martedì 29 dicembre 2020

I tg deprimenti e la nostalgia della tv di Biagi. - Antonio Padellaro

 

Il Covid è pessimo ma a peggiorarlo concorrono i tg e non soltanto, come dice Massimo Cacciari a La Verità, per “il martellante bollettino di guerra che sfianca la gente e butta a terra il morale” (lui non fa certo mancare il suo contributo). Abbiamo fatto anche l’abitudine alla deprimente sfilata serale delle figurine partitiche. Quelle che in occasione della pausa natalizia ricorrono alla panchina lunga con dei tizi riconoscibili solo ai propri affetti stabili, chi afflitto da alopecia invasiva e chi intubato nella mascherina (non manca mai Nicola Fratoianni di Sinistra italiana, la cui presenza resta rassicurante come il pastorello nella Grotta). Sui contenuti dei dichiaranti non ci soffermeremo se non per segnalare le due categorie che sostanziano le polemiche di giornata. “Si dimetta e si vergogni”, se “insorge l’opposizione”. “Chieda scusa e si vergogni”, se “insorge la maggioranza” (tutti i tg usano il medesimo format).

Tale scambio insurrezionale di vergogne evidenzia nel personale politico di ogni livello l’inclinazione a pontificare, senza mai azzardare uno straccio di argomento che uno. Mentre in studio si rifugge da qualsiasi valutazione nel merito, come se l’esercizio della ragion critica equivalesse ad afferrare un tizzone ardente a mani nude. O forse soltanto per pigrizia. Sono le occasioni nelle quali cresce il rimpianto per il giornalismo televisivo di Enzo Biagi, Ezio Zefferi (scomparso in questi giorni), Andrea Barbato, per citarne alcuni soltanto. Prendiamo la comica distribuzione dei regali ad uso social dell’uomo dei pacchi Matteo Salvini. Oppure la genialata vaccinale del presidente campano Vincenzo De Luca, più Crozza di Crozza ogni giorno di più. Pensate a cosa ne avrebbero ricavato di intelligente e di brillante il Fatto di Biagi, o la Cartolina di Barbato. Altro che vegetare con i “si dimetta” e con i “chieda scusa”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/29/i-tg-deprimenti-e-la-nostalgia-della-tv-di-biagi/6050006/

Verdini e le visite in carcere: da Salvini a Renzi, politici in processione a Rebibbia.

 

Se il saluto del segretario leghista al "suocero" appare scontato, meno ovvio è quello del leader di Italia Viva proprio nei giorni in cui soffiavano venti di crisi.

Sarà che spira aria di crisi di governo, ma è un fatto che tra il 23 e il 24 dicembre molti politici sono andati a trovare Denis Verdini, 69 anni, fiorentino, recluso nel carcere di Rebibbia dal 3 novembre, dopo la condanna a sei anni e sei mesi per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino. Una processione bipartisan, che va da Matteo Salvini a Matteo Renzi e Luca Lotti, passando per diversi esponenti del centrodestra.

Se, di fatto, la visita di Salvini appare piuttosto scontata, dal momento che il leader leghista è fidanzato da due anni con la figlia di Verdini, Francesca, meno ovvia invece è quella del leader di Italia viva. Che forse ha sentito il bisogno di consultarsi con il banchiere ed ex senatore proprio nei giorni in cui teneva il premier Conte con le spalle al muro sul Recovery fund minacciando la crisi. Singolare anche la visita di Luca Lotti: il deputato renziano, già ministro dello Sport, ma rimasto nel Pd (a suo tempo motivò la sua scelta di non trasferirsi nel partito di Renzi perché "il frazionismo mina la credibilità in politica") è tra i personaggi coinvolti nel caso Consip, assieme a Tiziano Renzi (padre di Matteo) e lo stesso Verdini.

A portare un saluto a Verdini, che nel frattempo si è fatto crescere una lunga barba bianca, anche molti ex compagni di centrodestra come Ignazio Larussa, Daniela Santanché, Maurizio Lupi e Renata Polverini. Ma anche il re delle cliniche romane e forzista Antonio Angelucci.

