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mercoledì 17 marzo 2021

Incendi e distruzione, il coordinamento regionale scrive a Musumeci. - Nicola Baldarotta

 

Una rete che comprende 40 sigle di associazioni della Sicilia, unite dalla convinzione che non c'è più tempo da perdere.

L’allarme è rimasto inascoltato sin troppo tempo e la Sicilia brucia ancora, brucia da almeno trent’anni con intensità crescente e ormai intollerabile. I gravissimi incendi estivi e autunnali dell’anno scorso hanno devastato l’ambiente e riproposto l’incubo del 2017, l’annus horribilis in cui l’Isola ha raggiunto il triste primato di regione con la più estesa superficie bruciata in Italia (34.221 ettari totali di cui 15.785 di bosco, secondo il rapporto della Commissione Europea – JRC Technical Report 2017).

Il 2020 non è stato da meno, come i gravissimi incendi di Montagna Grande, Altofonte, Riserve di Monte Cofano e Zingaro, Selinunte, Parco dell’Etna, Noto, Bosco di San Pietro, Scorace, Peloritani (solo per citarne alcuni) dimostrano chiaramente. In base alle stime ricavate tramite l’EFFIS (European Forest Fire Information System) la superficie totale bruciata in Sicilia dall’1 giugno al 30 ottobre 2020 ammonterebbe a 35.900 ettari. Una cifra enorme, che supera quella del 2017 e che denuncia la drammatica gravità del fenomeno. La questione degli incendi dolosi in Sicilia è un problema ormai sistemico che mette in serio repentaglio l’ambiente, impoverendo il paesaggio e riducendo la biodiversità. Ad ogni incendio aumenta la fragilità del terreno e il rischio di frane e inondazioni. Muoiono migliaia di rettili, piccoli volatili e varie specie di mammiferi. Spesso anche gli insediamenti urbani sono lambiti dalle fiamme e l’incolumità delle persone messa in pericolo. Ma non solo, gli incendi appiccati nella stagione estiva e in zone di alto pregio turistico, come Parchi e Riserve, arrecano gravi danni all’economia dell’Isola e ne ledono l’immagine, anche all’estero.

Una situazione intollerabile contro cui varie associazioni ambientaliste e liberi cittadini hanno deciso già quattro anni fa di lanciare una vasta campagna di denuncia e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, culminate con la Marcia dello Zingaro del 25 agosto 2017 e la stesura di un dettagliato dossier sull’inefficienza della politica forestale siciliana, consegnato alla Procura di Trapani nel dicembre dello stesso anno. A distanza di quasi quattro anni, a seguito dei devastanti incendi di quest’estate, quel gruppo di associazioni si è allargato fino a diventare l’attuale Coordinamento Regionale Salviamo i Boschi. Una rete che comprende 40 sigle di associazioni provenienti da varie province della Sicilia con storie diverse alle spalle, ma tutte unite dalla convinzione che non c’è più tempo da perdere: l’emergenza incendi deve diventare una priorità nell’agenda della politica regionale,così come l’intera questione ambientale. Per dare forza alle proprie richieste il Coordinamento ha lanciato una petizione su Change. Org che, ha raggiunto circa 45.000 firme.

“Quelle richieste, insieme ad altre che abbiamo formulato in seguito, approfondendo il tema e confrontandoci con esperti in materia, fanno parte di un documento che abbiamo inviato al Presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci. Siamo consapevoli – scrivono – che il problema è complesso e di non facile soluzione, ma siamo anche convinti che finora non ci sia stata nessuna reale volontà politica di affrontarlo, a partire da una seria riforma del Corpo Forestale, di cui si parla da anni e che ancora non riesce a venire alla luce”. Non c’è più tempo da perdere, in pratica. Dimostrano, studi e dati alla mano, che gli incendi sono dovuti a varie cause: interessi economici, incuria, ritorsioni personali o politiche, negligenze, distrazioni, piromania.

