mercoledì 9 settembre 2020

Nuove intercettazioni, ecco cosa non funziona. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

Nuove intercettazioni, ecco cosa non funziona

In vigore dal 1° settembre.
Dopo sei rinvii e tre anni, alla fine la riforma delle intercettazioni di Andrea Orlando, fatta propria con numerose correzioni dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, entra in vigore. Il debutto è slittato (causa Covid-19) al 1° settembre. Data infausta per ovvie ragioni. Le Procure sono state impegnate in una corsa contro il tempo in pieno agosto con gli uffici a mezzo servizio. I capi delle Procure hanno emanato alcune circolari per spiegare ai pm come funziona concretamente l’uso delle intercettazioni nella nuova era. Il 6 luglio, il procuratore Francesco Greco, a Milano, ha scritto una direttiva di 10 pagine, il 10 luglio è intervenuto con una circolare di 13 pagine Giovanni Melillo a Napoli, mentre il 4 agosto, Roma ha emanato una nota del Procuratore Michele Prestipino e dell’aggiunto Paolo Ielo. La novità principale della normativa è l’Adi (Archivio Digitale delle Intercettazioni), nel quale saranno “conferite” tutte le intercettazioni, sia quelle rilevanti per il pm sia quelle che lo stesso ritiene irrilevanti. I difensori poi potranno a tempo debito ascoltare gli audio e chiedere di trascrivere, salvandole dalla distruzione, altre conversazioni ritenute utili. Sarà alla fine il giudice delle indagini preliminari a dire cosa va tenuto e cosa distrutto e il teatro di questo duello sarà la sala ascolto. A Roma, per esempio, sarà situata al piano terra della palazzina C di piazzale Clodio. I varchi di accesso saranno vigilati. Chiunque entri (avvocato o magistrato) sarà schedato e video-registrato e dovrà lasciare il telefonino in un armadietto. Niente foto al pc. Niente a che vedere con il regime attuale. I legali potevano estrarre comodamente una copia degli audio e delle trascrizioni che poi spesso (non solo da parte loro) finivano nelle mani dei giornalisti. La nuova legge mira a spezzare questo circuito, vizioso evidentemente per il legislatore ma talvolta virtuoso, come insegnano numerosi casi di cronaca da Consip in giù. Spesso le conversazioni definite irrilevanti dai pm non lo erano affatto per il pubblico. Solo grazie ai giornalisti – che spesso le vagliavano con maggiore attenzione – quelle intercettazioni riprendevano vita nel dibattito pubblico. Ora invece (vedi il pezzo accanto) andranno distrutte.
Ma come funziona l’iter per la separazione delle intercettazioni “buone” o “rilevanti” (da conservare) da quelle “cattive”, perché ritenute lesive o non inerenti all’indagine, invece da distruggere? Al termine delle operazioni di intercettazione o al massimo dopo la chiusura delle indagini preliminari (se e quando il giudice autorizza per ragioni di segretezza il differimento del conferimento all’archivio) tutti gli audio e i verbali di trascrizione dovranno sparire dalla circolazione ed essere travasati nell’archivio. Nella pratica la polizia giudiziaria va all’archivio con dischetti e pen drive per il travaso di file audio e verbali. Poi distrugge ogni copia e supporto.
Le regole valgono per tutti i procedimenti iscritti dal primo settembre. In teoria dovrebbe già essere in vigore. In pratica ci sono molti intoppi.
Il primo problema è il limite tecnologico delle attrezzature informatiche messe a disposizione dal ministero. Al Fatto risulta che – nelle prove tecniche di queste settimane – alcune intercettazioni si sono perse nel travaso all’archivio digitale.
Non solo. Per ora i sistemi adottati permettono di conferire nell’archivio e mettere a disposizione dei legali solo 5mila progressivi alla volta. Ogni progressivo corrisponde a una telefonata. Nelle indagini lunghe non è raro trovare un solo “bersaglio” telefonico che produce più di 100mila telefonate con conseguenti 20 riversamenti.
L’altro problema è quello delle postazioni di ascolto. Roma disporrà di una sala con 35 postazioni riservate agli avvocati, ma per esempio a Caltanissetta saranno solo 4 e a Perugia appena 2. Numeri esigui per i maxi-processi. Il rischio è che gli avvocati chiedano di ascoltare tutti insieme le intercettazioni di un fascicolo, facendo saltare il banco. Il ministero sta cercando le soluzioni al problema del tetto dei 5mila progressivi “travasati” al giorno: si dice che presto si dovrebbe arrivare a 17mila.
Un altro grande problema è la parolina “immediatamente”. La riforma appena entrata in vigore impone alla polizia giudiziaria di trasferire ai pm i risultati delle intercettazioni “immediatamente” dopo la fine delle operazioni. I tre capi delle Procure di Roma, Milano e Napoli propongono nelle loro circolari, con vari accenti, un’interpretazione della norma per addolcire quel termine. Conferire immediatamente dopo la fine dell’intercettazione su un telefono renderebbe difficile poi per la Polizia giudiziaria scrivere l’informativa per il pm. E così – per la circolare di Melillo – “l’espressione ‘immediatamente’ deve essere riferita alla chiusura delle complessive attività di intercettazione svolte nell’ambito del procedimento, in tale nozione dovendosi ricondurre non solo le operazioni di registrazione ma anche quelle concernenti la redazione dei verbali di trascrizione”. In pratica solo quando la Polizia trascrive l’ultimo verbale di intercettazione scatta l’obbligo di conferire e distruggere le copie.
La distruzione delle copie pone un altro problema: se il server salta o si brucia? Per il procuratore di Napoli Melillo, non ci sono eccezioni o dubbi per le ditte private che fanno le intercettazioni su delega dei pm: “Eseguito il conferimento e verificata la corretta esportazione dei dati nell’archivio digitale, il gestore procederà alla cancellazione dai propri server delle registrazioni e dei verbali conferiti, rilasciando conforme attestato, del quale si darà atto nei provvedimenti di liquidazione delle relative spese”.
Quindi non si potranno pagare le ditte se prima queste non rilasciano una quietanza della distruzione. La Procura di Roma nelle sue disposizioni interne più recenti ha tentato di salvare capra e cavoli: “Fino a nuova disposizione effettuato il conferimento i supporti mobili contenenti il materiale conferito sono custoditi presso l’archivio delle intercettazioni fino alla definizione del primo grado di giudizio”. Per qualche tempo quindi, anche se l’archivio digitale andasse distrutto, grazie a questa sorta di archivio fisico temporaneo dei supporti delle intercettazioni, a Roma qualcosa resterebbe. La Procura di Napoli, invece, è per la linea drastica e parla di “distruzione o formattazione dei supporti informatici utilizzati per l’esportazione dei dati”.
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Immaginate se i bianchi fossero neri. - Antonio Padellaro

