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mercoledì 8 settembre 2021

Abbiamo scherzato. - Marco Travaglio

 

Più passano i giorni, più appare chiaro che Draghi non ha alcuna intenzione di imporre i vaccini forzati a 4-5 milioni di No Vax: il suo annuncio “si va verso l’obbligo vaccinale” era una boutade, un ballon d’essai, uno spaventapasseri per indurre il fu Salvini a più miti consigli sul Green Pass. Come quando i genitori, per costringere il bimbo riottoso a fare qualcosa, lo minacciano: “Guarda che chiamo il babau e ti faccio mangiare”. Il bello è che nel frattempo la sparacchiata draghiana, come ogni sospiro o droplet che esce dalla sua bocca, ha già fatto il pieno di consensi: un festival di lingue, salmi, cantici e gridolini di giubilo (Evviva! Era ora! Lo dicevo, io! Sante parole! È un bel presidente!), seguiti dalla scomunica per chiunque obietti qualcosa (Vergogna! Orrore! No Vax che non siete altro!). Figurarsi che faccia faranno i turiferari quando si scoprirà che quel mattacchione di SuperMario scherzava. La scena ne ricorda una del 2006, quando B. in forma smagliante dichiarò testualmente: “Nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi”. L’ambasciatore cinese protestò. Ma lui insistette: “Ma è la Storia! Mica li ho bolliti io, i ragazzini. Se poi non si può nemmeno esprimere una certezza…”.

Intanto i suoi servi sciocchi, anziché sorvolare per carità di patria, si scapicollarono a dargli ragione. Il più lesto, oltre ai camerieri di FI, Lega e An, fu Renato Farina che lanciò la lingua oltre l’ostacolo su Libero: “Ecco le prove: mangiavano i bimbi. Un libro conferma la verità di Berlusconi. E la sinistra, negando, uccide un’altra volta… Su questi bambini ci si scherza su. Come se fosse una barzelletta. Siccome la frase è di Berlusconi, diventa una battuta… Altro che balle. Balle una sega… Ha assolutamente ragione”. Un altro noto sinologo di scuola arcoriana, Filippo Facci, scodellò sul Giornale un altro studio molto accurato sul tema, dal titolo: “Li mangiano ancora”: “In Corea del Nord ultimamente si sono perpetuati cannibalismi e assassini a scopo alimentare a causa di carestie, inondazioni e disperazione”, senza peraltro spiegare che diavolo c’entrasse la Corea del Nord con i “bambini bolliti per concimare i campi” nella Cina di Mao. Mentre Betulla, Facci e gli altri scudi umani sudavano le sette camicie su Google a caccia di altre minchiate da appiccicare a quella del padrone, quello se ne uscì bello fresco con una ritrattazione in piena regola: “Be’, sì, sulla Cina ho fatto un’ironia discutibile, non mi sono trattenuto…”. E li lasciò lì con le lingue a penzoloni, esposti al ludibrio generale: avevano trasformato in dogma una battuta. La cosa comunque non arrecò nocumento alle loro carriere: per non perdere la faccia, il segreto è non averne una.

ILFQ

venerdì 25 giugno 2021

Chiesa, a tre anni dalla sentenza Ue che impone la riscossione dell’Imu, lo Stato non ha nemmeno il dato ufficiale sulle somme non versate. Le stime? Fino a 11 miliardi per il periodo 2006-2011. - Chiara Brusini

 

La polemica tra Fedez e monsignor Galantino sul Ddl Zan riaccende lo scontro sulle tasse non pagate dalle strutture commerciali del Vaticano. Una querelle iniziata negli anni 90 e chiusa solo nel 2018 da una sentenza della Corte di Giustizia che obbligava l'Italia a riscuotere il dovuto per il periodo 2006-2011. A distanza di tre anni i numeri sul mancato introito restano vaghi: dai 300 milioni/anno per i soli immobili religiosi stimati dall'Anci fino ai 2,2 miliardi valutati dalla agenzia Ares.

