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mercoledì 31 maggio 2017

Manovrina, trionfa la restaurazione. Dai direttori dei musei alle concessioni del Bingo, passando per gli appalti Consip. - Chiara Brusini e Thomas Mackinson

Manovrina, trionfa la restaurazione. Dai direttori dei musei alle concessioni del Bingo, passando per gli appalti Consip

Doveva essere un decreto agile con cui correggere i conti come imposto da Bruxelles. Poi è iniziato l'assalto alla diligenza dei partiti e dello stesso governo a suon di mance e prebende. Ma soprattutto con l'irresistibile tentazione di restaurare norme morte e sepolte riportando indietro le lancette della storia. Da Alitalia agli appalti Consip fino alle concessioni per il Bingo scadute, ecco le misure che portano l'Italia nel futuro. A passo di gambero.

Rewind. Riecco i doppi incarichi per i politici locali. Riecco il lavoro occasionale: lo strumento non si chiama più voucher, ma la strada per gli abusi resta spianata. E nuovi direttori dei musei, che secondo il Tar sono stati nominati senza rispettare la legge? Dopotutto potranno rimanere in sella. La manovrina di primavera, su cui il governo alla Camera ha posto la fiducia, doveva essere un decreto agile per racimolare i 3,4 miliardi di euro necessari a correggere i conti, come imposto da Bruxelles. Poi è iniziato l’assalto alla diligenza dei partiti e dello stesso governo con le solite mance e prebende, ma soprattutto l’irresistibile tentazione di restaurare norme morte e sepolte riportando indietro le lancette della storia. Ora poi, mentre prende corpo l’ipotesi di elezioni in autunno con annessi dubbi sui tempi della legge di Bilancio, addio indugi: bisogna assicurarsi di salvare il salvabile. Da Alitalia agli appalti Consip fino alle concessioni per il Bingo e al rinnovo della “vita tecnica” degli skilift abruzzesi. Proroga e restaurazione in 13 mosse, così l’Italia cammina verso il futuro. A passo di gambero.

il resto dell'articolo qui:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/31/manovrina-trionfa-la-restaurazione-dai-direttori-dei-musei-alle-concessioni-del-bingo-passando-per-gli-appalti-consip/3623253/

mercoledì 30 dicembre 2015

Palermo, tram del maxi-appalto costretto a girare vuoto. Il bilancio? Già in rosso. - Giuseppe Pipitone

Palermo, tram del maxi-appalto costretto a girare vuoto. Il bilancio? Già in rosso

Rischiava di costare alle casse del capoluogo siciliano una stangata da 328 milioni di euro: fondi Ue che sarebbero stati bloccati se non fosse stato operativo entro il 31 dicembre. E la magistratura indaga, dai lavori cominciati senza un progetto esecutivo alle costose consulenze elargite per nomina diretta.