Tra i fattori principali c’è l’abbandono dei boschi privati e la loro espansione nelle aree marginali ex-agricole che forniscono grande quantità di legna combustibile a disposizione dei malintenzionati. Altro fattore fortemente predisponente sono i cambiamenti climatici in corso, che hanno aggravato i tradizionali problemi derivanti dalle alte temperature estive, dalle molte giornate di scirocco e dalla siccità prolungata. “Il dato preoccupante, che viene evidenziato anche dal Piano AIB 2015 e confermato dalla relazione annuale di Greenpeace 2020, è che tre incendi su quattro hanno origine dolosa. L’accertamento delle motivazioni precise è un lavoro non facile e che compete ai nuclei investigativi della Forestale e alla Magistratura, quello che emerge con chiarezza e che qui interessa sottolineare è che la causa principale del propagarsi degli incendi è l’insufficiente opera di prevenzione”. Mancano i piani di gestione o assestamento forestale che, in ogni bosco, potrebbero guidarne la pulizia, il presidio e la polifunzionalità.

“Lo stesso piano AIB regionale è stato aggiornato con forte ritardo rispetto ai tempi e rimane comunque in buona parte inattuato. Inoltre per ritardi dovuti all’approvazione del bilancio in sede regionale, i lavori di pulizia e sistemazione delle strisce taglia fuoco,invece di concludersi a metà giugno, come previsto per legge, iniziano quasi sempre a lugliorisultando oltremodo tardivi e pressoché inutili”. La situazione sarebbe aggravata anche dalla forte riduzione numerica delle guardie del Corpo forestale regionale (sono appena 500 in tutta l’Isola di cui 350 effettivamente sul campo) e dal mancato turn over del personale qualificato che guidava i lavori di prevenzione; inoltre l’età avanzata e la quasi totale precarietà del personale operaio ostacolano la buona gestione del bosco. Lo stesso dicasi per il personale addetto allo spegnimento (AIB), ormai in buona parte in età avanzata (età media 56 anni) e fisicamente non adatto al ruolo.

“Inoltre il controllo del territorio da parte del Corpo Forestale e delle Forze dell’Ordine è carente – sottolineano nella lunga e dettagliata lettera inviata a Musumeci – e nelle giornate a maggior rischio incendi non viene garantita la necessaria vigilanza delle vie d’accesso alle aree boschive. In alcuni casi manca anche il dovuto coordinamento tra Vigili del Fuoco, Protezione civile e Forestale durante le operazioni di spegnimento. Perdurando queste condizioni il problema degli incendi in Sicilia è destinato ad aggravarsi ulteriormente e a cronicizzarsi”. Alla luce di tutte queste considerazioni il “coordinamento Salviamo i boschi – Sicilia” sollecita l’applicazione di specifiche misure contro gli incendi boschivi a partire dalla riforma del settore privilegiando la pianificazione forestale regionale (il PFR) e rendendo obbligatori, per superfici superiori a 30 ettari, i Piani di gestione e assestamento forestale (PGAF).

Sono venti, complessivamente i punti che sottopongono con urgenza all’attenzione dell’Amministrazione regionale: dall’individuazione di eventuali negligenze e omissioni di dirigenti ed operatori forestali nell’applicazione delle norme di prevenzione, alla gestione pubblica dei canadair. E, in mezzo, tutta una seria di proposte come rendere obbligatoria da parte dei Comuni la redazione del Catasto degli Incendi e il perfezionamento del coordinamento tra le varie strutture, Corpi e Associazioni preposte alle operazioni di spegnimento degli incendi.

“Secondo i nostri calcoli – affermano – tra il 29 e il 31 agosto 2020 oltre a 2.198 ettari di aree boscate e 1.922 ettari di aree vegetazionali, sono andati in fumo almeno 700.700 euro per le operazioni di spegnimento aereo (i.e. 1300 euro x 539 lanci da Canadair, senza contare quelli da elicottero). Una spesa inammissibile che, per di più, non ha evitato la distruzione della Riserva dello Zingaro e del Bosco della Moarda, per citare solo due dei più famosi incendi (37) di quel terribile fine settimana”. La lettera a Musumeci è stata inviata lo scorso 9 marzo. Oltre ai punti riguardanti l’operatività e la prevenzione, le 42 associazioni che fanno parte del coordinamento, chiedono anche che venga prontamente istituita una Commissione di Inchiesta Regionale che si occupi, specificatamente, del problema degli incendi, in quanto atto terroristico contro il patrimonio collettivo e la salute dei cittadini, e che si faccia promotrice di indagini rigorose in grado di individuare esecutori materiali e mandanti e smascherare gli interessi che ruotano attorno agli incendi ed eventuali connivenze politiche.

Fonte: LiveSicilia

martedì 3 novembre 2020

Terapie intensive vicine alla soglia critica del 30% di occupazione: in 8 Regioni è già rischio collasso. – La diretta.

