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sabato 19 giugno 2021

Mascherine, Mieli: “Conte e Arcuri ne avevano acquistate per 14 anni e mezzo”. Ma i numeri ufficiali lo smentiscono.

 

Il giornalista, ospite di Otto e mezzo su La7, durante una discussione con Marco Travaglio ha sostenuto che l'ex commissario all'emergenza avesse comprato troppi dispositivi, tali da soddisfare il fabbisogno nazionale "di qui al 2035". I dati invece dicono che sono state acquistate un totale di 4 miliardi e 796 milioni di mascherine (chirurgiche, Fffp2, Fffp3, ecc) e che finora alle Regioni ne sono state distribuite già 3 miliardi e 248 milioni.

“Quando è arrivato Draghi ha trovato che Conte e Arcuri avevano ordinato e acquistato mascherine per 763 settimane, 14 anni e mezzo”. A dirlo in tv è stato Paolo Mieli, giornalista, storico e conduttore tv che giovedì era ospite di Otto e mezzo su La7, insieme al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. Mieli ha sostenuto che il precedente commissario straordinario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, sostituito poi dal generale Figliuolo con il passaggio dal Conte 2 al governo Draghi, avesse acquistato un numero spropositato di mascherine, tale da soddisfare il fabbisogno nazionale “di qui al 2035“. I numeri, però, lo smentiscono: tra il 17 marzo 2020 e il 28 febbraio 2021, Arcuri ha acquistato un totale di 4 miliardi e 796 milioni di mascherine. È difficile stimare quale sia realmente il fabbisogno settimanale nazionale, ma un dato chiarisce inequivocabilmente come ci vorranno molto meno di 14 anni per utilizzarle: da marzo ad oggi, infatti, la Protezione Civile ha distribuito alle Regioni 3 miliardi e 248 milioni di mascherine in 15 mesi e mezzo.

Mascherine, Mieli a Travaglio: “Conte e Arcuri ne avevano acquistate per 14 anni e mezzo”. Ma i numeri ufficiali lo smentiscono
Volume 90%
 

Nel corso della discussione, Mieli ha insistito più volte sul dato delle “763 settimane” (di cui non è chiara la fonte) e ha aggiunto: “Un giorno faremo poi i conti“. I conti ufficiali però si possono fare anche subito, volendo: sono disponibili sul sito del governo, nella sezione dedicata appunto al Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19. Con lo scoppio della pandemia in Italia a cavallo tra fine febbraio e inizio marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dovette prevedere la presenza di un commissario con funzione di coordinamento, in particolare per l’acquisto di beni indispensabili nella lotta al Covid, tra cui appunto le mascherine. Il decreto del 17 marzo 2020 conferisce chiarisce che gli atti del commissario “sono sottratti al controllo della Corte dei Conti, fatti salvi gli obblighi di rendicontazione“. Tutti gli acquisti effettuati da Arcuri prima e Figliuolo poi, così come dalla Protezione Civile, sono quindi pubblici e disponibili a tutti.

Emerge appunto che nel suo anno da commissario Arcuri ha acquistato in totale 3,3 miliardi di mascherine chirurgiche, 634 milioni di mascherine per bambini, 340mila mascherine filtranti per la collettività, 238 milioni di Ffp3 e 234 milioni di Ffp2. Il totale arriva appunto a 4 miliardi e 796 milioni. La spesa totale? Due miliardi e 116 milioni di euro. Chiaramente il commissario non è l’unico a fare acquisti: ci sono anche le RegioniConsip e la Protezione civile (che però da sola finora ne ha acquistate appena 223mila). Ma i 4,8 miliardi di mascherine acquistate da Arcuri sembrano essere congrue all’emergenza. L’Analisi distribuzione aiuti consultabile sul sito del Dipartimento della Protezione civile infatti riporta che nel corso della pandemia finora sono stati distribuite alle Regioni oltre 3 miliardi di mascherine. Ancora nell’ultima settimana, stando al portale, nonostante un trend in diminuzione sono state distribuite oltre 6,5 milioni di mascherine. Evidentemente quelle comprate da Arcuri non dureranno 14 anni, altrimenti Figliuolo sarebbe un pazzo ad aver già acquistato altri 15 milioni di pezzi.

