domenica 30 maggio 2021

Coppia gay aggredita a Palermo da una baby gang.

 

Insultati perché si tenevano per mano. Uno dei due in ospedale.


Una coppia gay è stata aggredita a Palermo ieri sera, in via dell'Università. Un gruppo di ragazzini li ha circondati vicino via Maqueda, nel centro storico della città.

I due, di Torino, erano in vacanza nel capoluogo e stavano cercando un albergo. I ragazzini prima li avrebbero insultati perché i due si tenevano per mano, poi li hanno circondati ed aggrediti. Una delle due vittime è rimasta ferita ed è stata soccorsa dal personale del 118 e portata al pronto soccorso. Indaga la polizia che ha acquisito le immagini dei sistemi di videosorveglianza della zona per risalire agli autori del gesto.

ANSA


Abbiamo ancora troppa strada da fare. Sono convita del fatto che milioni di anni fa l'uomo fosse più intelligente e maturo di quello attuale.
c.

Guidi e “Tempa Rossa”, Renzi fa il buono ma la fece dimettere lui. - Antonio Massari

 

Dopo le scuse di Di Maio a Uggetti e all’ex ministra.

“Penso al caso Tempa Rossa che coinvolse Federica Guidi” sostiene Luigi Di Maio nella sua svolta garantista, vergata con mille scuse sulle pagine de Il Foglio. “Fu una strategica aggressione contro di noi”, gli risponde su Repubblica Matteo Renzi. Mentre lei, l’ex ministra del suo governo, al Corriere dice che si sente “lontana anni luce” da “quei signori” che le hanno “devastato” la vita. Ma cosa accadde quando il 31 marzo 2016 Federica Guidi, all’epoca titolare dello Sviluppo Economico, decise di dimettersi? Fu sulla spinta di Matteo Renzi che la ministra svuotò i cassetti dell’ufficio e tornò a casa. “Dobbiamo dimostrare” disse Renzi, nei retroscena ricostruiti da giornali e mai smentiti, “che non siamo come i grillini, quelli che hanno traccheggiato per un mese su Quarto”. Ah già, Quarto. E che accadde nel comune campano di Quarto, in quel 2016? Rosa Capuozzo – non indagata, ma al centro delle polemiche per settimane, per via di un’inchiesta sui tentativi di infiltrazione della camorra nel Comune – fu espulsa dai grillini per non aver denunciato di aver ricevuto delle minacce (sarà il caso che Di Maio si scusi anche con lei). Segnaliamo che per Capuozzo, professando il suo inscalfibile garantismo, Renzi non chiese tuttavia le dimissioni. Anzi. Poi, per coerenza, le pretese però da Guidi. E per marcare la differenza con il M5S (che invece aveva espulso la Capuozzo). Guidi vergò una lettera: “Caro Matteo sono assolutamente certa della mia buona fede e della correttezza del mio operato. Credo tuttavia necessario, per una questione di opportunità politica, rassegnare le mie dimissioni”. Però a scusarsi con lei oggi è Di Maio (tuttavia è vero che il M5S sostenne con veemenza che Guidi “aveva le mani sporche di petrolio”). Ma perché mai?

Era il marzo 2016 quando Federica Guidi lasciò il ministero dello Sviluppo Economico. La procura di Potenza indagava su tre filoni d’inchiesta: lo sforamento delle emissioni nell’impianto Eni di Viggiano, l’iter che aveva portato all’autorizzazione del giacimento Total di Tempa Rossa, alcune autorizzazioni legate al porto di Augusta in Sicilia. E aveva iscritto nel registro degli indagati – chiedendone l’arresto che fu rigettato dal gip – il compagno della ministra, Gianluca Gemelli, ex commissario di Confindustria Sicilia con l’accusa di concorso in corruzione e millantato credito (dalle quali sarà archiviato quando l’inchiesta viene trasferita alla Procura di Roma). Per la Procura di Potenza, Gemelli avrebbe puntato ad avere “vantaggi patrimoniali” in cambio della garanzia di alcuni lavori nel centro oli proprio grazie al suo rapporto con la ministra. Guidi viene intercettata nel 2014 con il suo compagno: “E poi – dice la ministra – dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato, se è d’accordo anche ‘Mariaelena’ (Boschi, ndr), quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte”. Il governo sta inserendo nella legge di stabilità un emendamento, precedentemente bocciato, che riguarda il centro oli della Total in contrada Tempa Rossa. E Gemelli poco dopo chiama il dirigente di una società petrolifera per avvertirlo: “la chiamo – dice – per darle una buona notizia”.

