Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 11 dicembre 2021
Andrew Faber
giovedì 9 dicembre 2021
La pulce e l’elefante. - Marco Travaglio
Una delle migliori tecniche di disinformazione è quella di ingigantire le notizie marginali per minimizzare quelle fondamentali. Infatti si fa un gran vociare – come se ne andasse delle sorti del centrosinistra e del Quirinale – sul no di Conte alla candidatura a Roma-1, gabellato per un voltafaccia o financo una fuga del leader di partito più popolare d’Italia per paura di due noti frequentatori di se stessi. Un monumentale chissenefrega, tanto più che Conte non ha mai detto di sì e, dopo averci riflettuto, ha declinato come già aveva fatto per le Suppletive a Sassari, Siena e Roma-Primavalle. Naturalmente la stessa canea impazzerebbe se avesse accettato: si direbbe che vuole arraffare l’ultimo treno per garantirsi 15mila euro al mese, con annessa immunità dall’arresto e dalle intercettazioni. Invece, dopo il rifiuto, nessuno segnala l’anomalia di un politico che non cerca immunità né soldi, anzi non vede un euro da otto mesi (non ha riaperto lo studio legale per evitare conflitti d’interessi ed è in aspettativa dall’università), né lo vedrà fino alle elezioni: fa politica gratis.
Ieri intanto il nostro sito raccontava uno scandalo gigantesco: l’ex senatore FI Giancarlo Pittelli, ai domiciliari per concorso esterno in ’ndrangheta (ma tu guarda), scrive alla ministra FI Mara Carfagna per chiederle di “aiutarmi in qualunque modo”. E torna in carcere perché non poteva comunicare con nessuno, salvo i familiari conviventi. Nella lettera, oltre ai consueti insulti agli inquirenti, che sono una specialità della casa (“sono un innocente finito nelle grinfie di folli”, cioè di Gratteri che “manipola” intercettazioni e inventa “accuse folli” e di giudici “asserviti”), il galeotto annuncia alla ministra: “Stiamo preparando un’interrogazione parlamentare che Vittorio Sgarbi proporrà quale primo firmatario. Piero Sansonetti, che non mi ha mai abbandonato, conosce tutti gli atti e i particolari dell’inchiesta”. Cioè: il detenuto sospettato di ’ndrangheta prepara un’interrogazione che un deputato-postino (Sgarbi: ma tu pensa) presenterà come farina del suo sacco e i soliti trombettieri rilanceranno in edicola. Gran finale: “Per eventuali comunicazioni ti lascio il recapito di mia moglie…. Le tue telefonate come ben sai sono tutelate ex articolo 68…”. Cioè chiede a una ministra – suscitandole prevedibile imbarazzo e forse anche un po’ d’inquietudine – di chiamarlo sul numero della moglie, così né lei né lui saranno intercettabili. Di qui il riarresto, perché – scrive il giudice di Vibo Valentia – Pittelli vuole “instaurare contatti” per “incidere sul regolare svolgimento del processo”. Cose che accadono quando si manda al governo la Banda B. e, soprattutto, si medita di lasciarla lì anche in futuro.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/09/la-pulce-e-lelefante/6419495/
SARO' BREVE N. 84. - Rino Ingarozza
mercoledì 8 dicembre 2021
Scontro su bonus facciate almeno fino a giugno e sul 110% per le villette fino a fine 2022. - Marco Mobili
Tra i temi più caldi ci sono i lavori effettuati dalle persone fisiche finanziati con il 110% sulle unità immobiliari unifamiliari: nel mirino il “tetto” Isee di 25mila euro per poter accedere al Superbonus.
Scontro sulle unifamiliari.
Tra i temi più caldi e su cui c’è un’ampia convergenza tra tutte le forze politiche ci sono i lavori effettuati dalle persone fisiche finanziati con il 110% sulle unità immobiliari unifamiliari, più note come villette. Nel mirino di tutti i partiti è finito il “tetto” Isee di 25mila per poter accedere al Superbonus fino al 31 dicembre 2022. Il Partito democratico, ad esempio, con un emendamento firmato dalla capigruppo a Palazzo Madama, Simona Malpezzi, e dall’ex viceministro all’Economia Antonio Misiani, chiede di cancellare il riferimento all’Indicatore della situazione economica equivalente fino a 25mila euro, introdotto dal Governo per mitigare l’impatto finanziario della super agevolazione, e sostituirlo con la possibilità di beneficiare del 110% per i lavori sulle villette per le quali alla data del 30 marzo 2022 risulti effettuata la comunicazione di inizio lavori asseverata, la cosiddetta Cila, ovvero nei casi di demolizione o ricostruzione alla stessa data del 30 marzo siano state avviate le formalità amministrative per l’acquisizione del titolo abilitativo.
