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mercoledì 19 aprile 2023

IL GOVERNO MELONI TAGLIA LE PENSIONI PER FINANZIARE LA GUERRA. - Liliana Gorini

 

Negli ultimi giorni è circolato ampiamente un video che mostra un treno che trasporta carri armati in transito alla stazione di Udine, e destinati all’Ucraina. Alcune organizzazioni pacifiste hanno protestato affermando che il governo approfitta dello sciopero dei treni per mandare armi all’Ucraina. Di fronte alle numerose proteste, il ministero della Difesa ha confermato che si trattava di obici destinati all’Ucraina, sostenendo tuttavia che sono “mezzi dismessi dal nostro esercito” e che verranno riparati dalle forze di Kiev. Magari con qualche proiettile a uranio impoverito fornito dai britannici? La Difesa ha aggiunto che l’accordo era stato preso col precedente governo Draghi, come se il presidente del Consiglio Giorgia Meloni non avesse dichiarato più volte la sua intenzione di proseguire la politica di coinvolgimento dell’Italia in una guerra sanguinaria e pericolosa, che stando ad esperti militari americani come il Col. Richard Black e l’ex ispettore dell’ONU Scott Ritter potrebbe ben presto degenerare “in un conflitto nucleare”. Si sono levate molte proteste anche per l’addestramento di venti militari ucraini a Sabaudia (Latina) per l’uso di Samp-T, il sistema di difesa che il governo italiano invierà in Ucraina.

Contemporaneamente il governo Meloni ha annunciato tagli di 10 miliardi di Euro alle pensioni, esattamente la stessa cifra stanziata per finanziare la guerra in Ucraina. Mentre in tutto il mondo, tra cui in Germania, si moltiplicano gli appelli a cessare l’invio di armi e tornare al tavolo dei negoziati, mentre la Cina ha assunto un importante ruolo di mediatrice per tornare a parlare di pace, non soltanto tra Russia e Ucraina, ma anche tra Iran ed Arabia Saudita, con effetti molto importanti anche sul martoriato Yemen, che per la prima volta intravede una speranza di pace, il nostro governo continua a perseguire una folle politica di guerra, ed economia di guerra, diretta non soltanto contro la Russia ma anche contro la Cina (con l’invio della portaerei Cavour nel Pacifico, a sostegno di Washington e della sua politica guerrafondaia verso la Cina).

Come hanno spiegato relatori da tutto il mondo, inclusi ex ministri di Messico, Argentina ed Ecuador, in rappresentanza del sud globale, o della maggioranza globale, alla conferenza internazionale dello Schiller Institute che si è tenuta il 15 e 16 aprile, la politica di guerra di Europa e Stati Uniti, e del governo Meloni, va contro le aspirazioni di pace e sviluppo economico di due terzi del mondo, che si rifiutano di accettare il mondo unipolare voluto da Gran Bretagna e Stati Uniti, e accettato servilmente da tutti i governi europei, e stanno dando vita ad un nuovo sistema monetario “de-dollarizzato” per porre fine agli effetti nefasti delle sanzioni imposte dalla NATO, che hanno colpito duramente la nostra economia, invece di colpire quella della Russia o della Cina.

Nel corso di quella conferenza Helga Zepp-LaRouche, presidente dello Schiller Institute, ha chiesto con urgenza una nuova architettura di sicurezza e sviluppo che tenga conto dell’interesse di tutti, e soprattutto fondi una pace duratura su accordi per lo sviluppo economico, come quelli proposti dalla Cina e dai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa).

Se oggi ci fossero De Gasperi ed Enrico Mattei, sarebbero dalla parte del sud globale e di questi accordi di pace e sviluppo. Purtroppo i nostri governi sono da decenni in mano a pupazzi dell’UE e della NATO, da Monti fino a Draghi e Giorgia Meloni, incapaci di una visione positiva, e decisi a proseguire con la politica di guerra fino a quando non sarà morto l’ultimo ucraino, o non avranno scatenato la terza guerra mondiale.

E’ tempo che il movimento pacifista, che ha già portato 50.000 persone in piazza a Berlino in febbraio, si faccia sentire anche in Italia. Prima che sia troppo tardi. Una iniziativa importante in questo senso è il comitato per un referendum “Ripudia la guerra” promosso dal Prof. Enzo Pennetta, che si rifà all’articolo 11 della Costituzione italiana, che recita “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Di Liliana Gorini, presidente di Movisol

https://comedonchisciotte.org/il-governo-meloni-taglia-le-pensioni-per-finanziare-la-guerra/

venerdì 30 dicembre 2022

Pensioni d’oro e vitalizi: sono 30 mila e costano 1,2 miliardi. Chi li percepisce e quali sono le regole. - Enrico Marro (13-2-2020)

 

Sono almeno 29.829 i pensionati fuori dal sistema Inps perché ex parlamentari, membri o dipendenti degli organi costituzionali e dell’Assemblea regionale della Sicilia. Costano ogni anno quasi 1,2 miliardi di euro.

Quanto costano

Le pensioni medie del personale della Camera (4.700 i pensionati) e del Senato (2.500) oscillano intorno ai 58-59 mila euro lordi all’anno (4.800-4.900 euro al mese). Quelle del personale della presidenza della Repubblica (1.783 pensionati, dice il rapporto, ma il Quirinale precisa che il dato esatto è di 876) sui 53 mila euro mentre gli ex lavoratori della Regione siciliana (17.741) stanno decisamente sotto, prendendo mediamente circa 25.500 euro.
Variano molto invece i vitalizi degli ex parlamentari (851 diretti più 444 di reversibilità al Senato, 1.020 diretti più 520 di reversibilità alla Camera) perché dipendono dal numero di legislature svolte. Tuttavia, in media, l’importo erogato alla Camera è di 70 mila euro per i vitalizi diretti e di 37 mila per quelli di reversibilità. In tutto, i circa 2.700 vitalizi erogati agli ex parlamentari costano 200 milioni l’anno, in media 74mila euro.
Per i 35 vitalizi (24 diretti e 11 di reversibilità) degli ex giudici della Corte costituzionale la spesa è invece di circa 4,3 milioni, in media 125mila euro lordi.

Fuori dall’Inps

Il censimento delle 30 mila pensioni d’oro che formano un mondo pensionistico a parte è contenuto in un capitolo del Rapporto sul welfare di Itinerari previdenziali che presentato il 12 febbraio alla Camera. I dati, si legge, «sono a volte non completi poiché queste istituzioni spesso non comunicano le posizioni all’anagrafe generale gestita dal Ministero del Lavoro tramite l’INPS in base alla legge n. 243/04».