È qui che Matteo Renzi decide di chiedere le dimissioni: “La cavolata quindi non è l’emendamento ma la telefonata al compagno – commentò allora il premier – e il fatto che il ministro abbia rappresentato una decisione politica come un favore al fidanzato. Questo un ministro non se lo può permettere”. E poi scrive: “Cara Federica, ho molto apprezzato il tuo lavoro di questi anni. Rispetto la tua scelta personale, sofferta, dettata da ragioni di opportunità che condivido. Nel frattempo ti invio un grande abbraccio”. E poi commenta ancora: “L’Italia non è più quella di una volta: se prima per telefonate inopportune non ci si dimetteva, ora ci si dimette. Abbiamo sempre detto che di fronte agli italiani noi siamo un governo diverso dal passato”. Vabbè, però ora Di Maio mette tutto a posto e si scusa con la Guidi. E più in generale, nella sua lettera al Foglio – partendo dal caso dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, arrestato, processato e poi assolto in appello per turbativa d’asta – scrive che “il punto è l’utilizzo della gogna come strumento di campagna elettorale” e che “una cosa è la legittima richiesta politica, altro è l’imbarbarimento del dibattito, associato ai temi giudiziari”.

Ma il tema giudiziario, sulla Guidi (così come sulla Capuozzo), non vi fu mai. Innanzitutto perché non era neanche indagata (al contrario del suo compagno). Peraltro lei stessa, incalzata dal segretario del suo partito nonché premier Matteo Renzi, valutò poco opportuna la telefonata sull’emendamento. Infine, la telefonata in questione riguardava un tema prettamente politico, ovvero l’emendamento stesso, con il fortissimo sospetto – emerso, quello sì, dagli atti d’indagine – di un “conflitto d’interessi” in famiglia. “L’ennesimo, mostruoso conflitto d’interesse di questo governo” sentenziò infatti Matteo Salvini, aggiungendo: “Più che Guidi o Boschi la vera responsabilità è quella di Matteo Renzi”. Che come abbiamo già ricordato, per smarcarsi dal M5S sul caso di Quarto, dopo aver ribadito che il suo “garantismo” gli imponeva di non chiedere le dimissioni della sindaca grillina, nel frattempo espulsa dal Movimento, chiedeva invece le dimissioni della Guidi. Prendendo le mosse dalle odierne scuse di Di Maio alla Guidi, ci piace concludere quest’articolo citando le considerazioni di Berlusconi, all’epoca, sulla vicenda Guidi: “Le intercettazioni sono un vulnus della democrazia”. L’unico, ammettiamolo, con un’idea fissa.

IlFQ


La strage del Mottarone: Tadini a domiciliari, liberi gli altri due.

 

Il caposervizio della funivia conferma le sue ammissioni interrogato dal gip.


Il gip di Verbania ha disposto gli arresti domiciliari per il caposervizio della funivia del Mottarone, Gabriele Tadini, e ha scarcerato Luigi Nerini, il gestore dell'impianto, e Enrico Perocchio, direttore di esercizio

"Palese è al momento della richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare la totale mancanza di indizi a carico di Nerini e Perocchio che non siano mere, anche suggestive supposizioni", ha scritto il gip di Verbania Donatella Banci Buonamici nell'ordinanza con cui ieri ha rimesso in libertà il gestore della funivia del Mottarone e il direttore di esercizio e ha mandato ai domiciliari Tadini. Il gip parla di "scarno quadro indiziario" ancora "più indebolito" con gli interrogatori di ieri.

Gabriele Tadini sapeva bene che "il suo gesto scellerato aveva provocato la morte di 14 persone" e per questo avrebbe condiviso "questo immane peso, anche economico" con le "uniche due persone che avrebbero avuto la possibilità di sostenere un risarcimento danni".

Per questo ha chiamato "in correità" i "soggetti forti del gruppo", per attenuare le sue "responsabilità", scrive il gip di Verbania.

E' stato Gabriele Tadini a "ordinare" di mettere "i ceppi" per bloccare i freni di emergenza della cabina e la loro installazione era "avvenuta già dall'inizio della stagione", il "26 aprile", quando l'impianto tornò in funzione dopo le restrizioni anti-Covid. Lo ha spiegato un dipendente della funivia sentito come teste nelle indagini dei pm di Verbania, spiegando che il tecnico ordinò di "far funzionare l'impianto con i ceppi inseriti", a causa delle anomalie al sistema frenante non risolte, "anche se non erano garantite le condizioni di sicurezza necessarie".

Interrogato per circa tre ore dal gip, Tadini ieri aveva ammesso di aver messo il ceppo blocca freno, e di averlo fatto altre volte. Difeso dall'avvocato Marcello Perillo, l'uomo ha spiegato che le anomalie manifestate dall'impianto non erano collegabili alla fune ed ha escluso collegamenti tra i problemi ai freni e quelli alla fune. "Non sono un delinquente. Non avrei mai fatto salire persone se avessi pensato che la fune si spezzasse".