In questi casi, si legge nel correttivo Pd, la proroga del Superbonus potrà arrivare fino al 2025 con un decalage che prevede il 110% per i lavori effettuati fino al 31 dicembre 2022, che si riduce al 70% per i due anni successivi e passa poi al 65% nel 2025.
M5S contro il vincolo Cila.
Sulla cancellazione del tetto Isee anche il Movimento Cinque Stelle che, oltre a chiedere un rafforzamento delle proroghe sul 110%, chiede per le unità unifamiliari l’accesso al Superbonus per tutto il 2022 senza il vicolo della Cila e con interventi di riqualificazione energetica o di messa in sicurezza che al 30 giugno abbiano raggiunto il 30% dello stato di avanzamento lavori.
Più diretta la Lega che chiede la cancellazione di ogni riferimento all’Indicatore economico per poter effettuare interventi con il 110% fino al termine del 2022.
Ma non c’è solo il Superbonus. Il confronto tra maggioranza e Governo è acceso anche sul bonus facciate. Alle forza politiche non piace la proroga al 2022 del bonus edilizio più gettonato dell’ultimo anno ma con una percentuale ridotta dal 90 al 60%. Italia Viva chiede di sopprimere la percentuale del 60% e prorogare il bonus facciate anche per il prossimo triennio. Mentre il Partito democratico chiede una proroga di almeno sei mesi così da consentire l’accesso al bonus per la riqualificazione delle facciate degli edifici nella misura del 90% fino al 30 giugno 2022.
La capogruppo al Senato di Forza Italia, Anna Maria Bernini, invece, chiede che la detrazione del 90% del bonus facciate spetti anche per le spese sostenute entro il 2025, nella misura del 70% per quelle del 2024 e del 65% per quelle sostenute nel 2025.
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Lesa Migliorità. - Marco Travaglio
Qualche spunto per il cabaret. Zerovirgola, il politico più impopolare, già convinto di aver ucciso il politico più popolare che però rimane tale, ora crede di avere bloccato la sua candidatura a Roma-1 facendogli paura: e tutti lo assecondano, come si fa con i casi umani. Carletto dei Parioli, suo compare di litigate e di mitomania, noto perché si candida a tutto, anche alla Federpesca, e sempre con un partito diverso, annuncia che correrà a Roma-1 per fare il deputato, essendo già eurodeputato (col Pd) e consigliere comunale (con Azione), dopo aver contribuito ad affondare Italia Futura (Montezemolo) e a farsi trombare con Scelta Civica (Monti). Ma, siccome Conte non si candida più, rinuncia precisando che avrebbe stravinto. Un po’ come quando si sentiva già sindaco di Roma (“vinco al primo turno”): poi arrivò terzo, mancando il quarto posto solo perché la destra gli aveva regalato Michetti.
Conte si esercita a spiegare perché il M5S non può votare B. al Colle: ieri gli è scappato detto che “ha il conflitto d’interessi”, ma ha subito rimediato aggiungendo che “ha fatto molte cose buone” (fortuna che non gli han chiesto quali). Con un altro po’ di training, forse riuscirà a rinfacciargli un eccesso di cerone. Il compito più ingrato spetta a Minzo: dopo i peana del padrone al Reddito di cittadinanza, deve registrare altre flautate parole di B. (“Il voto al M5S aveva motivazioni tutt’altro che ignobili. I 5Stelle hanno dato voce a un disagio reale che merita rispetto”), senza poter aggiungere “luridi bastardi”, sennò perde il posto. Ora che Mattarella dice no al bis, Cassese dichiara che “la rieleggibilità non è prevista neanche per i giudici della Consulta, secondo l’art. 135 della Costituzione: perché non dovrebbe valere anche per il capo dello Stato?”. Strano: nel 2013, quando l’amico Napolitano si fece rieleggere, non fece una piega. E il 13 agosto ’21 disse l’opposto: “La Costituzione non prevede che il mandato non sia rinnovabile: se è rinnovato nei termini previsti, è possibile”. Faceva prima a citare il proverbio toscano: “La legge è come la pelle dei coglioni: più la tiri, più si allunga”. L’intera stampa è listata a lutto per lo sciopero generale Cgil-Uil contro Draghi, tipico caso di lesa migliorità: “Incredulità di Draghi” (Rep), “Stupore nel governo” (Corriere), “L’ira di Draghi” (Messaggero), “Fermatevi, finché siete in tempo”, “Premier sbigottito” (Stampa), “Follia dei sindacati” (Giornale), “Ci mancava solo questo” (Libero). Tra le prefiche inconsolabili si segnala per acume Cappellini di Rep: “C’è il rischio che la piazza diventi l’occasione di un raduno di scontenti, No Vax compresi”. Ma a tutto c’è rimedio. D’ora in poi, se i sindacati vogliono proprio fare i sindacati, solo raduni di contenti.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/08/lesa-migliorita/6418771/
