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venerdì 22 ottobre 2021

Gli Ultrà renziani. - Andrea Scanzi

 

Gli ultrà renziani, la più grande iattura tragicomica politica nella storia della repubblica italiana, sono sempre molto loquaci quando si tratta di frignare e denigrare politici e giornalisti. Quando però finiscono nella melma, cioè quasi sempre, perdono la favella. Cercherò dunque di aiutarli.
Lotti (che purtroppo sta ancora nel Pd, dove continua a fare più danni politici della grandine); Renzi; Boschi; sono tutti indagati nell’inchiesta Open. Daje ragazzi!
Finanziamento illecito ai partiti, corruzione, riciclaggio, traffico di influenze. Questi i vari capi d’accusa. Sono indagate 11 persone, di fatto i vertici del giglio magico, e 4 società. Secondo i magistrati della procura fiorentina la Fondazione Open avrebbe agito come l’articolazione di un partito e tra il 2012 e il 2018 avrebbe ricevuto “in violazione della normativa” sul finanziamento ai partiti circa 3,5 milioni di euro, spesi almeno in parte per sostenere direttamente l’attività politica della corrente renziana del Pd.
Scrivono Giuseppe Pipitone e Giovanna Trinchella sul Fatto: “Renzi, Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi sono indagati per l’ipotesi di reato di finanziamento illecito ai partiti perché “ricevevano, in violazione della normativa citata, i seguenti contributi di denaro che i finanziatori consegnavano alla Fondazione Open; somme utilizzate per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”. Si tratta di un totale di 3.567.562 euro dal 7 novembre 2014 all’11 luglio 2018”.
Per me tutto sono innocenti fino a prova contraria, e non ho mai contestato Renzi per motivi giudiziari (bensì per essere uno dei più grandi disastri mai abbattutisi nella storia della politica italiana). Quel che è sicuro è che se c’è qualcuno che non può parlare di politica e morale in Italia, sono proprio gli ultrà renziani. I Renzi, le Boschi e derivati. Nessuno peggio di loro. Nemmeno gli ultrà salviniani e meloniani (che è tutto dire).
Que viva 4 dicembre 2016, compañeros!

Andrea Scanzi (Fb)

mercoledì 22 settembre 2021

Bonetti ministra del tengo famiglia. Il posto ai renziani non si nega mai. Da Peradotto alla Manzione, staff zeppo di italovivi. Al costo di 600mila euro l’anno pagati dalla collettività. - Stefano Iannaccone

 

Un seguito di oltre venti collaboratori e consulenti per una spesa complessiva di circa 600mila euro. Ovviamente a carico di Palazzo Chigi. Insomma, la famiglia costa caro, specie se di mezzo c’è Elena Bonetti, ministra di Italia viva, per le Pari opportunità e la Famiglia, appunto.

AVANTI, C’è POSTO! Certo, non è il dipartimento o il ministero più costoso, ma è significativo il numero di renziani doc ricollocati nello staff con diversi ruoli. Spicca il nome del fedelissimo di Renzi, Mattia Peradotto, che nel 2020 ha firmato come tesoriere il bilancio di Italia viva, ed è stato ingaggiato come segretario particolare della ministra. La cifra complessiva è di 75mila euro all’anno, tra trattamento economico fondamentale e indennità. Inizialmente la retribuzione era più bassa di tremila euro, poi da marzo è arrivato il ritocco al rialzo.

La sua fede renziana è più che comprovata: dal 2016 al 2018 è stato al fianco di Francesco Bonifazi, tesoriere del Partito democratico durante la gestione Renzi. Immancabile, al fianco di Bonetti, la presenza di Antonella Manzione. Il suo nome è salito alla ribalta della cronaca quando nel 2014 da “dirigente comandante Polizia Municipale del Comune di Firenze”, come si legge dal suo curriculum, è balzata al vertice del Dipartimento degli affari giuridici e legislativi (Dagl) di Palazzo Chigi con la benedizione di Renzi.

Nel 2017 è poi entrata nel Consiglio di Stato. Ma alla consulenza politica non si dice mai di no. Perciò, dopo essere stata consigliera giuridica (a titolo gratuito) di Teresa Bellanova al ministero delle Politiche agricole, ecco sul tavolo l’incarico di “consigliere giuridico preposto al Settore legislativo” al dipartimento della Bonetti. Questa volta per 33mila euro all’anno. Ileana Chatia Piazzoni, ex deputata, non ha conquistato un seggio in Parlamento, ma ha ottenuto una consulenza di consolazione: è a capo della Segreteria tecnica della ministra. Compenso? 50mila euro annui.