L’altra previdenza

Non rientrano nel sistema generale Camera e Senato, che, in virtù dell’«autodichia» garantita dalla Costituzione, hanno proprie regole previdenziali approvate dagli stessi parlamentari sia per i propri dipendenti sia per deputati e senatori; la Regione Sicilia, «che gestisce un fondo di previdenza sostitutivo per i propri dipendenti», quindi fuori dal regime Inps; la Corte costituzionale per i giudici e i propri dipendenti (anche qui vige un regolamento interno); la Presidenza della Repubblica per il proprio personale; le Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale per le cariche elettive. Infine c’è, chissà perché, il Fama, il Fondo agenti marittimi ed aerei, con sede a Genova, che gestisce la previdenza per gli agenti marittimi.


I vitalizi

Dal primo gennaio 2019 è entrato in vigore il taglio dei vitalizi per gli ex deputati ed ex senatori, fortemente voluto dai 5 Stelle. I vitalizi, si chiamano così le pensioni dei parlamentari, sono stati tagliati, «nella maggioranza dei casi tra il 40 e il 60%», prevedendo un risparmio tra Camera e Senato di «circa 56 milioni all’anno, 280 milioni a legislatura». Il Rapporto ricorda che «pendono ancora molti ricorsi». E proprio in questi giorni è scoppiato il caso della commissione del Senato sul contenzioso orientata ad accoglierli. Per i nuovi parlamentari eletti dal primo gennaio 2012, c’era invece già stata una riforma che aboliva i vitalizi sostituendoli con un sistema pensionistico con regole che tendono a quelle generali. «La prestazione sarà calcolata con il metodo contributivo. Per i parlamentari che possono vantare legislature precedenti è previsto un regime transitorio pro-rata, che tiene conto della quota di assegno vitalizio maturato fino al 31 dicembre 2011 e di quella soggetta al nuovo regime contributivo». Fino al 1997 bastava aver fatto una legislatura (anche se le Camere erano state sciolte anticipatamente) per andare in pensione a 60 anni e per ogni ulteriore legislatura il limite per ottenere il vitalizio si abbassava di 5 anni. Con la riforma, dal 2012 l’età di pensionamento è stata portata a 65 anni e servono 5 anni effettivi di legislatura. Ma per ogni anno in più di presenza in Parlamento l’età pensionabile scende di un anno fino al limite dei 60 anni.


Le Regioni

Per il 2018, si legge nel Rapporto, si può stimare che il numero di assegni corrisposti a titolo di vitalizio per le cariche elettive delle Regioni sono stati 3.300, compresi quelli di reversibilità per una spesa complessiva di 150 milioni di euro, circa 45mila euro medi a testa. La legge di Bilancio per il 2019 ha previsto l’obbligo per le Regioni di procedere al taglio dei vitalizi degli ex consiglieri e, in caso di inadempienza, un taglio del 20% dei trasferimenti erariali a loro favore. Il 3 aprile 2019 è stato poi siglato l’accordo fra Stato e Regioni che ha previsto l’utilizzo del metodo contributivo per il ricalcolo dei vitalizi, sul modello dei parlamentari. «In base ai dati forniti dai consigli regionali (al netto di quello della Sicilia), il risparmio complessivo dovrebbe ammontare ad almeno 22 milioni annui».


https://www.corriere.it/economia/pensioni/20_febbraio_13/pensioni-d-oro-vitalizi-sono-30-mila-costano-12-miliardi-chi-li-percepisce-quali-sono-regole-bec377c4-4d7b-11ea-a2de-b4f1441c3f82.shtml

sabato 6 aprile 2019

Pensioni, come cambia l’adeguamento al costo della vita: taglio delle rivalutazioni inferiore a quelli degli ultimi governi. - Chiara Brusini

Pensioni, come cambia l’adeguamento al costo della vita: taglio delle rivalutazioni inferiore a quelli degli ultimi governi

Per i pensionati con gli assegni più bassi, fino a 1.539 euro lordi, non cambierà nulla. Gli altri riceveranno qualche euro in più rispetto alle cifre incassate negli ultimi sette anni. Mentre subiranno un piccolo taglio rispetto agli aumenti previsti dalla legge che sarebbe tornata in vigore l’anno prossimo se non ci fossero stati interventi. Con un’eccezione: chi prende tra i 1.539 e i 2.052 euro lordi avrà comunque un mini vantaggio. Sarà questo l’effetto del “raffreddamento” dell’indicizzazione delle pensioni inserito nel maxi emendamento del governo alla manovra che ha appena ottenuto il via libera definitivo della Camera. A conti fatti il nuovo schema di rivalutazione per il triennio 2019-2021, contro il quale si sono già mobilitati i sindacati, è più generoso rispetto a quelli adottati a partire dal 2011.

Il punto di partenza è che la legge di Bilancio per il 2019 non interviene su una situazione di completo adeguamento degli assegni previdenziali all’aumento del costo della vita. Anzi: fin dagli anni Novanta la perequazione di quelli superiori a tre volte il minimo non è piena e nel dicembre 2011 è stata completamente congelata dal Salva Italia del governo Monti. Dal 2014, con Letta, è tornata in forma parziale e quel regime è stato prorogato fino a fine 2018 dal governo Renzi (vedi tabella). L’anno prossimo, senza interventi, sarebbe tornata in vigore la legge 388 del 2000 che prevedeva comunque una perequazione piena, pari all’1,1% dell’assegno, solo per quelli inferiori a tre volte il minimo. Cioè 1.539 euro, visto che nel 2019 (al netto delle pensioni di cittadinanza prossime venture) il minimo sale a 513 euro. Gli assegni tra tre e cinque volte il minimo (da 1.539 a 2.565 euro) sarebbero stati rivalutati solo di uno 0,99% e quelli oltre cinque volte il minimo di uno 0,825%.