“Ignora le cose o è in malafede. Per fermarci al 2020, l’Apsa ha versato 5.950.000 euro di Imu e 2.880.000 di Ires, solo per il patrimonio della Santa sede. E vanno aggiunte le imposte pagate da Governatorato, Propaganda fide, Vicariato di Roma, Conferenza episcopale italiana e singoli enti religiosi”. Così il presidente dell’Amministrazione patrimonio Sede apostolica, Nunzio Galantino, ha risposto a Fedez che intervenendo nel dibattito sul ddl Zan ha ricordato come “il Vaticano ha un debito stimato di 5 miliardi di euro su tasse immobiliari mai pagate dal 2005″. La querelle sulle imposte non pagate dalla Chiesa continua da almeno 15 anni. Ma Galantino ha buon gioco a parlar d’altro visto che, curiosamente, a tre anni dalla sentenza della Corte di giustizia europea che impone all’Italia di recuperare le illecite esenzioni concesse tra 2006 e 2011 ancora non esiste un dato ufficiale su quanti siano i soldi in ballo. Una cifra che, secondo le diverse stime può variare da un minimo di un miliardo e mezzo fino alla somma monstre di 11 miliardi in 5 anni di tasse mai richieste dallo Stato italiano. Ecco la storia della lunga battaglia intorno al fisco sul mattone ecclesiastico.

L’esenzione berlusconiana dall’Ici – La legge che nel 1992 istituì l’Ici esentava dal pagamento solo i fabbricati destinati “esclusivamente all’esercizio del culto” e relative pertinenze” e quelli utilizzati da enti non commerciali (ecclesiastici e non) per attività assistenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, ricreative e sportive. Con un effetto finanziario negativo per 100 milioni di euro l’anno, stando alla relazione del gruppo di lavoro sull’erosione fiscale coordinato da Vieri Ceriani. Nel 2005 il governo Berlusconi ampliò il perimetro dell’esonero, allargandolo agli immobili con fini commerciali a patto che non avessero “esclusiva” natura commerciale. Con il risultato di escludere dalla platea dei contribuenti sia le attività – alberghi, cliniche, scuole – degli enti ecclesiastici sia quelle gestite da associazioni, comitati, fondazioni, onlus e ong. L’anno dopo partì la querelle: un gruppo di b&b, hotel e scuole private non religiose si rivolse alla Commissione europea lamentando che quell’esonero favoriva senza motivo i concorrenti concedendo un ingiusto vantaggio competitivo.

La Ue: “Esenzione illegittima ma recupero impossibile” – Bruxelles aprì un’indagine e, con una decisione del dicembre 2012, sancì che effettivamente di aiuto di Stato anticoncorrenziale si trattava perché “gli enti non commerciali interessati dalle misure in questione svolgevano, almeno parzialmente, attività economiche” e “la natura selettiva della misura fiscale” non era “giustificata dalla logica del sistema tributario”. Ma diede retta allo Stato italiano che sosteneva fosse impossibile individuare retroattivamente gli immobili in cui si erano svolte anche attività commerciali e pretendere il versamento delle somme non versate negli anni. Conclusione: l’esenzione è illegittima ma non si può procedere al recupero.

La Corte di giustizia ribalta la decisione – Nel frattempo a Palazzo Chigi era arrivato Mario Monti, che con la manovra salva Italia aveva sostituito l’Ici con l’Imposta Municipale Propria (Imu), senza esenzioni per gli enti ecclesiastici che svolgano attività commerciali, che siano ricettive o scolastiche. Una definizione comunque ambigua: capita che anche veri e propri alberghi si presentino al fisco come strutture di accoglienza ai fedeli senza scopo di lucro e ottengano l’esenzione. Una scuola elementare montessoriana di Roma che aveva partecipato alle prime denunce, sostenuta dai Radicali, decise dunque di andare avanti e nell’aprile 2013 fece ricorso contro la Commissione. Ma nel 2016 il Tribunale Ue confermò l’impossibilità di recuperare quanto dovuto.

La Montessori e il titolare di un bed and breakfast di San Cesareo si opposero e nel novembre 2018 ottennero ragione dalla Corte di giustizia europea, che impose all’Italia di recuperare le somme non raccolte tra 2006 e 2011. Sottolineando che per sostenere che i soldi erano persi e irrecuperabili non era sufficiente, come aveva fatto l’Italia, “comunicare alla Commissione difficoltà interne, di natura giuridica, politica o pratica e imputabili alle azioni o alle omissioni delle autorità nazionali, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione modalità alternative di esecuzione”. Nel mezzo si era pronunciata anche la Cassazione italiana, confermando che il Comune di Livorno poteva batter cassa dalle scuole paritarie. Ma soprattutto aveva detto la sua senza giri di parole Papa Francesco: “Un collegio religioso, essendo religioso, è esente dalle tasse, ma se lavora come albergo è giusto che paghi le imposte. In caso contrario, il business non è pulito“.

