martedì 8 ottobre 2019

Tangenti Lombardia, i verbali su Mascetti: “Finanziava la Lega. Nel Carroccio non c’è una persona che prende soldi direttamente”.

Tangenti Lombardia, i verbali su Mascetti: “Finanziava la Lega. Nel Carroccio non c’è una persona che prende soldi direttamente”

Agli atti dell'inchiesta della procura di Milano sono stati depositati alcuni verbali di Alberto Bilardo, ex segretario di Forza Italia a Gallarate: "Mascetti è una persona di fiducia dell’onorevole Giorgetti ed è sponsorizzato da quest’ultimo". Il riferimento è per Andrea Mascetti, consigliere di amministrazione indipendente nel board di Banca Intesa Russia. Laura Bordonaro, ex manager della società partecipata Accam: "E' il professionista maggiormente sponsorizzato da parte degli esponenti leghisti".
Nella Lega non c’è una persona che prende soldi direttamente, ma c’è una suddivisione degli incarichi, ad esempio quando Mascetti prende un incarico poi fa lavorare altri professionisti”. A sostenerlo Alberto Bilardo, ex segretario di Forza Italia a Gallarate , in provincia di Varese, e uno degli uomini più vicini a Nino Caianiello, il presunto burattinaio nella maxi indagine della Dda di Milano su un sistema di tangenti e nomine pilotate. Il Mascetti citato da Bilardo è Andrea Mascetti, avvocato varesino e consigliere di amministrazione indipendente nel board di Banca Intesa Russia. Arrestato e interrogato il 10 giugno scorso, il verbale di Bilardo è tra le migliaia di pagine di atti depositati dopo la chiusura dell’inchiesta per 71 indagati. Secondo Bilardo, Mascetti “è una persona di fiducia dell’onorevole Giorgetti ed è sponsorizzato da quest’ultimo”. Caianiello, ha spiegato Bilardo, “mi aveva detto del ruolo importante che Mascetti ricopriva nella provincia di Varese in quanto deteneva le leve economiche. Mascetti ha preso molti incarichi dal comune di Gallarate”. Informazioni già anticipate dal Fatto Quotidiano nel luglio del 2019.
“Nella Lega c’è suddivisione di incarichi” – In relazione agli incarichi in Accam, una società partecipata di Varese, “faccio presente – ha messo a verbale Bilardo – che vi era la necessità di nominare il il presidente dell’Odv (organismo di vigilanza, ndr), nomina che spettava alla Lega che nominò il predetto Mascetti per tale incarico. Per gli altri due posti di componenti dell’Odv – ha aggiunto – gli stessi spettavano a Forza Italia“. E ancora: “Verso la fine del 2017, Caianiello mi disse, a tal riguardo, che ‘bisognava fare il Natale, frase con la quale voleva dire che bisognava contattare i professionisti per recuperare del contante”, ossia le cosiddette “retrocessioni” da parte di coloro che avevano ottenuto gli incarichi. Bilardo ha raccontato ancora che “per la nomina di un legale presso il Comune di Gallarate”, in sostituzione di un altro avvocato, “c’era da fare i conti con la Lega” e “venne fatta una riunione verso la fine del 2016” e il Carroccio propose “l’Avv. Mascetti”. Il nome di Mascetti è stato citato più volte anche nel cosiddetto Russiagate. Durante la famosa conversazione all’hotel Metropol, uno degli italiani cita Banca Intesa e spiega ai russi che la Lega aveva “un uomo lì dentro chiamato Mascetti”. “Dopo questo incontro dobbiamo parlare con il tizio che inizia con Ma e finisce con etti in modo che si incontrino dopo che i fondamentali sono chiusi”.
“Mascetti finanziava la Lega” – A parlare di Mascetti, è anche Laura Bordonaro, ex manager della società partecipata Accam arrestata lo scorso maggio (ora è tornata in libertà). “Mascetti è il professionista maggiormente sponsorizzato da parte degli esponenti leghisti, ricoprendo plurimi incarichi presso società pubbliche. Da più parti viene indicato come una persona che significativamente finanziava il partito della Lega anche mediante associazioni che a lui facevano capo quali ad esempio Terra Insubre“, ha detto la donna, che interrogata dal pm Luigi Furno, ha spiegato di non essere a conoscenza se esistesse o meno anche in “area della Lega” un “sistema analogo a quello (…) degli incarichi pilotati nei confronti del professionisti” attribuito all’ex coordinatore di FI di Varese Gioacchino Caianiello. Bordonaro nel parlare di Mascetti al pm ha precisato che le era “stato presentato durante un incontro da Matteo Bianchi“, ex segretario leghista sempre di Varese e da Caianiello” con il quale, “pur essendo esponente della Lega, ha buoni rapporti (…) avendo personalmente constatato che durante le elezioni amministrative del 2019 si sentivano spesso per accordi sui vari candidati sindaci”. Nello stesso verbale la ex manager ha anche spiegato che Mascetti “è stato indicato in quota Lega” nell’organismo di vigilanza di Accam, la società che si occupa di smaltimento rifiuti per 27 comini tra l’Alto Milanese e il Varesotto, e che “la sua candidatura è stata caldeggiata anche dallo stesso Caianiello”. 
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lunedì 7 ottobre 2019