L’adeguamento diventa più progressivo: sette scaglioni – La manovra appena varata modifica quel meccanismo rendendo più progressivo l’adeguamento, che sarà differenziato in base a sette scaglioni. Fino a tre volte il minimo nulla cambia: la rivalutazione sarà piena e pari all’1,1%, percentuale fissata da un decreto del Tesoro. Tra tre e quattro volte il minimo la rivalutazione sarà pari al 97% dell’indicizzazione piena. Vale a dire che ci sarà un aumento dell’1,067%: poco più di 19 euro al mese per chi ne riceve 1.800 lordi. Se fosse tornata in vigore la legge del 2000, l’incremento per questa fascia si sarebbe invece fermato allo 0,99%, meno di 18 euro. Questi assegni, che stando alla Relazione tecnica della legge di Bilancio costituiscono il 18,7% del monte pensioni complessivo, saranno quindi incrementati più di quanto prevedeva il quadro a legislazione vigente.






Al contrario, oltre i 2.052 euro lordi la rivalutazione sarà meno generosa rispetto a quanto previsto dalla legge del 2000, anche se l’indicizzazione resta superiore a quella riconosciuta fino al 2018. Per le pensioni tra le quattro e le cinque volte il minimo la rivalutazione sarà infatti dello 0,847%: il 77% di quella piena, contro il 90% previsto dalla manovra 2001 e il 75% applicato fino all’anno scorso. Per la fascia successiva (tra cinque e sei volte il minimo, cioè da 2.565 a 3.078 euro) l’indicizzazione sarà riconosciuta al 52%, pari a un aumento dello 0,572%, anche in questo caso superiore a quello del 2018 e inferiore a quello previsto dalla legge del 2000.
Tagli di 25 euro solo per chi prende oltre 10 volte il minimo – Per i trattamenti superiori a sei volte il minimo le norme precedenti non facevano distinzioni: con lo “schema Letta” tutti gli assegni erano indicizzati al 40% mentre con il ritorno in vigore della 388/2000 l’indicizzazione sarebbe stata riconosciuta al 75%. La manovra prevede invece una riduzione progressiva del beneficio: 47% (cioè aumenti dello 0,517%) fino a otto volte il minimo, 45% (con aumenti dello 0,495%) tra otto e nove volte e 40% (pari a un incremento dello 0,44%) oltre nove volte il minimo, 4.617 euro lordi. Il taglio, rispetto alla normativa precedente, supererà i 25 euro al mese solo per chi riceve un assegno oltre 10 volte il minimo. Come chiarito dall’Inps, comunque, gli effetti non si vedranno sugli assegni di gennaio, che sono già stati calcolati in base alla legge 388: una circolare disciplinerà in seguito le modalità e i tempi per i conguagli.

Le tappe: dal 1996 indicizzazione piena solo agli assegni più bassi – Fin dal 1996 l’indicizzazione piena è stata riconosciuta solo alle pensioni più basse: in particolare fino al Duemila solo gli assegni non superiori a due volte il minimo venivano aumentati di anno in anno tenendo conto pienamente dell’aumento del costo della vita e quelli oltre otto volte il minimo erano congelati. Poi, fino al 2008, il 100% di rivalutazione è stato garantito a quelli fino a tre volte il minimo. Da quell’anno il sistema è diventato più generoso, con un ampliamento dell’indicizzazione completa ai trattamenti fino a cinque volte il minimo e il riconoscimento di un 75% di rivalutazione alle pensioni oltre quella soglia. A fine 2011 il governo Monti con il decreto salva Italia (riforma Fornero) ha azzerato per gli anni 2012 e 2013 la perequazione delle pensioni di importo superiore a tre volte il minimo. Nel 2013 il governo Letta ha previsto un sistema a cinque scaglioni con indicizzazione del 95% per gli assegni tra tre e quattro volte il minimo, del 75% tra quattro e cinque volte il minimo, del 50% tra cinque e sei volte il minimo e del 40% (45% nel 2015 e 2016) oltre sei volte il minimo. Il governo Renzi ha prorogato lo schema Letta al 2017 e 2018. Il prossimo anno sarebbe dovuta tornare in vigore la legge del 2000.
Nel frattempo, ad aprile 2015 la Corte costituzionale ha bocciato il blocco della riforma Fornero e l’esecutivo Renzi con il decreto Poletti ha rimediato concedendo ai pensionati solo un rimborso parziale dei soldi persi a causa della mancata rivalutazione. La Consulta ha rigettato i ricorsi contro il decreto ritenendo che abbia realizzato “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica“.

Pensioni tagliate...ne vogliamo parlare? Sara Paglini ci spiega ciò che è successo in realtà.

L'immagine può contenere: 1 persona, persona seduta e cappello

Si sa il Pd, per i pensionati, ha sempre avuto un occhio di riguardo. Tipo quando votò il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, senza la piena rivalutazione per l’inflazione.

Vediamo nel dettaglio cosa votarono questi paladini dei pensionati. 
Tra 2012 e 2013, col blocco totale per le pensioni superiori a tre volte il minimo (dai 1500 euro in su), chi prendeva ogni mese 1600 euro lordi ne perdeva 500-600 l’anno; chi percepiva 2100 euro ne perdeva 1500; chi aveva 2600 euro ne perdeva 1800.

Nel 2015 la Consulta bocciò la legge in quanto incostituzionale e ordinò al governo di restituire la refurtiva. Intanto, ai 5,5 milioni di pensionati, erano stati rapinati 8-9 miliardi di euro.
Ricordo come ora le giornate passate in aula a combattere contro questi scippatori seriali !!!

Renzi , creatura,.......ne rimborsò appena 2,2 ed ebbe pure la spudoratezza di chiamare quella mancia “bonus Poletti”:
come se quello non fosse un furto con destrezza, ma addirittura un gentile omaggio. 
La SPUDORATEZZA NON HA MAI FINE PER QUESTI PERSONAGGI ! 

Intanto nel 2014 il governo Letta aveva fatto altri danni: un sistema di perequazioni in cinque fasce, che lasciava quasi intatta la rivalutazione delle pensioni fino al quadruplo della minima, mentre tagliava del 25% la rivalutazione per quelle sopra i 2000 euro lordi e del 50% oltre i 2500. I governi Renzi e Gentiloni prorogarono quel blocco fino al 1° gennaio 2019, lasciando la patata bollente ai successori.

SE per caso vedete le vostre pensioni che OGGI sono assottigliate per cortesia chiedete a MONTI , FORNERO , PD, FI , RENZI , LETTA ECCECC ECC DI darvi il maltolto !

Io lo chiesi in aula forte e chiaro e con me tutto il Movimento 5 STELLE già a suo tempo già dal 2015 .
Ma.... COMANDAVANO LORO !
E questi sono i risultati . 