Otto anni di lavori, più di trecento milioni di euro di spesa, settimane di collaudo infinito, e un bilancio che nasce già in passivo. In mezzo ci sono le indagini della procura, una durissima relazione dell’Anticorruzione e un fuoco incrociato di polemiche. È in questo variopinto scenario che a Palermo tornerà a sfrecciare il tram, quasi un secolo dopo l’ultima corsa, datata 1947. Altri tempi, dato che questa volta l’affare tram rischiava di costare alle casse del capoluogo siciliano una stangata da 328 milioni di euro: fondi dell’Unione Europea che sarebbero stati bloccati se il progetto non fosse stato operativo entro il 31 dicembre.
Bruxelles vuole indietro i soldi del tram? Che problema c’è? Smontiamo i binari e glieli spediamo indietro”, commentavano ironici i consiglieri comunali di Forza Italia. “Col tram diminuiranno furti e rapine”, vaneggiava, invece, il sindaco Leoluca Orlando, consapevole che la questione stava per trasformarsi in un vero e proprio disastro per la sua giunta: nonostante i cantieri avessero finito da mesi il loro lavoro, infatti, mancavano sia il denaro che gli uomini per gestire il servizio. Alla fine, però, dopo una seduta fiume durata più di 24 ore e terminata la vigilia di Natale, il consiglio comunale ha dato il via libera al contratto per mettere la gestione della rete tranviaria nelle mani di Amat, la società comunale che si occupa già del trasporto pubblico su gomma.
Un via libera nato tra le polemiche, dato che è arrivato con i voti del centro destra e dei consiglieri comunali fedeli a Orlando, mentre il Pd ha già iniziato la raccolta firme per chiedere il ritiro della delibera. Il motivo? Il primo cittadino finanzierà la gestione del nuovo mezzo pubblico imponendo la "Zona a traffico limitato" nel centro storico cittadino. I conti sono presto fatti: gestire il tram costa 22 milioni di euro all’anno, tra manutenzione (dieci milioni), energia elettrica (quattro milioni e mezzo), autisti (sei milioni) e pulizie (quasi trecentomila). Con la Ztl, che costerà 100 euro all’anno per ogni veicolo che entrerà in centro (anche per i residenti), l’eterno sindaco palermitano (in carica già nel 1985) stima di mettere in cassa una trentina di milioni l’anno. “Bisogna opporsi a questo scippo in piena regola”, tuonano i consiglieri dem.
Il nodo della Ztl, però, non è l’unico che anima la protesta dei professionisti dell’antitram. “Nel primo anno – dice la consigliera Nadia Spallitta – il tram costerà circa 22 milioni e prevede incassi per 4 milioni, mentre nel secondo anno costerà 17 milioni e l’incasso dovrebbe restare lo stesso”. Come dire che il nuovo trasporto pubblico palermitano nasce già con un rosso di almeno 13 milioni di euro all’anno: buco che verrà appunto ripianato solo con i soldi della nuova Ztl.
Ma non solo. Perché a correre sui binari non sono solo le polemiche, ma soprattutto le inchieste giudiziarie che cercano di fare luce su quindici anni di appalti a nove cifre. Il progetto di una nuova linea tranviaria del capoluogo siciliano prende corpo nel 2000 quando la Banca europea d’Investimenti dà l’ok ad un finanziamento da 160 miliardi di lire. Da quel momento in poi comincia la tipica sagra del rinvio molto cara alla burocrazia nostrana: il progetto dovrà attendere cinque anni per essere autorizzato, i cantieri verranno inaugurati nel 2006, ma i lavori cominceranno solo nel 2007. Manco a dirlo, il costo per realizzare l’opera lievita a dismisura: il primo appalto viene assegnato per 192 milioni di euro, più del doppio rispetto al primo finanziamento, quindi spuntano varianti, consulenze, bonus per più di 80 milioni di euro. È per questo motivo che nel 2013 Raffaele Cantone prende carta per segnalare “anomalie e difformità” nell’intera operazione: dai lavori cominciati senza un progetto esecutivo alle costose consulenze elargite per nomina diretta.
Il dossier dell’Anticorruzione finisce sui tavoli dei pm Roberto Tartaglia e Maurizio Agnello, che già due anni fa avevano aperto un fascicolo sulla vicenda. Indagine che è ancora in corso, mentre pochi giorni fa un altro sostituto procuratore, Daniela Varone, ha ordinato agli uomini della guardia di finanza di andare in Municipio per sequestrare ogni singolo documento sulla rete tranviaria. E mentre si attende che le indagini degli inquirenti facciano luce sui vari punti oscuri del maxi appalto, il tram ha già iniziato la sua corsa tra le vie della città: solo che è completamente vuoto. In attesa che il consiglio comunale approvasse il contratto di servizio con l’Amat, e aspettando ancora oggi il via libera della Regione Siciliana, i conducenti sono obbligati ogni giorno ad un collaudo infinito: il tram c’era, i binari pure, ma mancavano i soldi e i gestori per fare partire il servizio. E così, ogni mattina gli autisti mettono in moto il tram, provano i freni, si fermano ai semafori, ripartono, senza che alcun passeggero sia mai potuto salire sui luccicanti vagoni bianchi costruiti dall’austriaca Bombardier. Uno spettacolo surreale che dovrebbe finire entro il 31 dicembre, ma che nel frattempo va avanti da quasi un mese: come dire che in Sicilia i paradossi riescono a materializzarsi persino sui binari.

venerdì 5 giugno 2015

Mafia Capitale, ‘illegittimo l’appalto al Cara di Mineo’. Ma Alfano ignorò Cantone. - Marco Lillo

Mafia Capitale, ‘illegittimo l’appalto al Cara di Mineo’. Ma Alfano ignorò Cantone

La gara da 100 milioni di euro dell'aprile 2014, al centro dell'inchiesta della Procura di Catania che vede indagato il sottosegretario Ncd Giuseppe Castiglione insieme ad altre 5 persone, era stata segnalata dall'Anticorruzione al ministero dell'Interno, che non è mai intervenuto.