SUDAFRICA: POLIZIOTTI NERI PICCHIANO STUDENTI BIANCHI – FOTO | Vøx
Immaginiamo la scena a parti invertite: due fratelli di origine africana che in un luogo qualunque del nostro Paese massacrano di botte un ragazzo italiano, esile, indifeso che ha visto un amico aggredito e cercava di proteggerlo. Immaginiamo i dibattiti incendiari nei talk televisivi (soprattutto in alcuni) sull’invasione incontrollata e selvaggia di chi non contento di toglierci il lavoro ci toglie anche la vita (oltre naturalmente a contagiarci con i virus più esiziali).
Immaginiamo le fiaccolate di protesta contro chi non ha impedito l’orrendo pestaggio (il governo complice). Immaginiamo le accuse contro gli amministratori imbelli (se il sindaco del luogo fosse progressista). E le accuse degli amministratori “lasciati soli”, rivolti contro il governo complice e imbelle (se il sindaco del luogo fosse patriottico). Immaginiamo i commenti indignati dei cittadini: quelli erano bestie, dovevano arrestarli prima ma spacciavano, facevano paura e forse c’è chi li proteggeva. Immaginiamo le polemiche sulle tare animalesche (e sulle culture sanguinarie) di determinate etnie.
Immaginiamo cosa urlerebbero certi politici di una certa parte, se alla vigilia di importanti elezioni amministrative fossero avanti nei sondaggi. Immaginiamo cosa balbetterebbero certi politici della parte avversa se alla vigilia di importanti elezioni amministrative fossero indietro nei sondaggi. Immaginiamo le risse da pollaio nei suddetti talk, con le reciproche accuse di razzismo e di buonismo (quelle ci saranno sempre e comunque, se fanno ascolti).
Ma no, chiedo scusa, questo è soltanto un vaneggiamento privo di senso. È un paragone assurdo, improponibile e anche offensivo. Come (leggiamo sui giornali) avrebbe detto qualcuno vicino ai fratelli Bianchi (!), a proposito di Willy Monteiro Duarte, 21 anni, picchiato a morte domenica scorsa a Colleferro: “In fin dei conti cosa hanno fatto? Niente. Hanno solo ucciso un extracomunitario”.
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Il sorriso di Willy. - Tommaso Merlo