Con l’attuale governo ci saranno dei tagli da giugno SI !!!! E SOLO a chi percepisce pensioni al di sopra di 4569,00 euro al MESE ! 
E ne sono FELICE !
Perché saranno i contributi che serviranno per aumentare le pensioni minime da 485 euro a 780,00 euro 
E NE SONO FELICE !

Ecco e adesso ... se siete arrivati fino a qua con la lettura ... mi RACCOMANDO ... CONTINUATE A CREDERE A QUESTI FARABUTTI !!!! 

E magari rivotateli alle Europee che vi tolgono quello che ancora non erano riusciti a togliervi !👍🏼
Ahhhh DIMENTICAVO !!! Il PD (ddl Zanda) chiede di AUMENTARE GLI STIPENDI DEI PARLAMENTARI 😂 lo sapevate ? 


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2158237394252584&set=a.445451938864480&type=3&theater

sabato 23 giugno 2018

Di Maio: «Tagliamo pensioni d’oro e aumenteremo quelle minime»



Il vicepremier annuncia un intervento del governo: ci sarà un tetto massimo da 4-5.000 mensili. Il piano: «Risparmieremo un miliardo e lo destineremo ai più poveri»

«Sia chiaro: chi si merita pensioni alte per avere versato i giusti contributi ne ha tutto il diritto, ma quest’estate per i nababbi a spese dello Stato sarà diversa. Vogliamo finalmente abolire le pensioni d’oro che per legge avranno un tetto di 4.000-5.000 euro per tutti quelli che non hanno versato una quota di contributi che dia diritto a un importo così alto. E cambiano le cose in meglio anche per chi prende la pensione minima, perché grazie al miliardo che risparmieremo potremo aumentare le pensioni minime».

Lo scrive su Facebook il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, che spiega: «È iniziata l’estate, e tanti italiani cominciano a farsi i conti in tasca per vedere se è rimasto qualcosa per una decina di giorni di ferie con la famiglia. Alcuni non le faranno proprio. Altri invece faranno vacanze da nababbi sullo yacht perché hanno una pensione d’oro di migliaia e migliaia di euro - in alcuni casi anche oltre 20.000 euro netti - che da anni gli paga tutta la collettività a causa delle distorsioni del vecchio metodo retributivo, che gli permette di avere molti più soldi rispetto a quelli che hanno versato. Uno sfregio a quei tre milioni di italiani che non hanno neppure i soldi per fare la spesa, perché sono stati abbandonati dalle istituzioni. Quest’estate non ci sono i mondiali, ma presto avremo qualcosa da festeggiare: la fine delle pensioni d’oro e l’inizio di un’Italia più giusta», conclude Di Maio.

martedì 17 aprile 2018

Tito Boeri a Mezz'ora in più: "Non solo vitalizi, gli onorevoli hanno un altro privilegio".



Il presidente dell'Inps spiega il meccanismo degli oneri figurativi (a carico della collettività): "Ho scritto a Fico ma non ho ricevuto risposta".


"In aggiunta ai vitalizi c'è un altro tipo di privilegio: gli oneri figurativi. Se un parlamentare era prima un lavoratore dipendente, durante il mandato" alla Camera o al Senato "l'Inps gli deve versare i contributi datoriali: si tratta di circa il 24% della loro retribuzione, che in alcuni casi l'Inps ha versato per 20 o 30 anni". A rivelarlo è il presidente dell'Inps, Tito Boeri, a Mezz'ora in più su Rai3. Boeri ha spiegato di aver scritto una lettera all'ufficio di presidenza della Camera (la struttura operativa del presidente Fico ndr) per sollecitare un intervento, ma di non aver ricevuto al momento "alcuna risposta".
Dura critica anche al sistema dei vitalizi. "I vitalizi - ha detto Boeri - erano uno schema insostenibile fin dall'inizio: si è partito già da subito in disavanzo. Nel 2016 io ero stato chiamato in audizione parlamentare e ho fornito i dati in nostro possesso, sollecitandone altri, ma trovo scandaloso che la Camera non ci abbia dato questi dati. Anche sulle valutazioni che ci sono state richieste, come sul ddl Richetti, non abbiamo avuto i dati sui contributi versati dai parlamentari: avrebbero dovuto darci la possibilità di fare analisi più dettagliate".
Boeri ha ricordato che secondo un calcolo dell'Inps, uniformando le pensioni dei parlamentari a quelle degli altri cittadini, si sarebbero ottenuti risparmi "importanti", pari a 150 milioni all'anno. "Adesso - ha aggiunto Boeri - vedo che con questa nuova legislatura c'è un impegno nuovo: mi auguro sia vero. Il primo segnale serio sarebbe quello di darci le informazioni per rifare un calcolo serio".
Boeri è intervenuto anche sul tema del reddito di cittadinanza, proposto dai 5 Stelle e ritenuto uno degli elementi che hanno decretato il successo dei pentastellati al Sud. La proposta "costa fino a 38 miliardi, se vogliamo essere più ottimisti 35 miliardi, si estenderebbe ad una platea che va ben oltre i poveri assoluti" e lo farebbe "su un piano rischioso" perché si tratterebbe di un "disincentivo a lavorare". Per il presidente dell'Inps, invece, è più opportuno potenziare il Rei: "Portando nuove risorse al reddito di inclusione, circa 4 miliardi in più, riusciremmo ad aiutare tutte le persone in difficoltà".
Al Sud voglia di ritornare all'assistenzialismo con un voto a favore del reddito di cittadinanza? "A mio avviso c'è bisogno di un'assistenza di base in Italia e questa assistenza deve essere erogata a livello nazionale: quei 4,7 milioni di persone che sono in povertà assoluta bisogna aiutarle. È un imperativo farlo, ma nel modo giusto, guardando alle loro condizioni di reddito e patrimoniale".
"Molto spesso - ha spiegato Boeri - al Sud chi ha bisogno si rivolge al politico locale o nazionale: quello è l'assistenzialismo, è un rapporto sbagliato con la pubblica amministrazione. Se la pubblica amministrazione, guardando al reddito e patrimonio e facendo accertamenti rigorosi, è in grado di stabilire di quale aiuto hanno bisogno allora quelle persone non hanno bisogno di rivolgersi ai santi in paradiso".
Stop alla riforma Fornero? Per Boeri costerebbe nell'immediato 11 miliardi, costo che potrebbe salire a 15 miliardi. L'impatto sul debito pensionistico, secondo il presidente dell'Inps, sarebbe circa 85 miliardi e si darebbe inoltre vita a un sistema "doppiamente iniquo" per i giovani e per chi ha pagato il costo della Fornero oltre che problemi si "sostenibilità al nostro Paese".

domenica 26 febbraio 2017

Sono ex burocrati di Ars e Regione Ecco i cinquanta pensionati d'oro. - Accursio Sabella

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Ex dirigenti, segretari generali e prossimi candidati alle elezioni regionali. Tutti i nomi.