La cifra? Da un miliardo e mezzo a 11 miliardi – Insomma: per la giustizia europea Roma deve chiedere indietro le imposte non pagate dalla Chiesa tra 2006 e 2011. Ma a quanto ammonta il dovuto? Mistero. In questi giorni è tornata a circolare la stima, attribuita all’Anci, di “4-5 miliardi di euro”: circa 800 milioni l’anno nei sei anni in questione. L’Anci però nega di aver diffuso quella cifra, citata anche nel ddl del 2019 con cui il Movimento 5 Stelle proponeva un giro di vite sul pagamento delle imposte immobiliari da parte della Chiesa. L’archivio storico dell’Ansa viene in soccorso, ma non chiarisce il quantum: a quantificare la perdita di gettito in “600-700 milioni“, calcolando però anche le esenzioni per gli immobili delle associazioni no profit, è stato nel novembre 2005 l’allora vicepresidente Anci Fabio Sturani. Una nota ufficiale dell’Anci riduceva infatti a 300 milioni il dovuto per i soli immobili religiosi. L’assessore al bilancio del Comune di Roma, Marco Causi, temeva un ammanco di 24,5 milioni solo per la Capitale di cui 16 da enti religiosi e 8,5 dal non profit. Ma due anni dopo l’Ares (Agenzia per la ricerca economico sociale) alzava la posta, sostenendo che l’esenzione riguardava 45mila immobili – il 50% di quelli ecclesiastici – tra cui molti alberghi in zone strategiche di Roma. E valeva addirittura 2,2 miliardi. Da moltiplicare per 5 anni.