"Non salirei mai su una funivia con ganasce, quella di usare i forchettoni è stata una scelta scellerata di Tadini", ha detto al gip Enrico Perocchio, secondo quanto riferito dal suo legale, avvocato Andrea Da Prato. Poi lasciando il carcere: "Sono contento di tornare dalla mia famiglia, ma sono disperato per le quattordici vittime". "L'errore è stato mettere i forchettoni per ovviare ad un problema che si sarebbe risolto - ha aggiunto -. Se avessi saputo che erano stati messi non avrei avvallato la scelta, in carcere stavo male per le persone mancate e per la mia famiglia".

Dalle dichiarazioni dei dipendenti della funivia del Mottarone, tutte riportate nell'atto, "appare evidente il contenuto fortemente accusatorio nei confronti del Tadini", il caposervizio dell'impianto, perché "tutti concordemente hanno dichiarato che la decisione di mantenere i ceppi era stata sua, mentre nessuno ha parlato del gestore o del direttore di servizio", ha scritto il gip di Verbania nell'ordinanza con cui ha disposto i domiciliari per Tadini e ha rimesso in libertà gli altri due fermati, spiegando che quelle dichiarazioni "smentiscono" la "chiamata in correità" fatta da Tadini.

Giornata di lutto in tutto il Piemonte per le vittime della funivia del Mottarone. Il decreto firmato dal presidente della Regione, Alberto Cirio, invita la popolazione ad osservare un minuto di silenzio alle ore 12 e gli enti pubblici piemontesi a unirsi nella manifestazione del cordoglio a una settimana dall'incidente. "Nulla può lenire il dolore, ma sentiamo il bisogno di ricordare in un modo solenne coloro che hanno perso la vita in questa follia. Il Piemonte non smetterà mai di stringersi alle loro famiglie e al piccolo Eitan", afferma il governatore Cirio. 

ANSA

Sindrome di Stoccolma. - Marco Travaglio

 

Qualche specialista prima o poi indagherà sulla sindrome di Stoccolma che ha colpito i 5Stelle alla caduta di Conte. La forma più acuta si riscontra in Di Maio, che s’è scusato sul Foglio per aver avuto ragione sull’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, arrestato nel 2016 per aver truccato una gara d’appalto, minacciato l’ufficiale della Finanza che indagava, cancellato email dal suo pc e infine confessato al gup la turbativa d’asta (“a fin di bene”). Uggetti non si dimise perché glielo chiedevano le opposizioni (M5S e Lega), ma perché nessuno può fare il sindaco dal carcere: infatti, a norma di legge, fu sospeso dal prefetto e poi condannato in primo grado. Ora è stato assolto in appello: la giustizia così ridotta che assolve pure chi confessa. In pratica, il sant’uomo si credeva colpevole e poi, con sua grande sorpresa, ha scoperto di essere innocente. A sua insaputa. Resta da capire di cosa dovesse scusarsi Di Maio e che sia saltato in mente a Conte di lodare il suo autodafé. La Appendino si può capire: ha subìto due condanne in primo grado senz’aver fatto niente. Ma se non si possono più chiedere le dimissioni neppure di un sindaco in galera, che si fa: si riunisce la giunta nell’ora d’aria?

Già che c’era, Di Maio ha pure fatto mea culpa per la campagna contro la ministra Guidi, beccata a veicolare un emendamento pro petrolieri su richiesta dell’ex fidanzato lobbista. Ma la Guidi, neppure indagata, lasciò il Mise non perché glielo chiese Di Maio, ma il premier Renzi. Che ora la dipinge come una vittima dei 5Stelle dopo averla cacciata lui. Il 31 marzo 2016 fece sapere alla stampa che la riteneva “indifendibile”, era “furioso” (“È gravissimo che Federica non ci avesse detto chi fosse e che cosa facesse il fidanzato”) e le aveva chiesto di dimettersi. Cosa di cui si vantò al Tg2: “Il ministro Guidi ha fatto un errore. Non c’è niente di illecito ma ha fatto un errore e ne va preso atto. In Italia adesso chi sbaglia va a casa”. E nella sua newsletter: “Quando l’emendamento è stato formalmente presentato, il ministro l’ha comunicato in anticipo al suo compagno, che si è scoperto poi essere interessato al business. Così facendo Federica Guidi ha compiuto un errore e giustamente ha deciso subito di dare le dimissioni, per evidenti ragioni di opportunità”. Che avrebbe dovuto fare un movimento legalitario di opposizione: difendere una ministra cacciata dal premier? Se qualcuno, in altre occasioni, ha esagerato con toni fuori luogo e parole fuori posto, ledendo la dignità personale di indagati o arrestati, si scusi pure. Purché non dimentichi i fatti: l’unica bussola che deve orientare un politico sulla questione morale (da non confondere con quella penale).

