giovedì 24 febbraio 2022

Ucraina, Draghi non va più a Mosca e Lavrov sbeffeggia Di Maio. - Salvatore Cannavò

 

Ordine Nato, pure Francia e Germania si riallineano.

Quella che inizialmente sembra una gaffe rivela invece l’inasprimento dei rapporti tra l’Italia e Russia. Effetto di un riallineamento brusco alla Nato e agli Stati Uniti che porta all’annullamento del viaggio di Draghi a Mosca.

Quando il ministro degli Esteri Luigi Di Maio relaziona al Parlamento, annuncia che “non possano esserci nuovi incontri bilaterali con i vertici russi, finché non ci saranno segnali di allentamento della tensione, linea adottata, nelle ultime ore, anche dai nostri alleati e partner europei”.

L’annuncio di Di Maio. La frase fa rumore e da Mosca arriva la replica stizzita del ministero guidato da Serghej Lavrov che definisce la sortita di Di Maio “una strana idea di diplomazia” per poi aggiungere velenosamente: “I partner occidentali dovrebbero imparare a usare la diplomazia in modo professionale” anche perché è stata inventata per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione, e non per viaggi in giro per Paesi e degustazioni di piatti esotici a ricevimenti solenni”.

Trattandosi di Di Maio, giovane ministro degli Esteri, per di più 5Stelle, la frase sembra costruita apposta per corroborare l’idea del politico incompetente, un “bibitaro” alle prese con le crisi internazionali. Ma dalla Farnesina (cui nel frattempo arriva la solidarietà del Pd, anche questo un fatto nuovo) replicano con fermezza confermando la frase e soprattutto sostenendo che è stata coordinata con il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Dopo un’ora circa, arriva al Fatto la conferma di Palazzo Chigi: “Le visite bilaterali sono sospese in attesa di segnali distensivi da quella parte. Così tutti i partner europei”. Draghi, quindi, diversamente da quanto annunciato ancora nei giorni scorsi, non andrà per il momento a Mosca.

La stessa decisione viene comunicata a stretto giro da Francia e Stati Uniti, che annullano l’atteso incontro tra il Segretario di Stato, Antony Blinken e lo stesso Lavrov. Blinken avrebbe dovuto vederlo oggi a Ginevra, mentre l’incontro con il francese Jean Yves Le Drian era previsto per venerdì.

Azione concertata. A riprova dell’irrigidimento delle posizioni occidentali, Germania e Finlandia decidono di convocare l’ambasciatore russo, mentre il Dipartimento di Stato americano ci tiene nel pomeriggio a rendere noto che la vicesegretaria di Stato, Wendy Sherman, ha parlato con il segretario generale del ministero degli Esteri francese, François Delattre, il segretario di Stato del ministero degli Esteri tedesco, Andreas Michaelis, il segretario generale del ministero degli Esteri italiano, Ettore Sequi , e il ministro di Stato britannico per l’Europa e il Nord America, James Cleverly.

L’evoluzione dei rapporti tra la Russia e i Paesi europei segue il progressivo allarme che gli Stati Uniti lanciano a livello internazionale con l’imminente (di nuovo) invasione russa dell’Ucraina, stavolta nel giro di 48 ore. Gli Usa continuano nella loro strategia di compattamento occidentale con Francia, Italia e Germania che, non si sa quanto volenti o nolenti, sono costrette ad allinearsi. Tanto più se è vera la disponibilità russa di continuare il dialogo come traspare dalla risposta a Di Maio e come ripete lo stesso Vladimir Putin rispondendo agli Usa.

La difficoltà europea a tagliare i ponti con Mosca e, soprattutto, ad adattarsi alle sanzioni internazionali (finora abbastanza morbide, ma nei prossimi giorni destinate probabilmente a inasprirsi) la si può leggere non solo nell’annuncio che il 90% delle Pmi italiane continueranno a fare affari con la Russia, ma soprattutto nelle vicende della larga maggioranza che sorregge proprio Draghi. Il quale, sulle sanzioni, non può vantare una maggioranza coesa.