ILFQ

sabato 4 luglio 2020

Reddito, solo 100 Comuni hanno avviato i lavori utili. - Maurizio Di Fazio

Reddito, solo 100 Comuni hanno avviato i lavori utili

Si fa un gran parlare di navigator, di questi quasi 3 mila co.co.co assunti dall’Anpal (l’agenzia nazionale per le politiche attive sul lavoro) per supportare gli operatori dei centri per l’impiego e arrivare a proporre un’occupazione ai percettori del Reddito di cittadinanza. Ma c’è un problema rimasto sottotraccia, legato a filo doppio all’avvio concreto della fase 2 del Reddito di cittadinanza. È quello dei Puc – acronimo che sta per Progetti utili alla collettività – istituiti con decreto legge il 22 ottobre 2019 e in teoria operativi ufficialmente dallo scorso 22 febbraio. Poco prima che l’Italia chiudesse per lockdown. I beneficiari del Reddito avrebbero avuto l’obbligo di prestarvi servizio nel Comune di residenza per almeno 8 ore settimanali, estendibili fino a 16. Pena l’esclusione dal sussidio statale contro la povertà. Aiutando così i municipi, a corto d’organico e in sofferenza economica cronica, in settori come la cura del verde pubblico, l’inclusione sociale, la manutenzione e il controllo degli spazi cittadini, l’assistenza agli anziani, la tutela dell’arte e delle strutture culturali. A costo zero per le loro casse. Ossigeno puro.
Ma è tutto rimasto un po’ sulla carta. Una dichiarazione, più che altro, di intenti. E quest’impasse non dipende esclusivamente dal lockdown che ha bloccato fino al 17 luglio la condizionalità dell’erogazione del Reddito di cittadinanza all’accettazione di un’offerta “congrua” di lavoro, su un range di tre proposte e al volontariato per un Puc, il primo step, la misura “anti-divano” più facile e immediata. Un’esperienza di risparmio e arricchimento umano. “Il decreto è in vigore da mesi, ma questi progetti utili alla collettività latitano. Perché gli enti locali non li bandiscono? Siamo a inizio luglio, non hanno bisogno di rinforzi gratuiti? Sono tutte perfette le nostre città? – dice al Fatto Quotidiano Marco, il nome è di fantasia, un navigator di 45 anni in servizio in Emilia-Romagna -. Per me questo è il modo perfetto per boicottare il Reddito di cittadinanza, così da non poter mostrare all’opinione pubblica risultati tangibili e dimostrare che i percettori del reddito sono persone in difficoltà economica, ma perbene”.
In effetti, sono meno di 100 i Comuni (su un totale di 8 mila) che hanno stipulato accordi coi centri per l’impiego per dare vita a uno o più Puc. Lo verifichiamo accedendo alla piattaforma varata ad hoc, GePi (“Gestione patti per l’inclusione sociale”).
A tutt’oggi ci sono solo 102 Puc attivi e alcuni in carico alla stessa città o cittadina. Sugli scudi il Sud, che sembra più reattivo del resto d’Italia. Qualche esempio. A Isola di Capo Rizzuto, in Calabria, ha avuto semaforo verde un progetto di pulizia del territorio e manutenzione ordinaria delle scuole. Per restituire decoro al tessuto urbano e garantire i servizi primari sulle spiagge libere della costa. È cominciato il 10 giugno e terminerà il 31 agosto. Sono stati richiesti 40 beneficiari, ma il Centro per l’impiego ne mette a disposizione 20. Spiagge free protagoniste anche a Margherita di Savoia, in Puglia, per un Puc iniziato il 15 giugno e al capolinea il 30 settembre. “Il suo fine è quello di garantire a tutti i cittadini in transito dalle nostre parti di fruirne in totale sicurezza e nel rispetto delle norme di contrasto alla diffusione del Covid-19, a partire dal controllo di assembramenti pericolosi e del distanziamento sociale”. Vigileranno 42 operatori, tra cui 37 percettori del Reddito di cittadinanza. A Castignano de’ Greci, in provincia di Lecce, si cercano 10 figure per la guardiania di luoghi pubblici (biblioteca, palazzi, ville) e altrettante per l’organizzazione di eventi. A Vicenza, invece, è caccia a 45 volontari per i musei locali (ma ne sono disponibili la metà) e a 7 per le biblioteche. I due Puc proposti e ratificati dureranno un anno, fino al maggio-giugno 2021.
Niente male visto che il sindaco non dovrà stanziare un euro. E qualcuno avvisi i suoi colleghi addormentati.

martedì 11 luglio 2017

Banche: con le sofferenze al 19% il sistema bancario ha un buco da 60 miliardi (e uno scudo statale di 20) - Marta Panicucci

Atlante
Una statua del titano Atlante nei Paesi Bassi Deror_avi via Wikimedia Commons