Chi è raggiunto da prove schiaccianti o convincenti su fatti gravi e incompatibili con una carica pubblica (“disciplina e onore”) deve farsi da parte, sia che sia indagato sia che non lo sia, e se quei fatti alla fine vengono confermati deve lasciare la politica. Anche se viene assolto (o peggio ancora prescritto). Chi invece è sottoposto a indagine o a giudizio per fatti controversi o compatibili con la disciplina e l’onore, resta al suo posto fino al definitivo chiarimento. Ma il “primato della politica” non è delegare le decisioni ai giudici (visto, fra l’altro, come sono ridotti). Ogni leader deve esaminare i fatti, affidarsi a un collegio di probiviri autorevoli, dotarsi di un codice etico rigoroso e trasparente, prendere una decisione, assumersene la responsabilità e farla giudicare dagli elettori. Ora però, viste le fregole dei giornaloni arrapati per il mea culpa dimaiano, attendiamo a pie’ fermo le loro scuse a Virginia Raggi, dipinta come ladra e mignotta a proposito di processi basati sul nulla e finiti infatti nel nulla.
“Il bivio di Raggi: ammettere la bugia col patteggiamento o rischiare il posto”, “L’ultima spinta che avvicina di un’altra spanna la Raggi al suo abisso giudiziario e politico…” (Carlo Bonini, Repubblica, 26.1.17). “La Raggi teme l’arresto” (Giornale, 27.1.17). “La fatina e la menzogna”, “mesto déjà vu di una stagione lontana, quella di Mani Pulite”, “la Raggi è inseguita dallo schianto dell’ennesimo, miserabile segreto… una polizza sulla vita”, “Romeo ha un legame privato, privatissimo con la Raggi”, “tesoretti segreti e ricatti” (Rep, 3.2.17). “Spunta la pista dei fondi elettorali”, “Fondi coperti”, “L’ombra dei voti comprati” (Messaggero, 3.2.17). “La pista che porta alla compravendita di voti”, “Il sospetto di finanziamenti occulti giunti al M5S” (Corriere, 3.2.17). “Come in House of Cards”, “L’accusa di corruzione è vicina” (Stampa, 3.2.17). “Patata bollente. La sua storia ricorda l’epopea di Berlusconi con le Olgettine” (Libero, 10.2.17). “L’affare s’ingrossa: ‘Romeo e Virginia amanti’” (Libero, 12.2.17). “Berdini, nuovo audio: loro amanti” (Stampa, 20.2.17). “Una Forrest Gump con la fama di mantide” (Verità, 31.3.17). “Al Campidoglio il piacere dell’omertà” (Rep, 15.7.18). “La Raggi è riunita con i suoi legali per l’ultimo disperato tentativo di salvarsi” (Sky Tg24, 10.11.18). “La condanna di Raggi”, “E se l’unico modo per sbarrare la strada alla ricandidatura di Virginia Raggi fosse la condanna della sindaca nel processo d’Appello?… Di fatto sarebbe l’unica scappatoia dei rossogialli per togliersi di mezzo (forse) la grillina” (Simone Canettieri, Foglio, 2.9.20). Chi comincia? Daje

IlFQ

sabato 29 maggio 2021

Prima casa, zero imposte ai giovani che acquistano: ecco i requisiti. - Angela Busani

 

Tributi eliminati, età, Isee, sanzioni: quali sono gli aspetti da tenere in considerazione per poter acquistare la prima casa con le agevolazioni previste dal decreto Sostegni-bis.

La compravendita della “prima casa” e il mutuo stipulato per finanziarla sono esenti da imposizione se sono stipulati tra il 26 maggio 2021 e il 30 giugno 2022 da persone con meno di 36enni il cui Isee sia non superiore a euro 40mila annui. Lo dispone l’articolo 64, commi 6-8, del Dl 73/21 (Sostegni-bis).
Vediamo in sintesi quali sono i tributi eliminati e quali sono i requisiti per ottenere l’agevolazione.

1. I tributi eliminati.

Nelle compravendite non imponibili a Iva la norma azzera le imposte di registro, ipotecaria e catastale (restano l’imposta di bollo, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali, per totali 320 euro). Nelle compravendite imponibili a Iva, le imposte di registro, ipotecaria e catastale dovrebbero essere azzerate (per il vero, il comma 7 non lo dice, ma lo si potrebbe desumere con una lettura combinata dei commi 6 e 7) mentre restano, anche qui, il bollo, le tasse ipotecarie e i tributi catastali (320 euro). L’Iva deve essere pagata al venditore, ma l’acquirente matura un credito d’imposta (non rimborsabile) da spendere:

● per pagare imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni dovute su atti e denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito;

● per pagare l’Irpef dovuta in base alla dichiarazione dei redditi da presentare successivamente alla data dell’acquisto;

● per compensare somme dovute a titolo di ritenute d’acconto, di contributi previdenziali o assistenziali o di premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali.