Come accennato la condanna per Verdini per la bancarotta dell'ex Credito cooperativo fiorentino è diventata definitiva il 3 novembre. lI giudici della Quinta sezione penale della Cassazione, presieduta da Paolo Antonio Bruno, hanno confermato la condanna a più di sei anni inflitta in Appello, ad eccezione di quattro mesi caduti per prescrizione. I supremi giudici non hanno accolto quindi la richiesta del sostituto procuratore generale della Cassazione che aveva chiesto per Verdini un nuovo processo d'Appello in relazione ad alcuni capi di imputazione.

https://www.repubblica.it/politica/2020/12/28/news/verdini_e_le_visite_in_carcere_da_salvini_a_renzi_politici_in_processione_a_rebibbia-280149938/

Io credo che uno dei motivi che spingono alcuni personaggi a fare visita al condannato Verdini, sia il fatto che lui sappia tutto di loro e che, pertanto, potrebbe distruggerli politicamente e legalmente.
Verdini è la vittima sacrificale provvista di un grande potenziale, quello di tenere in pugno personaggi da lui addestrati che risiedono in parlamento e che, a loro volta, in virtù dei "consigli" ed "aiuti" ricevuti, hanno il compito di portare a termine i programmi preventivamente pattuiti, quelli, cioè, meno graditi ai cittadini in quanto imposti da chi detiene il potere economico; per cui, alla prima inadempienza del contratto, scatta la ritorsione...
E, per evitare e bloccare la ritorsione, è necessario munirsi di spiegazioni che dimostrino, senza ombra di dubbio, i motivi del ritardo dell'adempienza. 
Renzi, conscio del suo scarso seguito, lo fa pubblicamente, lapalissianamente, (della serie: lo faccio a te, ma è per farlo sapere a mia suocera) ostacolando il governo. 

Verdini, a mio parere, è l'altra faccia della politica quella che perde il suo onorevole significato di arte di governare, per cui, chi si rivolge a lui per consigli e suggerimenti, è l'esempio del politico da non supportare.
cetta.

Recovery, Renzi: “Piano di Conte giustizialista, no alla prescrizione”. Ma è l’Europa che ha chiesto più volte all’Italia di riformarla. -

 

Per attaccare il governo e provare a dividere la maggioranza il leader d'Italia viva ha tirato fuori la prescrizione, che nelle bozze del piano Next generation Ue è citata solo 4 volte visto che è in vigore dal gennaio scorso. A chiederci la riforma è stata per anni la Commissione Europea ma l'argomento è fonte di attrito tra il Pd e i 5 stelle. Come il Mes, altro argomento sul quale l'ex premier sta puntando per provare a creare crepe nell'esecutivo.

Matteo Renzi sostiene che il Recovery plan preparato dal governo di Giuseppe Conte sia un piano “impregnato di cinquestellismo giustizialista nel momento in cui si parla della prescrizione”. Un attacco a testa bassa quello del leader d’Italia viva, che al Senato ha presentato una sorta di piano alternativo preparato dal suo partito. “Noi partiamo dalla cultura: no al manettarismo di seconda mano di alcuni membri di questa coalizione”, dice il senatore di Firenze. Ma a cosa si riferisce? La bozza del Recovery cosa c’entra col “cinquestellismo giustizialista“? E perché il leader d’Italia viva parla ancora di prescrizione, che è una riforma approvata nel gennaio del 2019 ed entrata in vigore in quello successivo, quindi prima dell’esplosione della pandemia?

E infatti la prescrizione con il Recovery plan c’entra davvero poco. A chiederci di riformare l’istituto giuridico che fava evaporare processi dopo un certo periodo di tempo è da anni l’Europa. Il motivo? Sono più di uno. “Il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione”, perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado“. E quindi se “la questione non sarà affrontata, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”, scriveva la Commissione Europea nell’ultimo richiamo formale al nostro Paese. Era il 2017, Paolo Gentiloni sedeva a Palazzo Chigi e per l’Italia arrivava l’ultima grande bocciatura sul tema della prescrizione. L’anno dopo il primo esecutivo guidato da Conte ha iniziato a studiare una riforma che rispondesse a quanto da Bruxelles chiedevano da anni. Una legge che tra mille polemiche sarebbe poi entrata in vigore durante il secondo governo di Conte, quello dei 5 stelle e del Pd. E del quale farebbe parte lo stesso Renzi.