ILFQ

sabato 29 maggio 2021

Prima casa, zero imposte ai giovani che acquistano: ecco i requisiti. - Angela Busani

 

Tributi eliminati, età, Isee, sanzioni: quali sono gli aspetti da tenere in considerazione per poter acquistare la prima casa con le agevolazioni previste dal decreto Sostegni-bis.

La compravendita della “prima casa” e il mutuo stipulato per finanziarla sono esenti da imposizione se sono stipulati tra il 26 maggio 2021 e il 30 giugno 2022 da persone con meno di 36enni il cui Isee sia non superiore a euro 40mila annui. Lo dispone l’articolo 64, commi 6-8, del Dl 73/21 (Sostegni-bis).
Vediamo in sintesi quali sono i tributi eliminati e quali sono i requisiti per ottenere l’agevolazione.

1. I tributi eliminati.

Nelle compravendite non imponibili a Iva la norma azzera le imposte di registro, ipotecaria e catastale (restano l’imposta di bollo, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali, per totali 320 euro). Nelle compravendite imponibili a Iva, le imposte di registro, ipotecaria e catastale dovrebbero essere azzerate (per il vero, il comma 7 non lo dice, ma lo si potrebbe desumere con una lettura combinata dei commi 6 e 7) mentre restano, anche qui, il bollo, le tasse ipotecarie e i tributi catastali (320 euro). L’Iva deve essere pagata al venditore, ma l’acquirente matura un credito d’imposta (non rimborsabile) da spendere:

● per pagare imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni dovute su atti e denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito;

● per pagare l’Irpef dovuta in base alla dichiarazione dei redditi da presentare successivamente alla data dell’acquisto;

● per compensare somme dovute a titolo di ritenute d’acconto, di contributi previdenziali o assistenziali o di premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali.

Nei mutui, la norma azzera l’imposta sostitutiva e le imposte di registro, ipotecaria e di bollo.

2. Il requisito dell’età

La legge, usando un gergo più commerciale che giuridico e, inoltre, difficilmente interpretabile, concede il beneficio ai «soggetti che non hanno ancora compiuto trentasei anni di età nell’anno in cui l’atto è rogitato».

Pare di capire che la norma sia stata scritta (e debba leggersi) con lo scopo di applicarsi al soggetto che non abbia compiuto 36 anni nel giorno del contratto.
Anche se una lettura testuale porta a ritenere che chi stipula nel 2021 deve compiere 36 anni dal 2022 in avanti e chi stipula nel 2022 li debba compiere dal 2023 in avanti.
Così, se Tizio stipula in giugno 2021 e compie 36 anni nel dicembre 2021 non avrebbe l’agevolazione, mentre ce l’avrebbe chi stipula in dicembre 2021 e compie 36 anni nel gennaio 2022.

3. L’Isee

Il requisito dell’Isee inferiore a 40mila euro è previsto nel comma 6 (compravendite non imponibili a Iva) e nel comma 8 (contratti di mutuo), mentre non è previsto nel comma 7 (compravendite imponibili a Iva): ma si tratta di una evidente imperfezione del legislatore perché il beneficio sarebbe sfruttabile anche da chi abbia un Isee milionario. L’agevolazione dovrebbe essere applicabile anche all’acquisto compiuto da due persone comprese in due diversi Isee, i quali siano ciascuno di importo inferiore a 40mila euro, ma insieme di importo superiore.

4. Assenza requisiti

Appare abbastanza ovvio che se uno degli acquirenti ha i requisiti e altro acquirente ne sia privo, il beneficio si applica alla sola parte di valore imponibile riferibile all’acquirente dotato dei requisiti richiesti.

5. Le pertinenze

La legge parla di “prime case” e non menziona le pertinenze (cantine, soffitte, autorimesse). Anche qui appare abbastanza ovvio ritenere che la sorte della pertinenza segua quella del bene principale al cui servizio la pertinenza è posta, e ciò sia per la regola generale di cui all’articolo 818 del Codice civile sia per la ragione che il beneficio prima casa agevola espressamente la compravendita delle pertinenze dell’abitazione.

6. Il contratto preliminare

La norma concerne «gli atti traslativi a titolo oneroso» (e, quindi, compravendite, assegnazioni a soci, permute, dazioni in pagamento, transazioni, rendite vitalizie) ma non concerne i contratti preliminari: per questi ultimi restano dovute l’imposta di registro (3% per gli acconti e 0,50% per le caparre confirmatorie), l’imposta ipotecaria 200 euro, l’imposta di bollo (155 euro) e la tassa ipotecaria (35 euro).