Nei mutui, la norma azzera l’imposta sostitutiva e le imposte di registro, ipotecaria e di bollo.

2. Il requisito dell’età

La legge, usando un gergo più commerciale che giuridico e, inoltre, difficilmente interpretabile, concede il beneficio ai «soggetti che non hanno ancora compiuto trentasei anni di età nell’anno in cui l’atto è rogitato».

Pare di capire che la norma sia stata scritta (e debba leggersi) con lo scopo di applicarsi al soggetto che non abbia compiuto 36 anni nel giorno del contratto.
Anche se una lettura testuale porta a ritenere che chi stipula nel 2021 deve compiere 36 anni dal 2022 in avanti e chi stipula nel 2022 li debba compiere dal 2023 in avanti.
Così, se Tizio stipula in giugno 2021 e compie 36 anni nel dicembre 2021 non avrebbe l’agevolazione, mentre ce l’avrebbe chi stipula in dicembre 2021 e compie 36 anni nel gennaio 2022.

3. L’Isee

Il requisito dell’Isee inferiore a 40mila euro è previsto nel comma 6 (compravendite non imponibili a Iva) e nel comma 8 (contratti di mutuo), mentre non è previsto nel comma 7 (compravendite imponibili a Iva): ma si tratta di una evidente imperfezione del legislatore perché il beneficio sarebbe sfruttabile anche da chi abbia un Isee milionario. L’agevolazione dovrebbe essere applicabile anche all’acquisto compiuto da due persone comprese in due diversi Isee, i quali siano ciascuno di importo inferiore a 40mila euro, ma insieme di importo superiore.

4. Assenza requisiti

Appare abbastanza ovvio che se uno degli acquirenti ha i requisiti e altro acquirente ne sia privo, il beneficio si applica alla sola parte di valore imponibile riferibile all’acquirente dotato dei requisiti richiesti.

5. Le pertinenze

La legge parla di “prime case” e non menziona le pertinenze (cantine, soffitte, autorimesse). Anche qui appare abbastanza ovvio ritenere che la sorte della pertinenza segua quella del bene principale al cui servizio la pertinenza è posta, e ciò sia per la regola generale di cui all’articolo 818 del Codice civile sia per la ragione che il beneficio prima casa agevola espressamente la compravendita delle pertinenze dell’abitazione.

6. Il contratto preliminare

La norma concerne «gli atti traslativi a titolo oneroso» (e, quindi, compravendite, assegnazioni a soci, permute, dazioni in pagamento, transazioni, rendite vitalizie) ma non concerne i contratti preliminari: per questi ultimi restano dovute l’imposta di registro (3% per gli acconti e 0,50% per le caparre confirmatorie), l’imposta ipotecaria 200 euro, l’imposta di bollo (155 euro) e la tassa ipotecaria (35 euro).

7. Le sanzioni

Chi chiede l’agevolazione senza averne diritto subisce il recupero della tassazione ordinaria aumentata del 30%.

IlSole24Ore - Illustrazione di Giorgio De Marinis

Family offices, l’impero oscuro da 6.000 miliardi nel mirino delle authority. - Marco Valsania

Illustrazione di Giorgio De Marinis/Il Sole 24 Ore

Dopo il crack Archegos, scattano le inchieste della procura federale su rapporti con le banche, rischi sistemici e regole nulle. La saga di Mr. Hwang.

Il nome può dir poco. Bill Hwang, finanziere sui cinquant'anni. Di qualche fama, nei salotti di Wall Street, per il pedigree tra gli hedge fund e perché sfiorato da scandali. Ma senza mai attirare troppa attenzione. Fino a quando, per le banche globali, non è diventato l'uomo da dieci miliardi di dollari. O meglio, l'uomo che ha scavato un buco da dieci miliardi nei loro conti con la crisi di Archegos, il suo family office americano schiacciato da una spirale di scommesse finite male e default sulle margin calls. E ha innescato adesso, settimane dopo il fattaccio di fine marzo, una vera e propria spirale di nuove inchieste, da parte della procura federale, della Sec e del Congresso sul rapporto tra finanza visibile e invisibile, tra banche e società ad alto rischio, che possono sollevare lo spettro di nuove vulnerabilità del sistema finanziario e stimolare la necessità di nuove regolamentazioni. 

Ombre dal passato.

Andiamo con ordine. Lo shock ha aperto uno spiraglio su una nuova quanto finora occulta sfida per la stabilità dei mercati. Capace di riportare alla memoria il crack dell'hedge LTCM nel 1998, o degli hedge che affondarono Bear Stearns alla vigilia della bufera del 2008. La nuova incognita? La scarsissima trasparenza di un altro angolo dell'alta finanza, quello appunto dei “family offices”. Chiamarlo angolo è davvero un eufemismo: i loro asset superano i seimila miliardi, doppiando il settore degli hedge. E di intimità familiare ha ben poco: è popolato da società con capitali sì di famiglia, ma con strategie che possono essere mutuate dalla finanza più aggressiva. Con una differenza: che ai family office è stato permesso, di diritto o di fatto, di sfuggire a ogni supervisione.