Vasta maggioranza. Il leader della Lega, Matteo Salvini, infatti, sceglie di distinguersi con un attacco frontale all’Alto rappresentante europeo per la politica estera, Josep Borrell: “Per il capo della politica estera dell’Unione europea, le sanzioni contro la Russia servono a bloccare lo shopping dei russi a Milano e i loro party a Saint Tropez… Siamo al ridicolo. O forse al tragico”. Nel pomeriggio, dopo aver incontrato il presidente Mattarella al Quirinale, Salvini stempera un po’ la dichiarazione, ma l’approccio filorusso della Lega è noto. Ma il capo leghista, almeno nella giornata di ieri, trova sponda anche in Forza Italia che si distingue per un intervento al Senato di Maurizio Gasparri che parla di sanzioni dannose per l’Italia e fa un piccolo show a base di Guerra di Crimea (del 1853) e dottrina Monroe. E poi, in serata, per una nota ispirata da Silvio Berlusconi, in cui si sottolinea che bisogna procedere secondo una via “più pragmatica” a favore di sanzioni “graduali e commisurate” mantenendo aperto il dialogo. Non fa parte della maggioranza, ma anche Giorgia Meloni invita a tener conto dell’interesse nazionale mentre parte per gli Stati Uniti invitata al meeting dei Conservatori.

La maggioranza draghiana va in ordine sparso e mentre Giuseppe Conte invita ancora a trattare – e alla Camera si nota un distinguo del capogruppo 5S Davide Crippa su un’Italia troppo schiacciata sulla Nato – ci pensa il Partito democratico a ribadire i fondamentali. Con Enrico Letta prima e poi con il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, parte la batteria di fuoco che invita a non avere esitazioni sulle sanzioni, che occorre fare male alla Russia e, in soldoni, allinearsi a Joe Biden, che non a caso si congratula con Olaf Sholz per il coraggio mostrato con il North Stream 2. Mosca può aspettare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/24/ucraina-draghi-non-va-piu-a-mosca-e-lavrov-sbeffeggia-di-maio/6505396/

Cercansi monetine. - Marco Travaglio

 

Undici anni fa, quando la Camera si coprì di ridicolo trascinando i magistrati di Milano alla Consulta per non aver creduto alla balla di B. su Ruby nipote di Mubarak, la grande stampa dedicò a quello sconcio paginate piene di sdegno e di parole come “vergogna”, “scandalo”, “impunità”. Ieri invece, dopo che il Senato ha concesso il bis trascinando i magistrati di Firenze alla Consulta per non aver creduto alla balla di Renzi sull’immunità parlamentare di un suo amico non parlamentare, le paginate erano su ben altro: la presunta crisi sentimentale fra Totti e Ilary Blasi. Il fatto che Renzi un anno fa abbia fatto il lavoro sporco per conto dei grandi editori e che il Pd nel 2011 fosse sulle barricate contro B. e l’altroieri sulle barricate con Renzi e B. non è casuale. In Italia il “garantismo” è come il patriottismo per Samuel Johnson: “l’ultimo rifugio delle canaglie”. Basta ascoltare le miserevoli dichiarazioni di voto (tutte, eccetto quella impeccabile di Grasso per LeU e quella troppo generica della Castellone per il M5S). Tal Parrini del Pd si arrampica sugli specchi spacciando quel voto eversivo per una disquisizione giuridica per “fare chiarezza con la Consulta”, non sapendo (o, peggio, ben sapendo) che è tutto chiarissimo: per la legge e la Cassazione, le chat sequestrate sui cellulari sono documenti e non corrispondenza e l’immunità parlamentare vale per i parlamentari, non per gli amici che chattano con loro. E il Senato non ha chiesto chiarimenti alla Consulta: ha votato la relazione di FI che accusa la Procura di Firenze di violare la Costituzione.