Un sottomondo vuoto e malato ha spento il sorriso di Willy. Superficialità aberranti. Egoismo estremo. Il culto della violenza. Anni della propria vita spesi in una palestra ad imparare come colpire altri esseri umani. Anni della propria vita spesi a sfogare le proprie frustrazioni a calci e pugni. Nell’illusione di sconfiggere quel vuoto che ti punge dentro. Nell’illusione di sconfiggere quei nemici immaginari che vedi ovunque là fuori senza renderti conto che sei te stesso il tuo peggior nemico. Poi finalmente il sabato sera. Poi finalmente essere umani invece che pungiball e una piazzetta piena di pubblico come ring. Un degno palco su cui mostrare la propria forza fisica. Pescando un avversario a caso nel mucchio e scaricandogli addosso i propri fallimenti esistenziali. Colpi precisi, potenti. Al volto e al corpo. Per far male, per sentire il piacere del potere. Il potere di dominare il tuo avversario del momento. Il potere di sentire la sua vita nelle tue mani. Il potere di terrorizzarlo e con lui tutto il pubblico che osserva le tue abilità da picchiatore, da guerriero. E guai a chi osa contenere quella ferocia, guai a chi osa intromettersi ribellandosi a quegli attimi di delirio egoistico. Può essere fatale. Attimi adrenalina. Attimi di follia. Sfogo del proprio malessere profondo alla ricerca di senso dove di senso non ce n’è neanche un grammo e non ce ne sarà mai. Il culto dell’apparenza. Mode, tendenze. Vestiti e accessori che qualificano chi sei. Il tuo rango, la tua tribù, la tua missione. Scempiaggini adolescenziali che si trascinato per tutta la vita. Abiti senza dentro nessun monaco. Il culto del proprio corpo. Anni della propria vita spesi in palestra fino a sformarsi grottescamente. Anni della propria vita spesi in qualche centro estetico. Muscoli, tatuaggi, abbronzature, creme, peli. Anni passati allo specchio a gonfiare bicipiti e pettorali e provare nuove espressioni e pose da duro e da belloccio e da uomo vero o presunto. Miliardi di foto scattate sulla propria faccia. Da soli e in branco. Di continuo. Testando nuovi look e nuove location per aggiungere dettagli e sfumature al nulla più totale che ti divora. Apparenza che la modernità ha trasformato in un tutto di cartone. Miliardi di foto da scattare e poi selezionare e poi postare con cura sui social. La propria protesi esistenziale. La propria maschera digitale. Là dove si esibisce il tuo personaggio alla disperata ricerca di ammirazione, di consenso, di appartenenza, di identità. Miraggi. Drammaticamente futili. Fans, followers. L’opinione degli altri che determina perfino quella che hai di te stesso. L’opinione degli altri che determina chi credi di essere e chi alla fine ti riduci ad essere. Pollicini alzati, sorrisini, like. Alla spasmodica ricerca di una scappatoia alla mediocre vita quotidiana in cui sei incastrato. Alla ricerca di popolarità e successo e perfino di un biglietto d’ingresso per il paradiso. Per quel mondo vippato che però è anch’esso solo un miraggio, solo apparenza. E che è anch’esso vuoto. Luccicante, dorato, lussuoso, costoso. Ma sempre dannatamente vuoto. Un vuoto che fa male e che bisogna sedare in qualche modo. Riempiendolo con qualche sostanza e con qualche persona. Riempendolo con delle cose o dei soldi. Riempiendolo col feticismo del proprio corpo e della propria immagine. Oppure scappando da qualche parte. A perdere tempo o a lavorare. Oppure indossando la maschera del proprio personaggio digitale il sabato sera e scendendo in piazzetta. A sfogare violentemente i propri fallimenti esistenziali contro un povero ragazzo. Fino a spegnere per sempre il suo sorriso.

