Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 27 ottobre 2024
Roger Penrose, Stuart Hameroff: La teoria quantistica della coscienza, L...
Questo vulcano è venuto fuori dal nulla | Enormi colate laviche si estendono per 180 Km: è il corpo celeste più attivo.
Eruzione vulcanica (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it |
Recenti osservazioni di questo corpo celeste hanno portato alla scoperta di un enorme vulcano con colate laviche lunghissime.
Il sistema solare nasconde una serie di meraviglie che da sempre affascinano astronomi e scienziati. Tra i suoi protagonisti spicca Giove, il gigante gassoso con la sua numerosa famiglia di satelliti. Ogni corpo celeste che orbita attorno a Giove possiede caratteristiche uniche che lo distinguono dagli altri, attirando l’attenzione di chi studia i segreti dell’universo. Da secoli, l’osservazione di questi satelliti ha contribuito alla comprensione di processi cosmici complessi e affascinanti.
Negli ultimi decenni, con il miglioramento delle tecnologie di esplorazione spaziale, è aumentata la capacità di raccogliere dati dettagliati su questi corpi celesti. Diverse missioni hanno come obiettivo principale l’osservazione ravvicinata di Giove e delle sue lune, consentendo agli scienziati di monitorare fenomeni inattesi e raccogliere informazioni preziose. Le sonde che orbitano attorno a questo pianeta gassoso hanno documentato eventi spettacolari, accendendo ulteriormente l’interesse scientifico verso i satelliti naturali.
Alcuni di questi corpi celesti sono stati conosciuti da molto tempo, come i celebri satelliti medicei, visibili anche dalla Terra con piccoli strumenti ottici. Questi satelliti, scoperti nel lontano 1610 da Galileo Galilei, includono i più grandi tra le lune di Giove, ciascuno con proprietà sorprendenti. Tra essi spicca un satellite in particolare, che ha riservato nuove sorprese grazie alle recenti missioni spaziali.
Una di queste missioni, lanciata nel 2011, ha compiuto importanti scoperte negli ultimi anni. La sonda Juno, progettata per esplorare Giove, ha fornito informazioni straordinarie su uno dei satelliti più studiati del sistema gioviano, gettando nuova luce su fenomeni geologici mai visti prima.
Nuove osservazioni da una missione spaziale.
Le missioni precedenti, come quella della sonda Galileo nel 1997, avevano già mostrato una certa attività sulla superficie di questo satellite, ma mai con il livello di dettaglio attuale. Le immagini raccolte dalla sonda Juno tra il 2023 e il 2024 hanno portato alla luce cambiamenti significativi nella conformazione del suolo, rilevando nuove e inattese strutture geologiche. Grazie all’ausilio della telecamera JunoCam, gli scienziati hanno ottenuto immagini ravvicinate in grado di rivelare fenomeni fino ad allora invisibili.
Uno degli elementi più straordinari di queste osservazioni è la scoperta di un enorme vulcano, comparso in tempi recenti, con colate laviche che si estendono per 180 chilometri di diametro. Questo vulcano, la cui rapida formazione ha sorpreso i ricercatori, conferma l’incredibile attività geologica di questo satellite, considerato il luogo più attivo del Sistema Solare.
Giove e le sue lune (Depositphotos foto) – www.aerospacecue.it |
Un nuovo vulcano e la sua origine.
L’incredibile attività vulcanica osservata è stata attribuita agli effetti delle forze mareali generate dall’immensa attrazione gravitazionale di Giove. Queste forze provocano movimenti interni nel satellite, generando un riscaldamento che alimenta i processi geologici. Il vulcano scoperto dalla JunoCam si distingue per i suoi depositi vulcanici e una diffusa macchia rossa causata dall’espulsione di zolfo, un dettaglio visibile nelle immagini a colori.
Le immagini inedite, presentate di recente a un congresso scientifico, offrono una visione senza precedenti della superficie del satellite e dimostrano come le missioni spaziali continuino a sorprendere con scoperte che ampliano la nostra comprensione dell’universo.
Glasgow mette carta termica nelle case e saluta le caldaie a gas. - Gianluca Riccio
Rame e grafene si uniscono in una carta termica innovativa che riscalda e deumidifica. Glasgow fa da apripista per un futuro più sostenibile.
A volte le grandi rivoluzioni si nascondono nelle piccole cose. Come un foglio di carta termica che, applicato alle pareti, può trasformare un intero edificio in un sistema di riscaldamento efficiente e sostenibile. A Glasgow, dodici edifici storici stanno facendo da pionieri in questo esperimento che potrebbe cambiare il futuro del riscaldamento domestico: una storia che parla di innovazione, sostenibilità e di come la tecnologia può aiutarci a vivere meglio.