Per il resto il Senato pare quel vecchio spot dei preservativi, col professore che ne sventola uno in classe chiedendo di chi è e tutti gli allievi rispondono “È mio!”. Il leghista dice che la Lega non difende Renzi, ma la Costituzione, perché i giudici cattivi perseguitano anche il povero Salvini. La forzista dice che FI non difende Renzi, ma la Costituzione, perché i giudici cattivi perseguitano anche il povero Silvio. Il fratello d’Italia dice che FdI non difende Renzi, ma la Costituzione, perché vabbè, i giudici cattivi non hanno ancora fatto nulla alla povera Meloni, ma un cronista cattivo le ha chiesto se ha vaccinato la figlia e con quella “domanda impertinente e fuori luogo ha violentato una madre!”. Una scena strepitosa, che mescola vergogna e ridicolo in un’aula che ha smarrito l’una e l’altro. La perfetta natura morta di una casta autistica e interessata solo alla sua impunità di gregge, che si esibisce davanti a un Paese terrorizzato dal caro bollette, dagli stipendi da fame e dalle conseguenze della crisi ucraina. Una banda larga che, se non avesse tutta la stampa dalla sua, starebbe già rimpiangendo le monetine all’hotel Raphael.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/24/cercansi-monetine/6505356/

mercoledì 23 febbraio 2022

Giuseppe Conte.

 

Qualche quotidiano stamattina scrive che il Movimento 5 Stelle sarebbe "isolato". Siamo isolati se diciamo - come abbiamo fatto ieri in Aula sul caso Open-Renzi - che i politici devono difendersi nei processi e non dai processi? Siamo isolati se vogliamo approvare subito il salario minimo per alzare gli stipendi da fame, combattendo precarietà e paghe da 3 o 4 euro l'ora? Se questa determinazione significa “isolamento” allora ne vado fiero. Ma in realtà io non credo proprio che ci ritroveremo isolati, perché avremo sempre il Paese al nostro fianco.

La nostra linea è molto chiara: spetta agli altri fare chiarezza sulle proprie scelte di ieri e di domani. Chi vuole lavorare con noi non può eludere queste questioni, deve assumersi queste responsabilità. Possiamo discutere di tante cose, possiamo confrontarci per trovare nel dialogo tante soluzioni. Ma ci sono alcuni passaggi che non sono negoziabili, perché richiamano valori fondamentali del nostro essere in politica e del nostro modo di fare politica. Noi ci siamo per vocazione, per realizzare un progetto di società migliore.

L’agenda politica di ieri, quella di oggi e quella di domani pone sempre il grande problema del vuoto, del silenzio della politica sui temi di etica pubblica e di giustizia sociale. Il Movimento è nato per colmare questo vuoto e continuerà ad esserci per assolvere a questa missione. Con forza, con coraggio, con ostinazione.

Caso Open, se chatti con un deputato hai “diritto alla privacy”. - Peter Gomez

 

Oggi la nostra solidarietà va tutta a quelle decine di migliaia di criminali che negli ultimi anni sono stati condannati per spaccio, truffa, stalking, estorsione e molti altri reati solo perché nel loro telefono cellulare o in quello dei loro clienti o delle loro vittime erano stati trovati scambi di messaggi o chat compromettenti. Immaginiamo la loro rabbia nello scoprire che secondo la maggioranza del Senato i testi delle conversazioni via Whatsapp vanno considerati al pari di uno scambio di corrispondenza e che quindi, ai sensi dell’articolo 68 della Costituzione, in assenza di un’autorizzazione preventiva delle Camere non possono essere sequestrati, nemmeno se si trovano nello smartphone di un non parlamentare.

Finora secondo la “giurisprudenza consolidata” in più sentenze della Corte di Cassazione se si sequestrava un telefonino a un indagato o a un testimone tutto quello che c’era dentro andava considerato come semplice documentazione. Non era cioè necessario che un giudice avesse autorizzato un’intercettazione informatica o un sequestro di corrispondenza per leggerne il contenuto e acquisirlo agli atti. I magistrati di terzo grado avevano spiegato che le norme che regolano la segretezza della corrispondenza valgono solo se un pm decide di far aprire le lettere intervenendo sul postino prima della consegna o se vuole leggere una chat in tempo reale. Dopo invece valgono le regole che disciplinano le perquisizioni: quello che trovi, trovi.

Oggi, almeno per i parlamentari, tutto rischia di cambiare. Matteo Renzi ha chiesto e ottenuto dai suoi colleghi del Senato l’apertura di un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale perché i giudici stabiliscano che le chat restino coperte da segreto, salvo che le Camere in via preventiva non abbiano dato un’autorizzazione.