7. Le sanzioni

Chi chiede l’agevolazione senza averne diritto subisce il recupero della tassazione ordinaria aumentata del 30%.

IlSole24Ore - Illustrazione di Giorgio De Marinis

giovedì 25 ottobre 2018

Putin incontra Conte: «Nessuna remora a comprare titoli di stato italiani». - Antonella Scott

(ANSA/Filippo Attili/Ufficio Stampa Palazzo Chigi)

MOSCA -Le sanzioni, che devono essere «un mezzo e non un fine»; la cooperazione economica rilanciata con un consistente pacchetto di 14 accordi e nuovi progetti, con potenzialità di diversi miliardi di euro; il dialogo politico. E un'intesa tra partner, Italia e Russia, che arriva anche a prendere in considerazione la possibilità che Mosca accorra in aiuto dell'Italia acquistando titoli di Stato attraverso il Fondo sovrano russo. Alla domanda posta a Vladimir Putin in conferenza stampa, alla conclusione degli incontri con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il presidente russo ha detto che Mosca «non ha alcuna limitazione o restrizione» in questo senso. 

Ma ha poi confermato che di questo non si è parlato durante la giornata: «L'economia italiana ha basi solide», ha detto ancora Putin. «Non sono venuto qui per chiedere di comprare titoli sovrani», ha aggiunto Conte.