PALERMO - Costano tanto. E lo abbiamo detto. Circa 700 milioni di euro l'anno. Ma chi c'è dietro i numeri? Quali facce si nascondono dietro le prestigiosissime pensioni di Assemblea regionale e Regione? Eccoli i nomi di chi in questi anni ha goduto, dopo aver lasciato i ranghi delle pubbliche amministrazioni regionali, di pensioni superiori ai 140 mila euro lordi. In qualche caso, si arriva persino a 260 mila euro. E dietro ogni nome, c'è una storia.

Ars, le misteriose pensioni dei segretari generali

A Palazzo dei Normanni, una di queste pensioni è ancora avvolta da un fitto mistero: è quella dell'ultimo segretario generale dell'Ars, Sebastiano Di Bella. E celato dalle nubi è stato per lungo tempo il suo stipendio, mai reso noto pubblicamente dall'Assemblea regionale. E così, non resta che affidarsi a quanto dichiarato dal presidente della Regione Crocetta, che ha parlato di 600 mila euro annui. Che si tradurranno in una pensione non molto distante da quelle cifre e si è già tramutato in una buonuscita milionaria. Insomma, una uscita di scena ricca e anche molto tempestiva. Giunta proprio poco prima dell'arrivo dei nuovi tetti a stipendi e pensioni, fissati a 240 mila euro. Prima di Di Bella, era stato il turno del suo predecessore, Giovanni Tomasello. In questo caso la liquidazione è stata di “appena” mezzo milione. Mentre la pensione, giunta all'età di 57 anni, dovrebbe oscillare attorno ai 12 mila euro netti al mese. Superiori ai 200 mila euro anche le pensioni degli altri segretari generali andati in quiescenza, da Silvio Liotta a Gianliborio Mazzola. In alcuni di questi casi, le liquidazioni hanno sfiorato i due milioni di euro.

Il caso Crosta

Era diventato un caso nazionale, invece, la pensione di Felice Crosta, ex dirigente dell'Agenzia regionale per l'acqua e i rifiuti ai tempi del governatore Cuffaro. Una pensione record da 1.400 euro al giorno, frutto di un mega-stipendio da 460 mila euro l'anno, guadagnato per pochi mesi prima della pensione, ma poi tornato utile come base pensionabile in forza a una legge che l'Assemblea regionale siciliana varò proprio alla vigilia della sua nomina. Una pensione-monstre, contro la quale si oppose il governo Lombardo. "Non si tratta certo di un regalo, io ho lavorato per 45 anni", spiegò Crosta. Nel 2010, in primo grado, la Corte dei Conti ha riconosciuto il suo diritto, ma in appello ha ribaltato il verdetto, stabilendo che al manager pubblico spettava "soltanto" una pensione commisurata all'indennità percepita prima del brevissimo "compito" assegnatogli da Cuffaro: 227mila euro, circa la metà del vitalizio percepito fino a quel momento. Oggi Crosta sta restituendo a poco a poco le somme “illegittimamente” ricevute.

Il caso Russo

Tra le pensioni d'oro della Regione ce n'è una andata a un pensionato “baby”: Pier Carmelo Russo è andato “a riposo” ad appena 47 anni, grazie alla famosa legge 104 che riguarda i parenti di persone che necessitano di assistenza. Ex segretario del Pci a Bagheria nei primi anni ’90, Russo ha fatto carriera come funzionario regionale, fino ad occupare il massimo livello burocratico dell'Isola: quello di segretario generale. Russo è andato in pensione nemmeno cinquantenne per accudire il padre malato, ma pochi giorni dopo è stato nominato da Raffaele Lombardo assessore all'Energia e Rifiuti del suo terzo governo. In compenso, Russo non ha mai percepito l'indennità assessoriale, che ha devoluto in beneficenza, scegliendo di contare 'solo' sulla sua pensione da 11 mila euro lordi al mese. Ma ha anche collaborato per anni, in qualità di consulente legale, con la Regione sulla vertenza milionaria relativa al fallito progetto dei termovalorizzatori voluto da Cuffaro e bocciato da Lombardo.

I pensionati a lavoro

Quello di Russo non è l'unico caso di pensionati chiamati a lavoro nonostante fossero andati poco prima a riposo. Antonino Scimemi, già dirigente del dipartimento alla Programmazione, poi direttore generale dei Beni Culturali e dell'Urbanistica in epoca cuffariana, ad esempio, rientrò tra le maglie della pubblica amministrazione dell'Isola in qualità di capo di gabinetto di Raffaele Lombardo (poi sostituito da Patrizia Monterosso). Scimemi ha fatto parte anche dei consigli d'amministrazione di Sicilia e-Servizi, Irfis Siciliacque e Italkali e nel 2007 è stato assessore comunale al centro storico a Palermo in quota Mpa e direttore generale della Provincia di Catania quando Lombardo era presidente.

Alfredo Liotta, ex dirigente generale del Dipartimento del personale, era andato in pensione alla fine del 2008, dopo 40 anni di servizio. Liotta poi fu nominato dell'allora assessore Caterina Chinnici, come capo di gabinetto, ma si dimise presto. Santino Cantarella, da dirigente di seconda fascia alla Motorizzazione civile di Catania è diventato direttore generale dell'Ente Acquedotti. Per lui, fino al 2010, oltre alla pensione, anche il ruolo di commissario straordinario dello Iacp (l'Istituto autonomo case popolari). Girolamo Di Vita guidò il Dipartimento bilancio e tesoro in epoca cuffariana per poi guidare l'Aran, l'ente che si occupa dei contratti dei regionali. Saverio Ciriminna era uno degli uomini più potenti della sanità siciliana. Dopo il pensionamento rientrò nel mondo della Sanità diventando il nuovo capo della Croce Rossa regionale. Tutti questi percepiscono oggi pensioni superiori ai 150 mila euro annui lordi.