La lettera che Il Fatto Quotidiano ha potuto leggere :Lettera Cantone Lillonon proviene dagli atti giudiziari ma è fondamentale per capire l’inadeguatezza del Ministero guidato da Angelino Alfano nel gestire la questione più importante dell’indagine: l’appalto da 100 milioni del Cara (Centro di accoglienza per i richiedenti asilo) di Mineo (Catania). Il 27 maggio scorso il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone scrive al ministro Alfano una lettera pesante: l’appalto del Cara di Mineo vinto nell’aprile 2014 da un raggruppamento di imprese che comprende la Cascina (i cui manager sono stati arrestati ieri) è illegittimo.
Alfano non ha ancora risposto. Cantone terminava le sue sette pagine segnalando la delibera del Consorzio di Comuni Calatino Terra di Accoglienza che confermava l’appalto del Cara nonostante un parere contrario dell’Anticorruzione nelle mani delle imprese che lo avevano vinto, in testa La Cascina. Cantone scrive anche ad Alfano: “Tale problematica sarà sottoposta da Anac al giudice contabile per eventuali
profili di danno erariale”.
Tutto inizia il 25 febbraio scorso quando Cantone firma un parere sulla gara vinta dal consorzio comprendente La Cascina, vicina a Luca Odevaine, arrestato a dicembre per vicende analoghe. La gara da 100 milioni per gestire il centro per rifugiati più grande d’Europa in Sicilia sembrava ritagliata su misura del consorzio che già gestiva il Cara. Cantone nel parere scrive che la gara è “illegittima” perché “in contrasto con i principi di concorrenza,proporzionalitàtrasparenza, imparzialità e economicità”. La bacchettata lascia indifferente il Consorzio Calatino Terre di Accoglienza presieduto da Anna Aloisi, sindaco Ncd di Mineo, feudo elettorale del sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione, grande portatore di voti del partito di Alfano (oggi indagato dalla Procura di Catania per turbativa d’asta).
Un mese dopo il parere di Cantone, il 25 marzo, il prefetto Mario Morcone interviene davanti ai parlamentari del Comitato Schengen: “Dico una cosa che non piacerà: ho qualche dubbio sulla decisione del presidente Cantone, che peraltro conosco, apprezzo e stimo moltissimo”. Morcone si schiera con chi gestisce il centro: “A noi hanno detto sempre che il general contractor (come quello scelto da Odevaine e compagni per il Cara di Mineo, ndr) era la soluzione e che si risparmiava e ora improvvisamente per un contratto del 2013 si è stabilito che è stata impedita la partecipazione alle piccole e medie imprese”. Morcone chiude critico: “A certe situazioni bisogna fare attenzione perché ci sono sicuramente aspetti di opacità ma anche tanta gente per bene”. Forti anche delle parole di Morcone, il 13 aprile il direttore generale del Consorzio Calatino Giovanni Ferrera e la presidente Aloisi inoltrano a Cantone una “richiesta di riesame del parere”. Nell’istanza, Ferrera si fa forte di un parere del 10 aprile 2015 della Direzione centrale dei Servizi civili per l’immigrazione del Ministero che “ha confermato l’indirizzo assunto da questo consorzio nel 2014 e negli ultimi sette anni dalle Prefetture”. Effettivamente il 10 aprile il direttore centrale vicario, Maurilia Bove, scrive alla Prefettura di Catania una lettera che sembra un via libera alla strada scelta a Mineo. Dieci giorni dopo lo stesso viceprefetto Bove corregge un po’ il tiro con una seconda lettera alla Prefettura: specifica che la prima nota non faceva “riferimento al caso specifico” di Mineo.
Cantone comunque non si piega e il 6 maggio scrive al Consorzio Calatino che l’Anac non rivede il suo parere: la gara è illegittima. Il 15 maggio Ferrera, del Consorzio Calatino, firma e pubblica la determina che conferma l’appalto da 100 milioni e chiude la questione anche perché l’Anac ha solo un potere consultivo. Grazie alle lettere della direzione che dipende da Morcone e dopo l’audizione anti-Cantone del prefetto, l’appalto ne è salvo. 
Ora Angelino Alfano dovrà rispondere finalmente una volta per tutte alla domanda implicita della lettera del 27 maggio di Cantone: l’appalto di Mineo da 100 milioni, per il quale Luca Odevaine pretendeva mazzette di 10-20 mila euro mensili dai manager della Cascina arrestati ieri, assegnata grazie a una gara definita ‘illegittima’ da Cantone, al Ministro va bene?

venerdì 8 maggio 2015

Corruzione, ecco il whistleblower all’italiana. Cantone detta le regole. - Elena Ciccarello

Corruzione, ecco il whistleblower all’italiana. Cantone detta le regole

Una delibera dell'Anac detta le linee guida per gestire le denunce di dipendenti pubblici su casi di malaffare e nepotismo. Al primo punto la tutela del segnalante e le procedure informatiche per garantire riservatezza. In Usa si recuperano così sei miliardi l'anno, mentre in Italia è sempre in agguato il marchio del "delatore".