È stato invece il giorno in cui la relazione speciale tra Italia e Russia ha provato a tradursi in fatti, a raccogliere le forze e a progredire. Iniziata sotto la pioggia ai Giardini di Alessandro davanti alle mura del Cremlino, dove ha deposto una corona al Milite ignoto, la visita ufficiale di Conte a Mosca è proseguita sulla Moscova all'Expocenter, dove il presidente del Consiglio ha ascoltato da vicino le preoccupazioni dei rappresentanti di due settori - calzature e macchinari per il legno. «Sono qui per dimostrare la costante disponibilità dell'Italia al dialogo», ha detto. Tema ripreso in conferenza stampa a proposito dei fronti caldi della politica, dalla Libia all'Ucraina.
È il filo conduttore di questa visita: confermare i legami tradizionali, cercarne di nuovi, lavorare dai flussi commerciali ai settori suscettibili di ulteriori margini di crescita. «Cercare sentieri meno battuti, nuove opportunità da esplorare», rimarca Conte durante il confronto tra Putin e un gruppo di imprenditori italiani. Che, per la prima volta, hanno scambiato le proprie opinioni con Putin al Cremlino, uno scambio definito da Palazzo Chigi «approfondito e dettagliato». 
Al termine è stato firmato un pacchetto di 14 accordi: capitanati da Enel e Anas. Il primo – un valore giudicato intorno a un miliardo di euro, è un accordo di cooperazione strategica e di ampliamento della partnership con le Ferrovie russe, e include un'estensione del contratto di fornitura energetica che lega le due società dal 2008. Il secondo, firmato in mattinata, lega Anas del gruppo Fs italiane e il Fondo russo per gli investimenti diretti in due accordi per lo sviluppo congiunto di investimenti pari a oltre 11,6 miliardi riguardanti 1.100 km di infrastrutture stradali in Russia. 
Gli altri accordi (l'elenco completo sul sole24ore.com) esplorano possibilità di collaborazione sul fronte dello smaltimento dei rifiuti, dell'ambiente, della componentistica per auto, delle soluzioni per l'oil%gas. «Un'atmosfera di piena e totale collaborazione e di perfetta intesa ha commentato Luigi Scordamaglia, presente alla riunione come presidente di Federalimentare ma anche ad di Inalca (Gruppo Cremonini) -: con un Presidente Putin che ha risposto a ciascuna delle richieste e interventi fatti dai rappresentanti delle aziende italiane presenti con grande conoscenza e dettaglio. Davanti ai piani di investimenti nel settore dell'allevamento in cui come gruppo Inalca/Cremonini siamo impegnati in Russia, il presidente ha sottolineato l'importanza di tale attività per gli allevatori russi e le enormi opportunità che insieme possiamo avere esportando la carne sul mercato cinese».
All'incontro con Putin, che si è protratto ben oltre l'orario previsto, non era presente Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, venuto però a Mosca il giorno precedente per incontrare Igor Sechin, il numero uno di Rosneft. Il rapporto tra la major italiana e il colosso russo del petrolio nel mirino delle sanzioni americane è stato al centro dell'attenzione dopo che l'agenzia Interfax, citando una fonte del governo russo, ha ripreso una notizia già apparsa nei mesi scorsi: Eni avrebbe rinunciato in marzo ai progetti di esplorazione avviati nel Mar Nero con Rosneft. E ora starebbe negoziando per chiudere anche i progetti relativi al Mare di Barents, sotto l'Oceano Artico: un'area, quest'ultima, coperta dalle sanzioni del fronte energetico.
L'agenzia Interfax ricorda come nel giugno 2013 - l'anno precedente la crisi ucraina - Eni e Rosneft avessero avviato un accordo per esplorare insieme i fondali del Mar Nero - nella piattaforma occidentale - e, nell'Artico, due aree nel Mare di Barents. Dopo le prime insoddisfacenti trivellazioni di marzo nel Mar Nero, a una profondità di 2.109 metri, Eni ha effettivamente dato corso al proprio diritto di recessione dal progetto, rivelatosi non all'altezza degli studi effettuati. E ora la compagnia italiana conferma l'uscita dalla joint venture, aggiungendo però che i rapporti con Rosneft restano ottimi, come dimostra l'esperienza comune in Egitto: la decisione sul Mar Nero non impedisce di trovare con Rosneft eventuali altre alleanze, in aree non soggette a sanzioni internazionali.
GLI ACCORDI DI MOSCA.
Sono 14 gli accordi firmati da compagnie ed enti italiani al Cremlino, alla presenza di Giuseppe Conte e Vladimir Putin, per un valore potenziale di diversi miliardi di euro:
- Il ministero dell'Ambiente della Tutela del Mare della Repubblica Italiana (delega alla firma all'ambasciatore Pasquale Terracciano) e il ministero delle Risorse naturali e dell'Ecologia della Federazione Russa hanno siglato un memorandum d'intesa nel campo della tutela dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile.
- Enel con l'ad Francesco Starace ha firmato il prolungamento dell'accordo, in scadenza nel 2023, per il contratto di fornitura di energia elettrica alle Ferrovie Russe (Rzd).
- Anas (Gruppo FS Italiane) e il Russian Direct Investment Fund (RDIF) hanno firmato due accordi per lo sviluppo congiunto di investimenti pari a oltre 11,6 miliardi di euro riguardanti 1.100 km di infrastrutture stradali in Russia. 
- Barilla (firma il presidente del Gruppo Guido Barilla) e la Regione di Mosca hanno firmato un Memorandum of Understanding per l'acquisizione di un terreno per realizzare un nuovo mulino, uno stabilimento produttivo e un magazzino e un raccordo ferroviario a esso collegato.
- Pietro Fiorentini (firma l'ad della società, Mario Nardi) e Rosneft hanno siglato un accordo di cooperazione industriale per la produzione di impianti “Hipps” (impianti meccanici che evitano sovraccarichi di pressione nelle tubature utilizzate nell'oil & gas).
- L'azienda italiana di biotecnologie Bio.On (firma l'ad e cofondatore Marco Astorri) e il gruppo del Tatarstan Taif hanno siglato un accordo per la realizzazione di un impianto di produzione di plastiche biodegradabili.
- Il 
Gruppo Adler (a Mosca è arrivato l'ad Paolo Scudieri), che progetta, sviluppa e industrializza componenti e sistemi per l'industria del trasporto, 
- il Fondo Strategico Italiano (con l'ad Maurizio Tamagnini) hanno firmato con il Fondo di investimenti diretto russo (Rdif) un accordo per la creazione di un impianto di autocomponentistica in Russia.
- Il Gruppo Ferretti (con l'ad Alberto Galassi) ha firmato con il Fondo di investimenti diretti russo (Rdif) un accordo propedeutico all'istituzione di una joint-venture produttiva.
- La società di gestione di fondi che forniscono prestiti alle piccole imprese, Mikrocapital (firmato il suo fondatore Vincenzo Trani) e la Corporazione Pmi russe hanno firmato un accordo per la creazione di un fondo congiunto per finanziare progetti di Pmi russe.
- L'italiana Fornovo (rappresentanti da Roberto Masarin) e la russa Kamaz hanno firmato un accordo di partnership prodromico alla licenza per produrre compressori da montare su camion speciali, commissionati a Kamaz dal colosso russo del gas, Gazprom.
- Il Gruppo Techint (con l'amministratore delegato Dario Puglisi) e il Governo della regione di Kaluga hanno firmato un Memorandum of Understanding per la creazione di un ospedale. 
- Coparm (rappresentanti da Natale), una delle maggiori aziende europee nella progettazione e costruzione di impianti trattamento rifiuti, ha firmato con Chisty Gorod un accordo per la fornitura di apparecchiatura di riciclaggio e smaltimento di rifiuti.
- Confindustria Russia (rappresentata dal suo presidente Ernesto Ferlenghi) ha firmato un accordo con una delle maggiore associazioni di impresa del Paese, Opora Russia.
- Pirelli, rappresentata dall'ad Marco Tronchetti Provera, firma con Rostec accordo per il raddoppio dello stabilimento di Voronezh per un investimento di 100 milioni di euro in tre anni.
Fonte: ilsole24ore del 24/10/2018

