La provetta. La percentuale nell’urina è verosimile?
Doping o complotto, colpevole o vittima: il caso Schwazer continua. Persino la scienza, che di solito accetta solo numeri e certezze, non ammette opinioni, stavolta si smarrisce. Non si tratta più nemmeno di stabilire se l’urina di quella maledetta provetta fosse sua, e se in quell’urina ci fosse del testosterone. Questo ormai è assodato. Il problema è che di Dna di Alex ce n’era pure troppo: un valore così alto da far dubitare della sua autenticità. Neanche la perizia decisiva del Ris di Parma è riuscita a risolvere uno dei più grandi misteri sportivi della storia.
La vicenda risale al 2016, alla vigilia delle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Alex Schwazer, oro a Pechino 2008, beccato positivo all’Epo a Londra 2012, è tornato alle corse sotto la supervisione di Sandro Donati, medico contro il sistema che dello sport pulito ha fatto un credo di vita. È più in forma che mai, vince la 50 km nei Mondiali a squadre a Roma, è pronto a riprendersi l’oro olimpico, quando il 22 giugno arriva la notizia choc: di nuovo positivo, in un controllo a Capodanno che a una più approfondita analisi ha rivelato microtracce di testosterone.
Squalificato dalla giustizia sportiva, Schwazer è indagato a Bolzano con l’accusa di frode sportiva. In questi quattro anni, le istituzioni internazionali hanno fatto tutto il peggio possibile per alimentare il sospetto di un complotto: gravi mancanze nella custodia dei campioni, violazione dell’anonimato sul controllo, l’incredibile rifiuto di consegnare la provetta B delle controanalisi alle autorità italiane (il laboratorio di Colonia ha provato a rifilare un altro campione, non sigillato, prima dell’intervento del giudice). Come se non bastasse, è saltata fuori una mail riservata in cui il capo dell’antidoping mondiale, Thomas Capdevielle, utilizza la parola plot (“complotto”, appunto) associata alle iniziali “A.S.”.
Lui, per conto suo, si è sempre proclamato innocente. La difesa, inizialmente ondivaga, è diventata forte quando si è scoperto il valore di Dna nella provetta incriminata: circa 1.200 picogrammi per litro, che considerando il decadimento nel corso del tempo nel 2016, al momento del prelievo, avrebbero dovuto essere addirittura 11mila. Cifra sbalorditiva, ai limiti della realtà. Secondo i legali, la prova che qualcuno avrebbe aggiunto Dna per coprire la manipolazione. Ed è a questo punto che il giudice Pelino affida al Ris di Parma una perizia su cui ormai verte l’intera inchiesta: comparare Schwazer a altri soggetti, per capire se quel valore è o non è scientificamente possibile. Se lo è, non c’è motivo di non credere che l’atleta fosse dopato; altrimenti qualcuno ha alterato l’urina per farlo risultare tale.
Nella “popolazione” esaminata sono emersi valori bassi, quasi sempre sotto quota mille, mediamente molto distanti da Schwazer, che hanno portato il colonnello Giampietro Lago a concludere che quella provetta è “anomala”. Nella perizia, però, c’è anche un altro dato trascurato dai media, subito pronti a saltare alla conclusione dello scandalo. Esiste almeno un caso che si avvicina a Schwazer: il campione 109, di 8.762 picogrammi, in fondo non così lontano dagli 11mila stimati per l’atleta.
Quanto basta per Emiliano Giardina, professore all’Università di Tor Vergata e consulente della Federazione mondiale, per affermare che “all’esito di esperimenti basati su numerosità così esigua, non è possibile escludere che la quantità di Dna nell’urina del sig. Alex Schwazer sia riscontrabile in natura”. Così verrebbe meno la teoria della manipolazione, su cui al di là dell’inaccettabile comportamento di Wada e Iaaf la difesa non ha mai potuto fornire alcuna prova, nemmeno un indizio, su come sarebbe avvenuta e da parte di chi.
Per gli accusatori , la sola certezza è che nel campione B, sigillato e presentato nel contraddittorio delle parti, è stata trovata una sostanza dopante e un unico Dna: quello di Schwazer. È un fatto stabilito dalla preziosa perizia del Ris, che però aggiunge anche altro: statistiche alla mano, per il colonnello Lago quel valore “è una assoluta anomalia: inverosimile dal punto di vista fisiologico, possibile mettendo in campo la patologia”.
Per spiegarlo (e quindi inchiodare Schwazer) sul tavolo resta l’ipotesi che l’atleta all’epoca avesse una qualche infezione che ha sballato i numeri (oppure che sia stato proprio il testosterone a farlo, ma su questo non ci sono prove). Altrimenti non rimane che la manipolazione. Nemmeno la perizia però è stata decisiva: quel valore è anomalo, non del tutto impossibile. L’incidente probatorio si è concluso così. Ora il procuratore Bramante deve decidere se mandare a giudizio o archiviare. La verità ancora non esiste.