Non è lo stesso di una parlamentare, ma bisogna accontentarsi. Il capo di gabinetto, per 53mila euro, è invece un componente dell’Avvocatura dello Stato, Massimo Santoro, già capo dell’ufficio legislativo al Mef, con Pier Carlo Padoan ministro del governo Renzi. A sussurrare alla ministra ci sono (seppure per una cifra meno cospicua, 7.500 euro) i docenti Mauro Magatti, sociologo e autore di editoriali per il Corriere della Sera, e Alessandro Rosina, economista e opinionista de La Repubblica.

COMUNICAZIONE A GO GO. Da buona renziana, Bonetti è molto attenta alla comunicazione. Per questo ha assunto, come social media manager, Nicolae Galea, compagno di Alessio Di Giorgi, il grande capo della comunicazione social di Italia viva. Proprio Di Giorgi, di recente ha attaccato Giuseppe Conte sul profilo dell’ex presidente del Consiglio, confermandosi – per l’ennesima volta – un guardiano digitale di Renzi. Per Galea, intanto, sono previsti 45mila euro di emolumento accessorio. La figura al vertice dell’ufficio stampa è affidata a Roberta Leone, dipendente della Cei, con qualche trascorso in testate del mondo cattolico.

Un’altra giornalista dello staff bonettiano è poi Beatrice Rutiloni, chiamata al dipartimento in qualità di esperta, per 45mila euro all’anno, alla voce retribuzione di posizione variabile. In passato ha scritto per Democratica e unita.tv, progetti editoriali del Pd voluti da Renzi, già capo ufficio stampa di Italia viva al Senato. Per poi occuparsi di famiglia con la ministra.

LaNotiziaGiornale.it

domenica 21 marzo 2021

Caduto Conte, Marcucci apre a 4 renziani le porte del Pd.


Il capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci non ha alcuna intenzione di lasciare la sua poltrona e rimettere il mandato nelle mani del neo-segretario Enrico Letta, come si sarebbero aspettati dal Nazareno. Non una mossa obbligatoria ma sarebbe stato un beau geste, come quello di Brando Benifei al Parlamento Ue, dopo l’elezione del nuovo segretario. E così, in vista di martedì, quando Letta riunirà i senatori dem, Marcucci non solo non si dimette ma prova a convincere il segretario che a capo dei senatori deve restarci lui. Entro martedì, infatti, Marcucci dovrebbe ufficializzare l’arrivo di tre senatori renziani che tornano a casa: Eugenio Comincini, Leonardo Grimani e Mauro Marino. Si parla anche della fuoriuscita dal gruppo di Iv per tornare nel Pd del deputato Camillo D’Alessandro che nelle ultime settimane aveva chiesto il congresso nel piccolo partito di Renzi. A metà gennaio, quando i giallorosa cercavano “responsabili” per salvare il governo Conte tra i senatori di Iv, era stato proprio Marcucci (spesso considerato una colonna renziana tra i dem) a frenare i nuovi arrivi ,mentre oggi apre loro le porte.

La mossa di Marcucci non serve solo a mostrare a Letta il suo controllo sul gruppo ma anche ad aumentare i voti per farsi rieleggere capogruppo: al momento su 35 senatori Pd, quelli di Base Riformista sono 22 e altri due voti potrebbero far comodo. Un attivismo, quello di Marcucci, che ha irritato il Nazareno proprio ora che Letta propone una norma contro il “trasformismo parlamentare”. Ieri intanto Renzi ha riunito l’assemblea nazionale di Iv e lanciato la “primavera delle idee”: tre mesi di dibattiti web per “entrare in sintonia col Paese” in vista della Leopolda autunnale. Poi l’ex premier ha sfidato Letta e il Pd: “Su giustizia, sud, cantieri e lavoro decida se stare con noi o con il M5S” ha detto. Infine ha fatto capire che qualcuno potrebbe andarsene: “Chi non vuole stare con noi lo salutiamo”. Nei prossimi giorni, a inizio settimana, Letta e Renzi si incontreranno.