sabato 13 ottobre 2018

F-35, l’intera flotta a terra. Storia dell’aereo più costoso del mondo. - Gianni Dragoni

(ANSA)

È la parola proibita. Nessun politico o militare italiano parla volentieri dell'F-35, il cacciabombardiere americano di ultima generazione che rappresenta il più costoso programma aeronautico della storia, e la cui flotta è stata lasciata a terra per ispezioni dei condotti del carburante dopo che un velivolo è precipitato due settimane fa nella Carolina del Sud.
L’aereo è prodotto da un consorzio guidato da Lockheed Martin in alleanza con l'industria britannica Bae Systems, che alla fine degli anni Novanta del secolo scorso si aggiudicarono la gara del Pentagono, battendo la Boeing. Anche l'Italia ha aderito a questo programma, fin dal 1998, sia partecipando al finanziamento della fase di sviluppo, per avere un ritorno industriale e lavoro per le proprie industrie, soprattutto il gruppo Finmeccanica-Leonardo, sia acquistando questi aerei per sostituire velivoli più vecchi, Tornado, Amx e Av-8 B.
Il sì di vari governi: Prodi, D'Alema, Berlusconi.
In origine chiamato Jsf (Joint strike fighter, il caccia interforze degli Stati Uniti), l'F-35 è diventato l'emblema di velivolo da combattimento molto costoso e con problemi di sviluppo e di efficacia, forse troppo costoso. Lo stesso Pentagono ha rivolto critiche severe in alcune fasi della produzione, si è parlato del rischio di esplosione dell'aereo se colpito da un fulmine e di difetti ad altri congegni tecnologici, come il casco del pilota. A livello politico l'Italia ha aderito al programma nel 1998, quando al governo c'era Romano Prodi e il ministro della Difesa era Beniamino Andreatta. Ci sono stati accordi firmati dai governi e approvazioni del programma nelle commissioni parlamentari.
A favore del programma F-35 si sono pronunciati, in vari tempi, il governo Prodi, poi il primo D'Alema insediatosi nell'ottobre 1998, poi il secondo governo Berlusconi nel 2002, di nuovo Prodi nel 2007, quindi il quarto governo Berlusconi nel 2009.
Quando Andreatta disse: «L'F-35 costa metà dell'Eurofighter».
«L'ultimo caccia americano costa la metà dell'Eurofighter ed è migliore sotto il profilo tecnologico, perché può muoversi con un sistema di collegamenti via satellite, senza scoprirsi», disse il ministro della Difesa Andreatta il 9 luglio 1998, all'assemblea dell'Aiad. Andreatta si schierò a favore del Jsf-F-35 davanti ai rappresentanti delle industrie nazionali della difesa, più favorevoli all'Eurofighter, il caccia europeo prodotto dalle industrie di quattro nazioni (Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia) che, nelle previsioni, avrebbe dovuto dare più lavoro alle fabbriche italiane rispetto a un aereo americano. Gli americani promettevano costi unitari medi per velivolo più bassi in base all'assunto di arrivare a produrre e a vendere tra i 2.500 e i 3.000 aerei, non solo in casa loro ma in tutto il mondo. L'Efa in origine partiva da una stima di ordini domestici, cioè dei quattro paesi costruttori, di 620 aerei. È chiaro che più sono i velivoli prodotti e più si possono realizzare economia di scala spalmando sull'intera produzione i costi “non ricorrenti” di progettazione, sviluppo e ingegneria.
Per saperne di più: Il caccia F-35 stupisce tutti al salone di Parigi-Le Bourget
Il via nel dicembre 1998.
Il primo via libera in Parlamento c'è stato nel dicembre 1998, poche settimane dopo il giuramento di Massimo D'Alema come presidente del Consiglio. Le commissioni Difesa della Camera (9 dicembre) e del Senato (15 dicembre) hanno dato parere favorevole all'adesione dell'Italia come “partner informato” alla prima fase, detta “Cdp”, con un contributo di 10 milioni di dollari. Un piccolo impegno finanziario, ma già un importante impegno politico, come hanno dimostrato i fatti successivi. Con il secondo governo Berlusconi, nel giugno 2002, confermato il parere positivo delle due commissioni Difesa, l'Italia ha aderito alla fase successiva, detta “Sdd”, impegnandosi con un miliardo e 28 milioni di dollari (circa un miliardo e 190 milioni di euro dell'epoca).
L'impegno iniziale per 131 aerei.
Il 7 febbraio 2007, sotto il governo Prodi, l'Italia ha firmato il Memorandum d'intesa (MoU) relativo all'ulteriore fase di sviluppo del velivolo, detta “Pfsd”, con un impegno finanziario di 904 milioni di dollari (circa 695 milioni in euro). Quel memorandum conteneva un impegno indicativo di acquisto di 131 F-35. Quell'”impegno” originario, di carattere politico ma non ancora un vero contratto, prevedeva una stima di spesa intorno ai 15 miliardi di euro spalmata in molti anni per 131 supercaccia. Una stima, ma la cifra è ballerina anche perché programmi industriali così lunghi e complessi dal punto di vista tecnologico possono provocare facilmente un aumento dei costi (mai si è verificata una diminuzione rispetto ai preventivi, come mostra anche il caso dell'Eurofighter).