RENZI, CAROFIGLIO, MAZINGA E IL MONNI. - Andrea Scanzi

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Venerdì, a Otto e mezzo, Carofiglio ha ribadito il concetto antico (tra gli ex renziani) secondo cui Renzi “ha un gran talento, ma non sa gestirlo”. La solita analisi autoassolutoria. Renzi è sempre stato così, e in tutta onestà bastava guardarlo: un concentrato politicamente improponibile di provincialismo, faciloneria, insipienza, mestizia caricaturale, berlusconismo e bulimica tendenza alla bugia. Dire che Renzi “ha tanto talento” è come dire che Duarte piscia in testa a Nesta e Baresi. Avete preso una cantonata allucinante: ammettetelo e stop. Chi lo ha appoggiato per anni, peggio ancora se intellettuale, dovrebbe ammettere un errore così marchiano, che ha permesso a un tipo simile di devastare il centrosinistra. Nulla è stato politicamente peggiore di Renzi da Berlusconi in poi: gli anni renziani sono stati indecenti, e se il 4 dicembre 2016 avesse vinto il “sì”, avremmo vissuto anni tremendi. (Intendo più di questi).

Ora Renzi fa il “fenomeno” (cit. Conte) e cannoneggia il Mazinga. Era ovvio che lo facesse, da dentro o fuori il Pd nulla cambia. Ha creato il tremebondo ossimoro Italia Viva unicamente per farsi intervistare come leader di qualcosa. Anche solo di una conventicola accreditata se va bene (?) del 4%. La Diversamente Lince di Rignano è il più grande rischio del Mazinga: ha contribuito a farlo nascere e, se non lo farà (per ora) cadere, sarà solo per paura delle elezioni: non si vota neanche da solo ed è giustamente il “leader” più odiato dagli italiani. Quindi (per ora) aspetta, ma nel frattempo straparla, con quella mimica da Panariello minore comicamente convinto d’essere figo. In questi giorni prima si è accreditato il merito di non avere aumentato l’IVA (che nessuno voleva aumentare) e poi se l’è presa coi pochi soldi destinati alla riduzione del cuneo fiscale (che sono pochi perché Italia Viva e M5S si sono rifiutati di alzare dell’1% l’aliquota per chi usa contante e non moneta elettronica). Renzi è cioè riuscito a dire in due giorni due cose diametralmente opposte: come sempre. Nel frattempo il caso Consip va avanti, come aveva sempre vaticinato il Fatto, ma pochi ne parlano perché Il Cazzaro Rosè resta ancora amato (solo) da non pochi giornaloni e tivù, sempre più fuori dal mondo e dalla realtà.
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma la sostanza è più o meno questa. 
1) Renzi e Salvini sono le due facce della stessa medaglia. 2) Renzi è la più grande iattura politica abbattutasi sulla sinistra italiana (con cui ovviamente nulla c’entra). 
3) La sbornia e la deferenza avuta da troppi italiani (anche “famosi”) per questo gazzilloro irricevibile resteranno nei secoli un’onta nazionale. 
4) Infine. Per dirla ironicamente - e si perdoni il francesismo - con una massima dell’amatissimo Monni, lui sì toscano vero e brutale come solo i migliori toscani sanno essere: “tu sei come la fava, sempre in mezzo ai coglioni”. Amen.

Fatture false, genitori Renzi condannati a 1 anno e 9 mesi. - Paolo Martini

Fatture false, genitori Renzi condannati a 1 anno e 9 mesi

Un anno e nove mesi di reclusione (pena sospesa) per Laura Bovoli e Tiziano Renzi, genitori dell'ex premier Matteo Renzi, e due anni per l'imprenditore Luigi Dagostino. E' questa la sentenza emessa oggi pomeriggio dal tribunale di Firenze al termine del processo per due fatture false emesse dalla Party srl (da 20mila euro più Iva) e alla Eventi 6 srl (140mila euro più Iva), società imprenditoriali gestite dai coniugi Renzi. Dagostino era accusato, oltre che di fatture false, anche di truffa aggravata, perché avrebbe pagato i coniugi di Rignano sull'Arno (Fi) per lavori inesistenti.