IlFattoQuotidiano

sabato 20 febbraio 2021

Cingolani ha scelto i suoi tecnici: renziani e targati Confindustria. - Marco Palombi

 

Transizione poco ecologica.

La battaglia su quale futuro economico e industriale dare al Paese, grossa parte della quale si svolge su quanto greenwashing ci sarà nell’ormai famigerata “transizione ecologica”, è centrale in questa fase. L’assetto del ministero che porta quel nome (ex Ambiente più deleghe sull’energia) – che gestirà almeno il 37% dei fondi del Recovery Plan – ce ne dà una prima idea: domina il business as usual, soprattutto il business in verità.

Il paradosso è che, pur essendo il motivo principale per cui il M5S ha detto sì a Mario Draghi, la struttura guidata dal fisico Roberto Cingolani nasce di fatto cancellando la stagione di Sergio Costa all’Ambiente, assai poco gradita alla Confindustria come dimostrano gli attacchi del Sole 24 Ore (vedi qui sotto). La squadra dell’ex generale, membro dei governi Conte in quota 5Stelle, è stata rasa al suolo e a guidare la “transizione ecologica” col neo ministro tornano i dirigenti che accompagnarono la non indimenticabile stagione di Gian Luca Galletti, politico Udc che fu a capo del dicastero con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Come abbiamo già scritto, capo di gabinetto sarà il consigliere parlamentare Roberto Cerreto, che ebbe lo stesso ruolo nel ministero per le Riforme di Maria Elena Boschi, che poi lo volle pure come capo del legislativo a Palazzo Chigi quando divenne sottosegretaria di Gentiloni: a proposito di ambiente, da capo di gabinetto della Boschi, Cerreto dovette occuparsi della scrittura dell’emendamento sui giacimenti di Tempa Rossa chiesto dalle compagnie petrolifere per aggirare le resistenze della Regione Puglia (fu al centro del caso che portò alle dimissioni dell’ex ministra dello Sviluppo Federica Guidi).

Anche all’ufficio legislativo tornano i tempi di Galletti: il capo sarà Marcello Cecchetti, professore a Sassari, giurista d’area Pd anche lui con ascendenze renziane (fu assistente di studio di Ugo De Siervo, i cui due figli – Luigi e Lucia – sono amici e sodali del capo di Italia Viva, che da sindaco nominò Cecchetti in una commissione per studiare “una legge speciale per Firenze”). Il suo vice sarà invece l’avvocato Marco Ravazzolo, anche lui a suo tempo consigliere di Galletti, ma soprattutto dirigente di Confindustria, di cui finora è stato responsabile Ambiente. Dalle legittime ragioni dell’impresa a dirigente di un ministero spesso in conflitto con quelle ragioni è un cambio non da poco. Ricordiamo per dovere di cronaca che i 5 Stelle si sono assai vantati in questi anni del fatto che Costa avesse imposto a tutti i dirigenti del ministero di tenere uno scrupoloso registro degli incontri coi lobbisti.

D’altra parte, la stessa scelta di Cingolani, che dall’estate 2019 è Chief Technology & Innovation Officer di Leonardo (la ex Finmeccanica), pone l’istituzione in una posizione imbarazzante. Ad esempio, tra i dossier su cui dovrà decidere a breve, il ministro, che è in aspettativa dal colosso della difesa, troverà anche l’ultimo capitolo di un lungo contenzioso proprio tra Leonardo e il ministero dell’Ambiente sul vecchio Sistri, una roba che vale circa 90 milioni di euro. La storia è antica: come deciso nel 2009 dall’allora ministra Stefania Prestigiacomo, Selex – poi inglobata in Leonardo e liquidata – doveva fornire al ministero il sistema di tracciamento dei rifiuti speciali (il Sistri appunto) per il periodo 2009-2014. Fu una storia di straordinario fallimento, visto che quel sistema non è di fatto mai entrato in funzione e oggi non esiste più: eppure fino al 2018 era costato allo Stato 141 milioni di euro. Problema: Selex ha fatto causa al ministero, il suo committente, per vedersi riconosciuto comunque l’intero importo del contratto, altri 190 milioni. Dopo anni in tribunale, si è recentemente deciso di transare sulla quota fissa (88 milioni), ma Costa si è invece rifiutato di cedere sui quasi 90 milioni di quella variabile: il neo ministro Cingolani, dipendente in aspettativa di Leonardo, dovrà dunque decidere se resistere in giudizio o andare al Tesoro e chiedere di pagare (e quanto) il suo datore di lavoro. Non solo transizione, allora, sarà anche ministro della transazione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/20/cingolani-ha-scelto-i-suoi-tecnici-renziani-e-targati-confindustria/6107709/

venerdì 15 gennaio 2021

Gli Italovivi. - Antonio Padellaro

 