 

In cima alla 'lista nera' c'è la Valle d’Aosta che ha toccato ormai il 60% di saturazione dei suoi posti letto in rianimazione, seguita da Umbria al 47%, Lombardia e provincia autonoma di Bolzano (42%). Numeri che arrivano sul tavolo del governo, alle trattative finali con i governatori per l'approvazione del nuovo dpcm. Anelli (Federazione medici): "Seconda ondata rischia di essere uno tsunami, malati Covid riducono la possibilità di garantire le cure agli altri".

Tutte le terapie intensive degli ospedali italiani sono vicinissime alla soglia del 30% di posti letto occupati da pazienti Covid-19, definita “critica” dal ministero della Salute. La media italiana si attesta infatti al 28%, ma è allarme rosso in 8 Regioni, che l’hanno già ampiamente superata. In cima alla ‘lista nera’ la Valle d’Aosta che ha toccato ormai il 60% di saturazione dei suoi posti letto in rianimazione, seguita da Umbria al 47%, Lombardia e provincia autonoma di Bolzano (42%), Toscana (39%), Marche (35%), Piemonte (34%) e Campania (33%).È quanto emerge dai dati, aggiornati al 2 novembre, elaborati dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi Sanitari regionali. Numeri che atterrano direttamente sul tavolo del governo, alle prese con le fasi finali della trattativa con i governatori per il varo del nuovo dpcm atteso in serata. E che avranno un peso (insieme all’indice di contagio Rt) nella scelta di quali Regioni inserire in una delle tre fasce di rischio previste dall’esecutivo per evitare un lockdown su scala nazionale.

Tra le Regioni vicine alla soglia del 30% ci sono anche la Liguria (27% di posti letto occupati) e l’Emilia Romagna (25%), mentre PugliaSardegna e Sicilia registrano un 24% di occupazione dei posti letto di terapia intensiva. CalabriaLazioAbruzzo e provincia autonoma di Trento si attestano intorno al 22%, seguite da Friuli Venezia Giulia (21%), Basilicata (20%) e all’ultimo posto il Veneto con il 16% di posti occupati. Il problema è che l’andamento della curva delle ultime settimane rischia di portare a saturazione anche questi territori, al netto degli ulteriori posti letto ancora attivabili in base alla dotazione di ventilatori polmonari e altre attrezzature fornite dal commissario all’emergenza Domenico Arcuri alle Regioni. In Veneto, dove nelle ultime 24 ore sono stati registrati 2.298 nuovi casi e 31 decessi, il governatore Luca Zaia ha chiarito che si prevedono “giorni impegnativi per le terapie intensive: ieri abbiamo ‘caricato’ 12 nuovi pazienti, oggi a metà giornata ce ne sono già una decina. Quindi – ha tenuto a sottolineare – ci stiamo avvicinando alla fase più acuta dell’epidemia”.

Torna a lanciare l’allarme sull’impatto del Covid sugli ospedali anche Filippo Anelli, il presidente della Federazione degli Ordini dei medici italiani. “La preoccupazione dei medici è che questa seconda ondata non sia una mareggiata, ma uno tsunami che potrebbe travolgere il sistema sanitario. Per questo chiediamo al governo misure più aggressive”, si legge in un post su Facebook. “Il problema oggi – sostiene – riguarda la tenuta del sistema sanitario, perché l’occupazione progressiva dei posti da parte di malati Covid riduce via via la possibilità di garantire cure agli altri ammalati. Andando avanti così, la situazione potrebbe sfuggirci di mano”. D’altronde i dati dei contagi parlano chiaro: ieri, anche se in numeri assoluti i nuovi casi sono diminuiti rispetto al weekend, il tasso di positività sui tamponi effettuati è rimasto invariato. Allo stesso tempo la pressione sugli ospedali è continuata ad aumentare: attualmente sono 2.022 i pazienti assistiti in terapia intensiva in tutto il Paese, di cui 435 solo in Lombardia. I posti letto occupati nei reparti Covid, invece, sono 19.840. Un andamento che, in assenza di nuove misure, rischia di portare diverse Regioni – Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna – alla saturazione al 100% dei posti letto in ospedale, di fatto paralizzando il sistema sanitario. Da qui la decisione del governo di ricorrere a un nuovo dpcm con regole ancora più stringenti, fino al “lockdown light” alla tedesca (così l’ha definito la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa) per le Regioni più colpite dalla pandemia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/03/terapie-intensive-vicine-alla-soglia-critica-del-30-di-occupazione-in-8-regioni-e-gia-rischio-collasso-i-dati/5989926/