La sfida della carta termica in Scozia
La Scozia ospita alcune delle case più antiche d’Europa, edifici che presentano sfide significative in termini di efficienza energetica e comfort abitativo. Secondo le stime delle autorità scozzesi, l’84% delle abitazioni utilizza ancora sistemi di riscaldamento basati su combustibili fossili, contribuendo in modo significativo alle emissioni di CO2.Il problema è particolarmente sentito a Glasgow, dove circa 70.000 appartamenti necessitano di soluzioni innovative per raggiungere gli obiettivi climatici della città. Il Scottish New Build Heat Standard ha già imposto l’integrazione di sistemi di riscaldamento ecologici nelle nuove costruzioni.
Per gli edifici esistenti, tuttavia, la sfida è più complessa. Per questo la speciale carta termica appena sviluppata può fare la differenza.
Come funziona questa innovazione.
La carta termica si basa su una tecnologia sorprendentemente semplice ma efficace. Il sistema utilizza bande di rame e grafene (si, proprio lui) integrate nel rivestimento, principalmente installato a soffitto. Quando viene attivato, il materiale emette radiazioni infrarosse che riscaldano gli ambienti in modo rapido ed uniforme.Il sistema è in grado di portare a temperatura gli spazi in un tempo compreso tra uno e tre minuti
Un vantaggio significativo di questa tecnologia è la sua capacità di combattere l’umidità e le muffe, problemi comuni nelle abitazioni storiche. Il progetto, finanziato dal programma Scotland Beyond Net Zero, sta testando l’efficacia di questa soluzione su edifici costruiti prima del 1919.
Monitoraggio e primi risultati.
L’efficacia della carta termica viene monitorata attraverso un sistema integrato che sfrutta l’Internet delle Cose (IoT) e l’intelligenza artificiale. Sensori specializzati raccolgono dati sulla ritenzione del calore e sul consumo energetico, mentre gli abitanti forniscono feedback sul comfort percepito.
I primi riscontri sono estremamente incoraggianti: i residenti riportano un miglioramento significativo del comfort termico e una distribuzione più uniforme del calore nelle abitazioni. Tuttavia, sarà necessario un periodo di osservazione più lungo per valutare pienamente l’efficacia e l’efficienza economica del sistema.
Carta termica per un futuro più sostenibile.
Questa sperimentazione potrebbe essere un passo importante verso la decarbonizzazione del settore residenziale. Nel Regno Unito, il riscaldamento degli edifici è responsabile di oltre il 36% delle emissioni totali di carbonio, una percentuale che richiede interventi urgenti e innovativi. In Europa parliamo del 20%, una cifra comunque non trascurabile.
Per questo, se i test continueranno a dare esiti positivi, la carta termica potrebbe offrire una soluzione praticabile anche oltre le mura di Glasgow. Specialmente per gli edifici storici dove le opzioni di riqualificazione energetica sono spesso limitate.
Le prospettive future
Il successo di questo progetto pilota potrebbe aprire la strada a una trasformazione più ampia nel modo in cui riscaldiamo le nostre case: la semplicità di installazione e l’efficacia del sistema lo rendono particolarmente interessante per le ristrutturazioni di edifici esistenti.
Il futuro del riscaldamento domestico sarà sempre più legato a soluzioni innovative e sostenibili: e sulla carta (termica, ovviamente) l’esperimento di Glasgow promette piuttosto bene.
Gianluca Riccio, direttore creativo di Melancia adv, copywriter e giornalista. Fa parte di Italian Institute for the Future, World Future Society e H+. Dal 2006 dirige Futuroprossimo.it , la risorsa italiana di Futurologia. È partner di Forwardto - Studi e competenze per scenari futuri.
venerdì 25 ottobre 2024
Uno strano segnale radio proveniente dallo spazio profondo sconcerta gli astronomi. - Pasquale D'Anna
C’è uno strano segnale radio proveniente dall’altra parte della Via Lattea che ha lasciato di stucco gli scienziati. Prima di tutto, sappiamo che proviene da una stella di neutroni dal nome impronunciabile, ASKAP J193505.1+214841.0 (abbreviato in ASKAP J1935+2148), che si trova nel piano della Via Lattea, a circa 15.820 anni luce dalla Terra. Questo tipo di segnali non erano mai stati registrati prima. La stella attraversa periodi di pulsazioni forti, periodi di pulsazioni deboli e periodi in cui non pulsa affatto.
Cosa sappiamo di questa stella di neutroni.