Regulators nervosi.

Archegos non ha spalancato voragini di crisi globali. Ma, avvertono nervosi i regulators, potrebbe essere andata bene. Un ripetersi di episodi simili minaccia di finire diversamente. L'ammissione è di Dan Berkovitz, commissario Cftc, con la Sec una delle authority leader sul mercato americane: ha proposto giri di vite denunciando che “per l'integrità dei mercati occorre essere consci e in grado di monitorare le attività di grandi family office”.Non basta: la Sec, sotto la leadership più aggressiva di Gary Gensler da poco installato da Joe Biden, adesso esamina nuovi requisiti e obblighi di presentare documentazione su attività e posizioni.

In scena la procura di Manhattan e il Congresso. 

La procura federale di Manhattan, parte del Dipartimento della Giustizia, ha inviato adesso richieste di informazioni a numerose società di Wall Street cha hanno fornito credito o sostegno a Archegos, a volte poi bruciate dalle conseguenze: da Credit Suisse a Ubs, da Goldman Sachs a Morgan Stanley. Anche il Congresso ci riflette: la Commissione Servizi Finanziari della Camera ha ipotizzato la richiesta quantomeno di filing confidenziali alle autorità. Il senatore democratico Elizabeth Warren, nemesi dell'alta finanza, ha detto che “Archegos ha avuto tutte le caratteristiche di una situazione pericolosa fondi non regolamentati, derivativi opachi, trading in dark pool private, elevato indebitamento e un protagonista che era sfuggito alle sanzioni della Sec”. E ha invocato “trasparenza e aumentata supervisione per evitare che il prossimo tracollo di un fondo trascini con sé l'economia”. Durante un'audizione al Senato, Warren ha pesantemente rimproverato anche Randal Quarles, vicechairman della Federal Reserve e attuale incaricato della supervisione bancaria. 

Le ripercussioni del crack. 

Perché le scosse inflitte da Archegos, se non sistemiche, si sono fatte sentire. Titoli media e tech di ogni latitudine, da ViacomCbs e Discovery a Baidu e Tencent, hanno sofferto sotto una pioggia di “liquidazioni” delle enormi posizioni accumulate del fondo. Né queste, come indicato, sono bastate a evitare ingenti perdite a prestigiose banche che avevano sostenuto il fondo: Credit Suisse e Nomura hanno riportato passivi miliardari, Morgan Stanley e Ubs da centinaia di milioni. 

Un’eccezione?

C'è tuttora chi considera Archegos un'eccezione. Bill Hwang era un enfant prodige degli hedge, che dopo un Mba a Carnegie Mellon si era distinto sotto l'ala del pioniere del settore Julian Robertson e del suo Tiger Management. La sua carriera si era però poi dipanata tra accuse di insider trading, patteggiamenti con la Sec e temporanee messe al bando dal trading a Hong Kong. Archiviate quelle “turbolenze”, Hwang era riemerso nei panni di artefice del proprio family office. Qui nasce il problema che rende difficile sostenere la tesi dell'eccezione. Più della storia personale hanno potuto le legittime mosse di Hwang nelle nuove vesti.

La strategia di Hwang.

La sua è stata una strategia fatta di aggressive puntate, trading ad alta velocità, ricorso a rischiosi derivati. Cresciuta sulla flessibilità di poter contare non solo su asset per forse 10 miliardi ma su una potenza di fuoco da almeno 50 miliardi, grazie al leverage ottenuto da banche sempre a caccia di business e commissioni per far brillare i profitti. Secondo alcune stime il portafoglio di Archegos, coperto da misteri e segreti, all'apice era arrivato a cento miliardi.Se i family office sono stati concepiti per preservare e gestire sobriamente le fortune dei super-ricchi - beneficenza, pianificazione fiscale e eredità – oggi sono in grado di vestire l'armatura di fanti d'assalto, anzi di truppe speciali senza i lacci e lacciuoli di regole di engagement.

Il boom dei family offices.

La loro influenza, grazie a questa libertà di movimento, è cresciuta a vista d'occhio: il 69% dei protagonisti è nata negli ultimi vent'anni, il 40% dal 2017. EY ne ha censiti oltre diecimila, una lista più lunga della somma dei fondi private equity e di venture capital. La citata stima di asset globali per seimila miliardi è di Campden Research. In media vantano 1,6 miliardi di asset, con i principali 121 che rappresentano 142,4 miliardi nei calcoli di UBS. Le loro strategie, suggerisce il caso Archegos, si sono evolute di pari passo, da tranquille posizioni di lungo periodo in azioni e obbligazioni a scommesse rischiose. Ad opera di talenti sottratti spesso a banche, gestori e private equity abituati ad avventure. E con numerosi finanzieri che hanno scelto volutamente la strada del family office proprio per agire senza pressioni né di regulators, né di capitali esterni.