sabato 4 dicembre 2021
Referendum Renzi, la Costituzione è la nostra forza: va fatta valere anche con gli altri governi. - Paolo Maddalena*
IIl 4 dicembre 2016 il popolo italiano respinse con referendum la modifica della Costituzione, proposta da Matteo Renzi, al fine di attrarre maggiori poteri nell’Esecutivo, riducendo, nello stesso tempo, la “rappresentanza popolare” e i poteri referendari del popolo sovrano. In estrema sintesi, il disegno di modifica della Costituzione prevedeva: che il Parlamento fosse praticamente ridotto alla sola Camera dei Deputati, tranne alcune eccezioni (art. 10); che le firme richieste per proporre una legge di iniziativa popolare fossero elevate da 50mila a 150mila (art. 11); che, infine, il governo potesse chiedere alla Camera dei Deputati di “deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge, indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo, fosse iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei Deputati entro il termine di 70 giorni dalla deliberazione” (art. 12).
Con queste e altre numerose modifiche, veniva in pratica cambiata gran parte della Costituzione vigente e si veniva incontro a coloro che, in virtù delle numerosissime leggi costituzionali fino ad allora emanate, affermavano la venuta in essere di una “Costituzione materiale” che avrebbe cancellato quella “formale”. L’esito referendario, tuttavia, ha confermato quest’ultima e ha tolto ogni dubbio in proposito.
Si trattava di una riforma che voleva dar forza all’azione, già da tempo intrapresa dai nostri governi, per cancellare il doveroso “obiettivo” di dare piena attuazione alla Costituzione, costituente l’ultimo “ostacolo” all’avanzata inarrestabile del neoliberismo. Quel pensiero unico dominante che, attraverso numerose leggi incostituzionali, aveva in pratica sostituito al “sistema economico produttivo di stampo keynesiano” (secondo il quale, e coerentemente con i principi fondamentali della Costituzione, si ritiene che la ricchezza deve essere distribuita alla base della piramide sociale, e lo Stato deve intervenire come imprenditore nell’economia), con il “sistema economico predatorio, illecito, cinico e incostituzionale del neoliberismo” (secondo il quale: la ricchezza deve essere nelle mani di pochi, tra questi ci deve essere una forte concorrenza e lo Stato non deve intervenire nell’economia).
Una molto esecranda operazione, che esaltava l’egoismo individuale (estraneo alla Costituzione) e abbatteva il principio fondamentale della “solidarietà politica, economica e sociale” del Paese.
Limitandosi alla cronaca dei fatti, si può dire che, nell’immediato secondo dopoguerra, il sistema economico italiano, grazie all’intervento dello Stato nell’economia, marciava a pieno ritmo. Il reddito nazionale cresceva e tutti erano rinfrancati dall’incremento dell’occupazione e dei consumi: l’Italia era stata addirittura fregiata di importanti riconoscimenti in campo finanziario.
Protagonista di questo successo era stato l’intervento dello Stato nell’economia, e primariamente l’attività imprenditoriale dell’Iri, il quale, nel 1980, possedeva circa mille società, con 500mila dipendenti, e ancora nel 1993 (quando era già stata decisa la sua liquidazione) era il settimo conglomerato al mondo per dimensioni, con un fatturato di circa 67 milioni di dollari.
Ed è da sottolineare che questo successo conquistato dall’Italia doveva aver suscitato, molto probabilmente, le preoccupazioni di altri Paesi occidentali.
È comunque un fatto indiscutibile che la “decadenza economica” dell’Italia sia stata realizzata dai nostri governi seguendo le idee neoliberiste propalate in tutto il mondo dal famoso libro di Milton Friedman, della Scuola economica di Chicago, dal titolo La storia della moneta degli Stati Uniti dal 1867 al 1960. L’obiettivo del neoliberismo, com’è noto, è di porre tutto sul mercato, prescindendo dal valore dell’uomo, da considerarsi solo come homo oeconomicus e talvolta come semplice merce; di abolire la solidarietà che è a fondamento dell’esistenza dei popoli; e, con questa, il “demanio costituzionale”, e cioè quel complesso di beni e servizi sui quali si fonda la “costituzione” e la “identità” dello Stato comunità. Trattandosi di beni e servizi, come precisa l’art. 42 Cost., “in proprietà pubblica” del popolo – o meglio, come affermò nel secolo scorso l’illustre amministrativista Massimo Severo Giannini – in “proprietà collettiva demaniale” del popolo stesso, e per questo un tipo di proprietà inalienabile, inusucapibile e inespropriabile.