Se la Consulta accetterà questa tesi ci troveremo di fronte a due risultati ingiusti e paradossali. Il primo riguarda l’impossibilità di acquisire qualsiasi messaggio Whastapp inviato da un eletto in Parlamento a una terza persona. Infatti anche se la perquisizione del terzo sarà eseguita con tutti i crismi previsti dalla legge ne mancherà sempre uno: l’autorizzazione ex ante della Camera di appartenenza. Che ovviamente non può essere richiesta se non si sa anticipo cosa c’è nel telefonino del terzo. La seconda conseguenza paradossale è che se un criminale conversa via chat con un deputato o un senatore avrà un vantaggio rispetto ai suoi colleghi delinquenti che non hanno relazioni di questo tipo. Senza l’autorizzazione preventiva delle Camere i testi delle sue conversazioni non potranno essere utilizzati nemmeno contro di lui. Da questo punto di vista è facile prevedere che molti di loro si attrezzeranno per trovare numeri di telefono di parlamentari per poi inviare loro messaggi a caso. Basterà che un eletto risponda “Chi sei?” per sperare di farla franca.

Ovviamente tutti i senatori, dal Pd fino al centrodestra, che ieri hanno votato per sollevare il conflitto di attribuzione queste cose le sanno. Anche perché non è mancato chi le ha ricordate in aula. Ma la logica ha poco a che fare con lo spirito di autoconservazione di quella che un tempo molti avevano ancora la forza di definire “Casta”. Così, ora, dichiarandoci sconfitti, ci sentiamo in dovere anche noi di approfittare della situazione e di tifare perché la Corte costituzionale dia ragione a Renzi. Se così sarà anche i nostri telefonini, pieni zeppi di messaggi con gli eletti, diventeranno da un giorno all’altro non sequestrabili. Grazie Matteo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/23/caso-open-se-chatti-con-un-deputato-hai-diritto-alla-privacy/6503972/

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ Sicilia, l’azienda dei trasporti e il “papello” con il Cencelli per le assunzioni volute dai partiti: “Qui bastano 5 addetti e invece ne abbiamo 25”. - Manuela Modica

 

L'inchiesta della Guardia di Finanza delinea un'azienda pubblica gestita in forma privata per rispondere ai desiderata dei politici. E il direttore, ora ai domiciliari, si lamentava: "Qui la cosa è scappata di mano, è un macello. Non sanno più dove metterli e già paghiamo 500mila euro al mese per questi interinali". Gli sponsor? Da destra a sinistra: da Miccichè e Cascio per Forza Italia a Cracolici per il Pd.

È il 15 febbraio del 2020 e negli uffici del consiglio d’amministrazione dell’Ast, l’Azienda siciliana trasporti, l’analisi è trachant: “Sta diventando l’ufficio di collocamento di Forza Italia”. Così parla il vicepresidente dell’azienda Giuseppe Dalì (che non risulta indagato) mentre discute con il presidente, Gaetano Maria Tafuri, adesso sospeso dal pubblico ufficio. “L’ufficio di collocamento” gestisce il trasporto pubblico urbano e interurbano in Sicilia, ed è partecipata al 100 per cento dalla Regione. Un’azienda integralmente pubblica gestita come un affare privatissimo: questo è il quadro delle indagini della Guardia di finanza di Palermo. Un affare privato, bacino ghiotto dei politici. Dalì parla con Tafuri, considerato fedelissimo dell’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo. Vicino a Lombardo è considerato anche Andrea Ugo Fiduccia, direttore generale dell’Ast e assoluto protagonista – suo malgrado – dell’operazione coordinata dalla procura di Palermo che per lui ha chiesto e ottenuto gli arresti domiciliari (per altri 8 sono scattate altre misure interdittive, tra sospensioni e divieti). Un’inchiesta, guidata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis, che ha svelato “una forma di gestione dell’Azienda superficiale e privatistica irrispettosa delle norme di legge che avrebbero dovuto orientare il modus operandi di un organismo pubblico, direttamente promanante dalla regione Sicilia” scrive il gip Marco Gaeta.