Il condizionale è d’obbligo visti i toni usati negli ultimi giorni dal leader d’Italia viva. Che forse non a caso ha tirato fuori la prescrizione per creare divisioni all’interno della maggioranza: si tratta infatti di una riforma che ha creato più di qualche attrito tra i 5 stelle e il Pd tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Un po’ come il Mes, altro argomento che divide le due principali forze di governo, e sul quale Renzi ha furbamente puntato nelle ultime settimane. Lo stesso si può dire per la giustizia. La miccia che ha infiammato l’ex segretario del Pd è rappresentata da un paragrafo del piano Next generation Ue. Una parte neanche troppo estesa: solo undici di pagine (su 125) sono dedicate alla riforma della giustizia. Non c’entra niente il “manettarismo” ma invece il fatto che tutti i Recovery plan dei Paesi Ue devono rispettare i rigidi paletti fissati dalla Commissione europea. Regole necessarie per assicurare che i 750 miliardi del Next generation Eu raggiungano gli obiettivi stabiliti da Bruxelles. Ma non si tratta solo di “paletti” generali: ogni Paese è anche tenuto a proporre misure con cui “affrontare efficacemente” i punti deboli rilevati dal Consiglio nelle sue raccomandazioni specifiche pubblicate ogni anno. Per l’Italia la lista è lunga: al primo posto c’è la lentezza della giustizia, soprattutto quella civileSecondo l’ultima stima del Cepej, la commissione europea per l’efficacia della giustizia del consiglio d’Europa, in alcuni casi i processi più lenti dell’intera Unione sono quelli che si celebrano nei tribunali italiani.

E infatti nel Recovery plan di Conte la riforma della giustizia è considerata una riforma “abilitante” di sistema. “Vogliamo rimuovere i principali ostacoli che impediscono al Paese e al suo ricco tessuto imprenditoriale di crescere come sa e può fare. Questo vuol dire innanzitutto affrontare con determinazione alcune riforme essenziali: quella della giustizia civile e penale, per garantire un’effettiva tutela dei diritti e degli interessi attraverso procedimenti snelli e processi rapidi”, è il preambolo del dossier preparato dall’esecutivo. Il governo spiega che “la tempestività delle decisioni giudiziarie è elemento essenziale per le imprese, per gli investitori e per i consumatori. Nelle loro decisioni di investimento, le imprese hanno bisogno di informazioni certe sul quadro regolamentare, devono poter calcolare il rischio di essere coinvolte in contenziosi commerciali, di lavoro, tributari o in procedure d’insolvenza; devono poter prevedere tempi e contenuti delle decisioni. Ad essere svantaggiate sono soprattutto le imprese di minori dimensioni, particolarmente esposte agli effetti negativi di una giustizia inefficiente”. Vuol dire che una giustizia veloce attrae investimenti, mentre una lenta, farraginosa e che non funziona li respinge.

Nella bozza dell’esecutivo si riportano i dati di uno studio condotto da Cer-Eures: “Si evidenzia che lentezze ed inefficienze della giustizia ci costano 2,5 punti Pil, pari a circa 40 miliardi di euro. Alcuni autori ritengono che una riduzione della durata delle procedure civili del 50 per cento accrescerebbe le dimensioni medie delle imprese manifatturiere di circa il 10 per cento. Una giustizia più rapida creerebbe anche 130mila posti di lavoro in più e circa mille euro all’anno di reddito pro-capite”. Ma non solo. “Altri studi – continua sempre la bozza del Recovery – mostrano che i ritardi nei tempi di consegna dei lavori pubblici crescono laddove la giustizia è più inefficiente, a causa della riduzione del valore atteso della sanzione comminata. Una riforma efficace dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie è dunque una riforma per il Paese e per il sistema economico europeo”. Insomma di “manettarismo” c’è ben poco, anzi è proprio grazie a una seria riforma giudiziaria che i lavori pubblici potranno ripartire ed essere completati nei tempi previsti.