I vuoti di regolamentazione.

Nonostante questa ascesa, hanno ugualmente continuato a operare lontano da occhi indiscreti. Centri finanziari globali, da Singapore a Hong Kong e Dubai, lasciano loro ampi margini di manovra. Anche negli Stati Uniti spiccano i vuoti normativi. Una deregulation che viene da lontano: non erano tenuti a registrarsi presso la Sec, grazie a una legge del 1940, l'Investment Advisers Act, che esentava le società con meno di 15 clienti. E anche prima della recente mano leggera sulla finanza di Donald Trump, la riforma Dodd-Frank aveva cancellato l'originale scappatoia riproponendone però una apposita per i family office e preservandone il diritto all'oscurità.Questa sorta di “passaporto diplomatico” è offerto a chi ricade nella definizione Sec: ogni società che fornisca consulenza su investimenti a clienti familiari, del tutto posseduta da clienti familiari e esclusivamente controllata da membri e entità della famiglia, che non offre servizi di adviser al pubblico. Può coinvolgere discendenti lineari, coniugi, adozioni, chi ha antenati comuni fino a dieci generazioni. Contano dipendenti chiave, con cariche esecutive, direttori di board, trustees, partners o coinvolti in attività di investimento per un anno.

I derivati ad alto rischio.

Il nodo cruciale è che oggi questi nuovi protagonisti, accanto a mancati obblighi quali la formale registrazione, si avvantaggiano sempre più di stratagemmi per aggirare anche le regole teoricamente applicabili, quali una comunicazione delle partecipazioni acquisite in gruppi quotati. Tra questi metodi, usato senza freni da Archegos, il ricorso a derivati con le banche-broker, quali i “total return swaps”. Contratti che permettono al fondo di scommettere sulla performance dei titoli senza possederli, con le banche che formalmente li tengono invece in bilancio. Archegos ha potuto così operare del tutto inosservato tra i regulators. E probabilmente con le stesse singole banche “complici” degli eccessi ignare dell'insieme dell'esposizione e degli eccessi.

Lo slalom tra 13D e 13F.

Il fondo, con una simile rete di sofisticati strumenti, è sfuggito senza difficoltà a norme Sec quali la 13D, la comunicazione entro 10 giorni di quote sopra il 5% e di qulaunque successivo cambiamento “materiale”. O la 13F, che ai gestori con oltre cento milioni richiede un rapporto trimestrale su tutte le loro equity holdings. Per fare un confronto: tradizionali hedge fund, per i critici già trattati con guanti di velluto, devono non solo registrarsi con la Sec e rispettare simili regole ma dar conto di struttura della proprietà, asset in gestione, relazioni con le banche, dati sulle operazioni. Norme esistono anche per private funds con più di 150 milioni in asset, che inoltrano alla Sec un documento, il PF, su tipologia e dimensioni di attività. E dati non pubblici sono chiesti e trasmessi allo Stability Oversight Council, che monitora rischi vecchi e nuovi per il sistema finanziario. E' una trasparenza che oggi potrebbe diventare all'ordine del giorno anche per l'angolo oscuro dei family office. Dove ha gettato luce inquietante Hwang, il più potente finanziere che mai nessuno aveva sentito nominare.

IlSole24Ore

Recovery Plan, così saranno spesi dall’Italia i primi 25 miliardi. - Dino Pesole

 

Fondi erogati già a fine luglio: la road map dalla giustizia al fisco, dalla pubblica amministrazione alla concorrenza. 

Il fattore tempo gioca in questo caso un ruolo decisivo. E a Bruxelles l’impegno assunto dal presidente del Consiglio Mario Draghi ad approvare entro maggio le nuove norme in materia di governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e sulle semplificazioni viene valutato come la precondizione essenziale per l’erogazione della prima tranche dei fondi del Next Generation Eu.

Passaggio comunque decisivo per dare corpo e sostanza all'intero percorso di riforme e investimenti che vedrà impegnato il nostro Paese da qui al 2026, per un ammontare complessivo di stanziamenti che, se si include anche il fondo complementare da oltre 30 miliardi disposto dal Governo, raggiungerà la cifra di 248 miliardi, l’importo più consistente tra i paesi europei.

