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venerdì 8 giugno 2018

Il G7 fa soffrire le Borse. Ancora vendite sull’Italia: -2% Milano, spread a 270. - Chiara Di Cristofaro e Andrea Fontana




Le tensioni tra il presidente Usa e gli altri leader dei Paesi partecipanti al G7 in Canada si sono fatti sentire su tutti i listini europei, piegati dai timori di impatti sugli accordi commerciali esistenti ma anche dai segnali di rallentamento dell'economia europea, ma è stata ancora Piazza Affari a essere la più penalizzata sul mercato azionario confermando la freddezza degli operatori finanziari verso gli asset italiani in questa fase di estrema incertezza legata alle prossime mosse del nuovo Governo Conte. Secondo alcuni operatori comunque gli investitori si sono distanziati dalle attività più rischiose in vista dell'incrocio di decisioni delle banche centrali della prossima settimana con la Federal Reserve pronta ad alzare di nuovo i tassi di interesse americani e con la Bce invece che dovrebbe fornire indicazioni sulla fine del Quantitative Easing. Il FTSE MIB ha lasciato sul terreno l'1,89% tornando vicino ai minimi dell'anno e ai minimi da agosto 2017 piegato innanzi tutto dalle vendite sulle banche mentre il rendimento dei Btp a 10 anni è tornato sopra il 3,1% ampliando lo spread con i Bund in area 270 punti. Tra gli istituti di credito le performance peggiori sono state quelle delle ex popolari, forse sulla speculazione di un dietrofront del Governo rispetto recente riforma degli istituti: -4% Banco Bpm, -2,7% Ubi Banca, -2,7% Bper. I cali sono stati comunque trasversali ai vari settori con Cnh e Unipol giù di oltre il 3%. Male il risparmio gestito. In tenuta Salvatore Ferragamo (+0,3%) e Campari (invariata dopo i conti della concorrente Remy Cointreau).