D’altra parte quelle 11 pagine dedicate alla giustizia non sono solo un’idea di Conte ma rispondono alle raccomandazioni della Commissione Ue per il 2019-2020, che per l’ennesima volta chiedeva al nostro Paese un intervento su alcuni aspetti del nostro sistema giudiziario. A cominciare dalla “riduzione della durata dei processi civili e penali nei tre gradi di giudizio” per proseguire con la “riduzione del carico della sezione tributaria della Cassazione” la “necessità di semplificazione delle procedure“, fino alla “repressione della corruzione“. È l’Europa che chiede a Roma la riforma della giustizia come condizione fondamentale per avere i fondi del Recovery.

Fin qui si parla di riforma della giustizia e velocizzazione dei processi. Cosa c’entra dunque la prescrizione?Per presentare il piano Ciao, come Italia viva ha battezzato la sua proposta al governo, Renzi ha più volte ripetuto una frase usata come fosse uno slogan: “No alla prescrizione, sì alla cultura. Io parto dalla cultura, chi vuole partire dal giustizialismo può farlo ma io voglio partire dalla cultura possiamo discuterne”. Ma è davvero così? Per la verità nella bozza del Recovery di Conte la parola “prescrizione” compare solo quattro volte e tutte nello stesso breve periodo. Viene usata per spiegare che tra i punti a favore di una giustizia più veloce (quella che l’Europa ci chiede di realizzare coi fondi del Recovery) c’è anche quello di “massimizzare gli effetti della riforma del regime della prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019 (entrata in vigore, in questa parte, nel gennaio 2020) che, stabilendo il blocco del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado o l’emissione del decreto penale di condanna, ha restituito competitività ai procedimenti speciali (patteggiamento e giudizio abbreviato)”. Cosa vuol dire? “Nel nostro sistema – prosegue il documento – la scelta di queste forme più rapide di definizione del processo era scoraggiata – soprattutto per i reati sanzionati con pene detentive meno gravi e perciò assoggettati a più brevi termini di prescrizione – dalla prospettiva concreta di fruire ‘gratuitamente’ dell’estinzione del reato per effetto della prescrizione, una prospettiva evidentemente più appetibile degli ‘sconti di pena‘ collegati alla scelta dei riti alternativi”.

Tradotto: con la scure della prescrizione sempre in agguato, per gli imputati era conveniente far durare i processi il più a lungo possibile e non fare ricorso ai riti speciali che garantiscono pene più miti in cambio di un processo più veloce. Con la riforma della prescrizione in vigore – seppur tra le polemiche – dal gennaio scorso – resta dunque da rendere più agili i procedimenti per avere un sistema funzionante, celere e che garantisce la certezza della pena. E che quindi attrae anche gli investimenti. È quello che chiedono tutte le forze politiche, spesso solo a parole. Lo fanno da anni, come da anni l’Europa ci chiedeva di riformare la prescrizione mentre continua a chiederci di velocizzare i processi. Renzi, però, pare non essersene accorto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/28/recovery-renzi-piano-di-conte-giustizialista-no-alla-prescrizione-ma-e-leuropa-che-ha-chiesto-piu-volte-allitalia-di-riformarla/6049875/

Recovery: Renzi fa Ciao a Conte, ma non molla ancora le poltrone. - Wanda Marra

 

Sempre Appesi a italia viva. Il “piano”. Nuovo show in Senato del leader di Iv: attacca il governo, prende tempo sull’addio. Pd preoccupato: “Bisogna rispondergli”.

Indossa la cravatta rossa, fa proiettare delle slide, non evita la locuzione “io da premier” (come se il tempo non fosse passato), Matteo Renzi in conferenza stampa in Senato. Ma il messaggio più esplicito è il titolo del suo documento con ben 61 punti di critica al Recovery Plan di Giuseppe Conte: si chiama “Ciao”. Quello che è ufficialmente un acronimo (Cultura, Infrastrutture, Ambiente, Opportunità) evoca tanto i “Ciaone” dei (suoi) bei tempi che furono, lanciato all’indirizzo di “Giuseppi”.

Naturalmente, lui smentisce l’interpretazione, ma alla fine dello show in tono minore, visto che evidentemente c’è una pandemia, lo esplicita: “Non si può tirare troppo per le lunghe, se non c’è accordo sul Recovery faranno senza di noi e le ministre e il sottosegretario si dimetteranno”.

