completamente congelata dal Salva Italia del governo Monti. Dal 2014, con Letta, è tornata in forma parziale e quel regime è stato prorogato fino a fine 2018 dal governo Renzi (vedi tabella). L’anno prossimo, senza interventi, sarebbe tornata in vigore la legge 388 del 2000 che prevedeva comunque una perequazione piena, pari all’1,1% dell’assegno, solo per quelli inferiori a tre volte il minimo. Cioè 1.539 euro, visto che nel 2019 (al netto delle pensioni di cittadinanza prossime venture) il minimo sale a 513 euro. Gli assegni tra tre e cinque volte il minimo (da 1.539 a 2.565 euro) sarebbero stati rivalutati solo di uno 0,99% e quelli oltre cinque volte il minimo di uno 0,825%.

L’adeguamento diventa più progressivo: sette scaglioni – La manovra appena varata modifica quel meccanismo rendendo più progressivo l’adeguamento, che sarà differenziato in base a sette scaglioni. Fino a tre volte il minimo nulla cambia: la rivalutazione sarà piena e pari all’1,1%, percentuale fissata da un decreto del Tesoro. Tra tre e quattro volte il minimo la rivalutazione sarà pari al 97% dell’indicizzazione piena. Vale a dire che ci sarà un aumento dell’1,067%: poco più di 19 euro al mese per chi ne riceve 1.800 lordi. Se fosse tornata in vigore la legge del 2000, l’incremento per questa fascia si sarebbe invece fermato allo 0,99%, meno di 18 euro. Questi assegni, che stando alla Relazione tecnica della legge di Bilancio costituiscono il 18,7% del monte pensioni complessivo, saranno quindi incrementati più di quanto prevedeva il quadro a legislazione vigente.






Al contrario, oltre i 2.052 euro lordi la rivalutazione sarà meno generosa rispetto a quanto previsto dalla legge del 2000, anche se l’indicizzazione resta superiore a quella riconosciuta fino al 2018. Per le pensioni tra le quattro e le cinque volte il minimo la rivalutazione sarà infatti dello 0,847%: il 77% di quella piena, contro il 90% previsto dalla manovra 2001 e il 75% applicato fino all’anno scorso. Per la fascia successiva (tra cinque e sei volte il minimo, cioè da 2.565 a 3.078 euro) l’indicizzazione sarà riconosciuta al 52%, pari a un aumento dello 0,572%, anche in questo caso superiore a quello del 2018 e inferiore a quello previsto dalla legge del 2000.
Tagli di 25 euro solo per chi prende oltre 10 volte il minimo – Per i trattamenti superiori a sei volte il minimo le norme precedenti non facevano distinzioni: con lo “schema Letta” tutti gli assegni erano indicizzati al 40% mentre con il ritorno in vigore della 388/2000 l’indicizzazione sarebbe stata riconosciuta al 75%. La manovra prevede invece una riduzione progressiva del beneficio: 47% (cioè aumenti dello 0,517%) fino a otto volte il minimo, 45% (con aumenti dello 0,495%) tra otto e nove volte e 40% (pari a un incremento dello 0,44%) oltre nove volte il minimo, 4.617 euro lordi. Il taglio, rispetto alla normativa precedente, supererà i 25 euro al mese solo per chi riceve un assegno oltre 10 volte il minimo. Come chiarito dall’Inps, comunque, gli effetti non si vedranno sugli assegni di gennaio, che sono già stati calcolati in base alla legge 388: una circolare disciplinerà in seguito le modalità e i tempi per i conguagli.