Un’azienda pubblica gestita in forma privata per rispondere ai desiderata dei politici di turno: “È emerso chiaramente come molti dei lavoratori interinali impiegati presso l’Ast siano scelti esclusivamente sulla base di segnalazioni politiche che pervengono a Fiduccia, il quale a sua volta le comunica a referenti della In.Hr Agenzia per il lavoro Srl. Assunzioni che non sono dovute ad un’effettiva esigenza aziendale di Ast ma vengono poste in essere solamente per accordare le segnalazioni provenienti dalla politica”. Segnalazioni che a un certo punto sfuggono, addirittura, da ogni controllo, per stessa ammissione del direttore che intercettato, dice: “Qua purtroppo la cosa è scappata di mano” ammettendo che “c’è un macello” presso la sede Ast di Palermo. A fronte di un’esigenza effettiva di 5 unità lavorative “ce ne sono venticinque…fatti il conto… – dice Fiduccia – non sanno più dove metterli…andare a spendere un bordello…noi già paghiamo 500mila euro al mese per questi interinali”.

Il sistema per assecondare le spinte della politica è infatti quello delle assunzioni “interinali” somministrate tramite la In.Hr Agenzia per il lavoro, che vince la gara, ed ha un “rapporto privilegiato con Fiduccia”: è così che si può aggirare il blocco alle assunzioni della Regione dal 2002 e perfino agire per chiamata diretta. D’altronde “il bando di gara indetto da Ast nel 2019 per l’affidamento della fornitura di lavoratori interinali stimava un costo complessivo di 6 milioni di euro per un triennio – scrive il gip – quando in realtà l’aggiudicataria In.hr Agenzia per il lavoro Srl in nemmeno due anni (dal 30 aprile 2019 al 31 marzo 2021), ha emesso nei confronti dell’Ast fatture per un importo complessivo pari a 9.412.137”. Dovevano essere 2 milioni l’anno, invece sono stati più di 4 milioni e mezzo in due anni.

Questo è il terreno in cui si inseriscono le pressioni dei politici, enunciate con chiarezza nelle intercettazioni. È, infatti, lo stesso Fiduccia a raccontare di essere stato convocato presso l’Assemblea regionale siciliana e di avere ricevuto un “papello” riposto all’interno di una busta della stessa Ars “allora, mi mannaru a chiamare all’Ars e mi riettero nu bellu papello… però un ne sanno (incomprensibile) ca’ mi rietteru la busta all’Ars (mi hanno chiamato all’Ars e mi hanno dato un bel papello, ndr)”.

Un papello di indicazioni varie, tutte dei politici. A cominciare – stando a quanto trascritto nell’ordinanza dal gip – da Gianfranco Micciché (che ha annunciato di volere querelare Fiduccia), ma così riporta il gip: “Il 19 febbraio del 2021 Giuseppe Dalì (è lui a fare il suo nome, ndr) parlando con Fiduccia riferisce di essere stato contattato da Gianfranco Micciché, il quale gli avrebbe detto di avere bisogno “di una posizione su Trapani, di una su Enna, che si sposta dove va lui, e una su Palermo”, Fiduccia risponde che vi è un soprannumero di personale (“semu cu u bicchiere superchiu”) e che le unità in eccesso sono ben 15: “Ce n’è coccu quinnici superchiu rispetto a quanti sono, ma che stiamo scherzando!”. Dalì, replica dicendo che non possono opporsi alla richiesta del Micciché: “Eh, dimmi come dobbiamo fare perché lo dobbiamo fare”.

Papelli dall’Ars, ma anche segnalazioni dall’assessorato (“Di questo non c’ho il curriculum picchì mu riettiru in assessoratu“, me lo hanno dato in assessorato, ndr), di persone di cui manca il curriculum ma sono chiare – almeno così pare dalle intercettazioni – le competenze: “Manco sannu fari a O cu bicchieri”. Non sanno neanche fare la “o” col bicchiere, indica Luigi Giunta, dipendente Ast, parlando con Fiduccia: “Andiamo bene, ho visto che sono entrate altre persone, quindici persone”.