Parla di “settimane” per arrivare a un accordo Renzi. Una tempistica inquietante: più si va per le lunghe, più l’Italia rischia il ritardo nella presentazione del Piano alla Commissione per ricevere i fondi europei. Cosa che potrebbe davvero mettere all’angolo Conte e a rischio il governo. Anche per la reazione delle Cancellerie del Vecchio Continente. Tanto è vero che ieri al Nazareno commentano con un unico concetto: “Conte deve rispondere a lui e al Pd. Deve fare il capo della maggioranza”.

Ma intanto, l’ex premier procede per step. Se Conte recepirà un numero di proposte sufficienti, si va avanti, altrimenti, si dichiara pronto ad aprire la crisi, dopo la Befana. Il punto è: quali proposte? Perché, la critica è feroce e radicale: “Il piano manca di ambizione, è senz’anima, si vede che non c’è un’unica mano che scrive. È un collage talvolta raffazzonato di pezzi di diversi ministeri”. La frecciatina – implicita – è anche al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, “reo” di non ricordare esattamente ogni locuzione riferita alla giustizia. “Serve un salto di qualità”, precisa Renzi.

Ma oltre a smontare nel dettaglio vari capitoli (dai 2,1 miliardi per i giovani considerati troppo pochi, alla proposta di dare 6 miliardi ai Comuni), l’ex premier tira fuori esattamente le questioni più ostiche per il M5S. Tanto per cominciare chiede di implementare i fondi per la sanità con il Mes. E poi propone al governo di fare lo ius culturae, mentre boccia senza mezzi termini il reddito di cittadinanza. Così come attacca il M5S che ha votato contro il parere del governo sul Tav. Poi ribadisce un altro tema per lui essenziale: “Il presidente del Consiglio affidi la delega ai servizi ad una persona terza”. Conte non ha intenzione di cedere. Ma in queste ore, in casa dem, riappare il nome di Marco Minniti come candidato. Almeno sulla carta, potrebbe andar bene anche al leader di Iv.

Ma poi sono più d’uno i temi su cui renziani e dem sono d’accordo: dalla struttura di governance, che deve tenere conto dei ministeri, ad alcune debolezze del piano. “I punti che Renzi può portare a casa sono potenzialmente tutti, tranne il Mes”, commenta un senatore dell’ala più governista del Pd.

La palla è di nuovo nella metà campo di Conte. Renzi si è indispettito rispetto alla sua performance a Porta a Porta. Troppo poco disposto a prenderlo in considerazione. La trattativa si preannuncia complessa. “Io non ho paura di niente”, dice il senatore di Scandicci, commentando Bettini, che parla di elezioni con una lista Conte e un’alleanza Pd-M5S. Cosa in parte vera: con il 2% ha poco da perdere. E il suo obiettivo reale resta il Conte-ter, magari con un ministero in più non per se stesso, ma per Maria Elena Boschi o Ettore Rosato.

Ieri sera, intanto, ha avuto una riunione con i suoi parlamentari. Gli stessi che continuano a giurare ai colleghi Pd che non hanno intenzione di aprire una crisi. Nel rispondere a una domanda sul tema fatta da Daniela Preziosi del Domani, Renzi equivoca e le risponde definendola giornalista del Fatto. Un’occasione per scagliarsi contro questa testata e le esortazioni a Conte a “sfancularlo”.

Il prossimo round domani, quando la delegazione di Iv si recherà al tavolo al Mef.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/29/recovery-renzi-fa-ciao-a-conte-ma-non-molla-ancora-le-poltrone/6049992/

Ciaone. - Marco Travaglio

 