L’altra notte, mentre l’uomo più impopolare della nazione (ora iscritto alla Champions della specialità) si dileguava nel buio dopo aver sfasciato il governo, ai suoi parlamentari veniva richiesto di sacrificarsi come scudi umani su tutte le frequenze radiotelevisive. Salvo qualche eccezione, come Luigi Marattin e Luciano Nobili, che si sono limitati a un paio di generici tweet (forse adducendo ragioni familiari), la chiamata al sacrificio supremo ha coinvolto, tra gli altri, gli eroici onorevoli Ettore Rosato e Ivan Scalfarotto.

Il primo, ospite di Radio anch’io, è stato bastonato perfino dal berlusconiano Renato Schifani, che abbiamo sentito particolarmente indignato “per questa crisi inspiegabile aperta da Renzi in un momento tragico per il Paese”. È stato allora che abbiamo provato una sincera solidarietà per Rosato, persona squisita, costretto a subire le rampogne di chi, in un’altra vita, aveva sostenuto essere Ruby la nipote di Mubarak. No, era troppo.

Del valoroso ex sottosegretario Scalfarotto (recordman, fin dal lontano febbraio 2020 delle dimissioni annunciate e congelate, e adesso sbrinatosi) abbiamo colto un certo smarrimento nel motivare il martirio. Devono essere ore terribili per i deputati e i senatori di Italia Viva, tutte persone, presumiamo di buon senso, prese in ostaggio e immolate per ragioni che anche a loro devono apparire incomprensibili, come avvenne nel Tempio del Popolo con la setta del Reverendo Jones. Immaginiamo le scene strazianti nelle dimore di costoro a cui dal Macron di Rignano sull’Arno era stato garantito un futuro di soddisfazioni e di sonanti rivincite sul Pd. E che si ritrovano imballati e senza prospettiva alcuna, se non la probabile trombatura elettorale, in un partitino che non si schioda dal 3%. All’artefice di questo miracolo al contrario, bisogna comunque riconoscere due primati. La gragnuola di accuse della stampa internazionale (dal Financial Times che lo chiama Demolition Man, a Die Zeit che definisce il suo “un atto disperato”) come non si ricordava dai tempi del Caimano di Arcore. Ma soprattutto aver saputo calamitare sulla sua persona tutta l’incazzatura accumulata da un Paese stremato, giungendo finalmente alla rottamazione di se stesso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/15/gli-italovivi/6066400/

Panico tra i peones renziani: “Quindi ora che facciamo?”. - Giacomo Salvini

 

A un certo punto di ieri, subito dopo il colloquio al Quirinale tra Sergio Mattarella e Giuseppe Conte, i ruoli si erano magicamente invertiti: i maggiori sostenitori del premier erano diventati i parlamentari di Italia Viva. Gli stessi che, sui social e in tv, da giorni bombardavano il presidente del Consiglio bollato come “arrogante”, “irresponsabile” o “il migliore amico di Mastella”, ieri dopo pranzo si preoccupavano per il futuro dell’avvocato del popolo. E quindi per se stessi. “Adesso che fa, apre al patto di legislatura?” si è sentito chiedere da una collega renziana l’ex capogruppo del M5S al Senato, Gianluca Perilli. Il terrore dei parlamentari renziani correva anche nelle chat sotterranee, ché quella ufficiale del gruppo era aggiornata a martedì sera con l’ultimo messaggio del capo: “Indipendentemente da come andrà la conferenza stampa voteremo le comunicazioni di Speranza, il decreto ristori e lo scostamento di mercoledì” aveva serrato le fila Renzi. E, quando qualcuno si è azzardato a chiedergli se sarebbe andato fino in fondo sulle dimissioni delle ministre, la risposta era stata lapidaria: “Sarà deciso prima della conferenza”. Nient’altro. Sicché, esclusi da ogni altra comunicazione, i peones renziani si aggiravano per il Palazzo con fare sconsolato, quasi storditi. “Non sappiamo niente” la risposta ai colleghi della maggioranza che gli chiedevano notizie. Qualcuno, come il senatore fiorentino Riccardo Nencini, che porta in dote il simbolo del Psi per tenere in vita il gruppo di IV al Senato, ha provato anche a far riflettere Renzi: “Matteo, è un momento molto delicato. Pensaci”.