Assunzioni che non servono, manco a dirlo, di persone in esubero e senza competenze, ma segnalati dai politici. Una vera e propria lottizzazione, stando anche a quanto è stato riportato ai pm dalle persone informate dei fatti. Testimoni che hanno “elencato tutta una serie di dipendenti che sono stati assunti in Ast grazie al sostegno di noti esponenti politici o influenti gruppi imprenditoriali, dal Pd a Fi, passando per Alternativa Popolare: “Antonio Contorno, nipote di Antonello Cracolici (Pd, ndr), Giuseppe Iacono, nisseno sponsorizzato da Confindustria, Teresa Salamano “che gode di vari favori e che entrò in Ast spa tramite Francesco Cascio (Forza Italia, ndr), Maria Clara Canzoneri (parente dei noti costruttori Caltagirone), Giuseppe Montalbano (anche lui entrò in Ast tramite Francesco Cascio), Alessandra Marino, vicina al politico Castiglione di Catania (Giuseppe, Ap, ndr)”.

Ma è la stessa politica – dopo che i media la portano alla luce – che ferma una delle operazioni più sfrontate della gestione di Fiduccia, ovvero la creazione di una compagnia aerea siciliana, Ali di Sicilia, tarpate dal governo Musumeci che si oppose, ed in particolar modo dai due assessori di Forza Italia, Marco Falcone (alle infrastrutture), e Gaetano Armao (Economia). Fiduccia aveva, invece, riportato, per filo e per segno il progetto della nascente compagnia aerea a Raffaele Lombardo, come risulta dall’ordinanza.

Per questa operazione il direttore dell’Ast aveva coinvolto la Officine del turismo, un’azienda che ricorre spessissimo nelle 200 pagine dell’ordinanza. È in aiuto di questa azienda, infatti, che si spende spesso Fiduccia. Per esempio, durante il lockdown del 2020: “Questo mese faremo, sì e no, trecento euro di provvigioni e quindi siamo rovinati”, si sfoga il 20 aprile del 2020 l’amministratore della Officine, Alberto Carrotta parlando con Fiduccia. Ed è poco dopo, precisamente il 29, che Fiduccia avverte i suoi che Ast farà acquisti da Officine del Turismo Srl, senza gara. Saranno commissionati software centralizzato e termoscanner. Sarà sottoscritta la fornitura di 528 obliteratrici con termometro e relativi tornelli per un costo complessivo di 549mila euro (le ultime obliteratrici sono state consegnate nel febbraio del 2021, mentre i tornelli non furono acquistati).

Ma questo è solo uno degli episodi emersi dalle indagini della Guardia di finanza, che ha svelato un vero e proprio sistema in cui – secondo gli inquirenti – venivano escluse ditte, truccate gare, falsificati bilanci e favorite aziende. Nel caso di Officine del turismo, con un chiaro tornaconto – questa è quanto sostiene l’accusa – di Fiduccia, che in cambio chiedeva l’assunzione di un nipote, mentre un altro veniva pagato per una consulenza occasionale di 3500 euro. Ma otteneva anche l’assunzione pure della figlia e di un altro nipote acquisito, indicando pure la cifra da corrispondere (2500 euro). Mettendoci dentro anche una penna Montblanc edizione speciale e un portafoglio della stessa marca ricevuti in regalo. Su queste premesse avrebbe dovuto spiccare il volo Le Ali di Sicilia. Un’operazione fermata dal governo di Musumeci il cui flop non ha però mancato di gravare sulle casse regionali: 70mila euro. Tra cui, 15mila per lavori di adeguamento, 34mila a favore dell’Enac per il rilascio della certificazione, 4524 euro per Sofema Aviation Services Food” con sede a Sofia in Bulgaria, per “virtual aviation academy corsi on line per 12 persone”. Mille euro alla Aviando srl con sede a Catania, consulenza start up aeronautica e analisi velivoli svolta dall’ingegnere Visinalis”. Quasi 15 mila euro per l’acquisto di 13 Macbook Air. Non sorprende, visto quanto emerso dalle indagini, se l’Ast finiva per contare perdite di quasi 20 milioni di euro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/23/sicilia-lazienda-dei-trasporti-e-il-papello-con-il-cencelli-per-le-assunzioni-volute-dai-partiti-qui-bastano-5-addetti-e-invece-ne-abbiamo-25/6503912/