Il giudice Fabio Gugliotta ha accolto in piene le richieste del pm Christine Von Borries nei confronti dei Renzi. L'accusa aveva invece chiesto 2 anni e 3 mesi per Dagostino, che è stato condannato anche al pagamento dei danni alle parti civili e delle spese processuali. Renzi e Bovoli sono stati, inoltre, interdetti per sei mesi da incarichi direttivi nelle imprese e per un anno dai pubblici uffici e dal trattare con la pubblica amministrazione. Il giudice ha concesso la sospensione condizionale della pena.
"Abbiamo comunicato la notizia ai nostri assistiti, che sono molto sereni, molto tranquilli. Quello che dovevamo dire lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto in una memoria consegnata al giudice. Aspettiamo le motivazione della sentenza e poi faremo assolutamente ricorso", ha commentato l'avvocato Lorenzo Pellegrini, uno dei difensori dei coniugi Renzi. Il difensore di Dagostino, l'avvocato Alessandro Traversi, ha detto dopo la sentenza: "Aspettiamo le motivazioni della sentenza per capire le ragioni per le quali le fatture sono state ritenute relative a operazioni non effettivamente esistenti. Ovviamente ricorreremo in appello".
Lo stesso Tiziano Renzi ha commentato: "Ho il dovere di credere nella giustizia italiana, oggi più che mai. E continuo a farlo anche se con grande amarezza. Perché i fatti sono evidenti: il lavoro che mi viene contestato è stato regolarmente svolto, regolarmente fatturato, regolarmente pagato. Nessuno può negare questo e sono certo che i prossimi gradi di giudizio lo dimostreranno. Nell’attesa presenteremo immediatamente l’appello. Almeno è stato appurato che non c’è un neanche un centesimo di evasione: passerò i prossimi anni nei tribunali ma dimostrerò la totale innocenza".
I fatti al centro delle indagini risalgono al 2015, quando l'imprenditore Luigi Dagostino, anch'egli a giudizio con l'accusa di false fatturazioni e, nel suo caso, anche truffa, era amministratore delegato della Tramor, società di gestione dell'outlet del lusso The Mall di Leccio di Reggello (Firenze), e avrebbe incaricato le società Party ed Eventi 6, entrambe facenti capo ai Renzi, di studi di fattibilità per lavori all'outlet.
Le fatture considerate false e oggetto del processo, perché secondo l'accusa non corrisponderebbero a prestazioni realmente effettuate, sono due: una da 20mila e l'altra da 140mila euro più Iva. Le fatture vennero pagate alla società Party srl (quella da 20mila euro) e alla Eventi 6 srl (quella da 140mila euro) nel luglio 2015.
Secondo la procura la fattura da 140 mila euro per progetti di fattibilità su aree ricreative e per la ristorazione all'outlet del lusso 'The Mall' sarebbe per consulenze pagate ma non realizzate L'altra fattura da 20 mila euro risulta emessa dalla Party srl (unica fattura emessa dalla Party nel 2015), società fondata da Tiziano Renzi (con il 40% della quote) e dalla Nikila Invest, srl amministrata da Ilaria Niccolai (60%), compagna dell'imprenditore Luigi Dagostino.
Durante il dibattimento in aula, un consulente tecnico citato dalla difesa, il commercialista Francesco Mancini, rispondendo alle domande di uno dei legali di Laura Bovoli, avvocato Francesco Pistolesi, aveva affermato che le due fatture oggetto del processo furono regolarmente contabilizzate e non provocarono alcun danno all'Erario.
D'Agostino, rilasciando dichiarazioni spontanee, aveva detto di non aver emesso "nessuna fattura falsa" e di non aver "truffato nessuno", sostenendo di essere rimasto perplesso per l'importo delle fatture ma di aver "subito la sudditanza psicologica" per il fatto che "i coniugi Renzi erano i genitori del presidente del Consiglio" e quindi "ho ritenuto di non contestarle". Il legale dei Renzi, l'avvocato Federico Bagattini, aveva replicato affermando che "se avesse ritenuto quelle fatture troppo alte per il lavoro svolto avrebbe dovuto non pagarle".
Il padre e la madre di Matteo Renzi avevano scelto, invece, di non presentarsi in aula ma, tramite i loro legali, hanno depositato due memorie scritte. Nelle memorie difensive "i coniugi Renzi - spiegò Bagattini - hanno sostenuto quello che i loro difensori hanno già anticipato, e cioè che le due fatture sono assolutamente vere, relative a prestazioni effettivamente eseguite, e che tutte le tasse e le imposte relative a questa fatturazione sono state regolarmente versate".