È un oggetto di cui sappiamo ancora troppo poco: una stella di neutroni è ciò che resta dopo la morte di una stella entro un certo intervallo di massa, tra circa 8 e 30 volte la massa del Sole. Il materiale esterno della stella viene espulso nello spazio, culminando nell’esplosione di una supernova. Il nucleo rimanente della stella collassa sotto la gravità, formando un oggetto ultra denso fino a 2,3 volte la massa del Sole, in una sfera di soli 20 chilometri di diametro.
La stella di neutroni che ne risulta può quindi presentarsi in vari modi. C’è la stella di neutroni di base, che semplicemente resta lì senza fare chissà che. C’è la pulsar, nota per i raggi di emissioni radio dai suoi poli mentre ruota, lampeggiando come un faro cosmico. E c’è la magnetar, una stella di neutroni con un campo magnetico estremamente potente, che sussulta ed esplode mentre l’attrazione verso l’esterno di quel campo magnetico entra in conflitto con la gravità che tiene insieme la stella.
Cosa sappiamo del segnale di ASKAP J1935+2148.
ASKAP J1935+2148 non si comporta come una stella di neutroni qualsiasi. Ha un periodo regolare di pulsazioni di 53,8 minuti. Gli scienziati hanno però scoperto che queste pulsazioni sono estremamente luminose, con una polarizzazione altamente lineare. Alla fine, è stata rilevata la stella che riprendeva la sua attività di pulsazione, ma ben 26 volte più debole della sua luminosità precedente e con una luce polarizzata in modo circolare.
martedì 22 ottobre 2024
Ben altro che danno erariale: lettera a Elly Schlein. - Roberta De Monticelli
La filosofa Roberta De Monticelli, del Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia, scrive alla segretaria del Partito Democratico.
Sarebbe una scena di comicità irresistibile quella del pugno di senegalesi ed egiziani caricati e scaricati e ricaricati sull’enorme pattugliatore della Marina italiana, avanti e indietro per l’Adriatico, che conversano fra loro rigirandosi reciprocamente lo stupore del non capirci niente. Come sempre ci azzecca la risata del Manifesto: “Rimpatriota”. Da seppellirla, la Sorella d’Italia. Purtroppo però c’è ben poco da ridere. Nel 2023 sono state ben 3041 le persone affogate nel Mediterraneo, e aspettiamo i conti del 2024. Non dovremmo perdere di vista l’enormità del male di cui stiamo parlando, quando cogliamo l’opportunità di sottolineare l’insipienza o la protervia di un governo, il nostro, che intendeva proporsi all’Europa come esempio di politica migratoria, ignorando la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre, che non riconosce come sicuri, ai fini del rimpatrio, 20 dei 22 Paesi che per questo governo lo sarebbero.
E quindi i giudici – meno male che ce ne è ancora qualcuno a Lussemburgo e in subordine anche a Roma – hanno parlato. Se ora dobbiamo parlare anche noi, we the people, oltre all’enormità del male cui una politica migratoria seria italiana ed europea dovrebbe porre fine, non dovremmo dimenticare, nell’ordine: il testo dell’articolo 605 del nostro codice penale sul sequestro di persona, che prevede da 1 a 10 anni di reclusione se chi priva qualcuno della libertà personale è un pubblico ufficiale; il diritto di emigrare, stabilito dagli articoli 13 e 14 della Dichiarazione Universale dei diritti umani; l’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, che ribadisce quel diritto, e l’articolo 35 (quarto comma) della costituzione italiana, che prima di tutti gli altri documenti “Riconosce la libertà di emigrazione (…) e tutela il lavoro italiano all’estero”. Ricordandoci in modo commovente nella frase finale da dove viene, questa povera Italia che ora si vuole inflessibile modello di “difesa dei patri confini” per un’Unione europea non meno dimentica delle ragioni per cui era nata.
Ecco. La donna che dovrebbe farsi portavoce della maggiore forza di opposizione ha alzato una voce che di forte ha solo il volume, perché alla memoria di tutto questo non dà parola, come se lo avesse dimenticato. Parla di “danno erariale”. E ha ragione, allora, Massimo Giannini (Repubblica 19 ottobre), a ricordare a Elly Schlein che ben altro è in questione. Certo, è in questione “il patto costituzionale”. Ma non soltanto: qui noi dobbiamo dire di più. Lo è, quel patto, ma come anello della rete di patti che tiene il mondo ancora in equilibrio fra l’ideale di una giustizia universale (copyright Chantal Meloni) e la guerra. Perché c’è modo e modo di intendere i “confini della patria”, espressione vagamente ridicola sullo sfondo di 16 persone deportate per difenderli. Ancora una volta, non lasciamoci distrarre dal ridicolo: dove i “confini” esigono si versi sangue umano, non è solo con le guerre, questi omicidi di massa, che li si difendono. E’ anche adottando politiche migratorie criminali, indifferenti alla conseguenza che migliaia e migliaia di persone ogni anno siano private di libertà e futuro, o si perdano, rifiuti umani, sul fondo del nostro mare.
Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.
https://www.libertaegiustizia.it/2024/10/19/ben-altro-che-danno-erariale-lettera-a-elly-schlein/
La deriva istituzionale. - Massimo Giannini
Nell’abominio albanese la posta in palio non è “il danno erariale”, ma è il patto costituzionale, la democrazia italiana mai così esposta alle spallate di una coalizione illiberale e irresponsabile.
Era dai tempi del berlusconismo da combattimento che non si vedeva un potere dello Stato colpire al cuore, con tanta virulenza, un altro potere dello Stato. E non vi fate incantare dalla tv di regime, che all’ora di cena serve nel piatto degli italiani la solita sbobba rancida della “guerra tra politica e giustizia”. Non è così: qui, come in Ucraina, non ci sono due combattenti, ma solo un aggressore e un aggredito. Come prevedeva l’ortodossia del rito arcoriano, c’è un governo che si proclama sciolto dal principio di legalità, perché protetto dal voto del popolo che lo ha eletto. E dunque accusa di “golpismo” qualunque magistrato che, nel normale esercizio delle sue funzioni, osi giudicare il suo operato in base ai principi dell’ordinamento giuridico interno e internazionale. Nello stesso giorno succede l’impensabile. La premier Meloni, affiancata dalla “guardia nera” di La Russa e i suoi Fratelli, bastona i giudici di Roma. Il vicepremier Salvini, con ben quattro ministri al seguito, pesta i giudici di Palermo.
Prima ancora del merito, importa questo metodo. Questa sfida a viso aperto agli organi di garanzia previsti dalla Costituzione. Questa deriva ormai davvero “ungherese” della democrazia italiana, mai così esposta alle spallate di una coalizione illiberale e irresponsabile.
Perché deflagri adesso, e con questa furia da junta cilena, è presto detto. Questione troppo complessa per essere lasciata nelle mani ruvide e corrive dei nuovi patrioti, la politica migratoria sancisce il doppio fallimento di una coalizione sfascista e cattivista. Da una parte, crolla il castello di carta del “modello Albania” tanto caro alla Sorella d’Italia. Dall’altra parte, fallisce l’adunata voluta dal Capitano della Lega. Male, per un governo che evidentemente passa troppe ore a “fare la Storia”, non ha tempo per ripassare la geografia e meno che mai per studiare il diritto. La somma di questi fattori — ideologia e xenofobia, arroganza e incompetenza — produce come risultato una Caporetto politica, che fa schiumare di rabbia un ceto politico senza disciplina e senza onore.
Sui migranti perde la premier, che si era illusa di aver trovato l’uovo di Colombo, grazie a un patto scellerato con l’amico Edi Rama, depositando a casa sua i “carichi residui” di carne umana che noi non vogliamo più vedere per le strade delle nostre città (a meno che non ci rimpiazzino in tutto quello che non ci degniamo più di fare, pulire cessi o imbiancare muri, raccogliere pomodori o consegnare pizze, il tutto per un pugno di euro e preferibilmente in nero). L’aveva pensato come un perfetto spot elettorale, da mandare in onda nella settimana del voto europeo di giugno: un bel bastimento carico di profughi, a favore di telecamere del fido Tg1 delle 20, da far partire sulla rotta inversa rispetto a quella che seguirono i 20 mila albanesi della nave Vlora, l’8 agosto ’91. Allora vennero loro da noi, in massa, e li accogliemmo a Bari. Oggi noi gli restituiamo gli “indesiderabili” sbarcati qui, deportandoli nei due lager costruiti a Gjader e Shengjin. Un’ideona, ricalcata sull’immondo esempio inglese di Rishi Suniak, che i suoi migranti voleva spedirli addirittura in Ruanda: noi, più furbi, ci accontentavamo dell’Albania, a un braccio di Mar Adriatico dalle coste tricolori. Gli elettori italici avrebbero apprezzato, gli osservatori stranieri avrebbero copiato. Non è andata così. Sull’esodo niente affatto biblico dei 16 poveri cristi sbarcati dalla Libra, glorioso pattugliatore d’altura da 81 metri, è calata subito l’ovvia mannaia del Tribunale di Roma. L’illegittimità del trattenimento di quei migranti negli hotspot albanesi era chiaro come il sole, come sapeva chiunque, tranne gli astuti Fratelli di Giorgia. Per capirlo, bastava leggere la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre, che non riconosce come “sicuri”, ai fini del rimpatrio, almeno 20 dei 22 Paesi che invece lo sarebbero, secondo i giuristi all’amatriciana formati alla sezione di Colle Oppio. Quelle anime perse, ora, hanno “diritto ad essere condotte in Italia”, come scrive nella sua pronuncia Luciana Sangiovanni, presidente della Sezione Immigrazione del collegio capitolino. Dunque, contrordine camerati: tutti a bordo, e si riparte. Anche se non si sa più per dove.
Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. L’operazione Albania è dettata solo da una cieca follia. Un autodafé giuridica, economica, umanitaria. E buon per Meloni se, per avere conforto, le bastano un po’ di von der Leyen, un pizzico di Barnier e le solite cattive compagnie dell’Internazionale Sovranista, riunite in fretta e furia per un pre-vertice a Bruxelles. È noto che nelle vene d’Europa scorre il virus dell’odio e dell’ignavia, dell’intolleranza e del razzismo. Col supporto di Ungheria e Repubblica Ceca, Slovacchia e Austria, l’Italia meloniana sogna lo stesso inferno. Ma per fortuna c’è un giudice a Strasburgo e un altro giudice a Roma. Ci indicano la strada: le migrazioni vanno gestite, con regole certe e anche rigorose. Ma come ci insegna la civiltà dei Padri, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Questo fa le democrazie diverse dagli altri regimi. Di questo dovrebbero prendere atto le destre al comando, invece di inveire contro i magistrati, che hanno il solo torto di applicare la legge. Nella Dottrina Meloni, invece, il potere giudiziario ha solo un dovere: aiutare il potere esecutivo. Se non lo fa, è parte dell’ennesimo “complotto”, naturalmente ordito insieme alla sinistra. “Abbiamo contro una parte delle istituzioni” tuona la premier, sovvertendo i ruoli e i principi: qui è l’istituzione-governo che aggredisce l’istituzione-magistratura, non il contrario.
Salvini è una conferma vivente del teorema. Anche lui esce disfatto dal fronte migranti. La sua “chiamata alle armi” a Palermo — a pochi passi dall’altro tribunale, quello che lo sta processando per la vicenda Open Arms — è stato un colossale flop. Non c’era la folla, a sostenere il leader leghista nel suo atto sedizioso contro i giudici, copia sbiadita delle erinni berlusconiane accorse in massa sulla scalinata del Palazzo di Giustizia di Milano per difendere il Cavaliere dalla “persecuzione delle toghe rosse”. A dare manforte al Capitano erano in quattro gatti, Calderoli e Giorgetti, Valditara e Locatelli. Parafrasando Andreotti, ai tempi del famoso viaggio aereo di Bettino Craxi in Cina: davanti al Politeama c’erano giusto Matteo e i suoi cari. Ma a prescindere dal numero dei partecipanti, il fatto in sé resta gravissimo, e fa il paio con il misfatto di Meloni. Un vicepresidente del Consiglio e capo del secondo partito della maggioranza, insieme alla sua delegazione ministeriale, scende in piazza contro l’ordine giudiziario. Come nella peggiore tradizione populista, siamo alla “secessione delle classi dirigenti”: la politica che, per sottrarsi al controllo di legalità, fa saltare il banco. Un’enormità, di fronte alla quale ci permettiamo di suonare la sveglia a Elly Schlein: cara segretaria del Pd, nell’abominio albanese la posta in palio non è “il danno erariale”, ma è il patto costituzionale. Una sfida molto più impegnativa, che richiede un’opposizione all’altezza. Questo film dell’orrore l’abbiamo già visto negli anni di fango del Caimano. Non credevamo di rivederlo oggi, negli anni di palta dell’Underdog.
(Vignetta di Gianlorenzo Ingrami)
Articolo pubblicato su Repubblica
Massimo Giannini, 19 Ott 2024
https://www.libertaegiustizia.it/2024/10/20/la-deriva-istituzionale/
Apiario medievale del 1200 circa d.C. - Arabia Saudita
Immerso nelle montagne Sarawat in Arabia Saudita, questo apiario medievale del 1200 circa d.C. ospitava 1.200 alveari, rendendolo un sito chiave per la produzione del miele. Le complesse terrazze in pietra sono uno splendido esempio di innovazione e adattabilità di chi le ha costruite, consentendo un utilizzo efficiente delle risorse naturali della regione. Questo sito offre uno scorcio affascinante delle tecniche agricole medievali nella penisola arabica, evidenziando la ricca storia della produzione di miele nella zona.