La colpa, naturalmente, è di Salvini e dei negazionisti che hanno manifestato contro le restrizioni emanate dal Governo, scorrazzando lungo le strade senza mascherine.
Io chiedo di essere protetta, è un mio diritto, come è un mio diritto esercitare libertà di movimento, pertanto chiedo agli organi preposti:
di far rispettare le leggi, e di punire adeguatamente chi non le rispetta, perchè mi priva della libertà di movimento, provoca danni all'economia, e mette a rischio le strutture ospedaliere già sature di ricoverati per coronavirus.
C.

martedì 24 marzo 2020

AMERICANIZZAZIONE DELL’ITALIA, UN DISASTRO ANNUNCIATO. - Francesco Ersparmer


Ricordo che quando alcuni anni fa (neanche troppi, tre o quattro, eppure sembrano un’era geologica) cominciai a segnalare i crescenti indizi di americanizzazione del paese e la brusca accelerazione che al processo aveva dato il Pd renziano, in molti mi accusarono di allarmismo ingiustificato: certe cose in Italia non accadranno mai, dicevano. Per esempio il precariato e la mobilità obbligatorie, i licenziamenti facili, il lavoro a cottimo, la sanità e scuola a pagamento, la privatizzazione del settore pubblico e la svendita agli stranieri del made in Italy. Invece sono accadute. Adesso inizia l’epoca del 24/7, dei negozi e servizi aperti a tutte le ore e tutti i giorni, feste comandate comprese, come negli Stati Uniti. L’effetto non sarà soltanto quello di affossare ulteriormente il piccolo commercio e le imprese familiari, che non possono competere con questi ritmi; il vero obiettivo è sfasciare le comunità e indebolire la solidarietà sociale eliminando tutte le occasioni di vita collettiva, tutte le manifestazioni di appartenenza, promuovendo pratiche individualiste, asociali, di nicchia, con un consumismo compulsivo come unico elemento di aggregazione. Pieno appoggio ai lavoratori che protestano contro l’apertura dell’Orio Center a Natale e Capodanno . E appoggio anticipato e incondizionato anche a chi proponesse di mettere fuori legge l’Orio Center e tutte le americanate di quel tipo. F.E:

Pubblicato 

https://www.alganews.it/2017/11/16/americanizzazione-dellitalia-un-disastro-annunciato/

In Italia la seconda repubblica ha espresso il tentativo di americanizzare l’Italia. I suoi fondamenti sono stati la liberalizzazione dell’editoria e dell’informazione, la sostituzione del proporzionale con un sistema elettorale maggioritario e personalistico (a cominciare da comuni e regioni), la frammentazione dello Stato in una federazione di pseudo staterelli regionali, la graduale privatizzazione di settori vitali per la sicurezza e sovranità nazionale quali la sanità, la scuola, i trasporti e l’energia. A iniziare il processo, già negli anni 80, erano stati i radicali; un’accelerazione gliel’ha data Berlusconi con le sue televisioni ma non avrebbe avuto successo senza l’attiva collaborazione di personaggi come Prodi, Veltroni, Bonino, Renzi, Salvini e parte della Lega.
Ma cosa significa americanizzare un paese? Per capirlo vi porto alcuni esempi di ciò che avviene negli Stati Uniti, anche in questi momenti di grave difficoltà per tanta gente.
Walmart, la più grande corporation per numero di dipendenti, non riconosce le assenze per malattia; chi sta male deve usare le sue ferie (che per tanti lavoratori ammontano a due giorni all’anno, per gli altri pochi di più) e quando finiscono smette di ricevere lo stipendio.
Amazon, una delle società più ricche del mondo, l'anno scorso è riuscita a non pagare praticamente nulla di tasse. Se infetti di coronavirus, i suoi dipendenti hanno diritto a un massimo di due settimane di congedo retribuito. A chiunque abbia altre malattie o sia infortunato, solo ferie non pagate. Inoltre gli straordinari sono obbligatori e chi li rifiuta viene licenziato.
Ancora più significativo il fatto che nel pacchetto per salvare l’economia attualmente in discussione, repubblicani e democratici siano d’accordo che dall’obbligo di offrire 14 giorni di congedo pagato ai malati di covid-19 (e solo a loro) vadano esentate le corporation con più di 500 impiegati. Sì, avete letto bene: non le piccole e medie imprese: quelle grosse. In modo che possano usare questa tragedia per espandere il loro monopolio. Cosa che Amazon sta già facendo sostituendosi all’intera struttura commerciale, chiusa per decreto.
E poi il sistema sanitario. Che rispetto all’Italia ha un vantaggio, per i benestanti; non essendoci di fatto strutture pubbliche, quelle private, quando non fossero in grado di accogliere tutti, selezioneranno chi può pagare di più. Quanto ai ricchi, si stanno comprando i loro ventilatori privati, da tenere inutilizzati finché non servissero a loro.
L’America non era così trent’anni fa: i liberisti si muovono in fretta e se vi distraete un attimo l’Italia finirà allo stesso modo. O magari questo modello vi piace: ricordo un giovane tassista milanese che la scorsa estate, prendendomi per uno straniero, mi disse in buon inglese che la cosa da vedere in città era Starbucks, altro che Duomo o Scala; e allora avete ragione a sostenere Salvini e a tollerare Renzi, i due amerikani de noantri: è lì che vi porteranno.