"Ho sempre lavorato e dato lavoro: non ho avuto bisogno di avere il figlio premier per lavorare" e "chi dice il contrario mente" scrisse Tiziano Renzi in un passaggio della memoria consegnata al tribunale. "Non c'è nessuna fattura falsa - proseguiva Tiziano Renzi - solo tante tasse vere, tutte pagate fino all'ultimo centesimo: questo è oggettivamente esistente". Mentre Laura Bovoli aveva scritto che "non sono abituata alle telecamere e vivo con profondo disagio tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi" in cui "sono passata da cittadina irreprensibile a criminale incallita" e "da nonna premurosa al 'lady truffa'".
Nel febbraio scorso Tiziano Renzi e Laura Bovoli, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatture, erano finiti agli arresti domiciliari nell'ambito di un'altra inchiesta della procura fiorentina sul fallimento di alcune cooperative che facevano capo a loro. Misura poi revocata l'8 marzo dal tribunale del riesame.
Durante la requisitoria di oggi, il pm Von Borries ha puntualizzato , sollevando le riserve dei legali degli imputati, che la fattura di 20mila euro alla società Party fu pagata da Luigi Dagostino il 17 giugno 2015, lo stesso giorno in cui l’imprenditore pugliese fu ricevuto a Palazzo Chigi. Il pm ha citato un atto estraneo al processo fiorentino e relativo a un’inchiesta della Procura di Trani da cui emerge che nel 2015 Dagostino si era rivolto a Tiziano Renzi, che aveva conosciuto l'anno precedente, per chiedergli di fissare un appuntamento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con l'allora sottosegretario Luca Lotti, considerato il braccio destro di Matteo Renzi.
L'incontro a Palazzo Chigi avvenne il 17 giugno 2015 e durò, secondo la ricostruzione del pm fiorentino, circa 40 minuti. Nello stesso giorno Dagostino saldò la fattura a Bovoli. All’incontro nell’ufficio di Lotti a Palazzo Chigi, ha precisato il pm Von Borries, intervennero anche Antonio Savasta, all’epoca pm a Trani, e l’avvocato Ruggero Sfrecola. A sollecitare l’incontro a Dagostino con Lotti sarebbe stato il suo avvocato. In quel periodo Savasta indagava su un giro di fatture false in Puglia che coinvolgeva anche Dagostino. Il pm Von Borries ha anche ricostruito "i tanti incontri incastrati con l’emissione delle fatture false" tra Tiziano Renzi e Dagostino, avvenuti soprattutto a Roma con esponenti della politica e "anche con pubblici ufficiali".
L'incontro che il magistrato pugliese Antonio Savasta ebbe con Luca Lotti a Palazzo Chigi era annotato anche nell'agenda dell'imprenditore Dagostino, ha precisato Von Borries, Altri incontri, secondo la ricostruzione del pubblico ministero Von Borries, avvennero nell'estate 2015 e "si intersecarono" con la data del 22 luglio, quando venne pagata alla Eventi 6 la fattura da 140mila euro per una consulenza. Il pm ha citato, tra gli altri, gli incontri con il senatore Nicola Latorre e uno con il magistrato Cosimo Bottazzi, che sarebbero avvenuti alla presenza sia di Tiziano Renzi che di Dagostino.
L'incontro tra Dagostino e Lotti "non c'entra assolutamente nulla: è una coincidenza temporale, che non è esposta nel capo di imputazione e che quindi non ha il benché minimo riferimento e rilevanza rispetto a questa vicenda", ha commentato l'avvocato Federico Bagattini, difensore di Tiziano Renzi. "E' una coincidenza che crea una suggestione e che fa fare delle domande ma che ai fini del processo non vuol dire assolutamente nulla", ha aggiunto il legale. "D'altro canto il fatto di avere rapporti personali di amicizia, conoscenza e frequentazione tra Tiziano Renzi e Luigi Dagostino non fa sì che questo tipo di rapporto generi rapporti illeciti e fatture false", ha concluso Bagattini.
Sempre a proposito dell'incontro Dagostino-Lotti, il difensore dell'imprenditore, avvocato Alessandro Traversi, ha commentato dopo la sentenza: "E' oggetto di altri eventuali procedimenti. In questo processo non c'è nessun atto che faccia riferimento a quello di cui ha parlato la pm questa mattina. Infatti gli abbiamo contestato la non conferenza di questi richiami a palazzo Chigi, a Lotti, a Sfrecola a Savasta. Sono oggetto di altre indagini e altri procedimenti che qui assolutamente non hanno nessuna attinenza con questo processo".