Si tratta, principalmente; “del paesaggio, del patrimonio artistico e storico (art. 9 Cost.), dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio (art. 43 Cost.).
Il primo colpo contro il sistema economico keynesiano, e, naturalmente, contro l’intervento dello Stato nell’economia, fu dato (molto probabilmente al solo fine di contrastare l’inflazione, ma fu una mossa estremamente ingenua e dannosa, come subito dopo è visto), dal Ministro Beniamino Andreatta, il quale, con una semplice lettera a Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della banca d’Italia, in data 12 febbraio 1981 dispensò detta banca dall’obbligo di acquistare i buoni del tesoro rimasti invenduti. In tal modo venne meno la possibilità di pagare i nostri debiti stampando moneta e si attribuì alla Banca d’Italia piena indipendenza.
Insomma, da quel momento le necessità del popolo venivano messe in secondo piano rispetto alle richieste provenienti dal mondo economico finanziario, che miravano a ottenere leggi che favorissero la finanza senza tener conto dei bisogni della povera gente.
Il colpo mancino più duro all’intervento dello Stato nell’economia fu dato, tuttavia, dal Governo Andreotti, il quale, dopo essersi consultato con alcuni Governi Europei, con dl 5 dicembre 1991, n. 386, convertito nella legge 29 gennaio 1992, n.35, stabilì che gli enti di gestione delle partecipazioni statali e gli altri enti pubblici economici, nonché le aziende pubbliche statali, potevano essere trasformati in società per azioni.
La prima applicazione di questo principio si deve al governo Amato, il quale, dopo un mese e nove giorni dal discorso che fece Draghi il 2 giugno 1992 sul panfilo Britannia, invocando un forte impulso della politica per attuare la “privatizzazione” dei beni del popolo, emise il dl 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, trasformando in Spa le aziende di Stato Iri, Eni, Ina e Enel, che poi furono vendute, dai governi successivi e specialmente dal governo Prodi, a prezzi estremamente bassi.
Dopodiché c’è stata la privatizzazione di numerosissimi enti e aziende di Stato, che è impossibile enumerare.
Sulla convenienza di dette “privatizzazioni” si pronunciò poi la Corte dei conti il 10 febbraio 2010, rilevando “una serie di importanti criticità che vanno dall’elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors e organismi di consulenza al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito”.
E’ inoltre da precisare che dette privatizzazioni sono avvenute secondo l’ispirazione di un preciso teorema che pone come primo elemento “l’indebitamento” di un Paese, per poi passare alla commercializzazione di questi debiti con le “cartolarizzazioni”, istituzionalizzate dal governo D’Alema, e con l’istituto dei “derivati”, definiti durante il Governo Prodi.
In tal modo si è messo a punto un obiettivo molto caro al pensiero neoliberista: quello della “finanziarizzazione dei mercati”, in modo che essi non servano più per “creare” ricchezza, ma per “trasferire” questa dagli speculatori meno accorti agli speculatori più scaltri.
Altro punto del teorema è quello, non finanziario ma economico, delle accennate “privatizzazioni”, cioè della trasformazione dell’ente o dell’azienda pubblica in Spa, con l’incredibile conseguenza che il “patrimonio pubblico” di tutti i cittadini, gestito per l’appunto da enti o aziende pubbliche, diventasse “patrimonio privato” dei singoli soci della Spa. A dette privatizzazioni sono poi da aggiungere le “liberalizzazioni”, e, quindi, le “delocalizzazioni” e le “svendite”. In tal modo il popolo è spogliato completamente del suo “demanio costituzionale” e si avvia, inconsapevolmente e nella indifferenza di tutti, verso il traguardo finale del default.
E si può dire, purtroppo, che da cinque anni a questa parte nulla è cambiato. Infatti il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato il cosiddetto Trattato del Quirinale, che a mio parere in pratica istituzionalizza la superiorità economica della Francia rispetto all’Italia, senza che neppure una Commissione parlamentare abbia potuto valutarlo;, e peraltro in pompa magna, dimostrando con i fatti la superiorità dell’Esecutivo rispetto al potere legislativo.