Cariferrara ha ceduto ad Atlante 2, il fondo gemello del primo, 343 milioni di sofferenze con un prezzo pari al 18,9% cioè a 65 milioni di euro. Buona notizia per la piccola banca, un po’ meno per il sistema bancario in generale.
Cariferrara, insieme a banca Etruria, Carichieti e Marche, è stata oggetto del decreto Salvabanche del novembre 2015, quello che ha azzerato azionisti e obbligazionisti e diviso la parte buona delle attività bancarie da quella malata. A quel punto si è aperta la vendita delle quattro Good bank: tre sono andate a UBI per un euro e la quarta, Cariferrara è destinata a BPER, ma prima di convolare a nozze doveva ripulirsi dei crediti deteriorati.
La cessione ad Atlante 2 quindi è un passo fondamentale per portare a compimento l’acquisizione di Cariferrara da parte della banca popolare dell’Emilia Romagna. Altro discorso riguarda invece tutto il sistema bancario. Le sofferenze di Cariferrara sono state valutate al 19% una cifra bassissima, meglio solo di quel 17% con il quale furono vendute le sofferenze delle quattro banche in occasione del piano di salvataggio. Tutti il sistema bancario, pochi esclusi, deve affrontare la pulizia dei conti: i crediti deteriorati sono cresciuti a vista d’occhio negli anni della crisi economica e le banche hanno i bilanci pieni di inadempienze probabili, crediti con coperture incomplete, leasing e vere e proprie sofferenze.
Secondo le stime dell’ABI al 31 dicembre 2016 le sofferenze nette delle banche italiane si attestano a 86,9 miliardi di euro (già calate di qualche miliardi per alcune operazioni dei primi mesi dell’anno come la cessione di un pacchetto da parte di UBI). Comunque sia se prendiamo 87 miliardi di sofferenze e li vendiamo prezzandoli al 19% il risultato sono 21,8 miliardi di incasso e quindi 65 miliardi di “buco”.
In poche parole se il 19% fosse il prezzo valido per tutte le operazioni di pulizia delle banche, il sistema bancario si troverebbe con un buco da oltre 60 miliardi, e, non ci dimentichiamo, che il Fondo stanziato dal Governo Gentiloni per il comparto bancario vale appena 20 miliardi. Qui la faccenda si complica.
Cariferrara verso BPER
È l’ultima delle quattro sorelle del decreto Salvabanche ad essersi accasata. Lo scorso anno, se vi ricordate, il presidente delle Good bank, Roberto Nicastro aveva aperto il bando per la vendita delle banche sane con l’obiettivo di ricavare 1,6 miliardi e rimborsare così il prestito attivato per il salvataggio, ma le uniche offerte arrivate alla scadenza sono state quelle di Lone star e Apollo inferiori ai 500 milioni. Saltate la vendita si sono valutate altre strade.
Alla fine tre banche, Etruria, Carichieti e Marche sono finite sotto il marchio UBI banca dopo essere state ripulite e ricapitalizzate a dovere e ora stanno subendo un drastico taglio di dipendenti e filiali. Cariferrara ha trovato il suo pretendente in Emilia Romagna, ma le condizioni sono le stesse: prima pulizia e ricapitalizzazione poi acquisizione.
Nei giorni scorsi è arrivata la notizia della cessione del pacchetto di sofferenze ad Atlante 2: 343 milioni pagati 65 milioni. Questa somma sarà sottratta dal capitale fresco che il Fondo di risoluzione dovrà iniettare nella banca ferrarese per rafforzare il capitale prima delle nozze. Cedute le sofferenze e fatta la ricapitalizzazione mancheranno soltanto le autorizzazioni di BCE e del dipartimento concorrenza dell’Unione europea.
Sistema bancario a rischio buco
Se la cessione ad Atlante 2 delle sofferenze è una buona notizia per Cariferrara, è allo stesso tempo un pessimo segnale per il comparto bancario. È vero che ogni pacchetto di sofferenze ha una storia a parte e ogni cessione è preceduta da un’attenta valutazione delle garanzie e della salute dei crediti, ma resta il fatto che le ultime operazioni hanno visto un deciso crollo del prezzo.
Qualche mese fa i 2,2 miliardi di nuovi crediti deteriorati di Etruria, Marche e Chieti, ceduti prima del passaggio a UBI, sono stati acquistati sempre da Atlante al 32,5% di valore facciale: avevano caratteristiche simili a quelle di Nuova Carife anche se erano molto giovani e quindi, sulla carta, più semplici da gestire. Il portafogli di sofferenze di Cariferrara è composto sia da inadempienze probabili che da crediti deteriorati e sofferenze, con un 48% di crediti garantiti da immobili e per il rimanente 52% da crediti unsecured con una componente di leasing che arriva da Commercio e Finanza.

Comunque sia il prezzo è veramente basso e nettamente inferiore rispetto a quello messo a bilancio dalle banche. Gli 86,9 miliardi di sofferenze nette registrate a fine anno da Bankitalia saranno da una parte diminuiti con le operazioni fatte nei primi mesi del 2017, ma, allo stesso tempo, aumentate con nuovi crediti malati accumulati nel primo semestre. Preso quindi questo dato per buono e calcolando un prezzo del 19% ballano 60 miliardi. Se le banche italiane cedessero le sofferenze il sistema avrebbe un buco di circa 60 miliardi a fronte di uno scudo statale per le banche in difficoltà da 20 miliardi. Nonostante i tentativi di nascondere la polvere sotto il tappeto, la montagna di sofferenze sovrastimate che le banche hanno in bilancio resta lì e prima o poi quando verranno fuori saranno dolori per tutti. 

sabato 6 ottobre 2012

Sale il grido di protesta della scuola italiana.