sabato 5 ottobre 2019

Conte: “Se Renzi ha bisogno di rimarcare uno spazio ogni giorno, ci precluderà di andare avanti. E’ inaccettabile”.

Conte: “Se Renzi ha bisogno di rimarcare uno spazio ogni giorno, ci precluderà di andare avanti. E’ inaccettabile”

Il presidente del Consiglio, intervistato dal Corriere della sera, ha ribadito l'avvertimento all'ex premier Pd. Ma alla domanda se "così si torna a votare", commenta: "Siamo partiti adesso. Gli italiani vogliono una squadra che lavori per loro non per se stessi". La replica del leader di Italia viva: "Noi proponiamo idee, non siamo contro il governo".
“Se Renzi ha bisogno di rimarcare uno spazio politico e ogni giorno ripropone questa logica, questo ci precluderà di poter andare avanti. È inaccettabile”. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non si è limitato a criticare le accuse di Matteo Renzi sui pochi soldi destinati al taglio del cuneo fiscale, ma, intervistato dal Corriere della sera ha dato un vero e proprio avvertimento arrivando a minacciare che, se dovessero continuare le tensioni, sarebbe l’esecutivo stesso a essere messo in pericolo. Però a proposito delle dichiarazioni di Zingaretti secondo il quale, così il governo dura poco e si torna a votare, Conte ha ricordato: “Cosa significa andare a votare? Siamo partiti adesso. C’è un mondo che aspetta lì fuori. Avete sentito cosa vogliono i cittadini? Vogliono la soluzione ai loro problemi”. Ma soprattutto “vogliono una squadra di governo che lavori per loro, non per se stessi”.
Lo scontro è iniziato ieri mattina, dopo che Renzi ha scritto una lettera al Corriere della sera lamentando che, rispetto a quando era lui a Palazzo Chigi, sono stati messi “spiccioli” per i lavoratori. Oggi l’ex premier e leader degli scissionisti dal Pd è intervenuto su Facebook: “Italia Viva studia le carte, lancia proposte, trova coperture. Propone idee insomma. Questa è la prima novità da quando c’è Italia Viva: si discute di tasse e asili nido, non di mojito e alleanze. Noi non siamo contro il governo, anzi: ma noi siamo contro l’aumento delle tasse. E lo abbiamo spiegato bene”.
Intervistato dal Corriere della sera, il premier ha ribadito quanto già dichiarato ieri davanti ai cronisti: “Non abbiamo bisogno di fenomeni”. Per Conte, Renzi sull’Iva “è scorretto, mistifica la realtà” e sul cuneo fiscale “non parlerei di pannicello caldo. Abbia rispetto per i lavoratori, sono 40 euro di beneficio medio. Se per lui, che ha uno stipendio consistente, sono pochi, allora per carità…”. La soluzione invocata è naturalmente quella di lavorare “con spirito di squadra”. Conte non pensa a “un patto singolo con Renzi, non è nella mia cultura”. Non ha difficoltà “a incontrare Renzi da leader di una forza politica. Ma al tavolo io parlo con i ministri e i capidelegazione, perché quella è la mia squadra”.
Venendo al Piano di Di Maio e Bonafede sui rimpatri, presentato proprio venerdì 4 ottobre, il presidente del Consiglio ha dichiarato che “il lavoro della Farnesina mi era stato anticipato, lo avevano comunicato alle forze politiche”. Per quanto riguarda infine l’interrogazione della Lega sui suoi presunti conflitti di interesse: “Mi auguro che Salvini, invece di dilettarsi andando a recuperare questioni superate, faccia opposizione offrendo proposte credibili e non annunciando la flat tax al 15% per tutti, oppure una manovra da 100 miliardi”. Rispetto al caso degli 007 e dei contatti con gli Usa, Conte ha detto di non aver ancora riferito al Copasir perché la commissione “deve sostituire un componente, quindi il collegio non può operare, sennò avrei chiesto io di andare a parlare”. Nel merito della questione, “non è stata commessa alcuna anomalia. Si sta speculando ingiustamente”. Infine un commento sull’alleanza M5s-Pd in Umbria: “Sarà un voto rilevante e abbiamo un ottimo candidato, ma è un po’ esagerato parlare di laboratori. C’è un progetto politico che va costruito”.