Il lusso tiene a galla la Borsa di Parigi 
Madrid ha chiuso le contrattazioni in calo dello 0,8%, mentre Francoforte e Londra hanno ceduto lo 0,3%. Piatta invece Parigi - grazie agli acquisti sul settore lusso e in particolare su Kering (+5%) e Lvmh (+1,5%) - che conferma così di essere tra le migliori Borse in Europa da inizio anno insieme ad Amsterdam. Il tema degli accordi commerciali, e quello dei dazi, ha finito per mettere pressione alle società del settore auto che ha accusato la performance peggiore nella seduta odierna(-2,5% Fca, -2,1% Volkswagen, -1,1% Bmw, -1,1% Renault) mentre minerari e utility sono stati gli altri settori oggetto di vendite più consistenti sui listini continentali. 
Tornando a Milano, pesante soprattutto nelle ultime due ore di contrattazione Eni (-2,6%) mentre tra le utility A2a ha ceduto il 3%. Tra i big del credito, -2,5% Unicredit e -1,2% Intesa Sanpaolo. Perdita superiore al 2% per Brembo e Pirelli nel comparto auto e per Leonardo tra gli industriali. Giù del 2,1% Mediaset. Hanno limitato i danni Tenaris(-0,3%) e Saipem (-0,67%), quest'ultima grazie a una commessa da 500 milioni di dollari in Thailandia
Per Piazza Affari un calo del 3,4% in una settimana. 
Nell'intera settimana Piazza Affari ha perso il 3,4% a fronte di listini europei complessivamente fiacche (+0,3% Francoforte, -0,3% Londra e Parigi) con l'eccezione di Madrid in recupero (+1,2%) dopo l'insediamento di Pedro Sanchez alla guida del nuovo Governo in Spagna. Ubi Banca, il cui calo complessivo si è avvicinato al 9%, è stato il titolo più penalizzate del Ftse Mib a fronte di un settore bancario italiano sceso del 6,5%. Male anche Unipol e Azimut con perdite complessive del 7,5% circa nell'intera settimana.
Al via il G7 in Canada, occhi su Bce e Fed.
Oggi ha preso il via il G7 in Canada: la posizione degli Stati Uniti sui dazi appare sempre più isolata. Il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che non firmerà la tradizionale dichiarazione comune al termine del vertice se non ci saranno progressi sul tema tariffe. Trump ha anche annunciato che lascerà in anticipo il vertice per incontrare martedì il leader nordcoreano Kim Jong Un. «La questione dei dazi sarà al centro della riunione del G7 che inizia oggi e terminerà domani e che vede un Trump contro tutti, con il rischio concreto che non si giunga ad un’intesa comune», commentano gli analisti di Mps Capital Services. 
Prima di lasciare gli Usa, il presidente americano Donald Trump ha promesso «di raddrizzare gli iniqui accordi commerciali con i Paesi del G7» ed e' tornato a criticare il Canada dopo uno scambio acceso via Twitter con il presidente francese Emmanuel Macron. Trump ha anche detto che alla Russia dovrebbe essere permesso di partecipare alle riunioni delle sette economie più grandi al mondo (ne fu espulsa nel 2014 per via dell'annessione alla Crimea).
Oltre che per i lavori del G7, i mercati sono in apprensione per le riunioni chiave di Fed e Bce della prossima settimana. La Banca centrale Usa, in un contesto positivo per l'occupazione e con l'inflazione vicina al target del 2%, proseguirà probabilmente con i suoi rialzi graduali dei tassi con un aumento di 25 punti base, con 3-4 rialzi in tutto nell'anno. La Bce, dal canto suo, giovedì prossimo dovrebbe discutere della data di fine del Qe, cioè il programma di acquisto di titoli avviato nel 2015.
Spread BTp/Bund tocca 280 punti base, poi ripiega. 
Ha chiuso in netto rialzo lo spread BTp/Bund nella settimana che ha visto il nuovo Governo incassare la fiducia del Parlamento e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, impegnato nella sua prima uscita internazionale al G7 in Canada. Il differenziale di rendimento tra il BTp decennale benchmark (Isin IT0005323032) e il pari scadenza tedesco, ha infatti
terminato la seduta a 269 punti base, dai 256 punti di ieri, dopo aver raggiunto in mattinata anche quota 280 punti. Dopo il recupero di inizio settimana, dunque, lo spread con i titoli tedeschi ha ripreso a correre e ha chiuso l'ottava 30 punti base sopra il livello di venerdì scorso (239 p.b.). Il rendimento dei decennali ha chiuso al 3,14%, anche in questo caso in forte crescita dal 3,05% di ieri. Sotto pressione i bond italiani anche sulle scadenze più brevi con lo spread sui titoli a due anni che ha chiuso a 236 punti, con rendimento che e' volato all'1,73 per cento.
SPREAD BTP-BUND 
Andamento da inizio anno. Fonte: Ufficio Studi Il Sole 24 Ore
Euro torna sotto 1,18 dollari dopo dati deludenti industria Germania.
Euro in calo contro le principali valute dopo gli altri dati deludenti arrivati oggi dalla Germania. La divisa unica europea è scesa nuovamente sotto la soglia di 1,18 dollari attestandosi a 1,1770 alla chiusura dei mercati continentali. A pesare, il dato della produzione industriale tedesca che, dopo l'incremento di marzo, è calato ad aprile deludendo le attese degli analisti. Rispetto al mese precedente, si è infatti registrata una flessione dell'1 per cento. Su anno, cioè nel confronto con lo stesso mese del 2017, la produzione è aumentata del 2 per cento. Inferiore alle attese anche il surplus della bilancia commerciale tedesca, in attivo per 19,4 miliardi, contro stime a 20 miliardi. 
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venerdì 18 dicembre 2015

COSA SIGNIFICA L’ “AUMENTO DEL CAMBIO” DI IERI? - PAUL CRAIG ROBERTS

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La FED ha aumentato il tasso di prestito intrabanca di 25 punti base, o un quarto dell’1%. I lettori si chiedono “cosa significa?”.
Significa che la FED ha avuto tempo di capire che l’effetto del piccolo “aumento del tasso” sarebbe praticamente zero. In altre parole, il piccolo aumento in un range che va da 0 a 0.25 a 0.50 non basta ad eliminare i problemi nel mercato dei derivati sul tasso d’interesse o a mandare al ribasso il valore di azioni e bond.

Prima dell’annuncio odierno della FED, il tasso di interscambio tra banche era dello 0.13% medio nel periodo iniziato con il Quantitaive Easing. In altre parole, non c’è stata abbastanza richiesta di liquidità da parte delle banche per spingere il tasso stesso sopra il limite dello 0.25%. allo stesso modo, dopo l’annuncio odierno dell’ “aumento del tasso” lo stesso dovrebbe assestarsi allo 0.25%, il massimo tra il tasso precedente e il minimo del nuovo corso.
Comunque, la questione è che la liquidità disponibile superava la domanda al vecchio tasso. Il proposito di alzare l’interesse è di soffocare la richiesta di credito, anche se non era necessario bloccarla quando essa era appena sufficiente a mantenere il tasso medio alla metà del vecchio range. Questo “aumento” è una truffa. Serve solo agli idioti dei media finanziari che spingevano da sempre per un aumento dei tassi e per la necessità che la FED proteggesse la propria credibilità aumentando i tassi d’interesse stessi.