https://repubblicaeuropea.com/2020/09/09/il-sorriso-di-willy/

È tornato Il Male. - Marco Travaglio

Fandonie d'Italia: zero crescita del Pil e 5 milioni di poveri |  Internettuale
Scorrendo la mazzetta dei quotidiani, cresce il dubbio che sia tornato Il Male con i suoi falsi d’autore, tipo “Arrestato Ugo Tognazzi: è il capo delle Br”. Avete presente la direzione del Pd sul referendum? Era descritta come una conta drammatica dall’esito incertissimo, una tonnara all’ultimo sangue tra Sì e No in un partito diviso a metà, spaccato, dilaniato, sull’orlo della scissione e della cacciata del segretario. La Stampa: “Referendum, l’imbarazzo del Pd: il partito quasi costretto al Sì. Tantissime voci critiche”. Sapete com’è finita? 188 Sì e 13 No (i superstiti delle tantissime voci critiche, soffocate nottetempo nel sangue). Del resto sarebbe stato ben curioso se il Pd, favorevole al taglio da quando si chiamava Pci, promotore nel 2008 di un ddl identico a quello del M5S (200 senatori e 400 deputati) se non per le firme in calce (Zanda e Finocchiaro), che un anno fa aveva votato la riforma alla Camera con tutti gli altri, se la fosse rimangiata. Ma l’inconsolabile Riportino Folli non ci vuole stare e riattacca su Repubblica la tiritera del “gran numero di esponenti di primo piano per il No” (13 a 188) e si consola con “i miliardi del Mes sanitario al più presto”, che non c’entrano una mazza e in Europa non vuole nessuno (tranne forse Cipro).
Libero: “Il Pd è così malmesso che basta Zingaretti a fargli ingoiare il Sì”, ma fra indicibili “sofferenze, mal di pancia e difficoltà” (188 a 13). Il manifesto: “Il sofferto Sì di Zingaretti” (188 a 13). La Stampa: “La sofferenza dei referendum” (188 a 13). Una sofferenza quasi pari a quella di Mattarella, “seccato” (l’ha saputo il Messaggero) perché Conte, rispondendo a una domanda alla festa del Fatto, ha osato dire che è un ottimo presidente e, se volesse, lo sarebbe anche in un secondo mandato: bella “seccatura”. Sul Riformista Emma Bonino vuole “salvare la democrazia da questo scempio populista”: vedi mai che tagliando i parlamentari lei resti fuori dopo appena 9 legislature (più 4 europee). Sul Messaggero Carlo Nordio spiega che il referendum sarà “senza vincitori né vinti” (quindi non vince il Sì o il No) e “comunque il Parlamento subirà conseguenze impreviste, forse il suo stesso scioglimento” (certo, come no). Il Corriere intervista un fake di Zanda, che dichiara restando serio: “Se oggi il referendum riguardasse la mia proposta del 2008 voterei ugualmente No”, cioè l’altro Zanda gli fa proprio ribrezzo. Dev’essere un fake pure il Galli della Loggia intervistato dalla Verità: “Mattarella non doveva dare l’incarico a uno sconosciuto senza identità”, cioè a Conte, indicato due volte in due anni dalla maggioranza parlamentare; la prossima volta incarichi Galli della Loggia, noto frequentatore di se stesso.