mainfestazione

Giornata di manifestazioni e proteste per il mondo della scuola. In tutte le principali città italiane, da Roma a Milano, Torino, Napoli, Bologna e Palermo i giovani sono scesi in piazza. Il motivo?
Le manovre del governo Monti sulla scuola, che non stanno risolvendo i problemi di una situazione già ai limiti della sopportazione: strutture e risorse ridotte al minimo, cui si sommano inesorabili, governo dopo governo, tagli orizzontali e nessuna vera politica di rilancio, precariato come costante nella vita dei professori. 
A catalizzare l'attenzione dei media sono stati però gli scontri che hanno visto protagonisti gruppi isolati di manifestanti e la polizia.
L'Italia dei Valori, che da sempre appoggia le legittime proteste del mondo della scuola e della cultura, ha espresso anche oggi solidarietà verso le ragioni della protesta, a cominciare dal presidente Antonio Di Pietro: "Ci chiediamo quanto ancora debba crescere la tensione tra i giovani prima che il governo si decida a cambiare radicalmente linea sulla scuola, sul lavoro e sulle politiche contro la precarietà. L’inizio dell’anno scolastico è stato segnato dalle lotte ai precari, dai problemi legati all’edilizia scolastica e dalle notizie sulla crescente disoccupazione giovanile. L’Italia dei Valori condanna fermamente ogni forma di violenza e si augura che il governo non lasci inascoltato il grido disperato di protesta che giunge dalle piazze italiane".

"Tutto il mondo dell’istruzione è in subbuglio, il Governo non riesce più a contenere il disagio provocato da politiche scolastiche antidemocratiche e incostituzionali", ha dichiarato Pierfelice Zazzera, Vicepresidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati. "Di fronte alle legittime proteste di chi non intende mercificare il sapere e trasformare le scuole in aziende, non si può rispondere con i manganelli, questo Governo pensi piuttosto a ritirare i provvedimenti scandalosi quali legge Aprea e concorso che stanno portando alla privatizzazione della conoscenza. È evidente che quanto sta accadendo è la conseguenza del dissenso verso chi non ascolta i cittadini perché è servo della finanza e dei banchieri. Il Ministro dell’Istruzione, non può non sentirsi responsabile per quanto sta accadendo in queste ore nelle piazze italiane, e farebbe bene a dimettersi".

Sulla vicenda è intervenuta anche Giulia Rodano, responsabile nazionale del dipartimento Cultura e istruzione IdV: "Le manifestazioni studentesche di oggi sono un segnale del disagio, della protesta e delle tensioni che stanno montando nel mondo giovanile e della scuola. Sono l'altra faccia della politica dei tagli indiscriminati all'istruzione, della riduzione dell'offerta formativa, della delegittimazione e della umiliazione  delle decine di migliaia di precari della scuola..." [leggi l'intervento integrale di Giulia Rodano].

Sulle ragioni della protesta, scende nel dettaglio Rosario Coco, responsabile Cultura dei giovani dell’Italia dei Valori: “L'anno scolastico è partito tra mille difficoltà: strutture inagibili e risorse ridotte all’osso, mentre le tasse universitarie continuano ad aumentare e le borse di studio stentano a essere erogate anche ai cosiddetti ‘idonei’. L'ultimo rapporto OCSE vede l’Italia al penultimo posto per le spese destinate all’istruzione e conferma che il numero dei laureati è pari alla metà della media degli altri Paesi. Siamo inoltre il fanalino di coda per il numero di borse di studio che vengono assegnate, meno del 20%. La scuola e l’università, che rappresentano la speranza e il futuro del nostro Paese, sono un pilastro fondamentale che non può essere indebolito ulteriormente. Per questo, i Giovani IDV si attiveranno nelle piazze e nelle istituzioni affinché il Governo si adoperi per reperire, una volta per tutte, le risorse necessarie per restituire dignità alla scuola pubblica”.

Chiosa così, il senatore Stefano Pedica: "La politica si è fino ad ora dimostrata debole, incapace di ascoltare le istanze dei giovani e le inquietudini di chi non riesce a vedere alcun barlume positivo nel proprio futuro. I tagli alla scuola, l'aumento delle tasse, le strutture fatiscenti hanno compromesso in alcuni casi anche il diritto allo studio, sancito dalla Costituzione. Così non si può più andare avanti".


http://www.italiadeivalori.it/home/cultura-e-istruzione/17864-sale-il-grido-di-protesta-della-scuola-italiana