pubblicato da Francesco Eesparmer su fb il 24.03.2020

https://www.facebook.com/frerspamer

mercoledì 14 agosto 2019

La crisi si allunga. Per Salvini si mette male. Il Capitano scopre che il Senato non è il Papeete Beach. - Clemente Pistilli

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Aprire una crisi di governo non è come farsi un selfie o lanciare due slogan in una diretta Facebook. Un concetto che non sembra molto chiaro a Matteo Salvini, che ieri ha incassato così la prima sconfitta. Il suo progetto di sfiduciare subito il premier Giuseppe Conte e andare altrettanto in fretta a nuove elezioni ha infatti subito una battuta d’arresto appena iniziato il primo dibattito in Parlamento, con la conferenza dei capigruppo del Senato che non ha trovato l’accordo sul calendario per avviare la discussione in Aula. A decidere saranno così direttamente i senatori, convocati per oggi pomeriggio.
LO STOP. L’obiettivo ieri dei capigruppo della Lega, di Fratelli d’Italia e di Forza Italia a Palazzo Madama era quello di far intervenire Conte al Senato il 14 agosto e sfiduciarlo. Tutti gli altri, dal Movimento 5 Stelle al Pd, hanno puntato invece sul 20 agosto come data in cui far intervenire il presidente del consiglio. La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che sembra in questi giorni particolarmente attenta a non scontentare la Lega, ha a quel punto deciso di far fissare il calendario direttamente all’Aula, come previsto dal regolamento. Un’iniziativa che ha fatto infuriare soprattutto Pd e Leu. “Una forzatura gravissima. I diktat della Lega non possono cambiare i numeri in Parlamento e l’aula lo dimostrerà”, ha dichiarato il renziano Andrea Marcucci. Oggi, alle 18, decideranno quindi i senatori e sembra quasi scontato che tutto slitti al 20 agosto e che la posizione leghista sia destinata a risultare minoritaria, potendo contare M5S, Partito democratico e gruppo misto su una maggioranza di 173 senatori.
LO SCENARIO. Per Salvini inizia a tirare una brutta aria e la fiducia che ieri sera si è affrettato a dire di avere nelle scelte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sembra più che altro un auspicio del Capitano. Anziché vedere Conte in aula costretto a incassare la sfiducia, il leader della Lega che sperava di scrollarsi in fretta di dosso il Movimento 5 Stelle rischia infatti di dover assistere alla lettura di una dura informativa da parte del premier, che a quel punto, senza essere sfiduciato, potrebbe uscire da Palazzo Madama, recarsi al Quirinale, rimettere il mandato e ricevere però dal Capo dello Stato un nuovo mandato esplorativo per sondare le possibilità di mettere in piedi una maggioranza alternativa a quella giallo-verde. Con una simile prospettiva Salvini potrebbe finire logorato e non ci sarebbe beach-tour in grado di risollevarlo.
LA RESISTENZA. A mostrare come il Capitano non sia poi più tanto sicuro della crisi da lui aperta è inoltre il particolare che non ha ancora ritirato i suoi ministri, come gli ha chiesto ieri di fare il vicepremier Luigi Di Maio. Tutti asserragliati nei dicasteri. A partire da lui che, viste anche le pesanti inchieste in corso, sembra deciso a tenersi stretto fino all’ultimo il Viminale. La strada è dunque lunga e tortuosa e nessuno sinora sembra avere la vittoria in tasca, neppure Salvini che dopo il Papeete voleva far ballare con i ritmi da lui imposti tutto il Paese incurante del Parlamento. Un particolare evidente nelle stesse parole del capogruppo leghista Massimiliano Romeo: “Sembriamo non avere i numeri”.