Nel mentre – raccontano fonti di maggioranza – iniziavano le proposte mirabolanti dietro le quali si celava il terrore di perdere la poltrona: “Vi andrebbe bene Di Maio premier?” si è sentito chiedere un senatore del M5S. Quando però hanno capito che i grillini avrebbero fatto quadrato intorno al premier, i renziani hanno alzato la posta: “Glieli do io i responsabili” scherzava Renzi martedì sera. Una battuta, che in questa folle crisi, è diventata in un attimo verità. Quattro o cinque senatori erano già pronti a rientrare nel Pd, ma c’è chi sostiene che arrivassero a otto al momento della conta in aula. La senatrice Udc Paola Binetti, leader in pectore dei “responsabili per Conte”, nel Salone Garibaldi di Palazzo Madama la spiegava così: “Ma voi ci credete che i renziani vogliano rischiare la poltrona per seguire le ambizioni di Renzi?”.

E allora, quando è arrivata la tanto agognata apertura di Conte a un “patto di legislatura” e il segnale proprio a Italia Viva (“Ritroviamoci attorno a un tavolo, Iv troverà da me massima attenzione”), i peones renziani (e non solo) d’un tratto cambiavano umore. La senatrice Daniela Sbrollini, durante le comunicazioni di Roberto Speranza, usciva dall’aula con un sorriso a 32 denti, la collega trentina Donatella Conzatti faceva sapere urbi et orbi che IV era disposta a un “nuovo patto di legislatura” chiedendo al premier di convocare “ un tavolo con i segretari”. E poi la napoletana Annamaria Parente tirava un sospiro di sollievo ché di lasciare la poltrona da presidente della Commissione Sanità non aveva nessuna voglia. Sempre Nencini, alla buvette del Senato, sorrideva garrulo scorrendo le agenzie dove trapelavano le trattative dei pontieri per ricucire: “Mi sembra che la situazione si sia rimessa a posto”. Non sapeva che un paio di ore dopo Renzi avrebbe fatto dimettere le ministre aprendo la crisi. “E adesso che facciamo?” il messaggio che girava di più tra i renziani spiazzati. Qualcuno difendeva “Matteo”, altri lo criticavano apertamente (“Ci ha tenuti fuori da tutto”). Alle 22 Renzi, fiutato il clima, li ha convocati via zoom per compattare il gruppo. E non è escluso che nelle prossime ore potrà arrivare qualche uscita eclatante. Anche perché i primi transfughi del Parlamento sono proprio quelli di IV: su 30 deputati, 25 deputati sono stati eletti con il Pd e gli altri in Forza Italia, Leu e Maie, mentre al Senato gli ex dem sono 15 a cui vanno aggiunti Nencini (Psi), Vono (ex M5S) e Conzatti (FI).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/14/panico-tra-i-peones-renziani-quindi-ora-che-facciamo/6065063/

sabato 9 gennaio 2021

Renzi, guerra dei nervi a Conte: ancora minacce, tregua lontana. - Luca De Carolis e Wanda Marra

 

Lite al vertice.

Poteva essere il giorno del giudizio, la resa dei conti. Ma Giuseppe Conte e Matteo Renzi non affondano, giocano di nervi, sperando entrambi che l’avversario ceda per stanchezza. E così nel tavolo di maggioranza di ieri sera sul Recovery Plan Italia Viva accusa e provoca, invoca il Mes e il Ponte di Messina: ma non strappa. Mentre Conte rilancia proponendo un patto di legislatura e tavoli di maggioranza. Con tanto di documento scritto da stilare. Mosse diverse per la stessa guerra di posizione, che si trascinerà fino alla prossima settimana, quando il Consiglio dei ministri dovrà arrivare. Il tema di fondo resta che Renzi vuole le dimissioni dell’avvocato per il Conte ter, e il premier non si fida. Soprattutto, Pd, M5S e Leu si compattano, accusando Iv di voler “commissariare il Cdm”, rinviando ancora sul Recovery. Per prendere tempo.