Un sogno tira l’altro. Quello di Padellaro era Conte che sfancula Messer Duepercento in Senato come fece con l’altro Matteo. La mia variante era il premier che trova una dozzina di senatori centristi disposti a votargli la fiducia per salvare la legislatura e il posto, dimezzando Iv, consacrando quel che ne resta come pelo superfluo della politica e liberandoci delle molestie quotidiane delle Bellanova, Bonetti e Scalfarotto. Ma a Natale ho fatto un sogno ancor più liberatorio: Conte saluta e se ne va, rubando il titolo del piano-fuffa dell’Innominabile, “Ciao”. Se ne torna ai suoi mestieri di professore e avvocato, fra gli applausi dei giornaloni e dei loro padroni che finalmente hanno trovato l’”anima” (de li mortacci loro). Così lascia ai suoi veri nemici, cioè mezzo Pd e Iv, i capaci e i competenti, apprezzatissimi all’estero e popolarissimi in Italia, il pallino della crisi. Quelli mettono subito le grinfie sui servizi segreti, scannandosi come fiere tra chi vuol darli all’Innominabile e chi preferisce l’usato sicuro di Pollari, Mori e De Gennaro. Affondano le ganasce nei 209 miliardi del Recovery e se li spartiscono alla vecchia maniera, senza task force di controllo a disturbare le mangiatoie. Chiedono per l’Italia – unico paese Ue ad ammettere la bancarotta – i 36 miliardi del Mes, lottizzandoli fra i governatori che ne fanno un sol boccone coi rispettivi cognati. Cacciano quell’incapace di Arcuri e fanno gestire i vaccini a De Luca, che se li inietta tutti i giorni, prima e dopo i pasti.

Via anche quell’impiastro della Azzolina: l’Istruzione va alla Boschi, così impara (l’Istruzione). Gli Esteri a B., gli Interni a Salvini, l’Economia a Giorgetti, gli Affari Ue a Borghi o a Bagnai, la Giustizia a Verdini grazie all’indulto speciale per svuotare le carceri (così i radicali e gli scrittori al seguito rimangiano), lo Sviluppo a Bertolaso (come sviluppa lui nessuno mai), il Lavoro a Brunetta, l’Antimafia a Siri. Resta da decidere il premier. Draghi risponde: “Fossi matto”. E parte la mattanza fra i pretendenti, che sommati insieme non fanno un terzo di Conte nei sondaggi. Poi iniziano le ricerche di una maggioranza: uno spasso, visto che i 5Stelle si fanno incredibilmente furbi e non prestano all’ammucchiata un solo voto. Passano le settimane e l’Ue, stufa di aspettare il Recovery Plan, ci cancella la prima rata. Così Mattarella manda tutti a votare, tranne i leader che han causato la crisi, barricati in casa per paura del linciaggio. Conte, visti i sondaggi bulgari, è costretto a tornare in pista. Ma, anziché farsi un partito, accetta l’offerta di guidare il nuovo direttorio dei 5Stelle. E li riporta al 30%, rubando voti a destra, FI e Pd e mandando Iv sottozero, con una campagna elettorale di un solo slogan: “Ciaone”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/29/ciaone/6049975/

lunedì 28 dicembre 2020

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Un americano a Roma. “Le voci di un incarico negli Usa per Renzi” (Repubblica, 10.12). Oddìo, volesse il cielo: dove si firma?

Braccia rubate. “La verifica prosegue. Per durare bisogna avere una visione” (Teresa Bellanova, Iv, ministro delle Politiche Agricole e Forestali, Stampa, 23.12). Hai mai provato a Lourdes?

Valori aggiunti. “É un dato di fatto: la Lombardia è il motore di tutto il Paese. Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia” (Angelo Ciocca, eurodeputato Lega, Antenna3, 18.12). Se invece muoiono col Covid 25mila lombardi su 70mila in tutta Italia, valgono meno?

Col fiato sospeso. “L’avvertimento di Renzi agli alleati: Conte 2 già finito, parliamo del dopo. Contatti col Pd sull’ultimo intervento tv del premier. E si lavora a una road map della crisi. Pronte le osservazioni di Italia viva sul piano per i fondi Ue” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 27.12). Non stiamo più nella pelle.

Tu scendi dalle stelle. “Il governo galleggerà, ma meglio un governo Draghi. Si può fare” (Paolo Mieli, Foglio, 22.12). “Il premier è un pirata. Conte usurpa i poteri di ministri e governatori. Un governo Draghi? Avrebbe autorevolezza” (Sabino Cassese, Libero, 22.12). “Il ‘modello italiano’ ha fatto vittime e danni. Draghi? Ci può salvare” (Luca Ricolfi, sociologo, il Giornale, 27.12). “Una intera generazione di politici dovrebbe saper ricorrere a uomini di esperienza come Prodi e Draghi” (Marco Damilano, Espresso, 27.12). Draghi, Draghi, Draghi, paraponziponzipò.