Le tappe: dal 1996 indicizzazione piena solo agli assegni più bassi – Fin dal 1996 l’indicizzazione piena è stata riconosciuta solo alle pensioni più basse: in particolare fino al Duemila solo gli assegni non superiori a due volte il minimo venivano aumentati di anno in anno tenendo conto pienamente dell’aumento del costo della vita e quelli oltre otto volte il minimo erano congelati. Poi, fino al 2008, il 100% di rivalutazione è stato garantito a quelli fino a tre volte il minimo. Da quell’anno il sistema è diventato più generoso, con un ampliamento dell’indicizzazione completa ai trattamenti fino a cinque volte il minimo e il riconoscimento di un 75% di rivalutazione alle pensioni oltre quella soglia. A fine 2011 il governo Monti con il decreto salva Italia (riforma Fornero) ha azzerato per gli anni 2012 e 2013 la perequazione delle pensioni di importo superiore a tre volte il minimo. Nel 2013 il governo Letta ha previsto un sistema a cinque scaglioni con indicizzazione del 95% per gli assegni tra tre e quattro volte il minimo, del 75% tra quattro e cinque volte il minimo, del 50% tra cinque e sei volte il minimo e del 40% (45% nel 2015 e 2016) oltre sei volte il minimo. Il governo Renzi ha prorogato lo schema Letta al 2017 e 2018. Il prossimo anno sarebbe dovuta tornare in vigore la legge del 2000.
Nel frattempo, ad aprile 2015 la Corte costituzionale ha bocciato il blocco della riforma Fornero e l’esecutivo Renzi con il decreto Poletti ha rimediato concedendo ai pensionati solo un rimborso parziale dei soldi persi a causa della mancata rivalutazione. La Consulta ha rigettato i ricorsi contro il decreto ritenendo che abbia realizzato “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica“.

Pensioni tagliate...ne vogliamo parlare? Sara Paglini ci spiega ciò che è successo in realtà.

L'immagine può contenere: 1 persona, persona seduta e cappello

Si sa il Pd, per i pensionati, ha sempre avuto un occhio di riguardo. Tipo quando votò il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, senza la piena rivalutazione per l’inflazione.

Vediamo nel dettaglio cosa votarono questi paladini dei pensionati. 
Tra 2012 e 2013, col blocco totale per le pensioni superiori a tre volte il minimo (dai 1500 euro in su), chi prendeva ogni mese 1600 euro lordi ne perdeva 500-600 l’anno; chi percepiva 2100 euro ne perdeva 1500; chi aveva 2600 euro ne perdeva 1800.

Nel 2015 la Consulta bocciò la legge in quanto incostituzionale e ordinò al governo di restituire la refurtiva. Intanto, ai 5,5 milioni di pensionati, erano stati rapinati 8-9 miliardi di euro.
Ricordo come ora le giornate passate in aula a combattere contro questi scippatori seriali !!!

Renzi , creatura,.......ne rimborsò appena 2,2 ed ebbe pure la spudoratezza di chiamare quella mancia “bonus Poletti”:
come se quello non fosse un furto con destrezza, ma addirittura un gentile omaggio. 
La SPUDORATEZZA NON HA MAI FINE PER QUESTI PERSONAGGI ! 

Intanto nel 2014 il governo Letta aveva fatto altri danni: un sistema di perequazioni in cinque fasce, che lasciava quasi intatta la rivalutazione delle pensioni fino al quadruplo della minima, mentre tagliava del 25% la rivalutazione per quelle sopra i 2000 euro lordi e del 50% oltre i 2500. I governi Renzi e Gentiloni prorogarono quel blocco fino al 1° gennaio 2019, lasciando la patata bollente ai successori.

SE per caso vedete le vostre pensioni che OGGI sono assottigliate per cortesia chiedete a MONTI , FORNERO , PD, FI , RENZI , LETTA ECCECC ECC DI darvi il maltolto !

Io lo chiesi in aula forte e chiaro e con me tutto il Movimento 5 STELLE già a suo tempo già dal 2015 .
Ma.... COMANDAVANO LORO !
E questi sono i risultati . 

Con l’attuale governo ci saranno dei tagli da giugno SI !!!! E SOLO a chi percepisce pensioni al di sopra di 4569,00 euro al MESE ! 
E ne sono FELICE !
Perché saranno i contributi che serviranno per aumentare le pensioni minime da 485 euro a 780,00 euro 
E NE SONO FELICE !

Ecco e adesso ... se siete arrivati fino a qua con la lettura ... mi RACCOMANDO ... CONTINUATE A CREDERE A QUESTI FARABUTTI !!!! 