Nell’attesa, Conte si dedica ai rapporti internazionali. Importante la telefonata con Angela Merkel, che manifesta il pieno sostegno alla Commissione sui vaccini (dopo le polemiche sul fatto che la Germania aveva acquistato 30 milioni di dosi extra da Biontech-Pfizer rispetto all’accordo europeo), ma si parla anche del Recovery Fund. Soprattutto, si informa della situazione politica italiana, chiedendo al premier come vanno le cose. In mattinata invece la presidente della commissione europea Ursula Von Der Leyen aveva lodato il lavoro dell’Italia sul Recovery plan: “È in corso un negoziato molto buono con l’Italia come con tutti gli altri governi, ma nello specifico ci sono buoni progressi”. Nel pomeriggio, infine, Conte incontra il presidente libico, Serraj. Sullo sfondo, gli equilibri nel Mediterraneo con la nuova amministrazione degli Stati Uniti.

Nell’incontro centrale in serata con i capidelegazione, Conte allarga subito il campo: “Dobbiamo definire delle priorità per il prosieguo della legislatura, il Recovery non è lo strumento per definire tutte le quesitoni”. Invoca “quel patto di legislatura” di cui ieri avevano parlato in simultanea Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti. Perché l’obiettivo è “spegnere” Renzi con un accordo complessivo. Così Conte propone “dei tavoli di maggioranza”, da cui ricavare “un documento”. Ma Iv ha già un altro copione in testa, attaccare. Così ecco il capogruppo in Senato, Davide Faraone: “Se non fosse stato per noi settimane fa avremmo votato un pessimo testo” rivendica. Ma è solo l’antipasto. “Dove sono il Mes, spiegateci perché non si può attivare. E dov’è il Ponte di Messina?” chiede. Picchia su quei temi che Conte non può accettare, perché spaccherebbero i 5Stelle. Si lamenta: “Non abbiamo ancora i dettagli sul piano”. Chiede “se c’è ancora la fondazione sulla cybersicurezza”. Soprattutto, alza il tiro: “Vogliamo sapere se c’è ancora un governo”. E azzanna Gualtieri: “Sono state tolte risorse che avevamo chiesto, dal ministro sono arrivate provocazioni”.

Conte, il volto tirato , invita il ministro e i 5Stelle a non rispondere a tono. Si aspettava l’assalto, e la sua linea è non abboccare a provocazioni. Gualtieri assicura che le schede di dettaglio sul piano arriveranno “prima del Cdm” e che usare i soldi del Recovery per il Ponte di Messina è tecnicamente impossibile. Poi però perde la calma, e accusa i renziani di essere “sommari” e di non aver letto il piano. E Maria Elena Boschi gli replica così: “Sul piano vi risponderemo in via scritta dopo aver letto tutto, così non rischierete di interpretare male”. Il capodelegazione del M5S, Alfonso Bonafede, ricorda: “Dobbiamo approvare in fretta il piano, la gente ci chiede questo”. In serata, Renzi va a Stasera Italia per ribadire che “il governo è fermo” e soprattutto che “è meglio stare all’opposizione che non far nulla”. Convoca tra domenica e lunedì i parlamentari Iv su Zoom. Nelle prossime 48 ore si capirà se arriva il ritiro delle ministre. E se ci sarà lo show down.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/09/renzi-guerra-dei-nervi-a-conte-ancora-minacce-tregua-lontana/6059968/

mercoledì 6 gennaio 2021

Tutti i ricatti renziani a giornaloni unificati. - Lorenzo Giarelli

 

Cinquanta interviste in un mese, solo per restare ai quotidiani nazionali. Con menzione speciale per Teresa Bellanova, capace di farsi ospitare 10 volte da 8 giornali diversi.

Sfogliando le principali testate, non si fa fatica a capire la strategia comunicativa di Italia Viva durante la crisi di governo. Da un mese i renziani riempiono i giornali di condizioni, appelli, moniti, avvisi che i quotidiani sono ben lieti di accogliere, distribuendosi ogni mattina gli intervistati. Qui forniamo un didascalico resoconto.