Vediamola in quest’ottica. Il sistema bancario nella sua interezza non ha bisogno di richiedere prestiti, standosene adagiato su 2.42 trilioni di dollari di riserve in eccesso. 

L’impatto negativo dell’aumento dei tassi crea problemi solo alle banche più piccole che prestano ad aziende e consumatori. Se queste banche si ritrovano senza disponibilità e hanno bisogno di ulteriori fondi per coprire le proprie necessità di riserve, si ritroverebbero a dover chiedere prestiti a banche con un maggior disavanzo. Quindi, l’aumento del tasso ha come conseguenza che le banche più piccole pagheranno spese maggiori alle grandi banche favorite dalla FED.

Un modo diverso di vederla è che l’ “aumento dei tassi” favorisce le banche dotate di abbondanti riserve rispetto alle banche che erogano prestiti agli imprenditori ed ai consumatori.
In altre parole, l’aumento come al solito favorisce i saccheggi dell’Un Percento.

(Paul Craig Roberts è un ex assistente segretario del Tesoro USA e Editore Associato del Wall Street Journal. Il suo libro How the Economy Was Lost è disponibile su counterpunh in formato digitale.Il suo ultimo libro è How America Was Lost.)

Link: http://www.countercurrents.org/pcr171215.htm

autore della traduzione FA RANCO

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16006

martedì 22 settembre 2015

STIGLITZ: LA FED DEVE PREOCCUPARSI DELLA DISUGUAGLIANZA, NON DELL’INFLAZIONE.


La politica di austerità che la Germania promuove è una politica pericolosa. Joseph Stiglitz