Il grande umorista. “Un centrodestra di governo guidato da noi liberali. Siamo nati nel ‘94 e abbiamo sempre lavorato per tradurre le idee e i valori cristiano, europeisti, garantisti in un credibile progetto politico e di leadership del Paese” (Silvio Berlusconi, presidente FI, pregiudicato, Corriere della sera, 27.12). Ogni parola, una battuta.

L’esperto. “Flop di una stagione politico-giudiziaria. Assolti Filippo Penati… Cota… Pietro Vignali… E poi, per non dimenticare: assolto Nicola Cosentino… Assolti Raffaele Fitto… Beppe Sala… Renato Schifani” (Pierluigi Battista, Corriere della sera, 14.12). A parte il fatto che l’articolo è identico a uno del 16 novembre (prendi uno, paghi due), ne avesse azzeccata una. Penati è stato per metà assolto e per metà prescritto dopo aver giurato che avrebbe rinunciato alla prescrizione. Cota è imputato nel secondo processo d’appello. Vignali ha patteggiato 2 anni e risarcito 1 milione. Cosentino condannato definitivamente a 4 anni. Fitto in parte assolto e in parte prescritto. Sala condannato e poi prescritto in appello dopo aver giurato di non volere la prescrizione. E Schifani non è stato mai assolto per la semplice ragione che non è stato mai processato.

L’esperto/2. “Ora si rifletta sui pm che arrestano innocenti” (Enrico Costa, deputato ex FI e ora Azione, Il Dubbio, 22.12). Cioè su nessuno, visto che gli arresti li fanno i gip.

L’Innominato. “L’atteso risveglio della politica” (Luigi Manconi a proposito dell’annuncio della Farnesina sul ritorno in Italia di Chico Forti, condannato all’ergastolo negli Usa e detenuto da 20 anni in Florida, Stampa, 24.12). Quella politica chiamata Di Maio.

Ritirare l’apposito numeretto. “Sbagliato aumentare i posti in cella. Sì alle liste di attesa. Il modello sono Germania e California: si entra in carcere quando c’è posto” (Davide Mosso, avvocato dell’Osservatorio carceri, Stampa, 24.12). Oppure si avvertono i gentili delinquenti di astenersi dal commettere reati finchè non si libera un posto.

Cuperlusconi. “Credo che la separazione delle carriere non debba essere un tabù e credo non lo sia già da tempo, ma tanto più andrebbe affrontata senza scorciatoie o manicheismi” (Gianni Cuperlo, Riformista, 27.11). Meno male che Silvio c’era.

Riccihard/1. “Il nuovo Covid è a Roma. Ricciardi: ‘Ora serve il lockdown. Dobbiamo chiudere tutto’” (Messaggero, 21.12). Soprattutto la bocca di Ricciardi.

Riccihard/2. “Australia e Nuova Zelanda hanno fatto un lockdown precocissimo per un periodo breve e lì in questo momento il Natale si celebra normalmente” (Walter Ricciardi, consulente ministero Salute, L’aria che tira, La7, 20.12). Non sarà che lì in questo momento è estate e qui è inverno?

Le colpe dei figli. “Esposito via dalla magistratura. Il padre condannò Berlusconi” (Giornale, 22.12). E quindi?

Il titolo della settimana/1. “Il virus è mutato. Il governo incapace no. La variante inglese era nota, ma nessuno ha fatto nulla. Impreparati a tutto” (Giornale, 22.12). “Virus cinese, variante inglese, follia italiana” (Verità, 22.12). Variante inglese, governo (italiano) ladro.

Il titolo della settimana/2. “Bertolaso può lanciare il centrodestra di governo” (Nicola
Porro, Giornale, 24.12). Uahahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “L’Agenda Draghi e la necessità di riformare il diritto fallimentare” (Foglio, 23.12). Ma una normale agenda Nazareno Gabrielli no?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/28/ma-mi-faccia-il-piacere-214/6049031/

domenica 27 dicembre 2020

Air Force Renzi: “Voli abusivi, mancano le certificazioni Ue”. - Vincenzo Bisbiglia

 

Voluto dall’ex premier - L’inchiesta dei pm di Civitavecchia. 