Poi c’è il piano per il Recovery Fund: da mesi leggiamo che “il governo è in ritardo” (rispetto a cosa non si sa: la consegna è a ottobre) e non ha progetti, ma solo vecchi “fondi di magazzino per svuotare i cassetti”. Ora scopriamo sul Messaggero che “Parte l’assalto ai fondi Ue. Già ‘sforati’ i 209 miliardi”: cioè i progetti sono troppi. Il “ritardo” fa il paio con quello delle scuole, che riaprono il 14 settembre (a parte il Trentino che anticipa e la Campania che ritarda, come peraltro ogni anno), ma tutti ne scrivono come se fossero già spalancate da settimane. E ovviamente non funziona nulla (Repubblica: “Scuola, partenza a metà”): studenti seduti su casse dell’ortofrutta e soffocati da mascherine di plexiglass, cattedre di cartapesta occupate da passanti presi a caso per insegnare, genitori a rotelle che inseguono la Azzolina e Arcuri, cose così. Intanto la Raggi s’è lasciata sfuggire nientemeno che il Tribunale dei Brevetti (ha solo tutti i ministeri e tutte le ambasciate) e la finale di Coppa Italia (senza pubblico: slurp): “Roma, capitale delle occasioni perse”, “Ennesimo schiaffo per una città senza più appeal” (Repubblica), “Il disinteresse della Raggi per la città che governa” (Messaggero).
Il Corriere si arrapa ogni giorno per “il piano segreto” di metà febbraio sul Covid “ignorato” e “negato” dal governo: peccato che non sia segreto (se ne parla da fine marzo) e non sia un piano sul Covid, ma uno studio-oroscopo con vari scenari fino a 66mila morti (per fortuna evitati proprio perché il governo non lo ignorò). Salvini scrive al Corriere per chiedere spiegazioni dal governo, ma non si capisce bene su cosa: difficilmente uno che attacca Conte per aver disposto il lockdown del 10 marzo (con 631 morti, 10mila infetti e 5mila ricoverati) può rinfacciargli di non averlo fatto a metà febbraio (con due contagiati in tutt’Italia e zero morti); e poi si scopre che il “piano nascosto alle Regioni” fu consegnato a Speranza dal delegato nel Cts della Lombardia (Matteo, ritenta: sarai più fortunato). L’unico che non ha ancora capito niente è Fontana, che sul Giornale deduce dai verbali del Cts che “avevamo ragione noi” e “la Lombardia ha sempre detto la verità” (in quei verbali c’è di tutto, tranne quello che dice lui, ma poi con calma sua moglie e suo cognato glielo spiegano). Seguono, sul Giornale, i consueti pronostici sulla caduta di Conte, che da due anni ha i minuti contati: sfumate per ora le opzioni Draghi, Franceschini, Giorgetti, Di Maio, Sassoli, Bertolaso, Guerini e forse Scalfarotto, ora si scalda “Gualtieri per il dopo Conte”. Se tornasse Il Male con un falso giornalone dal titolo “Arrestato Gigi Proietti: è il capo dell’Isis”, tutti commenterebbero: “Embè?”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/09/e-tornato-il-male/5925407/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-09-09

Colleferro, la decisione del gip: restano in carcere tre degli indagati per la morte di Willy Monteiro, uno va ai domiciliari.

Colleferro, la decisione del gip: restano in carcere tre degli indagati per la morte di Willy Monteiro, uno va ai domiciliari

Convalidata la detenzione a Rebibbia dei fratelli Marco e Gabriele Bianchi e di Mario Pincarelli, mentre Francesco Belleggia va agli arresti domiciliari. La decisione del gip di Velletri arriva dopo gli interrogatori di garanzia svolti ieri, durante i quali proprio Belleggia avrebbe fornito una ricostruzione diversa rispetto a quella dei suoi compagni.