Il Guardian riporta l’ultimo articolo di Joe Stiglitz, in cui l’economista Nobel torna a criticare l’asimmetria con cui la Fed persegue i suoi due obiettivi: a fronte dell’eccessiva attenzione riservata alla lotta all’inflazione, mostra minore sensibilità per la disoccupazione reale e la correlata, crescente diseguaglianza negli Stati Uniti. Se la Fed alza i tassi di interesse ogni volta che c’è un segno di crescita dei salari per evitare che salga l’inflazione, la quota salari non recupererà mai quanto è andato perso nella crisi, la ripresa continuerà ad esserci solo per Wall Street e per l’1%, le disuguaglianze cresceranno assieme alla distorsione del sistema finanziario.
di Joseph Stiglitz, lunedì 7 settembre 2015
Alla fine di ogni agosto, i banchieri centrali e i finanzieri di tutto il mondo si incontrano a Jackson Hole, nel Wyoming, per il simposio economico della Federal Reserve degli Stati Uniti. Quest’anno, i partecipanti sono stati accolti da un ampio gruppo di persone per lo più giovani, tra cui molti afro-americani e ispanici.
Il gruppo non era lì tanto per protestare quanto per informare. Volevano far sapere ai decisori politici lì riuniti che le loro decisioni influenzano la gente comune, non solo i finanzieri preoccupati per quello che fa l’inflazione al valore dei loro titoli o per quello che il rialzo dei tassi d’interesse potrebbe fare ai loro portafogli azionari. E le loro magliette verdi erano decorate con il messaggio che per questi americani non c’è stata alcuna ripresa.
Anche ora, sette anni dopo che la crisi finanziaria globale ha innescato la Grande Recessione, la disoccupazione “ufficiale” tra gli Afro-Americani è oltre il 9%. Secondo una più ampia (e più appropriata) definizione, che comprende i dipendenti part-time in cerca di posti di lavoro a tempo pieno e i lavoratori impiegati marginalmente,il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti complessivamente è del 10,3%.
Ma, per gli afro-americani – soprattutto i giovani – il tasso è molto più elevato. Ad esempio, per gli afro-americani di età compresa tra 17 e 20 anni che hanno un diploma di scuola superiore, ma non sono iscritti al college, il tasso di disoccupazione è superiore al 50%. Il “divario occupazionale” – la differenza tra l’occupazione attuale e quella che ci dovrebbe essere – è di tre milioni.
Con così tante persone senza lavoro, la pressione al ribasso sui salari si sta rivelando anche nelle statistiche ufficiali. Finora quest’anno, i salari reali dei lavoratori che non hanno mansioni di controllo sono scesi di quasi lo 0,5%. Questo fa parte di una tendenza a lungo termine che spiega perché i redditi delle famiglie nel mezzo della distribuzione dei salari sono più bassi rispetto a un quarto di secolo fa.
La stagnazione dei salari aiuta anche a spiegare perché le dichiarazioni dei funzionari della Fed secondo le quali l’economia è praticamente tornata alla normalità sono accolte dal dileggio. Forse è vero nei quartieri dove vivono i funzionari. Ma, con il grosso della crescita dei redditi che da quando è iniziata la “ripresa” negli Stati Uniti sta andando all’1% in cima alla piramide dei redditi, non è vero per la maggior parte delle comunità. I giovani a Jackson Hole, che rappresentano un movimento nazionale chiamato, naturalmente, “Fed Up” [stufi, in italiano, NdT], potrebbero confermarlo.
Ci sono forti prove che le economie hanno prestazioni migliori con un mercato del lavoro a piena occupazione e, come ha dimostrato il Fondo Monetario Internazionale (FMI), minore disuguaglianza (e la prima conduce normalmente alla seconda). Naturalmente, i finanzieri e dirigenti aziendali che pagano 1.000 dollari per partecipare alla riunione di Jackson Hole vedono le cose in modo diverso: salari bassi significano alti profitti, e bassi tassi di interesse significano alti prezzi delle azioni.
La Fed ha un duplice mandato – promuovere la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Ha avuto più che successo con il secondo, in parte perché non ha avuto molto successo col primo. Allora, perché i decisori politici prenderanno in considerazione un rialzo dei tassi di interesse nel corso della riunione della Fed a settembre?
L’argomento usuale per l’aumento dei tassi di interesse è quello di raffreddare un’economia in surriscaldamento, in cui le pressioni inflazionistiche sono diventate troppo alte. Ovviamente non è questo il caso oggi. Infatti, data la stagnazione dei salari e il dollaro forte, l’inflazione è ben al di sotto al target della Fed del 2%, per non parlare del tasso del 4% sostenuto da molti economisti (tra cui l’ex capo economista del FMI).
I falchi dell’inflazione sostengono che il drago dell’inflazione deve essere ucciso prima che si veda il bianco dei suoi occhi:  se non agite subito vi brucerà in un anno o due. Ma, nelle attuali circostanze, un’inflazione più alta sarebbe un bene per l’economia. Essenzialmente non c’è alcun rischio che l’economia si surriscaldi così rapidamente che la Fed non possa intervenire in tempo per prevenire eccessiva inflazione. Qualunque sia il tasso di disoccupazione a cui le pressioni inflazionistiche diventano significative – una questione chiave per i decisori politici – sappiamo che è di gran lunga inferiore al tasso di oggi.
Se la Fed si concentra eccessivamente sull’inflazione, peggiora la disuguaglianza, che a sua volta peggiora le prestazioni economiche complessive. I salari vacillano durante le recessioni; se la Fed alza i tassi di interesse ogni volta che c’è un segno di crescita dei salari, la quota salari diminuirà – non recupererà mai quanto è andato perso nella crisi.
L’argomento per aumentare i tassi di interesse non si concentra sul benessere dei lavoratori, ma su quello dei finanzieri. La preoccupazione è che in un ambiente a basso tasso di interesse, l’irrazionale “ricerca di rendimento” degli investitori alimenta le distorsioni del settore finanziario. In un’economia ben funzionante, ci si sarebbe aspettato che il basso costo del capitale fosse la base di una crescita sana. Negli Stati Uniti, i lavoratori sono invitati a sacrificare i propri mezzi di sussistenza e il proprio benessere per proteggere i finanzieri benestanti dalle conseguenze della propria imprudenza.
La Fed dovrebbe contemporaneamente stimolare l’economia e domare i mercati finanziari. Una buona regolamentazione non significa solo evitare che il settore bancario danneggi il resto di noi (anche se la Fed non ha fatto un ottimo lavoro in questo senso prima della crisi). Significa anche l’adozione e l’applicazione di regole che limitino il flusso di fondi verso la speculazione e incoraggino il settore finanziario a svolgere il ruolo costruttivo che dovrebbe avere nella nostra economia, fornendo capitali per fondare nuove imprese e consentire alle aziende di successo di espandersi.
Spesso sento una grande simpatia per i funzionari della Fed, perché devono effettuare manovre molto pericolose in un contesto di notevole incertezza. 
Ma la manovra in questo caso non è affatto pericolosa. Al contrario, è talmente vicina ad una stupidaggine per quanto può esserla una decisione del genere: adesso non è il momento di dare una stretta al credito e rallentare l’economia.
http://vocidallestero.it/2015/09/19/stiglitz-la-fed-deve-preoccuparsi-della-disuguaglianza-non-dellinflazione/