La crisi in Ucraina spiegata in due (beh, non proprio due) parole. - Michele Lebotti

 

In Ucraina ho vissuto un anno meraviglioso, a cavallo fra il 2009 e il 2010, viaggiando in lungo e largo per il paese per motivi di lavoro, finendo poi col trascorrere un’estate splendida in Crimea. Nei miei spostamenti, mi rendevo sempre conto che quel paese aveva (ed ha) due anime, distinte, separate fondamentalmente dal corso di un fiume, il Dniepr. Un’anima russa, propriamente russa, di ucraini che parlano russo, che sono di religione ortodossa e che sono eredi di quella cultura del Don che non ha mai conosciuto un confine reale fra Russia e Ucraina. Faccio notare che in russo la parola stessa У-край на vuol dire : presso/lungo i confini.
L’altra anima del paese è invece propriamente slava e mitteleuropea, direi quasi asburgica, considerato che a Leopoli furono incoronati ben due imperatori della casata imperiale austriaca. La Galizia, i Carpazi, tutti i territori fra Polonia e Ucraina esprimono infatti una cultura diversa, fondamentalmente cattolici, si parla ucraino, si avverte da secoli, la Russia, come un vicino ingombrante.
In effetti anche se si guarda la mappa dell’Europa, si nota che l’Ucraina ha la forma di un ponte. Ora questo essere ponte fra due mondi, che ha sempre trovato in Kiev, la bellissima capitale, la sua sintesi ideale, invece di divenire un vantaggio strategico per il paese, è diventato nel tempo la sua grande tara.
Come si è arrivati a questa polarizzazione drammatica?
Facciamo un passo indietro: fine dell’URSS, nascono, nelle repubbliche dell’ex impero, le pseudo-monarchie dei Lukashenko (Bielorussia), degli Aleev (Azerbaijan), dei Nazarbayev (Kazakistan) etc etc.. A Kiev si instaura un governo di incapaci attaccato alla tetta russa, che però di latte, all’indomani del crollo sovietico, ne ha ben poco. Il paese si impoverisce, le infrastrutture non reggono, la gente scende finalmente in piazza chiedendo rinnovamento. Sono i giorni di speranza della rivoluzione arancione, la rivoluzione di Maidan, la grande piazza che si apre sul Kreshatik, la via principale della capitale. La rivoluzione riesce, il governo in carica di dimette, le elezioni vengono vinte da Victor Yushenko, professore, scacchista, persona onesta, ma pessimo politico, e soprattutto, amministratore incapace. Fra i tanti errori di Yushenko c’è quello di mettersi vicino una pasionaria fascistoide, Yulia Timoshenko, che contribuirà non poco ad avvelenare l’aria del paese. Il governo Yushenko non funziona, la grivna crolla, la gente continua ad impoverirsi, le grandi speranze rimangono disilluse. Si torna a votare e questa volta, l’esito del voto premia un altro Victor, Yanukovich, espressione della parte russofona e russofila del paese, fra cui il Donbass appunto, essendo lui stesso nato a Donetsk. Ex malavitoso, uomo controllato dal FSB, estremamente corrotto. È l’anno in cui arrivo a Kiev. Il mio autista è anche un musicista, per la precisione oboista della filarmonica di stato. La quale filarmonica, ogni giovedì, va in casa di Yanukovich, un enorme villa sopra l’Arsenalnaya, a suonare per il presidente e per le sue feste.
Si ferma l’occidentalizzazione del paese, ci si riavvicina alla Russia. Tuttavia alcuni impegni come i colloqui per una preadesione all’UE erano stati già presi dal governo precedente. Yanukovich stoppa tutto. Questo scatena la rabbia delle generazioni più giovani e della parte del paese ad occidente del Dniepr. Yanukovich viene rimosso con la forza, da frange organizzatissime dietro le quali fra gli altri c’è la stessa Timoshenko. Ma Yanukovich era stato eletto democraticamente e quella parte del paese che lo aveva eletto, non ci sta. E’ la contro-rivolta, vengono occupati i municipi di Lugansk, Donetsk, Sebastopoli.. E in questa fase, Il nuovo governo di Kiev non trova di meglio che inviare in quelle province i carri armati. Contro una parte del proprio popolo. Un’assurdita’. La Russia manda i rinforzi tecnici e paramilitari che l’esercito ucraino non ha la forza di sconfiggere. Putin vede un’occasione unica e si prende la Crimea, senza sparare un colpo.
La situazione si cristallizza e questo status quo viene sancito internazionalmente dagli accordi di Minsk nel 2014. Fino a ieri sera.
Considerazioni finali: nelle situazioni così complesse il male e il bene, la ragione e il torto non stanno mai da una parte sola.
La NATO non può pensare di bussare alla porta di territori e paesi che sono al confine dello spazio strategico vitale della Federazione Russa. Ne’ può giustificare la sua esistenza con il solo spauracchio della russofobia.
La Federazione Russa non può pensare di violare la sovranità di paesi che sono comunque paesi terzi e indipendenti, ne’ può continuare ad inquinare il processo di integrazione europeo (l’unico argomento che vede convergere gli interessi russi e americani).
Si può ammettere che l’Ucraina non entri mai nella NATO ma non si può costringere nessuno a firmare un accordo scritto sulla testa di uno stato terzo, come vorrebbero i russi.
Gli USA non possono forzare la mano senza capire che i rapporti geopolitici fra Russia e Europa sono molto più complessi e interconnessi di quello che gli americani stessi vorrebbero. A 6000 km di distanza se ne fottono. Per loro l’energia non è un problema, per noi si.
L’Europa dovrà parlare con una voce sola, e dovrà mediare. Ne va del suo, pardon, del nostro futuro. Il resto lo leggeremo sui giornali a partire da domani..