In Italia c’è chi li chiama “delatori” e guarda con sospetto alle loro denunce. Ma negli Usa è grazie ai “whistleblower“, persone che segnalano in modo riservato all’autorità gli illeciti di cui sono testimoni, che il Governo recupera ogni anno l’85% delle somme oggetto di frodi, oltre 55 miliardi di dollari dal 1986 con una media, oggi, di sei miliardi all'anno. Un sistema lontano “anni luce” da quello italiano, secondo il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone che ieri, intervenendo con l’ambasciatore statunitense John R. Philip ad un convegno organizzato dall’Universita’ Luiss Guido Carli, ha presentato il nuovo vademecum sul whistleblowing approvato dall’Anac e sollecitato nuovi “passi in avanti dal punto di vista normativo” per tutelare il dipendente pubblico che decide di esporsi.
Le Linee guida approvate dall’Anticorruzione nascono per “offrire agli enti pubblici italiani una disciplina applicativa delle stringate disposizioni di principio introdotte dalla legge n. 190/2012 (cd. “Legge Severino“)”. Si tratta dunque di regole elaborate, secondo quanto scritto dalla stessa Autorità, a partire da norme troppo “sintetiche” cui si è voluta dare “un’espansione massima possibile”, “nel contempo suggerendo al Legislatore possibili miglioramenti”.
Il vademecum si concentra sul tema della tutela del segnalante, in primis, su cui si chiede un “intervento chiarificatore” da parte della politica, ma anche sull’orizzonte di illeciti che possono essere segnalati, sui soggetti cui rivolgersi per fare la segnalazione e il trattamento da riservare alle segnalazioni anonime (comunque acquisite anche se trattate in modo diverso). Secondo l’Anticorruzione potranno essere segnalati non solo gli illeciti contro la pubblica amministrazione ma anche “l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati”. L’elenco è lungo “sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro” eccetera.
Le amministrazioni pubbliche non possono rivelare l’identità del whistleblower senza il suo consenso, tranne nei casi in cui chi “è sottoposto al procedimento disciplinare” per effetto della segnalazione abbia bisogno di conoscerla perché “assolutamente indispensabile” per la propria difesa. L’autore della segnalazione non può in ogni caso essere oggetto di provvedimenti disciplinari per effetto della sua denuncia, ma la tutela decade se viene riconosciuto colpevole di un reato di calunnia o diffamazione già in primo grado.
Il primo punto del vademecum resta comunque la tutela del whistleblower, sui cui la normativa attuale, secondo il documento, presenta ancora troppe lacune. Su questo l’Anticorruzione, in attesa di nuove norme, introduce alcune regole per il ricorso a procedure informatiche tali da evitare “la presenza fisica del segnalante”, che vanno indirizzate al responsabile per la prevenzione della corruzione dell’ente a meno che non riguardino proprio quel funzionario. In tali casi la segnalazione andrà invece inviata all’Anac. In ogni caso le amministrazioni dovranno fare di tutto per adottare procedure di tutela. “Al fine di evitare che il dipendente ometta di segnalare condotte illecite per il timore di subire misure discriminatorie, è opportuno che… le amministrazioni si dotino di un sistema che si componga di una parte organizzativa e di una parte tecnologica, tra loro interconnesse”, si legge nel documento.
A fronte di queste disposizioni resta però un problema di fiducia. E di tempi. “A noi tanti scrivono perché non ricevono risposte da parte delle istituzioni o perché hanno bisogno di indicazioni e di incoraggiamento prima di presentare una segnalazione” spiega a ilfattoquotidiano.it Giorgio Fraschini, responsabile dello sportello per le segnalazioni di Transparency Italia. “Chi decide di fare una segnalazione ha bisogno di fidarsi del suo interlocutore e le fredde procedure burocratiche spesso in questo non sono d’aiuto”. Il modulo offerto dal servizio dell’Anticorruzione, come prima cosa, chiede a chi vuole fare una segnalazione di indicare il suo nome, cognome e posizione lavorativa. E questo, come notato dallo stesso Cantone, può non aiutare quando non si è in grado di garantire il segnalante da ritorsioni. “Chi scrive all’Anticorruzione non riceve una risposta e non riesce a capire a che punto sia la sua segnalazione” continua poi Fraschini. “Ma chi per colpa di quegli illeciti ha perso il lavoro o vive una situazione di disagio non può aspettare dei mesi”. L’America è ancora lontana.

sabato 25 ottobre 2014

Corruzione, delibera di Cantone su ordini professionali: “No incarichi a politici”. - Elena Ciccarello

Corruzione, delibera di Cantone su ordini professionali: “No incarichi a politici”

Il presidente dell'Anticorruzione: "Sono enti pubblici, devono adeguarsi alla legge Severino anche su incompatibilità". Ma le resistenze sono forti e quasi un parlamentare su due appartiene a un albo. Dossier 5 Stelle: "68 persone si spartiscono 450 ruoli".