http://www.lanotiziagiornale.it/la-crisi-si-allunga-per-salvini-si-mette-male-il-capitano-scopre-che-il-senato-non-e-il-papeete-beach/

domenica 14 aprile 2019

Julian Assange dopo l'arresto: "Te l'avevo detto". - Ruth Brown

Julian Assange

Julian Assange ha un messaggio per i suoi sostenitori dopo essere stato arrestato all'ambasciata ecuadoriana a Londra giovedì: "Te l'avevo detto".
L'avvocato del fondatore di WikiLeaks, Jennifer Robinson, ha trasmesso il messaggio dopo averlo incontrato nelle "celle della polizia" mentre si rivolgeva ai giornalisti fuori dalla corte dei magistrati di Westminster.
"Dal 2010 abbiamo avvertito che Julian Assange si arresto, troverebbe ad affrontare procedimenti giudiziari ed estradizione per le sue attività editoriali con WikiLeaks. Sfortunatamente oggi, abbiamo avuto ragione, "ha aggiunto.
"Questo costituisce un pericoloso precedente per tutte le organizzazioni dei media in Europa e nel mondo. Questo precedente significa che qualsiasi giornalista può essere estradato per l'accusa negli Stati Uniti per aver pubblicato informazioni veritiere sugli Stati Uniti. "
Assange è stato trascinato fuori dall'ambasciata giovedì scorso e gli ha schiaffeggiato le manette dopo che l'Ecuador ha revocato il suo asilo politico.
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha successivamente rivelato di essere stato accusato di cospirazione per hackerare un computer governativo con Chelsea Manning.
(tradotto da Google)