Ciononostante egli è osannato dai partiti e ha ora l’ardire di proporre al Parlamento un disegno di legge che esalta la “concorrenza” fino al punto di imporre ai Comuni l’onere di specificare i motivi per i quali esso abbia preferito una gestione in proprio, anziché ricorrere alle concessioni di carattere privatistico, imponendo inoltre di porre a gara sul mercato europeo e internazionale persino il servizio dei taxi e quello delle spiagge, sempre ignorando, e mai nominando, la nostra Costituzione.
Ma è proprio la Costituzione la nostra forza. E dobbiamo farla valere, non solo contro Matteo Renzi, com’è stato con il referendum del 2016, ma anche nei confronti di altri governi, come l’attuale, che insistono a ritenere il sistema economico neoliberista un dato di natura, mentre i fatti dimostrerebbero che si tratta semplicemente di un cinico disegno studiato a tavolino per togliere ricchezza al popolo, proprietario del “demanio costituzionale”, e donarla alla finanza e alle multinazionali. Cancellando così millenni di civiltà e riconducendo tutti a uno stato di soggezione, se non di schiavitù.
*Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale
venerdì 3 dicembre 2021
Strappare lungo i bordi. - Zerocalcare
Ieri ho visto la serie animata "Strappare lungo i bordi" di Zerocalcare.
Non l'avrei mai vista se non me l'avesse consigliata mio figlio.
Una denuncia dura e pura contro lo status quo.
Ne sono rimasta impressionata; è una fantastica elencazione della vita quotidiana di un qualsiasi individuo, cittadino della nostra Italia, che si districa tra i vari gangli da incubo creati ad hoc da chi ha interesse a mantenere il controllo su tutto, creando paletti che generano disagio a chiunque voglia addentrarsi nel mondo del lavoro.
Ormai la politica, nata come arte di governare, è diventata la nuda proprietà di chi si dovrebbe assumere la gravosa responsabilità di governare il paese, ma, in effetti se ne sente il padrone assoluto.
Infatti, chi vi ha chiesto di credere in lei/lui promettendovi mari e monti, una volta ottenuta la vostra approvazione, diventa inarrivabile, inavvicinabile, perchè dedicherà tutto il suo prezioso tempo a stringere accordi con chi lo foraggia economicamente, e, molto spesso, disonestamente.
Così anche un posto di lavoro diventa appannaggio e proprietà della politica peggiore e chi non si piega ad essa vaga a vuoto in quel circolo vizioso fatto di rifiuti e vane promesse, mentre il tempo trascorre inesorabilmente.
Si sono appropriati di tutto, detengono il potere, ci tartassano privandoci del necessario, dimentichi del fatto che siamo noi a mantenerli.
L'Italia siamo noi, noi la manteniamo, pertanto, noi abbiamo il diritto di pretendere ciò che il primo articolo della Costituzione sancisce: "L'italia è una repubblica fondata sul lavoro."
Il lavoro è un diritto di ogni cittadino, il lavoro è la dignità di ogni cittadino e non va parcellizzato dalla politica che lo amministra secondo i suoi criteri per cui chi non lo ha meritato e lo ha ottenuto, sentendosi protetto, non lo adempie al meglio e crea caos.
Parliamo dei concorsi? Tutti truccati.
Vi siete mai chiesti perchè chi partecipa ai concorsi per posti di lavoro o per entrare nelle facoltà a numero chiuso non deve firmare il proprio lavoro? No, non è perchè non si debbano preferire i raccomandati riconoscendone la firma, ma perchè, se il loro compito è sbagliato viene eliminato e, quindi, non va preso in considerazione. E' più facile, invece, avendo tanti risultati a disposizione, attribuire ai raccomandati quelli giusti ed agli altri quelli sbagliati.
Le pensano tutte, pur di gestire a loro piacimento il potere.
"O cumannà è meglio d' 'o fottere" (Il potere è meglio del sesso) diceva un anonimo, e non gli si può dar torto..
Ed è così che va avanti da tempo immemore la ruota del carrozzone Italia, e le falle create da questo pessimo sistema si vedono in tutte le situazioni che dobbiamo affrontare: non funziona nulla, siamo in un caos creato ad arte da imbecilli ammalati di potere.
E i nostri giovani, intanto, aspettano, si adattano, hanno inventiva, sono creativi, ma gli è preclusa anche la possibilità di realizzare qualcosa da soli.
E' un gioco al massacro.
Ci tartassano e ci privano anche della speranza di un futuro migliore, perchè con loro ai posti di comando nulla potrà migliorare, semmai peggiorare...
cetta.