Anche gli ordini e i collegi professionali devono adeguarsi alle norme anticorruzione previste dalla legge Severino. Lo ha stabilito con un’apposita delibera il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, mettendo fine al braccio di ferro in corso da mesi tra gli ordini professionali e il ministero della Salute. Tra i nuovi obblighi degli enti anche il divieto di assegnare ruoli dirigenziali negli ordini a chi già ricopre o ha ricoperto altre cariche amministrative o politiche. Gli ordini avranno un mese di tempo per organizzarsi e non incorrere in sanzioni, ma l’adeguamento si annuncia accompagnato da un fiume di polemiche.
Polemiche anzitutto politiche, visto che secondo un dossier del Movimento 5 stelle (leggi) il 45% dei parlamentari italiani appartiene ad un ordine professionale e diversi di loro ne sono anche i rappresentanti. Secondo il dossier, i 68 professionisti che dirigono i 17 ordini professionali aderenti al Cup (Comitato Unitario delle Professioni) ricoprono complessivamente circa 450 ruoli, con una media di 6 incarichi a professionista e la possibilità per il 30% di loro di rientrare in un possibile conflitto di interesse in base alla normative anticorruzione. Secondo lo studio in alcuni ordini professionali (medici, farmacisti, odontoiatri e infermieri) delle province di MilanoNapoli e Roma sarebbero almeno 13 le situazioni di anomalia, con doppi ruoli da dirigenti dell’ordine e carica politica (presente o passata). Tutte situazioni sanzionabili a partire dalla normativa anticorruzione che vieta a politici ed ex politici di riciclarsi in incarichi dirigenziali degli ordini ed agisce dove possano crearsi interferenze e conflitti di interesse.
La prima a opporsi è stata la Federazione Farmacisti, presieduta dal senatore Fi Andrea Mandelli
La prima ad opporsi all’applicazione delle norme anticorruzione è stata la Federazione Ordini Farmacisti Italiani, presieduta dal senatore Fi Andrea Mandelli e dal suo vice Luigi D’Ambrosio Lettieri, anch’egli senatore Fi. Seguita a ruota dall’Ordine degli Infermieri professionali, presieduto dalla senatrice Pd Annalisa Silvestro.
All’inizio del 2014 gli ordini e i collegi professionali, guidati dal Cup, hanno chiesto e ottenuto dal giudice Piero Capotosti, già presidente della Corte Costituzionale (deceduto nell’agosto scorso), un parere pro-veritate che li sollevasse definitivamente da questa incombenza. Su questo il Ministero della Salute aveva risposto con una lettera istituzionale ma piccata: “Questa Amministrazione non si sottrae ad un confronto e approfondimento circa la portata sulla trasparenza e anticorruzione rispetto agli Ordini e Collegi professionali”, scriveva il 21 marzo il Ministero della Salute, “tuttavia non si può sottacere che appellarsi a pareri pro-veritate, per quanto autorevolissimi, al fine di sottrarsi a specifiche indicazioni del Ministero Vigilante.. appare procedura irrituale”.


Adesso la delibera dell’Anticorruzione, firmata da Cantone, scrive la parola fine sul contenzioso. Secondo il presidente Anac gli ordini sono enti pubblici “non economici” e perciò devono sottostare alle norme per la trasparenza e anticorruzione. Non è dunque condivisibile il parere di Capotosti che considera gli ordini come “enti associativi”. La delibera Anac stabilisce che gli enti professionali, che secondo il dossier del Movimento 5 stelle sommano circa 2milioni di iscritti, per 600 milioni di euro di incassi annuali e 50 miliardi di patrimonio, avranno un mese di tempo per  “predisporre il piano triennale di prevenzione della corruzione, il piano triennale della trasparenza e il codice di comportamento del dipendente pubblico, nominare il responsabile della prevenzione della corruzione, adempiere agli obblighi in materia di trasparenza.. e infine attenersi ai divieti in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi..”. Altrimenti saranno sanzionati.