E magari rivotateli alle Europee che vi tolgono quello che ancora non erano riusciti a togliervi !👍🏼
Ahhhh DIMENTICAVO !!! Il PD (ddl Zanda) chiede di AUMENTARE GLI STIPENDI DEI PARLAMENTARI 😂 lo sapevate ? 


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Il Codice Normale - Marco Travaglio

Risultati immagini per condannati ma liberi

L’altro giorno abbiamo provato a immaginare quanti voti guadagnano i “populisti” fra quanti leggono di Gueladje Koulibaly, immigrato clandestino dalla Guinea, con precedenti per violenza, resistenza e una molotov, che dovrebbe già essere stato rimpatriato o almeno ristretto in un Cara in attesa dell’espulsione decretata da mesi dal questore; invece nessuno lo cerca, lui resta a piede libero e tenta di stuprare una diciottenne a Torino, nel parco del Valentino. 
Oggi ci poniamo la stessa domanda per un’altra notizia, ancor più grave, sempre da Torino: quella di Said Mechaquat, marocchino con cittadinanza italiana, che il 23 febbraio ha sgozzato il giovane Stefano Leo scambiandolo per un ex rivale in amore, ma quel giorno avrebbe dovuto essere in carcere o ai domiciliari o ai servizi sociali (dal 9 maggio 2018, e per una condanna del 2016!) a scontare una condanna di 1 anno e 8 mesi senza condizionale per maltrattamenti alla consorte, invece era libero per i soliti ritardi nell’esecuzione della pena. 
Ieri il procuratore generale Edoardo Barelli s’è scusato (per quel che può valere) con i familiari della vittima e ha spiegato che il caso di Said è tutt’altro che isolato: soltanto nella civilissima Torino, ci sono circa 15 mila sentenze definitive emesse dal 2016 a oggi su almeno altrettanti criminali che attendono di essere eseguite per la cronica assenza di personale (giudici, cancellieri, segretari, agenti). Figurarsi quanti sono in tutto il resto d’Italia. Non tutti i condannati, al momento dell’esecuzione, finiscono in cella, anzi solo una minima parte.
In Italia, grazie alla legge Gozzini e alla stratificazione di infinite norme svuotacarceri (l’ultima, del ministro Orlando, l’ha fortunatamente cancellata Bonafede), chi deve scontare una pena complessiva o residua fino a 3 anni (in certi casi 4), la galera non la vede neppure in cartolina. 
Dunque anche Said probabilmente sarebbe finito in qualche ospizio o ente benefico, tipo B. a Cesano Boscone. Ma ci sono pure i condannati “over 3” (o 4) che un po’ di carcere devono farselo per forza. Bene, anzi male: quando finalmente lo Stato, zigzagando fra gradi e fasi di giudizio, prescrizioni, amnistie, condoni, indulti, scappatoie e cavilli vari, dopo anni e anni, con enorme dispendio di soldi, uomini, strutture ed energie, riesce finalmente ad assicurare alla giustizia un colpevole, manca il personale per l’ultimo tratto di strada da casa alle patrie galere. Decine di migliaia di potenziali galeotti, molto pericolosi visto che le loro condanne superano i 4 anni, circolano indisturbati fra noi, pronti a riprendere l’attività criminale.
Il che rende tragicamente ridicoli gli alti lai che a cadenza regolare si levano dai pulpiti “garantisti” sul “sovraffollamento carcerario” per i “troppi detenuti” e le “poche pene alternative”. Panzana che fa il paio con un’altra, già smentita dagli studi criminologici più seri: che il tasso di recidiva aumenti per chi sconta la condanna in carcere e diminuisca per chi resta a piede libero (con tanti saluti a Cesare Beccaria, gran sostenitore della certezza della pena). La verità è che l’Italia ha meno detenuti in rapporto alla media europea e soprattutto in rapporto al numero di criminali in circolazione (essendo l’unico Paese d’Europa con tre regioni controllate militarmente dalle mafie e col record di corruzione ed evasione fiscale). Chi pensa che gli attuali 60 mila detenuti siano troppi finge di ignorare che, alla luce delle sentenze ineseguite, dovrebbero essere il doppio. E, se non lo sono, è solo perché il sistema non funziona. 
Il che rende paradossale la solita ricetta di aprire le galere per far uscire un po’ di delinquenti, con l’ennesimo indulto, amnistia, svuotacarceri per mandare lorsignori a scontare la pena a casa propria o in qualche istituto, dove poi manca il personale per controllare che rispettino gli obblighi e non tornino a delinquere.