Santa Prescrizione. - Marco Travaglio FQ 5 ottobre


Vi chiedo un po’ di comprensione, perché sto per tentare di spiegare la posizione di Pd e (Forza) Italia Viva sulla prescrizione.
Antefatto: un anno fa la maggioranza M5S-Lega approva la Spazzacorrotti del ministro Bonafede, che contiene lo stop alla prescrizione alla sentenza di primo grado. La Lega tenta di opporre resistenza, ma poi deve arrendersi in ossequio al contratto di governo.
Salvini (cioè la Bongiorno, che ci capisce e di prescrizione campa dal processo Andreotti spacciato per assoluzione) ottiene solo che la norma valga per i reati commessi dal 1° gennaio 2020, così da avere un anno per vararne un’altra che fissi regole più precise sulla durata dei processi. Cioè la riforma della Giustizia che Bonafede presenta in luglio: lì però gli equilibri nella maggioranza si sono ribaltati, con la Lega che ha raddoppiato i voti e il M5S che li ha dimezzati alle Europee.
E Salvini (cioè la Bongiorno) ha altre priorità, tutte porcate di stampo berlusconiano: “Punire i giudici che sbagliano” (quelli che han beccato Savoini, Siri, Arata, Rixi, Fontana e altri compari col sorcio in bocca), spaventarli con la separazione delle carriere, depenalizzare l’abuso d’ufficio, imbavagliare i giornali sulle intercettazioni e soprattutto annullare la blocca-prescrizione.
I 5Stelle e Conte resistono e la riforma della giustizia si arena in un drammatico Consiglio dei ministri: l’ultimo prima delle vacanze e la crisi alcolica del Papeete. Proprio ai “no” del M5S sulla giustizia (cioè sull’ingiustizia) Salvini attribuirà la fine del governo. A quel punto prima Renzi e poi tutto il Pd si rimangiano un anno e mezzo di popcorn e convolano a giusto governo con i 5Stelle per chiudere – possibilmente – l’era Salvini.
Bonafede resta Guardasigilli e tira un sospiro di sollievo: ora finalmente potrà riformare la giustizia per abbreviare i processi senza il solito Salvini (cioè la Bongiorno) che rompe i coglioni per tornare all’Era B. sulla prescrizione. E invece, sorpresa: il Pd e Renzi iniziano a rompere i coglioni per tornare all’Era B. sulla prescrizione, con le stesse richieste e argomentazioni (si fa per dire) di Salvini (cioè della Bongiorno).
La richiesta ufficiale è quella di accorciare prima i processi per evitare che un imputato resti tale a vita, e solo dopo bloccare la prescrizione. Roba da Comma 22: la prescrizione bloccata è già da un anno legge dello Stato, dunque per modificarla ci vorrebbe una nuova legge (che Lega e FI sarebbero felici di approvare); invece la riforma del processo è un ddl mai approvato nemmeno in Consiglio dei ministri (nel Conte-1 per i no della Lega, nel Conte-2 per i no di Pd&Iv) Se Pd e Iv vogliono approvarlo, non hanno che da approvarlo: invece dicono che non lo approvano perché prima bisogna bloccare il blocco della prescrizione, che però è già legge.
Cioè pretendono che Bonafede e tutti i 5Stelle se la rimangino per farne una opposta a quella di un anno fa (approvata persino dalla Lega, che poi ci ripensò fuori tempo massimo). Cioè per fare ora ciò che non vollero fare tre mesi fa, a costo di far cadere il Conte-1 e dar vita al Conte-2 che doveva cancellare le vergogne salviniste e invece si ritrova ricattato da identiche vergogne piddin-renziste.
La situazione è talmente surreale che nessuno può credere a ciò che dicono il Pd e Renzi: i quali, diversamente da B. e Lega che la dimezzarono nel 2005 con l’ex Cirielli, hanno sempre tuonato contro la prescrizione. E sempre promesso di bloccarla alla sentenza di primo grado o addirittura al rinvio a giudizio.
Nel 2014 Renzi affidò al pm Nicola Gratteri la presidenza della Commissione per la riforma della giustizia (formata anche da Davigo e Di Matteo), che propose di fermare la prescrizione financo alla richiesta di rinvio a giudizio. E il 20 novembre, quando il processo Eternit finì col solito colpo di spugna per il fattore-tempo, Renzi tuonò: “Cambieremo le regole sulla prescrizione, perché non è possibile che le regole facciano saltare la domanda di giustizia. Non ci dev’essere modo di chiudere la partita velocemente perché tanto la domanda di giustizia viene meno: no, la domanda di giustizia non viene meno”. Parole sante, a cui però seguì il nulla, cioè un brodino del ministro Orlando.
Nel 2015-2016 il capogruppo Pd in commissione Giustizia, Lumia, e i relatori Cucca e Casson presentarono emendamenti per fermare la prescrizione al rinvio a giudizio o alla sentenza di primo grado. E i 5 Stelle, pur favorevoli alla prima opzione, si dissero disposti a votare la seconda. Ma poi il governo Renzi, agli ordini di Alfano e Verdini (ci siamo capiti), li fece ritirare.
Ora Alfano e Verdini non sono più al governo, e neppure Salvini e B. Così, non potendo più nascondersi dietro i trompe l’œil, Pd e renziani escono allo scoperto e dicono coram populo: il Partito della Prescrizione siamo noi. Senza Santa Prescrizione protettrice dei lestofanti, mezza classe dirigente sarebbe in galera e l’altra mezza ci finirebbe presto.
Una sola preghiera: non ci raccontino che lo fanno per difendere i poveri imputati assolti in primo grado (che, per la Costituzione, sono “presunti non colpevoli” esattamente come i condannati in primo grado, salvo che si abolisca il grado di appello); o per evitare che qualcuno resti imputato a vita. Lo sanno tutti che i processi sono eterni anche perché i colpevoli la tirano in lungo per strappare la prescrizione: senza quella malsana aspettativa, i colpevoli patteggerebbero pene scontate (in tutti i sensi) senza nemmeno iniziare i processi. Il che sveltirebbe ipso facto la giustizia per tutti: soprattutto per gli innocenti, gli unici che hanno interesse a fare in fretta.
Chi difende la prescrizione abbia il coraggio di confessare papale papale che lo fa per i colpevoli: i nomi, anche se non ce li dice, li conosciamo.

venerdì 4 ottobre 2019

Fondi russi, Riesame su Savoini: “Audio al Metropol ammissibile. Emerge in maniera nitida che parte dei soldi fosse per la Lega”.

Fondi russi, Riesame su Savoini: “Audio al Metropol ammissibile. Emerge in maniera nitida che parte dei soldi fosse per la Lega”