Restano in carcere tre dei quattro giovani arrestati con l’accusa di concorso in omicidio preterintenzionale per la morte di Willy Monteiro Duarteil ragazzo di 21 anni ucciso a calci e pugni a Colleferro nella notte tra sabato e domenica. Per i fratelli Marco e Gabriele Bianchi e Mario Pincarelli è stata convalidata la detenzione in carcere, mentre Francesco Belleggia va agli arresti domiciliari. La decisione del gip di Velletri arriva dopo gli interrogatori di garanzia svolti ieri nel carcere di Rebibbia. Proprio Belleggia di fronte ai pm avrebbe detto di aver visto uno dei fratelli Bianchi colpire Willy. Difeso dall’avvocato Vito Perugini, ha fornito una versione dei fatti totalmente differente da quella messa a verbale dagli altri tre ragazzi, che invece asseriscono di non aver “nemmeno toccato” il 21enne. Stando alla sua ricostruzione, tra gli amici di Willy e il gruppo di Artena – di cui facevano parte i presunti assassini – è scoppiata una rissa “alla Trainspotting”. Poi, all’arrivo dei fratelli Bianchi, sarebbero volati calci e pugni a colpi di karate che hanno portato alla morte del 21enne.
L’indagine, in attesa dei risultati dell’autopsia che potrebbero portare a cambiare l’ipotesi di reato (da omicidio preterintenzionale a volontario), si concentra proprio sugli ultimi minuti di vita di Willy. Quel che è certo finora è che tutti i ragazzi hanno ammesso la loro presenza in via Oberdan, a Colleferro, nella notte tra sabato e domenica. Anche perché, nonostante le telecamere di sorveglianza non siano riuscite a riprendere la scena, uno degli amici di Willy li ha immortalati con il telefonino. La lite tra i due gruppi comincia in realtà qualche ora prima dell’uccisione del 21enne. Una delle ipotesi è che a innescare tutto sia stato un commento sui social sotto la foto di una ragazza. Dallo scontro verbale si è passati alle mani una volta che le due comitive sono uscite dal pub. È a questo punto che Pincarelli e Belleggia avrebbero chiamato al telefono i fratelli Bianchi per chiedere supporto. E loro non si sono tirati indietro.
Cosa è successo nei dieci, venti minuti seguenti è ancora tutto da chiarire. Secondo il quotidiano La Repubblica, Belleggia ha raccontato ai magistrati che a sferrare il colpo mortale al giovane è stato Gabriele Bianchi, mettendo in pratica la sua esperienza nel campo delle arti marziali. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, invece, che cita alcune testimonianze raccolte dai carabinieri, sarebbe stato Belleggia a sferrare un calcio “da karate” al volto del ragazzo prima di andare via a bordo di un Suv insieme agli amici. Neanche mezz’ora dopo le forze dell’ordine li trovano ad Artena, nel locale del fratello maggiore dei Bianchi, mentre prendono il caffè e li conducono in caserma.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/09/colleferro-la-decisione-del-gip-restano-in-carcere-tre-degli-indagati-per-la-morte-di-willy-monteiro-uno-va-ai-domiciliari/5925613/

"Aspetto un bambino e penso alla famiglia di Willy". Parla la compagna di Gabriele Bianchi.

Marco e Gabriele
Marco e Gabriele Bianchi

“Aspetto un bambino, sto diventando madre e il mio pensiero va alla famiglia del ragazzo che non c’è più”. La voce pacata, eppure distrutta: così all’Adnkronos Silvia Ladaga, compagna di Gabriele Bianchi e incinta di suo figlio, racconta lo stravolgimento di questi giorni. Dal suo momento più bello, in attesa del primo figlio, all’incubo dell’arresto del suo compagno, Gabriele Bianchi.
“La giustizia farà il suo corso, la verità verrà fuori - dice - ma c’è un accanimento fortissimo verso le famiglie dei protagonisti di questa storia. La prima vittima di tutto questo è Willy che non c’è più e la sua famiglia. Poi ci siamo noi - conclude l’ex candidata alle Regionali del Lazio con Forza Italia - che non c’entriamo nulla e stiamo subendo minacce di morte pesantissime”.
https://www.huffingtonpost.it/entry/parla-la-compagna-di-gabriele-bianchi_it_5f57be3fc5b646e33662129f?ncid=other_trending_qeesnbnu0l8&utm_campaign=trending
Che quest'essere infimo finisca in galera è una fortuna per la sua compagna. Un tizio che aspetta un figlio è un irresponsabile se, di notte, invece di stare a casa con la compagna in attesa di un figlio, va in giro a cercare rogne per fare a cazzotti.
Un tizio, oltretutto, che dimostra anche di essere un vigliacco se, in compagnia di altri energumeni al pari suo, prende a calci e pugni un ragazzino inerme fino ad ammazzarlo.
In un mondo civile sono loro gli "immigrati"!!!
by C. 