Il pensionato candidato

C'è anche uno dei candidati alla corsa per la presidenza della Regione, tra i “pensionati d'oro”: si tratta di Francesco Paolo Busalacchi, ex direttore regionale alla Programmazione. Tra i nomi degli ex regionali destinatari di pensioni superiori ai 140 mila euro lordi poi ecco Luigi Castellucci, ex direttore generale della Sanità, tra i diversi ruoli ricoperti nell'amministrazione regionale, vanta anche quello di capo di gabinetto del presidente Lombardo. Tra i dirigenti eccellenti della Sanità dell'Isola, ad essere andati a riposo con ricche pensioni anche Michele Bagnato, Antonio Mira, Santo Amandorla. Tra gli ex dirigenti dell'assessorato alla Presidenza spunta il nome di Tullio Martella.

I superpensionati che provengono dall'assessorato all'Agricoltura e alle Foreste sono invece il già citato Felice Crosta, Benedetto Lucchese e Ignazio Sciortino. Quest'ultimo nel 2008 si era candidato alla Camera, ma in posizione non eleggibile, con l'Mpa. Dall'assessorato ai Beni culturali provengono invece Marco Aurelio Lo Franco e Giuseppe Grado. Mentre tra i pensionati d'oro spunta anche un nome legato all'assessorato al Bilancio e Finanze: si tratta di Ercole Rabboni che ha chiuso la sua carriera alla Regione da dirigente generale alla Formazione. Ex dirigente dell'assessorato alla Cooperazione è Beniamino Landolina, dall'Industria proviene invece Michele Sarrica, che era stato anche capo di gabinetto dell'ex governatore Salvatore Cuffaro, nonché dell'ex assessore all'Industria Pippo Gianni. E ancora, la lunga lista dei pensionati d'oro si riempie coi nomi dell'ex segretario Gaetano Di Fresco, e degli ex dirigenti generali Domenico Pergolizzi, Agostino Porretto, Giovanni Sapienza, Americo Cernigliaro.

I fedelissimi dei presidenti

Tra i destinatari di assegni assai “pesanti” anche due ex dirigenti che, a vario titolo, sono stati tra i più graditi agli ultimi due governatori. Gesualdo Campo è stato infatti tra i burocrati più influenti durante l'era di Lombardo, e al centro anche di diverse polemiche. Mentre Vincenzo Sansone deve in qualche modo ringraziare il governo Crocetta: la scelta del governatore di nominarlo a capo del dipartimento tecnico ad appena un anno dalla pensione, ha consentito al burocrate stesso di calcolare il suo assegno sulla base di quel (ben remunerato) incarico di dirigente generale. Non era per niente amato dal governo in carica, invece, Marco Salerno. Fino a pochi mesi fa unico dirigente di prima fascia della Regione. Un titolo non sufficiente per ottenere incarichi di primo piano dal governo Crocetta, che invece l'ha “relegato” nell'ultima parte della sua carriera, al “Centro regionale del catalogo”. “Forse perché sono un bibliotecario” ironizzava un po' di tempo fa su Livesicilia.

Le altre pensioni d'oro

Tra i nomi dei pensionati d'oro spuntano anche quelli di Vincenzo GaliotoFrancesco Castaldi, ex dirigente dell'ufficio legislativo e legale della Regione Siciliana; Francesco Castiglione ex capo dell'ufficio di Genio Civile di Agrigento poi alla guida dell'Ente Acquedotti Siciliano; Giorgio Colajanni, ex direttore all'Agenzia Regionale per i rifiuti e le acque; Antonino Colletti, ex ispettore generale dell’Azienda regionale foreste demaniali; Giuseppe Geraci, che è stato direttore ufficio idrografico regionale; Giuseppe Turturici, ex capo di gabinetto dei Lavori Pubblici. Godono delle invidiabilissime pensioni anche l'ex dirigente generale del Dipartimento della cooperazione, del commercio e dell'artigianato, Francesco Paolo Guerrera; l'ex dirigente generale del Dipartimento regionale ai Beni Culturali, Antonino Lumia; l'ex dirigente generale dell'ispettorato tecnico dell'assessorato ai Lavori Pubblici, Rosario Navarra Tramontana; l'ex segretario di giunta, Carmelo Ruffino; l'ex segretario generale di Palazzo d'Orléans, Gaetano Scaravilli. E ancora, ecco i nomi di Maria Teresa Ribaudo, Michele Cipolla, Maria Vitale, Piero Di Maggio, Castrense Marfia, Giovanni Arnone. Tutti in pensione. Tutti con un'indennità compresa tra i 132 mila e i 256 mila euro annui. 
Pensioni d'oro, in una Sicilia che è stata per tanto tempo terra di privilegi.

venerdì 2 dicembre 2016

Situazione sociale, Censis: “Cresce il disagio, più difficile curarsi e scegliere di avere figli. L’Italia rischia il declino” - Luisiana Gaita

Situazione sociale, Censis: “Cresce il disagio, più difficile curarsi e scegliere di avere figli. L’Italia rischia il declino”

Il cinquantesimo rapporto del centro studi evidenzia che se non ci fossero gli stranieri nella Penisola vivrebbero "oltre 2,5 milioni di minori e under 35 in meno”. Senza "politiche di sviluppo e di disincentivo della fuga altrove" andiamo verso "una situazione di ristagno". Le famiglie in deprivazione abitativa sono 7,1 milioni e quelle che hanno difficoltà ad acquistare beni durevoli 2,5 milioni.