lunedì 21 novembre 2016

LA RIFORMA RENZI: UN’AGGRESSIONE ALLE GARANZIE COSTITUZIONALI. - LUIGI FERRAJOLI

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La tesi ripetuta con più insistenza dai sostenitori del Sì al referendum costituzionale è che la riforma non tocca la prima parte della Costituzione, cioè i diritti fondamentali e le garanzie, ma solo la seconda parte, dedicata all’ordinamento della Repubblica. Formalmente, questo è vero. Nella sostanza, purtroppo, è vero il contrario. Da questa riforma risultano indebolite tutte le garanzie costituzionali. Al punto che è legittimo il sospetto che proprio questo sia il suo principale obiettivo.
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Grazie all’azione congiunta della riforma del Parlamento e della legge elettorale maggioritaria verrà infatti sostanzialmente soppresso quello che è il tratto distintivo delle costituzioni antifasciste del secondo dopoguerra: il loro ruolo di limitazione del potere politico e la stessa garanzia della rigidità costituzionale, cioè l’impossibilità di modificare la Costituzione se non con larghissime maggioranze. Domani, se questa riforma passerà, chi vincerà le elezioni entrerà in possesso, di fatto, dell’intero assetto costituzionale. Ma le elezioni saranno vinte dalla maggiore minoranza: verosimilmente, da un partito o da una coalizione votati dal 25 o dal 30% dei votanti, corrispondenti, tenuto conto delle astensioni, al 15 o al 20% degli elettori. Grazie alla legge elettorale maggioritaria, questa infima minoranza otterrà la maggioranza assoluta dei seggi, con la quale potrà fare ciò che vuole, incluse le manomissioni della Carta costituzionale. Questo, del resto, è esattamente ciò che ha fatto la maggiore minoranza presente in questo Parlamento, approvando la sua riforma con la maggioranza fittizia conferitagli dal Porcellum dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale e sostanzialmente riprodotto dal cosiddetto Italicum.
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Non solo. L’artificiosa maggioranza assoluta assegnata automaticamente e rigidamente alla maggiore minoranza consentirà al vincitore delle elezioni di eleggere da solo, a sua immagine e somiglianza, tutte le istituzioni di garanzia: il Presidente della Repubblica, i membri di nomina parlamentare della Corte costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura e delle altre autorità cosiddette “indipendenti”. L’intero sistema politico ne risulterà squilibrato per il venir meno di tutti gli checks and balances, cioè dell’intero sistema dei freni e contrappesi. Le istituzioni di garanzia non saranno più tali, cioè in grado di limitare e controllare i poteri di governo, ma saranno ridotte a espressioni della maggioranza e del suo governo e, di fatto, con questo solidali.
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Ma l’aggressione ai diritti fondamentali, e in particolare ai diritti sociali – alla salute, all’istruzione, alla previdenza, alla sussistenza – potrà avvenire, come l’esperienza insegna ma come avverrà assai più agevolmente con questa nuova costituzione, anche senza alterare la prima parte del testo costituzionale. E’ infatti la “governabilità”, ripetono i sostenitori del SI, la grande conquista realizzata da questa riforma. Riservando la fiducia al governo alla sola Camera, nella quale la maggiore minoranza avrà automaticamente la maggioranza assoluta dei seggi, la sera delle elezioni sapremo non solo chi ha vinto, come ripetono i sostenitori della riforma, ma anche chi sarà il capo che ci governerà per cinque anni, senza limiti, né controlli né compromessi parlamentari. Matteo Renzi ripete che non c’è nessuna norma nella riforma che aumenti i poteri del presidente del Consiglio.
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Di una simile norma, infatti, non c’è affatto bisogno, essendo l’aumento e la concentrazione dei poteri nel governo e nel suo capo l’ovvio risultato dell’esautorazione del Parlamento, della neutralizzazione delle istituzioni di garanzia e dell’indebolimento delle autonomie regionali. Grazie a questo squilibrio nei rapporti tra i poteri, la nostra democrazia parlamentare si trasformerà in un sistema autocratico, verticalizzato e personalizzato, ben più di quanto accada in qualunque sistema presidenziale, per esempio gli Stati Uniti, dove è comunque garantita, oltre alla separazione tra Stati federati e governo federale, la totale indipendenza del Congresso dal Presidente e perciò la separazione del potere legislativo in capo al primo dal potere esecutivo in capo al secondo.
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Domandiamoci allora, cosa vuol dire questa decantata governabilità? Può voler dire capacità di governo. In questo senso, certamente, la massima governabilità si è avuta nei primi 35 anni della Repubblica: allorquando – grazie a questa Costituzione, al sistema elettorale proporzionale, alla centralità e rappresentatività del Parlamento e, insieme, alla più forte opposizione e al conflitto di classe più aspro di tutto l’occidente capitalistico – è stata costruita la democrazia e lo Stato sociale e l’Italia, che era tra i paesi più poveri dell’Europa, è diventata la quinta o sesta potenza economica mondiale.
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Ma “governabilità”, nel lessico politico odierno, vuol dire soltanto potere di comando, senza limiti dal basso, grazie alla smobilitazione sociale dei partiti, e senza limiti e vincoli dall’alto, grazie al venir meno dei freni e contrappesi e la scomparsa della Costituzione dall’orizzonte della politica. E’ questa la governabilità inseguita da 30 anni – prima da Craxi, poi da Berlusconi e oggi da Renzi – attraverso la semplificazione e la verticalizzazione dell’assetto costituzionale intorno al governo e al suo capo: una governabilità necessaria alla rapida e fedele esecuzione dei dettami dei mercati. E’ questo, e non altro, il senso delle riforme istituzionali di Matteo Renzi. “Ce le chiede l’Europa”, ripetono i nuovi costituenti a proposito delle loro riforme. Ce le chiede l’ambasciatore degli Stati Uniti.
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Domandiamoci: perché? Perché mai i mercati, l’Unione Europea, gli Usa, le agenzie di rating, il gigante finanziario americano JP Morgan si preoccupano della riforma costituzionale italiana, delle nuove competenze del nostro Senato e della nostra legge elettorale? Sono gli stessi giornali e le stesse forze politiche schierate a sostegno del SI che confessano apertamente le finalità della riforma. L’Europa, e tramite l’Europa i mercati, ci chiedono di sostituire alla centralità del Parlamento la centralità del governo e del suo capo perché solo così può realizzarsi questa agognata governabilità, cioè l’onnipotenza della politica nei confronti dei cittadini e dei loro diritti, necessaria perché si realizzi la sua impotenza nei confronti dei grandi poteri economici e finanziari. Solo se avrà mani libere nei tagli alle spese sociali, il governo potrà trasformarsi in un fedele esecutore dei dettami di quei nuovi sovrani invisibili, anonimi e irresponsabili nei quali si sono trasformati i cosiddetti “mercati”.
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Si capisce allora il nesso tra la lunga crisi della democrazia italiana nell’ultimo trentennio e l’aggressione alla Costituzione del 1948. All’aggravarsi di tutti gli aspetti della crisi – il discredito e lo sradicamento sociale dei partiti, la loro subalternità all’economia e alla finanza, l’opzione comune e sempre più esplicita per le controriforme in materia di lavoro e di stato sociale – ha fatto costantemente riscontro il progetto di indebolire il Parlamento e di rafforzare il governo tramite modifiche sempre più gravi delle leggi elettorali e della seconda parte della Costituzione repubblicana: dapprima, negli anni Ottanta, il progetto craxiano della “grande riforma”, poi i tentativi delle Commissioni Bozzi, De Mita-Jotti e D’Alema; poi l’aggressione ben più di fondo alla Costituzione da parte del governo Berlusconi con la riforma del 2005, bocciata dal referendum del giugno 2006 con il 61% dei voti; infine l’ultimo assalto da parte di questo governo.
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Di nuovo, come sempre, ciò che accomuna tutti questi tentativi, oltre all’argomento della “governabilità”, è l’intento del ceto di governo di far ricadere sulla nostra carta costituzionale la responsabilità della propria inettitudine. Del resto queste riforme costituzionalizzano ciò che di fatto in gran parte è già avvenuto. 