Il file audio registrato all'hotel di Mosca lo scorso 18 ottobre può essere utilizzato perché non è di provenienza anonima: la prova regina dell'inchiesta per corruzione internazionale è legittima. Nelle motivazioni i giudici sottolinea l'esistenza di "una percentuale del 4% sull'affare per finanziare la campagna elettorale del Carroccio" che emerge chiaramente nella parte di conservazione "in lingua inglese".
Il file audio registrato al Metropol di Mosca lo scorso 18 ottobre può essere utilizzato perché non è di provenienza anonima e ha una fonte, che il giornalista che ha consegnato la registrazione alla Procura ha esercitato il diritto di non rivelare. Il Riesame di Milano motiva così il rigetto dell’istanza presentata dalla difesa di Gianluca Savoini contro i sequestri, sostenendo l’inammissibilità dell’audio. La prova regina dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega è quindi legittima. Così come, sottolineano i magistrati nelle motivazioni, dalla registrazione appare “nitido che parte dei soldi fosse destinata alla Lega“. Una conferma di quanto anticipato da Davide Milosa su Il Fatto Quotidiano: esiste un documento, oggi a disposizione della Procura di Milano che indaga per corruzione internazionale, in cui è abbozzato il progetto per l’acquisto del gasolio russo e i 65 milioni di dollari da piazzare nelle casse della Lega di Matteo Salvini. Un accordo che fu discusso all’hotel Metropol di Mosca e poi riportato nero su bianco.
Il cronista dell’Espresso Stefano Vergine ha raccontato ai pm che il file consegnato alla procura era il frutto “di una ‘registrazione audio in diretta‘” e ha sottolineato che “alcuni fatti erano stati riscontrati direttamente, mentre altri gli erano stati riferiti da sue fonti ‘che avevano una conoscenza diretta dei fatti'”. È uno dei passaggi delle motivazioni con cui i giudici del Riesame hanno respinto “perché infondato” il ricorso presentato da Savoini, indagato per corruzione internazionale insieme agli altri due italiani presenti all’incontro al Metropol: l’avvocato Gianluca Meranda e il consulente finanziario Francesco Vannucci.
“La percentuale del 4% per finanziare la Lega”. Nella registrazione emerge, si legge nelle 22 pagine di motivazione, “lo schema delle parti coinvolte nella trattativa considerata illecita, la possibilità di reiterare l’accordo nel tempo, l’importo da retrocedere dopo il pagamento della fornitura petrolifera, la necessità di agire rapidamente per l’avvicinarsi delle elezioni europee, l’utilità dell’accordo per entrambe le parti, la ripartizione dei compiti, la necessità di essere prudenti per non destare sospetti sul presunto ritorno illecito del denaro”. Savoini, l’uomo di Matteo Salvini per gli affari a Mosca, Meranda e Vannucci, sono seduti al tavolo con tre intermediari russi vicini all’entourage politico del presidente Vladimir Putin per trattare l’acquisto di un grosso quantitativo di petrolio. Scrive il Riesame, “prevedendo che una percentuale del prezzo pagato – nella misura indicata del 4% – sarebbe stata retrocessa per finanziare la campagna elettorale del partito politico Lega“. Circostanza che emerge “in maniera ancora più nitida dalle parti della conversazione intrattenuta in inglese“. In particolare, nelle motivazioni, si rimarca la circostanza che dalla trascrizione si evince come il “denaro ‘retrocesso’ fosse necessario per finanziare la campagna elettorale del partito politico Lega”.
I sei discutono di una compravendita sulla base di un foglio, è questa anche la lettura degli inquirenti, in cui si legge il 4% che nei piani doveva finire alla Lega e un valore che oscilla tra il 4 e il 6% da destinare ai pubblici ufficiali russi e ai loro intermediari d’affari. Dell’esistenza di questo documento si ha una prima conferma riascoltando proprio l’audio registrato al Metropol. Vende una società russa (Gazprom o Rosneft), acquista il colosso italiano Eni, dopo un passaggio intermedio con una banca d’affari londinese. È qui a Londra, secondo i documenti acquisiti dalla Procura, che viene preparata una proposta di acquisto da inviare a Rosneft, messa a punto dopo l’incontro del Metropol. Sono due passaggi dell’audio che, secondo i magistrati, annunciano l’esistenza del documento. A parlare è sempre Meranda. Nel primo dice: “Solo per averlo chiaro, aspetterò che tu confermi il prodotto, le quantità e qualunque cosa tu sia in grado di fare”. Poi aggiunge: “Farò solo uno screenshot qui e te lo invierò solo per essere sulla stessa pagina. Ok signori, penso che stia andando nella giusta direzione”.
Il decreto di sequestro è “sufficientemente motivato”. Il decreto di sequestro fatto scattare dalla procura di Milano nei confronti degli indagati del “Russiagate”, risulta quindi “sufficientemente motivato in merito alla necessità di acquisire tutta la documentazione cartacea ed informatica (screenshot) contenente riferimenti alla negoziazione che ha preceduto l’incontro registrato presso la hall dell’hotel Metropol in Mosca il 18 ottobre 2018, nonché ogni altra documentazione relativa all’esecuzione dell’accordo illecito, anche al fine di identificare coinpiutamente tutti i soggetti coinvolti nella vicenda”, scrivono i magistrati in un altro passaggio delle motivazioni. Quanto al fatto che la registrazione fosse in lingua inglese, i giudici hanno fatto notare che lo stesso Savoini parlava in inglese.

3 anni da buttare - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 4 Ottobre

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Ci voleva il gup Clementina Forleo per sistemare in un colpo solo la Procura di Roma, il sistema renziano e i sottostanti giornaloni. Chi legge il Fatto non ne sarà stupito, visto che il caso Consip l’abbiamo sempre raccontato per quello che è: una doppia, gigantesca trama per pilotare il più grande appalto d’Europa in cambio di tangenti promesse al padre di Renzi e al suo galoppino; e poi, scoperti quei traffici dai pm napoletani Woodcock e Carrano e dal Noe, per rovinare l’indagine con fughe di notizie dal Giglio Magico ai trafficoni che smisero di trafficare e persino di parlare, facendo sparire le microspie da Consip. Chi invece seguiva lo scandalo sui tg e i giornali, si era fatto l’idea che pm e carabinieri eversivi avessero cospirato col Fatto per rovesciare il governo Renzi a colpi di false accuse, false intercettazioni, falsi verbali e false notizie contro quel martire di babbo Tiziano. Ora l’ordinanza del gup, che rinvia a giudizio i renziani Lotti, Vannoni, Russo e i generali Del Sette e Saltalamacchia per le soffiate sull’inchiesta, ma soprattutto proscioglie l’ex capitano Scafarto dalle accuse di falso e depistaggio, spazza via la più colossale fake news politico-giudiziaria mai vista dai bei tempi di Ruby nipote di Mubarak.