Le anime belle hanno criticato uno dei punti più sacrosanti del programma giallo-verde: quello di costruire nuove carceri. Queste consentirebbero ai detenuti di vivere in spazi più civili e allo Stato di adeguare i posti-cella a un fabbisogno destinato a crescere nel caso di anche minimi recuperi di efficienza della macchina giudiziaria. Carceri che si potrebbero ricavare non solo edificando nuove strutture, ma anche riadattando (per i detenuti meno pericolosi) le caserme in disuso. Ma non basta: oltre ai passi già compiuti da Bonafede (blocca-prescrizione, Anticorruzione, esclusione dei reati da ergastolo dal rito abbreviato e dai relativi sconti di pena), è in cantiere la riforma del Codice di procedura penale. L’occasione giusta per sfrondarlo da assurde scappatoie fatte apposta per regalare l’impunità ai colpevoli. L’altro giorno Giulia Ligresti ha ottenuto dalla Corte d’appello di Milano la revisione della pena di 2 anni e 8 mesi, più sequestro di azioni e immobili per circa 15 milioni, da lei stessa patteggiata a Torino per aggiotaggio e falso in bilancio. Avete mai visto un innocente che patteggia 32 mesi di galera e il sequestro di 15 milioni? Evidentemente era innocente a sua insaputa. Eppure in Italia è possibile anche questo: concordi una pena, non la impugni (perché si può pure patteggiare e poi ricorrere in appello e in Cassazione), la rendi definitiva; poi si scopre che il Tribunale dove hai patteggiato non era competente e i processi a te e agli altri ripartono altrove da zero con risultati opposti; il tuo patteggiamento diventa carta straccia; e ti ritrovi pure beatificato dai giornali come un martire sul calvario e la vittima di un errore giudiziario cui hai concorso anche tu. È populismo indignarsi per le baggianate che rendono ridicola la Giustizia? Se lo è, ci iscriviamo subito. Ma preferiamo chiamarlo buonsenso.

Scoperto il frammento di un pianeta 'sopravvissuto'.


Rappresentazione artistica del frammento del pianeta sopravvissuto alla morte della sua stella e della scia di gas che continua a lasciare dietro di sé (fonte: University of Warwick/Mark Garlick).


Fatto di ferro, è scampato alla morte della sua stella.


E' 'sopravvissuto' a una catastrofe e continua a vagare in una sorta di 'cimitero' cosmico lasciandosi alle spalle una scia di gas: è il frammento di un pianeta scampato alla morte della sua stella e ricchissimo di metalli pesanti. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science e finanziata dal Consiglio Europeo della Ricerca (Erc), si deve al gruppo internazionale coordinato dall'università britannica di Warwick, al quale ha partecipato l'Italia, con l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).
Il frammento del pianeta, osservato utilizzando il Gran Telescopio Canarias, si trova a 410 anni luce dalla Terra ed è sfuggito al cataclisma seguito alla morte della sua stella, una nana bianca chiamata SDSS J122859.93+104032.9. A rendere ancor più sorprendente la sua sopravvivenza è la sua orbita: così vicina alla sua stella da compiere una rivoluzione ogni due ore. La scoperta è stata possibile grazie a una tecnica di analisi spettroscopica che ha permesso di identificare la scia di gas lasciata dal pianeta e le variazioni nella luce emessa dal sistema. E' la prima volta che si scopre in questo modo un corpo solido in orbita attorno a una nana bianca.
"La stella doveva essere grande due volte la massa del Sole, ma ora è una nana bianca con una massa pari al 70% di quella solare", osserva il coordinatore della ricerca, Christopher Manser. Gli astronomi hanno calcolato che il diametro del frammento dovrebbe essere di almeno un chilometro. "Le nane bianche sono ciò che resta di stelle come il nostro Sole, una volta che hanno esaurito tutto il loro combustibile e disperso i loro strati esterni", spiega Melania Del Santo, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell'Inaf (Iasf-Inaf) di Palermo.
"Quando le stelle  invecchiano, diventano giganti rosse e, crescendo, spazzano via buona parte del loro sistema planetario, lasciandosi alle spalle solo un nucleo denso: una nana bianca", prosegue la ricercatrice. Anche il Sole si espanderà fino a raggiungere l'orbita della Terra, inglobando Mercurio, Venere.
Quello che resta del pianeta sopravvissuto "orbita vicinissimo alla stella, molto al di là del limite oltre cui pensavamo che non ci fosse più alcunché. L'unica spiegazione è che debba trattarsi di un oggetto molto denso. Pensiamo sia composto in gran parte di ferro e nichel", aggiunge uno dei ricercatori, Boris Gaensicke. 