Privati della possibilità di vivere in una casa sicura, di potersi curare, di mantenere i figli. La crisi economica, il conseguente restringimento del welfare e l’andamento del mercato del lavoro hanno conseguenze sulle famiglie italiane. Sono sempre più numerose quelle che, con meno opportunità occupazionali, restano senza redditi da lavoro. Eppure quello economico è solo uno degli aspetti del disagio sociale, che riguarda anche i nuclei al di sopra della soglia di povertà. E senza stranieri il rischio è il declino. Basti pensare che nel 2015 gli italiani che si sono trasferiti all’estero sono stati 102.259: una cifra praticamente raddoppiata negli ultimi quattro anni e che ha avuto una crescita del 15,1% solo nell’ultimo anno. “Immaginare un’Italia senza stranieri vorrebbe dire pensare a un Paese con oltre 2,5 milioni di minori e under 35 in meno”. Questi alcuni dei temi su cui si sofferma il cinquantesimo rapporto del Censis sulla situazione sociale.
In Italia sono in condizioni di ‘deprivazione materiale grave’ 6,9 milioni di persone (dati del 2014): sono 2,6 milioni in più rispetto al 2010. E uno zoccolo duro di 4,4 milioni vive in questa situazione almeno da sei anni. Le famiglie in deprivazione abitativa sono 7,1 milioni (+1,7% rispetto a dieci anni prima). Quelle in severa deprivazione abitativa sono 826mila (+0,4% rispetto al 2004). Circa il 20% ha problemi di umidità in casa, il 16,5% di sovraffollamento e il 13,2% di danni fisici alla casa dove vive. Le famiglie che hanno difficoltà ad acquistare beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775mila sono in gravi condizioni di deprivazione. Le famiglie in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all’8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 sono oltre 2 milioni, il 20,2% del totale.
L’ITALIA NON È UN PAESE PER GENITORI – Secondo una indagine del Censis, l’87,7% degli italiani pensa che il nostro Paese sia afflitto dalla scarsa natalità. Per l’83,3% la crisi economica ha reso più difficile la scelta di avere figli anche per chi li vorrebbe. Il problema principale, però, riguarda gli interventi di sostegno ai genitori: sussidiasili nidosgravi fiscali, orari di lavoro più flessibili, permessi per le esigenze dei figli. “Il 60,7% degli italiani – spiega il rapporto – è convinto che, se migliorassero gli interventi pubblici su vari fronti, la scelta di avere un figlio sarebbe più facile”. Pesa però anche la presa di coscienza tardiva circa la presenza di eventuali problemi di infertilità, che allunga i tempi di accesso alle cure e quindi la loro efficacia. Non solo le coppie che si sottopongono alle tecniche di Pma (procreazione medicalmente assistita) devono affrontare un percorso molto complesso, ma accesso e opportunità non sono uguali per tutti. Secondo il Censis il 76% delle coppie in trattamento pensa che chi ha problemi di questo genere in Italia sia svantaggiato rispetto a chi vive in altri Paesi europei e il 79,5% pensa che non in tutte le regioni sia assicurato lo stesso livello di qualità nei trattamenti, così come la gratuità dell’accesso alle cure (74,3%).
LA SCURE NON GUARIRÀ LA SANITÀ – Il progressivo restringimento del welfare cambia le dinamiche della spesa sanitaria. Intanto, dal 2009 al 2015 si registra solo una lieve riduzione in termini reali della spesa pubblica. “Nello stesso arco di tempo la spesa sanitaria privata – spiega il Censis – dopo una fase di crescita significativa, si riduce a partire dal 2012, per riprendere ad aumentare negli ultimi due anni (+2,4% dal 2014 al 2015), fino a raggiungere nel 2015 i 34,8 miliardi di euro, cioè poco meno del 24% della spesa sanitaria totale”. Significativo l’aumento della compartecipazione dei cittadini alla spesa: +32,4% in termini reali dal 2009 al 2015 (con un incremento più consistente per quanto riguarda nello specifico la spesa farmaceutica: 2,9 miliardi, +74,4%). “Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento – si legge nel rapporto – si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatrichespecialistiche e diagnostiche”. Anche l’offerta ospedaliera mostra una progressiva riduzione dei posti letto (3,3 per mille abitanti in Italia nel 2013 secondo i dati Eurostat, contro i 5,2 in media dei 28 Paesi Ue, gli 8,2 della Germania e i 6,3 della Francia).
I POPOLI DELLE PENSIONI – I nuovi pensionati sono più anziani rispetto al passato e hanno anche redditi pensionistici mediamente migliori “come effetto di carriere contributive più lunghe e continuative nel tempo – spiega il rapporto – e occupazioni in settori e con inquadramenti professionali migliori”. Tra il 2004 e il 2013 l’incidenza dei nuovi pensionati di vecchiaia che hanno versato contributi per non più di 35 anni scende dal 54,9% al 37,5%, quella di chi ha versato contributi per un periodo compreso tra i 36 e i 40 anni dal 37,6% al 33,7%, mentre per chi ha percorsi contributivi superiori ai 40 anni l’incidenza si quadruplica, passando dal 7,6% al 28,8%. Migliorano le condizioni socio-economiche dei pensionati: negli anni 2008-2014 il reddito medio del totale delle pensioni è passato da 14.721 a 17.040 euro (+5,3%). Per 3,3 milioni di famiglie con pensionati le prestazioni pensionistiche sono l’unico reddito familiare e per 7,8 milioni i trasferimenti pensionistici rappresentano oltre il 75% del reddito familiare disponibile. Così, si stimano in 1,7 milioni i pensionati che hanno ricevuto un aiuto economico da parenti e amici. Ma i pensionati non possono essere considerati solo come recettori passivi di risorse e servizi di welfare, perché sono anche protagonisti di una redistribuzione orizzontale di risorse economiche: sono 4,1 milioni quelli che hanno prestato ad altri un aiuto economico.
SICUREZZA E CITTADINANZA – Nell’ultimo anno l’allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall’Unità d’Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. “Senza giovani né bambini – sottolinea il Censis – il nostro viene percepito come un Paese senza futuro”. Ne è prova il boom delle cancellazioni dall’anagrafe di italiani trasferitisi all’estero. In un Paese in cui la piramide generazionale si è rovesciata gli stranieri rappresentano un importante serbatoio di energie. Proprio grazie a loro dal 2001 a oggi la popolazione è aumentata del 6,5%, raggiungendo gli attuali 60 milioni e 666mila abitanti: la presenza di stranieri si è quasi triplicata negli ultimi quindici anni (+274,7%). Ma l’effetto combinato del prolungamento della vita media e dell’omologazione dei comportamenti demografici degli stranieri a quelli degli italiani “se non affrontato da politiche di sviluppo e di disincentivo della ‘fuga altrove’ – spiega il Censis – potrebbe determinare, anche nel futuro, una situazione di ristagno per il nostro Paese”.

sabato 20 febbraio 2016

Pensioni di reversibilità, si spacca il Pd. Le rassicurazioni del Governo non convincono, fronda per ottenere dietrofront. - Giuseppe Colombo