Già oggi, tra decreti-legge, leggi delegate e leggi di iniziativa governativa, la schiacciante maggioranza delle leggi è di fonte governativa. 

Già oggi, grazie alle mani libere dei governi, si è prodotto un sostanziale processo decostituente in materia di lavoro e di diritti sociali, con l’abbattimento di quell’ultima garanzia della stabilità dei rapporti di lavoro che era l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, i tagli alla scuola e alla ricerca, il venir meno della gratuità della sanità pubblica e la monetizzazione di farmaci e visite che pesa soprattutto sui poveri, al punto che ben 11 milioni di persone nel 2015 hanno dovuto rinunciare alle cure.
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Ebbene, l’attuale riforma equivale alla legittimazione popolare e al perfezionamento istituzionale di questo tipo di governabilità, nonché del processo decostituente che ne è seguito, interamente a spese dei soggetti più deboli. Si parla sempre del Pil come della sola misura della crescita e del benessere; mentre si tace sulla crescita delle disuguaglianze e della povertà e sul fatto che, per la prima volta nella storia della Repubblica, sono diminuite le aspettative di vita delle persone.
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Dall’esito del referendum dipenderà dunque il futuro della nostra democrazia: la conservazione sul piano normativo e la rivendicazione popolare della restaurazione di fatto del suo carattere parlamentare, oppure la legittimazione e lo sviluppo dell’attuale deriva anti-parlamentare; la riaffermazione della sovranità popolare, oppure la consegna del sistema politico alla sovranità anonima, invisibile e irresponsabile dei mercati; la legittimazione del governo dell’economia e della finanza, oppure la riaffermazione e il rilancio del progetto costituzionale; lo sviluppo degli attuali processi decostituenti, oppure il rafforzamento, contro future aggressioni, della procedura di revisione costituzionale prevista dall’articolo 138, rivelatasi debolissima ed esposta a tutti gli strappi e a tutte le incursioni più avventurose nel nostro tessuto istituzionale..

agora magazine, 26 ottobre 2016

sabato 17 novembre 2012

Cartelli di pericolo.



L'installazione di decine di cartelli stradali con la segnalazione di pericolo per caduta lacrimogeni è stata realizzata questa notte a Roma lungo Via Arenula proprio di fronte al Ministero della Giustizia. In questo modo pedoni e automobilisti possono essere avvisati di cadute accidentali di gas urticanti provenienti dal Ministero di cui è però incerta la provenienza. E' la prima azione artistica del gruppo 00KK (zerozerokappakappa) che con questa azione intende rendere un servizio ai cittadini romani dopo gli avvenimenti del 14 Novembre.

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