Soldi per l’Africa sui conti privati: il cognato di Renzi verso il processo. - Gerardo Adinolfi



Una querela dagli Usa e la legge anticorruzione hanno sbloccato l’ inchiesta della procura di Firenze sui fondi destinati ai bambini africani che invece, per l’ accusa, sarebbero finiti sui conti correnti privati di Alessandro Conticini e poi riciclati per l’ acquisto di case e quote societarie. I pm Giuseppina Mione e Luca Turco ieri hanno chiuso l’ inchiesta che vede indagati per appropriazione indebita e riciclaggio Alessandro e Luca Conticini, e per riciclaggio Andrea Conticini, cognato dell’ ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. I tre, ora, rischiano il processo. Il loro avvocato Federico Bagattini in passato ha sempre respinto le accuse.

Ma secondo la procura di Firenze i Conticini si sono appropriati di 6,6 milioni di dollari donati dall’ Unicef, dalla Fondazione Pulitzer e da altri enti benefici internazionali alla Play Therapy Africa e ad altre due organizzazioni no profit create e gestite da Andrea Conticini per l’ assistenza all’ infanzia in Africa. Mentre quei soldi, parte di 10 milioni di dollari di donazioni ricevuti tra il 2009 e il 2016, sarebbero stati utilizzati per un investimento immobiliare in Portogallo da 2 milioni di euro, e per l’ acquisto di quote di società della Eventi6, la società di famiglia dei Renzi, e della Quality Press Italy e della Dot Media, l’ azienda fiorentina nota per aver gestito la convention della Leopolda.

Alla Eventi6, secondo quanto ricostruito dalla guardia di finanza, sono arrivati tra il febbraio e il marzo 2011 187.900 mila euro. Alla Quality press Italy 158 mila euro e alla Dot Media, nota per aver gestito le convention della Leopolda, 4 mila euro. Invece in Africa, per la procura, sarebbero arrivati a scopi umanitari solo 2,8 milioni di dollari. Che fine ha fatto la maggior parte delle donazioni?

Secondo la procura una parte dei 10 milioni di dollari è stata legittimamente utilizzata per pagare i compensi di Alessandro Conticini, della moglie e dei collaboratori. Ma oltre 6,6 milioni sarebbero transitati sul conto privato di Conticini attivato alla Cassa di Risparmio di Rimini con il denaro poi impiegato per vari investimenti. Oltre agli immobili in Portogallo c’ è la sottoscrizione di un prestito obbligazionario emesso dalla società ” Red Friar Private Equity Limited Guernsey” di circa 798 mila euro.

 L’ inchiesta, nata nell’ aprile 2018, ha rischiato lo stop quando il governo Gentiloni ha cambiato le norme sulla procedibilità dell’ appropriazione indebita passata da ufficio a querela di parte. In estate la procura tramite rogatorie internazionali ha chiesto alle organizzazioni benefiche se volessero sporgere querela. L’ Unicef, che tra il 2008 e il 2013 ha donato 3,8 milioni di dollari alle no profit di Conticini, non ha risposto e a ottobre ha spiegato che « le somme erano il corrispettivo di regolari contratti in diversi paesi del mondo».