Figlio di una società malata. - Massimo Erbetti

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Si chiamava Willy, poteva essere mio figlio, poteva essere nostro figlio. Sicuramente era figlio di una società malata, una società che continua girarsi dall'altra parte e se non lo fa, fa finta di non vedere e non sentire. Willy invece non si è girato dall'altra parte, lui ha guardato ed è intervenuto e questo gli è costato la vita.
Poteva essere mio figlio, poteva essere nostro figlio...alcuni giornali scrivono che purtroppo si "trovava nel posto sbagliato, al momento sbagliato"...nel posto sbagliato? Nel momento sbagliato? Ecco di tutte le cose scritte, dei commenti razzisti, delle ingiurie verso questo ragazzo, questa frase è quella che mi ha impressionato di più..."nel posto sbagliato, al momento sbagliato"...noi non vogliamo vedere...non vogliamo esserci...noi preferiamo esser altrove, girarci dall'altra parte, far finta che certe cose non accadano. Lo facciamo di continuo: lo facciamo quando permettiamo ai nostri politici di spargere odio...quando tolleriamo frasi discriminatorie sui social, quando non isoliamo i razzisti, i violenti, gli odiatori seriali. Non so voi, mai io mi sento responsabile di quanto accaduto...si chiamava Willy, ma poteva chiamarsi Andrea, Marco, Giovanni, Federico, essere mio figlio...un ragazzo che non si è girato dall'altra parte, un ragazzo che ha visto un atto violento e invece di farsi i "fatti suoi", ha agito per salvare chi era in difficoltà e ci ha rimesso la vita, ucciso da un branco di bestie inferocite. Quelle bestie che noi facciamo finta di non vedere, che tolleriamo...come tolleriamo le altre bestie che hanno commentato l'accaduto:
“Willy Monteiro Duarte era solo un immigrato“.
"Come godo che avete tolto di mezzo quello scimpanzé".
"Ah piccolo Willy, che ci facevi alle 2 di notte in giro? Tu non sei piccolo, sei piccolo di età, ma già sei uno scafato".
"È morto per sua scelta" .
"Piccolo Willy, come questi str***etti che a mezzanotte stanno ancora la Mcdonald’s in giro, bambini di 15 anni, se fate sta fine, è normale. Bambino, a casa a giocare. Non bambino a mezzanotte in giro, se no muore"
"Per me sempre immigrato sei, perché in Italia non esistono persone nere. Rimarrai sempre un immigrato, anche se hai una cittadinanza. Per me sei italiano quando sei bianco".
Ecco, questi sono i commenti di gente malata, malata di odio, rancore, razzismo, che con queste frasi, ha ucciso Willy una seconda volta.
È arrivato il momento di dire basta, di agire, di non girarsi dall'altra parte, il momento di denunciare...sempre e comunque...il momento di non sottovalutare...qualcuno ha anche detto: "gente esaltata, ma hanno dei valori"...hanno dei valori? Quali valori? Ma quali valori mi domando io, che valori può aver chi uccide qualcuno a calci e pugni? Un pestaggio di venti minuti e qualcuno parla di valori?
Siamo una società malata e Willy un eroe...un eroe morto per non essersi girato dall'altra parte. Impariamo da Willy, non giriamoci dall'altra parte e così forse, non avremo altri eroi da piangere.


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