PENSIONI DI REVERSIBILIT

Una “razionalizzazione” che spacca il Pd. Altro che rassicurazioni del Governo: sull’ipotesi di un intervento relativo alle pensioni di reversibilità, una parte dei dem non ci sta ed è pronta a dare battaglia e sfidare Matteo Renzi in Parlamento.
Il tam-tam in queste ore sta correndo velocemente a Montecitorio tra le diverse anime non renziane del partito. L’obiettivo è fissato: l’esecutivo deve fare dietrofront e cancellare dal testo del disegno di legge delega per il contrasto alla povertà quel passaggio che fa riferimento a interventi di razionalizzazione “anche di natura previdenziale”. Il nocciolo duro della protesta è tra i deputati della commissione Lavoro della Camera, capitanati dal presidente, Cesare Damiano, pronto a presentare un emendamento, che sarà condiviso con altri esponenti del partito, per sbarrare la strada all’esecutivo. “Proporrò lo stralcio, dalla delega del Governo, della parte in cui si parla di previdenza, perché io la voglio cancellare, non vogliono che ci siano equivoci”, ha dichiarato l’ex ministro.
Il Governo, dal canto suo, non sembra intenzionato a cambiare linea dopo le smentite dei ministri del Lavoro, Giuliano Poletti, e dell’Economia, Pier Carlo Padoan. “Al momento non pensiamo di modificare il testo della delega perché nel testo si parla di una razionalizzazione di anomalie e sovrapposizioni, non di un intervento sulle pensioni di reversibilità”, spiega una fonte del ministero del Lavoro.
Il pomo della discordia sono quattro parole: “anche di natura previdenziale”. Ma è tutt’altro che un formalismo. Nel Pd, monta il disagio di chi non si sente rassicurato dalle precisazioni del Governo e, soprattutto, di chi non si sente affatto sereno per la presenza nel testo della delega di quelle espressioni, cioè “anomalie” e “sovrapposizioni”, che per alcuni esponenti del partito potrebbero prefigurare interventi futuri proprio sulle pensioni di reversibilità. “Il testo per come è scritto si presta a legittime preoccupazioni: la cosa migliore è stralciare la parte sulle pensioni e toglierla di mezzo dalla discussione”, afferma l’ex capogruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza, raggiunto dall’Huffington Post. “Secondo me le parole di Poletti e di Padoan devono trovare coerenza nel testo della delega”, aggiunge.
Per Dario Ginefra, deputato del Pd, è necessario che il Governo vada fino in fondo rispetto a quanto dichiarato dai due ministri: “È inutile tergiversare lasciando nel testo la possibilità di un possibile intervento: dato che tutti si affrettano a dichiarare che le pensioni di reversibilità non si possono toccare allora è meglio togliere qualsiasi riferimento nel testo, tagliando la testa al toro”. Per Ginefra “è inutile andare avanti per settimane: se c’è un sentire di contrarietà alla riforma delle pensioni non si capisce perché dobbiamo mantenere questo testo, prestando il fianco a una serie di letture che rischiano di generare panico sociale”.
L’ipotesi di un intervento sulle pensioni di reversibilità apre un fronte interno al Pd e all’ala oltranzista strizza l’occhio la Cgil. La leader del sindacato di corso d’Italia, Susanna Camusso, si dice molto contenta dell’iniziativa assunta da Damiano e sposa la linea di una parte del Pd che ora è in subbuglio: “Le smentite (del Governo, ndr) non bastano se non si cambiano i testi della delega che è stata presentata in Parlamento”.
Il clima nel Pd è tutt’altro che sereno e compatto: le pensioni di reversibilità rappresentano ora una nuova spina nel fianco del partito. “Non siamo mica in pochi a voler stralciare quella norma: noi non ci arrenderemo fino a che non passeranno sui nostri corpi”, afferma con un filo di ironia una deputata del Pd. La “razionalizzazione” del Governo non convince e ora una parte del Pd vuole arrivare fino in fondo.

giovedì 5 novembre 2015

Inps dichiara guerra alla povertà con tagli a pensioni d'oro e vitalizi.

Tito Boeri © ANSA

La proposta di legge è stata presentata al governo. Si punta a combattere la povertà sostenendo gli over 55 che non hanno maturato i requisiti per la pensione.

Roma, 5 novembre 2015 - Togliere ai ricchi per dare ai poveri. Ovvero ridurre le pensioni d'oro per sostenere gli over 55 che non hanno maturato i requisiti. E' questa, in estrema sintesi, la proposta di legge che l'Inps ha presentato al governo. Nel documento, in 16 articoli, si affronta il sistema previdenziale e assistenziale a 360 gradi, senza escludere - ad esempio - il ricalcolo dei vitalizi e delle pensioni dei sindacalisti. Il tutto "Non per cassa ma per equità", come è scritto nel titolo del documento stesso. Ecco alcuni dei punti principali della proposta.
OVER 55 - L'Inps si preoccupa di abbattere la povertà riducendola almeno del 50% fra chi ha più di 55 anni e non ha ancora maturato i requisiti per la pensione. In che modo? Attingendo a risorse dai "circa 250.000 percettori di pensioni elevate" legate all'appartenenza a gestioni speciali e non giustificate dai contributi versati, da "più di 4.000 percettori di vitalizi per cariche elettive" e da "circa 30.000" lavoratori "con lunghe anzianità contributive", e che hanno iniziato a lavorare dopo i 18 anni, che subirebbero decurtazioni dell'assegno "fino al 10%" se decidessero di accedere a pensioni anticipate. Il tutto per consentire di istituire un reddito minimo garantito pari a 500 euro al mese (400 nel 2016 e nel 2017) per una famiglia con almeno un componente over 55.
TAGLI AI RICCHI - La proposta prevede il taglio di trasferimenti assistenziali destinati a circa 230.000 famiglie ad alto reddito (appartenenti perlopiù al 10% della popolazione con redditi più alti) in virtù di una scorretta selettività. 
VITALIZIA partire da gennaio i vitalizi per cariche elettive vanno ricalcolati, per l'Inps, secondo il metodo contributivo oggi applicato a tutti i nuovi lavoratori. In altre parole, ai titolari di vitalizi elevati viene chiesto di convergere al trattamento che avrebbero avuto applicando le regole del sistema contributivo ai versamenti per i loro vitalizi.
SINDACALISTISecondo l'istituto non è "più possibile per i dirigenti sindacali applicare alla contribuzione aggiuntiva le regole di calcolo più vantaggiose presenti per la gestione pubblica fino al 1992".
In generale, secondo l'Inps, la proposta aumenta la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, rendendolo più equo. "Le misure Inps - è scritto - vanno a beneficio dei contribuenti attuali e futuri in quanto riducono il debito pensionistico implicito". "Dal punto di vista congiunturale - continua l'Inps - ha un contenuto espansivo ma senza mettere a rischio la tenuta dei nostri conti pubblici dato che complessivamente porta a ridurre il debito pubblico".