Per la fabbrica di Cameri 800 milioni.
L'8 aprile 2009 c'è stato un nuovo passaggio politico. Sotto il quarto governo Berlusconi, le commissioni Difesa di Camera e Senato hanno espresso parere favorevole sul programma del governo per proseguire la partecipazione al programma F-35. Il programma prevedeva anche la costruzione in Italia, all'aeroporto militare di Cameri (Novara), di una fabbrica per la produzione di ali e per l'assemblaggio finale e verifica del caccia americano, non solo per i velivoli destinati all'Italia ma anche in Europa e altri paesi. La fabbrica è costata circa 800 milioni di euro, soldi spesi direttamente dallo Stato. La fabbrica è affidata in gestione all'ex Alenia Aeronautica, ora divisione velivoli di Leonardo-Finmeccanica.
Il taglio a 90 aerei fatto dal governo Monti.
La vita dell'F-35 è proseguita tra polemiche crescenti per i costi, finché durante il governo Monti l'Italia ha tagliato l'impegno d'acquisto da 131 a 90 velivoli. La decisione fu presa nel febbraio 2012, il ministro della Difesa era Giampaolo Di Paola, ex capo di Stato maggiore della Difesa. Secondo alcune stime con quel taglio l'Italia avrebbe risparmiato 4 miliardi di euro sul totale (rispetto a 15-16 miliardi di partenza) e la spesa avrebbe dovuto ridursi a circa 13 miliardi. Ma non c'è mai stato un calcolo ufficiale della spesa. Nella scorsa legislatura il 24 settembre 2014 la Camera ha approvato una mozione presentata dal deputato Pd Gian Piero Scanu che prevedeva il “dimezzamento” della spesa iniziale prevista per gli F-35. Ma questo impegno (le mozioni peraltro non sono vincolanti per il governo) non è mai stato tradotto in cifre, cioè in riduzione del numero di velivoli né in una definizione precisa della spesa complessiva da sostenere. L'allora ministra della Difesa, Roberta Pinotti del Pd, è stata contestata perché il successivo Def non ha tenuto conto dell'impegno espresso da quella mozione. In un'intervista Pinotti ha detto, senza sbilanciarsi a favore del taglio dei velivoli: «Gli F3-5 sono stati una scelta dell'Italia che risale addirittura al '98 con Andreatta».
La ministra Trenta: «Non compreremo altri F-35».
Arriviamo al governo attuale. Il 6 luglio scorso la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, ha detto a Omnibus, su La7: «Sicuramente non compreremo nessun altro F-35. Stiamo analizzando se mantenere o tagliare i contratti in essere. Intorno ai caccia si crea un indotto tecnologico, di ricerca e occupazionale». Per questo, sostiene la ministra «potremmo scoprire che tagliare costa di più che mantenere». Pertanto «bisogna analizzare bene le implicazioni». La ministra di area M5S non ha chiarito però se ci sarà il taglio e di quanti aerei sarà. Su Facebook Trenta quel giorno ha aggiunto: «Siamo sempre stati critici del programma, nessuno lo nasconde, proprio per questo non compreremo nuovi caccia. Stiamo portando avanti un'attenta valutazione che tenga esclusivamente conto dell'interesse nazionale».
In aprile (con Gentiloni) l'Italia ha comprato altri otto F-35. 
Intanto gli acquisti dell'F-35 fatti dallo Stato italiano sono proseguiti, a lotti, in silenzio e senza piena trasparenza. L'Osservatorio Milex sulle spese militari ha rivelato, senza essere smentito, che il 25 aprile (c'era ancora il governo Gentiloni) è stato firmato il contratto per un nuova tranche di otto aerei destinati all'Italia. Questo porta l'impegno totale già assunti dall'Italia a 26 cacciabombardieri, di cui dieci già consegnati (nove all'aeronautica e uno alla Marina).
L'ipotesi di un taglio di 15 velivoli.
Secondo indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore, l'ulteriore taglio ipotizzato in queste ultime settimane, ma sono solo voci, potrebbe toccare 15 aerei a decollo verticale per l'Aeronautica, sui 75 totali previsti per quest'arma, mentre non verrebbero toccati i 15 aerei destinati alla Marina militare. Lockheed ha detto che ci sono più di 320 F-35 operativi in tutto il mondo in 15 basi, in prevalenza alle forze militari degli Stati Uniti.
Quanto ha speso l'Italia?
Non è mai stato fatto un calcolo ufficiale di quanto abbia speso l'Italia per gli F-35, tra investimento per lo sviluppo e acquisti. Si può stimare che siano stati spesi almeno 4 miliardi di euro. Qualche anno fa Lockheed aveva diffuso stime di un impatto sull'Italia con la creazione di almeno 10mila posti di lavoro. Una stima rivelatasi ampiamente esagerata.
Fonte: ilsole24ore del 11/10/2018