A gennaio ha presentato invece querela Operation Usa, che tramite la Fondazione Pulitzer ha donato oltre 5,5 milioni di dollari tra il 2009 e il 2016. Nello stesso mese è entrata in vigore anche la nuova legge anticorruzione che ha cambiato di nuovo la procedibilità dell’ appropriazione indebita: se è aggravata, non serve la querela di parte. Così l’ indagine ha avuto un nuovo impulso.

Durante l’ inchiesta la procura aveva convocato i fratelli Conticini per essere interrogati. «Ma quando ci hanno mandato l’ avviso i fatti contestati erano diversi da quelli richiesti per l’ interrogatorio»,spiegava negli scorsi mesi l’ avvocato Bagattini. Ora gli indagati hanno facoltà di chiedere l’ interrogatorio.

https://infosannio.wordpress.com/2019/04/05/soldi-per-lafrica-sui-conti-privati-il-cognato-di-renzi-verso-il-processo/?fbclid=IwAR3RtRRlJhNlOK69kr_JfSnxtoJWAb2IcpC1n1PTiWKWwC1w9XSDnYNaWjQ

venerdì 5 aprile 2019

Sardegna, il nuovo assessore al bilancio Fasolino pignorato 1 anno fa da Equitalia: 425mila euro per contributi non versati.

Sardegna, il nuovo assessore al bilancio Fasolino pignorato 1 anno fa da Equitalia: 425mila euro per contributi non versati

Debito accumulato tra il 2009 e il 2017. La Nuova Sardegna nel luglio scorso raccontava: "Si va dalle mancate dichiarazioni dei redditi all’Irpef non versata per le società commerciali di cui era responsabile". Lui ammetteva: "Ma si tratta di vicende private". Oggi la nomina nella squadra di Solinas.

Un assessore regionale al bilancio a cui un anno fa Equitalia ha imposto un pignoramento di 425mila euro, con decurtazione dello stipendio. La regione è la Sardegna, con il neoeletto presidente Christian Solinas dopo la vittoria del centrodestra alle regionali di febbraio. L’assessore è Giuseppe Fasolino, esponente di Forza Italia che avrà la delega a programmazione, bilancio e assetto del territorio. Nato a Sassari, Fasolino è un politico con due mandati da sindaco di Golfo Aranci, un’esperienza nel consiglio provinciale di Olbia-Tempio e poi un mandato da consigliere regionale nella passata legislatura. Proprio sul finire di quell’esperienza, prima dell’inizio della campagna elettorale, La Nuova Sardegna ha reso pubblica la vicenda del pignoramento a suo carico.
Dal 2009 al 2017 ha accumulato un debito per 425mila euro e, dopo l’avviso per lettera, nel mese di luglio 2018 Equitalia ha fatto scattare – appunto – il pignoramento dello stipendio di consigliere regionale, tagliando larga parte dell’indennità mensile da lui percepita. “L’elenco di tributi non versati – scriveva La Nuova Sardegna il 21 luglio scorso – è lungo e articolato. Si va dalle mancate dichiarazioni dei redditi all’Irpef non versata per le società commerciali di cui Fasolino era responsabile (attualmente gestisce un ristorante), sino ai bolli auto e alle multe per infrazioni del codice della strada”.
Nello stesso articolo si dava conto dell’ammissione di Fasolino, che bollava però la vicenda come privata, specificando che non avesse nulla a che vedere con la sua attività politica. Poi aggiungeva: “Contrarre un debito con l’Agenzia delle Entrate è, purtroppo, una situazione molto frequente di questi tempi, perché il sistema, ad ogni minimo errore o dimenticanza, vessa il contribuente. Ma poiché è un debito lo pagherò nella forma e nei modi che vengono imposti”. Oggi, a distanza di 9 mesi, Fasolino diventa assessore regionale al Bilancio.