Lo scandalo Consip, come aveva ben capito la Procura di Napoli, erano le trame sugli appalti e le soffiate sull’indagine, non certo gli errori in buona fede di Scafarto né gli scoop di Marco Lillo, come volevano far credere la Procura guidata da Pignatone e i suoi house organ, più impegnati a indagare su chi aveva indagato e informato che su chi aveva trafficato. Ora qualcuno, se proprio non riesce a vergognarsi, dovrebbe almeno scusarsi. Scafarto, che coordinava l’indagine del Noe, fu scippato dell’inchiesta, poi indagato e addirittura interdetto dall’Arma: tutto perché, in un’informativa con migliaia d’intercettazioni, aveva invertito i nomi dell’imprenditore Romeo e del consulente Bocchino. Quella svista, che ora il gup giudica “sicuramente involontaria” (le trascrizioni erano corrette e l’ufficiale raccomandò ai suoi di rileggerle per evitare errori), gli costò l’accusa di falso e depistaggio e la fama di taroccatore di prove per “incastrare” direttamente Tiziano e indirettamente Matteo. I giornaloni abbandonarono i condizionali sempre usati per Lotti e babbo Renzi (anche su fatti assodati) e passarono all’indicativo, dando per certo il dolo del capitano. Repubblica titolò: “Due carte truccate”, “Così hanno manipolato le carte per coinvolgere Palazzo Chigi”. Ed evocò addirittura “la sentina dei giorni peggiori della storia repubblicana”.

Tipo il piano Solo, il golpe Borghese, la strategia della tensione, la P2. Carlo Bonini sentenziò che Scafarto “ha costruito consapevolmente due falsi”, una “velenosa polpetta” per incastrare i Renzis e “alimentare una campagna di stampa che, con perfetta sincronia e sapiente ‘fuga di notizie’ (lo scoop del Fatto, ndr)” doveva costringere la povera Procura di Roma a seguire quella deviata di Napoli. Le stesse fandonie uscirono quando Lillo fu indagato per violazione di segreto in combutta con Woodcock e la Sciarelli (poi prosciolti con tante scuse, anzi senza). Non contenta, Repubblica (col Corriere e il Messaggero) pubblicò un verbale taroccato del procuratore di Modena Lucia Musti contro Scafarto e il capitano Ultimo, che le avrebbero intimato di “far esplodere la bomba” Consip per “arrivare a Renzi”. Poi si scoprì che la Musti aveva detto tutt’altro. Da allora Renzi grida alla congiura contro il suo governo (peraltro caduto da solo, dopo la disfatta referendaria del 4 dicembre 2016, due settimane prima dello scoop del Fatto): “Lo scandalo Consip è nato per colpire me e credo che colpirà chi ha falsificato le prove per colpire il premier. Io lo so bene chi è il mandante”. E i migliori cervelli del Pd a ruota. Orfini: “Questo è il Watergate italiano, un caso di eversione, un attacco alla democrazia”. Zanda, Fassino, Nencini e il duo Andrea Romano-Mario Lavia: “Complotto”. E l’allora direttore di Repubblica, con grave sprezzo del ridicolo: “L’idea che sia possibile disarcionare un primo ministro o chiudere una carriera politica attraverso la manipolazione di intercettazioni e un uso sapiente delle rivelazioni ai giornali è sconvolgente… Resta la necessità di liberare le istituzioni da pezzi di apparati che, come troppe volte nella storia d’Italia, agiscono in modo deviato ed eversivo”. Parole degne di Sallusti, Feltri e Belpietro sui processi a B.: dalle “intercettazioni a strascico” alla giustizia a orologeria di Woodcock e Scafarto che nel “dicembre 2016, un mese politicamente decisivo per il Paese… decidono i tempi” e imbeccano il Fatto, che “avvisa della tempesta che sta per succedere… perché la bomba scoppi”.
Poi la bomba si rivela un’autobomba del Bomba. Il Watergate, un Water closed. Il Piano Solo, un Piano Sòla. E ora il gup scrive che gli unici depistaggi “volti a impedire il regolare corso delle indagini” sono quelli di “ambienti istituzionali vicini all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi”. Ma intanto il polverone ha sortito i suoi effetti, dirottando l’attenzione generale dal vero scandalo Consip a quello falso, consacrando i dogmi dell’Immacolato Pignatone e del peccato originale napoletano, e fiancheggiando la sterilizzazione dell’indagine. Che, per fortuna, è stata sventata dai due gip: la Forleo ha prosciolto Scafarto (salvo ricorsi dei pm in appello); e Gaspare Sturzo ha respinto la richiesta d’archiviazione per Tiziano e Romeo. Intanto si son persi tre anni: l’ordinanza di ieri riporta le lancette dell’orologio al Natale 2016, quando l’indagine passò da Napoli a Roma. Tutto quel che è stato fatto, detto e scritto da allora è carta straccia. Come ha sempre sostenuto il Fatto, in beata solitudine.

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