La road map

Con il via libera alle misure relative alla governance e alle semplificazioni, di fatto si mette in moto il convoglio. La navigazione si annuncia tutt’altro che agevole, soprattutto quando (e avverrà a breve) si entrerà nel merito delle riforme da presentare in Parlamento e a Bruxelles. Dalla giustizia al fisco, dalla pubblica amministrazione alla concorrenza: tutte materie ad alto potenziale politico/elettorale, che metteranno a dura prova la coalizione allargata a gran parte delle forze politiche, con l’esclusione di Fratelli d’Italia, che sostiene il Governo. La road map a Bruxelles prevede che si parta con la prima emissione di bond da parte della Commissione europea nelle prossime settimane, così da poter inviare agli Stati membri la prima tranche di risorse, sotto forma di un anticipo pari a circa il 13% del totale. Nel caso dell’Italia, si tratta di circa 25 miliardi che saranno erogati probabilmente già a fine luglio.

Le prime riforme attese entro l’autunno

Secondo quanto ha annunciato lo stesso Draghi, entro luglio verrà presentato in Parlamento il disegno di legge delega sulla riforma fiscale che terrà conto dei risultati dell’indagine conoscitiva avviata dalle competenti commissioni di Camera e Senato.
Poi verrà nominata una commissione ad hoc, sul modello di quella che diede avvio nel 1973 alla “grande riforma” del nostro sistema tributario.
L’aspettativa è che dal prossimo anno si possa partire con i primi decreti attuativi, a patto che si riesca a individuare una via di sintesi tra le diverse e divergenti proposte che sono state messe in campo finora all'interno della maggioranza (soprattutto quelle della Lega e del Pd).
La riforma del fisco è fondamentale, anche se non direttamente connessa ai finanziamenti europei. Trattandosi di una riforma strutturale e di sistema, le fonti di finanziamento andranno individuate all'interno del Bilancio dello Stato: quindi si prospetta un mix di risparmi sul versante della spesa corrente, e di maggiori entrate garantite dai proventi della lotta all’evasione e dalla revisione delle cosiddette “tax expenditures”.

Giustizia e amministrazione pubblica in primo piano

Da diversi anni, la Commissione europea nelle raccomandazioni inviate al nostro Paese, ha posto l’accento sull’urgenza di riforme ritenute prioritarie: giustizia e amministrazione pubblica in primo piano.
Nel Pnrr il Governo ammette che nonostante i progressi degli ultimi anni, «permangono ritardi eccessivi». In media sono necessari oltre 500 giorni per concludere un procedimento civile in primo grado, a fronte dei circa 200 in Germania.
L’intenzione è di rivedere l’organizzazione degli uffici giudiziari, semplificare il rito processuale in primo grado e in appello, dare attuazione al processo telematico.
Il Governo intende ridurre «l’inaccettabile arretrato presente nelle aule dei tribunali, e creare i presupposti per evitare che se ne formi di nuovo. L’obiettivo finale è ridurre i tempi dei processi del 40% per il settore civile e almeno del 25% per il penale».

Quanto alla pubblica amministrazione, si punta a intervenire sul fronte delle assunzioni e dei concorsi, mediante una razionalizzazione delle procedure di assunzione e una programmazione degli organici mirata a fornire servizi efficienti a imprese e cittadini. Poi il tema fondamentale della semplificazione del quadro normativo e procedurale e della digitalizzazione, «con investimenti in tecnologia, la creazione di unità dedicate alle semplificazione dei processi e la riorganizzazione degli uffici».
Sul fronte della concorrenza, il Piano punta a intervenire sulle norme «che creano rendite di posizione e incidono negativamente sul benessere dei cittadini».
A questo fine «assume un ruolo cruciale la legge annuale sulla concorrenza prevista nell'ordinamento nazionale dal 2009, ma realizzata solo una volta nel 2017».

Risorse solo con progetti e riforme effettivamente attuati

Il meccanismo del Next Generation Eu prevede che l’erogazione delle tranche semestrali dei fondi sia condizionato al puntuale rispetto del cronoprogramma concordato con Bruxelles. Vi sarà un confronto costante tra i tecnici della Commissione e il ministero dell’Economia, con la regia “a geometria variabile” di Palazzo Chigi.
La garanzia offerta dallo stesso Draghi è fondamentale per rendere credibili gli impegni assunti dal Governo e realizzare le riforme e gli investimenti previsti dal Piano di ripresa e resilienza.
Servirà anche a prevenire possibili obiezioni in corso d’opera sull'effettiva capacità del nostro Paese di tener fede agli impegni assunti, ed evitare che scatti il cosiddetto “freno di emergenza”, in sostanza il meccanismo contenuto nelle linee guida e nel meccanismo stesso del Recovery Fund che può anche condurre alla sospensione momentanea dei fondi.
Altro elemento, anch’esso fondamentale, da non sottovalutare è che dall’esito del Programma italiano dipende in sostanza il destino dell'intero piano europeo da 750 miliardi.

IlSole24Ore - Illustrazione di Giorgio De Marinis