L’Airbus voluto dall’ex premier Matteo Renzi per i voli di Stato non aveva le necessarie certificazioni di marca europea per decollare. E dunque non avrebbe dovuto essere autorizzato a compiere nessuno degli 88 viaggi effettuati fra il 2016 e il 2018. Voli a cui hanno partecipato in due anni le massime autorità governative italiane, e non solo. È quanto emerge da una nuova relazione consegnata nel mese di dicembre al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Roma, che indaga su delega della Procura di Civitavecchia, sul crac Alitalia.

Il filone (che non conta nessun iscritto nel registro degli indagati) è quello relativo all’Airbus A340/500, l’aereo di Stato preso in leasing da Etihad nel 2015 con un costo totale previsto di 168 milioni di euro, operazione portata a termine dal governo italiano guidato dall’allora premier Matteo Renzi. In particolare, secondo il documento tecnico redatto da Gaetano Intrieri, il difetto di documentazione riguarda i servizi di continuous airworthiness, operazioni di certificazione e controllo dei parametri di sicurezza che devono essere erogati da una Camo organization, una società certificata dalle autorità aeronautiche. Intrieri, già consulente dell’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, è il tecnico che nel 2018 spinse per la chiusura anticipata del contratto assai oneroso per lo Stato.

Già più volte ascoltato dalla Procura come persona informata sui fatti, i finanzieri lo reputano attendibile e stanno verificando punto per punto la bontà della relazione attraverso vari accessi effettuati nelle scorse settimane presso la sede di Alitalia e degli enti governativi collegati.

Dunque secondo il documento redatto da Intrieri, controlli e certificazioni di sicurezza sull’Airbus venivano effettuati e rilasciati da una società araba non registrata in Europa. Il caso viene spiegato nel dettaglio al paragrafo due della relazione. “Non essendo Alitalia una Camo certificata su quel tipo di macchina – si legge nel documento – non poteva erogare quei servizi previsti dal Lotto 2. Ecco quindi che nel main lease agreement (l’accordo di leasing, ndr) tra Alitalia ed Etihad tali servizi sono resi in concreto dalla Camo organization di Etihad”.

E qui sorge l’inghippo. Perché questa fattispecie “non è conforme alle regole emesse dalle autorità̀ aeronautiche – si legge – secondo il Regolamento Europeo part. Camo n.1321/14 Amc2 305(b)”, in quanto la continuous airworthiness di un aereo europeo registrato in Europa, “come nel caso dell’Airbus A340” deve essere “garantita solo ed esclusivamente da una Camo organization europea, ovvero, certificata Easa (l’agenzia europea per i servizi aerei, ndr)”. Ma, conclude Intrieri, “questo non è chiaramente il caso della Camo organization di Etihad”.

Servizi, fra l’altro, erogati a peso d’oro. Nella relazione viene citato un preventivo di una Camo maltese che avrebbe assicurato le stesse erogazioni, per la durata del contratto di leasing, a un prezzo totale di mercato di circa 528.000 dollari, contro i 31.751.718 dollari previsti dall’accordo con Etihad. Sessanta volte di più.

Nella relazione allo studio della Guardia di Finanza e della Procura di Civitavecchia, titolare del fascicolo, emergono poi altri rilievi potenzialmente utili agli investigatori. Il primo è che dei 34 aerei “gemelli” prodotti da Airbus nello stesso periodo, a oggi ne risultano effettivamente operativi soltanto 7, di cui 6 posseduti da Stati arabi e uno da una società statunitense proprietaria di una catena alberghiera nel segmento del lusso.

“Gli altri 27 esemplari prodotti – si legge – sono stati o messi definitivamente a terra (stored) o smontati (scrapped) allo scopo di riciclare componenti utilizzati anche da altri aeromobili”. Tre agenzie di rating, interrogate dai periti, hanno stabilito che il valore attuale dell’aereo è compreso appena fra 1,7 e 3,5 milioni di dollari. “Chi stava negoziando il velivolo sapeva o comunque doveva sapere quale era il tasso di svalutazione dei valori di mercato dell’aeromobile”, conclude il documento.

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