sabato 13 luglio 2013

Altro dubbio amletico.



Da un documento del parlamento sulla relazione annuale dell’export di armamenti italiani, si evince che nel 2012 il governo Monti, ha autorizzato contratti di vendita per ben 2,7 miliardi di euro.

Leggo anche che questi armamenti vengono venduti a paesi come Israele, Algeria, Ciad, Turchia, Libia...etc., paesi sempre in guerra e dove la democrazia è misconosciuta.

Le commesse riguardano i soliti gruppi industriali che in Italia la fanno da padroni, primo fra tutti Finmeccanica ai cui posti di comando siedono De Gennaro e Pansa, uomini di dubbia onestà mentale, ma di acuto servilismo al governo, per cui vengono utilizzati a rivestire cariche manageriali in tutte le aziende di spicco.

La domanda che sorge spontanea è: ma in un momento di grave crisi economica è normale che un capo del governo, peraltro non eletto dal popolo, si arroghi il diritto di autorizzare contratti miliardari in armamenti, invece di pensare di risollevare il paese dalla crisi?

Oltretutto, Monti arbitrariamente nominato da Napolitano senatore a vita e capo di un "governo-tecnico", è costituzionalmente compatibile con le decisioni prese oltre i compiti affidatigli e cioè quelli del bilancio pubblico, della previdenza e dello sviluppo?

Infine, se l'art. 11 della nostra Costituzione sancisce:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo

perchè, allora, munirsi e vendere armi?

Siamo in guerra con qualcuno?

Chi ha dato loro il diritto di decidere per noi in tal senso?


Quando sono andata a votare non l'ho fatto per dar loro carta bianca su ogni decisione come questa che ritengo astrusa oltre ogni ragionevole comprensione!


Questi pensano di avere potere immenso su tutto e non possiamo permetterglielo!