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martedì 22 febbraio 2022

Mosca e Kiev, una battuta ci seppellirà. Antonio Padellaro

 
                                                                                                                                                           Nella premiata linea di arredamento Cremlino, dopo il lettone di Putin, furoreggia il tavolone di Putin, con l’ospite di turno fatto accomodare lontano un chilometro. Per simboleggiare l’immensa distanza tra l’autocrate padrone dei destini del mondo e i premier-fantoccio delle democrazie alla canna del gas, costretti a omaggiarlo dopo sfibranti anticamere (Macron, Scholz e forse prossimamente anche Draghi, e sarebbe una gara di ego niente male). Nella stagione televisiva del non so nulla ma discetto su tutto, dopo la virologia “secondo me” furoreggiano gli opinionisti Foreign Office. Che interpellati sulla imminente invasione russa dell’Ucraina trattano la materia con la stessa sicumera con cui disegnano gli scenari del Calenda day (che, come il birillo rosso del bar centrale di Foligno, si considera l’ombelico del pianeta). A parte Lucio Caracciolo e gli esperti dell’Istituto Affari Internazionali, che studiano la politica estera da una vita, nei talk si susseguono sussiegose rimasticature (mal digerite) degli articoli usciti il giorno prima. E ci litigano pure. Mentre sono i protagonisti a buttarla sul cazzeggio, a riprova che non esiste nulla di più tragicamente ridicolo della guerra. Dall’uomo di Kiev, Zelenski, che si aggira per le trincee in tuta mimetica e borraccia come in una gita fuori porta: non a caso un comico prestato alla politica e, purtroppo, non restituito. Allo zar Vladimir, a cui dobbiamo la migliore battuta quando dopo i ripetuti annunci americani che l’invasione sarebbe scattata mercoledì scorso, chiede con quel sorriso di traverso in stile Kgb “Gli Usa hanno detto a che ora inizia la guerra?”. Di un umorismo involontario invece non difetta Fabio Fazio (che infatti nasce imitatore) quando è stato sentito domandare al direttore del Foglio, Claudio Cerasa se mai accadrà che un giorno le guerre spariranno dalla faccia della terra, “come è accaduto con il cannibalismo”. Lo sventurato rispose.                                                                                                                                                                          https://www.ilfattoquotidiano.it/in-dicola/articoli/2022/02/22/mosca-e-kiev-una-battuta-ci-seppellira/6502455/?fbclid=IwAR3d7_2AoQjradswlSLAtWk-7hRAW0i2hBeh7Mb8e-3nzQ6J9ZTMI3EiPuo