5 dicembre: Teresa Bellanova sul Foglio, Matteo Renzi su La Stampa. 6.12: Bellanova su Avvenire. 7.12: Bellanova sul Messaggero, Renzi su Repubblica. 8.12: Maria Elena Boschi sul Corriere, Davide Faraone sul Foglio e su La Stampa, Ettore Rosato sul Messaggero. 9.12: Faraone sul Dubbio, Rosato su Avvenire, Bellanova su Repubblica. 10.12: Luciano Nobili sul Dubbio, Boschi su La Stampa. 11.12: Renzi sul Messaggero. 12.12: Renzi su La Stampa, Michele Anzaldi sul Giornale. 13.12: Gennaro Migliore sul Mattino, Bellanova sul Corriere. 14.12: Elena Bonetti su Repubblica. 15.12: Rosato sul Foglio, Faraone sul Mattino. 16.12: Boschi sul Messaggero, Rosato su Qn. 17.12: Nobili sul Foglio, Luigi Marattin sul Riformista, Rosato su La Stampa, Bellanova sul Foglio. 18.12: Renzi sul Corriere, Bellanova su Mattino e La Stampa. 21.12: Rosato su Repubblica, Bonetti sul Corriere.

E ancora, il 22.12: Faraone sul Dubbio. 23.12: Boschi sul Foglio, Bellanova su La Stampa. 30.12: Raffaella Paita su Repubblica, Bellanova sul Corriere. 31.12: Boschi su Avvenire, Ivan Scalfarotto sul Corriere, Renzi sul Sole 24 Ore. 2.1: Renzi sul Messaggero, Boschi su Repubblica. 3.1: Bonetti su Avvenire, Rosato su La Stampa. 4.1: Renzi sul Corriere, Bonetti su Repubblica, Faraone sul Giornale, Rosato sul Mattino. 5.1: Scalfarotto sul Foglio.

Il totale è di 50 interviste in 30 giorni, con Bellanova a quota 10, Renzi e Rosato a 8, Boschi e Faraone a 6. Tra i quotidiani, il record ce l’ha La Stampa con 8 interviste, poi Corriere, Repubblica e Foglio a 7, Messaggero a 5 e Mattino, che appartiene allo stesso gruppo, a 4.

E proprio i grandi gruppi editoriali, più che i renziani, sembrano essere i protagonisti di questa storia. Molti proprietari dei quotidiani sono da tempo forti oppositori del Conte 2 e le bizze di Iv possono essere il grimaldello per un ribaltone. Basti pensare a cosa disse qualche mese fa Carlo De Benedetti, fondatore del Domani: “Per isolare Salvini e Meloni trangugio anche Berlusconi, purché col benservito a Conte, che rappresenta il vuoto pneumatico ed è peggio di Berlusconi”.

Chi meglio impersonifica questo desiderio diffuso è Sabino Cassese, già giudice della Corte costituzionale e ora instancabile editorialista (quando non è intervistato) su metà dei quotidiani sopracitati. Giusto per stare alle ultime uscite, il 3 gennaio, sul Giornale, Cassese ha parlato di un esecutivo che “disprezza il Parlamento”. Quattro giorni prima, eccolo sul Corriere a commentare la manovra, i cui autori “non hanno avuto paura del ridicolo” nel partorire questa “apoteosi del corporativismo in salsa populista”, giacché “dietro le quinte” agiscono “brokers, lobbies e organizzatori di categoria”. Prima di Natale, Cassese era su Libero: “Il premier è un pirata, usurpa i poteri dei ministri e dei governatori. Draghi? Avrebbe autorevolezza ed esperienza”.

L’idea di un nuovo premier stuzzica anche Carlo Verdelli, che due giorni fa sul Corriere ha stroncato il governo: “Non è mai stato un governo normale. Ha trovato un senso nella prima emergenza, l’ha perso durante l’estate e da allora non l’ha più recuperato”. Soluzioni? “Sostituire chiunque abbia una qualche responsabilità. Resta da capire se c’è la volontà di mettere subito nei posti chiave donne e uomini capaci”.

E che dire di Stefano Folli, che su Repubblica ha già celebrato il funerale dell’esecutivo: “È la difficoltà del premier di garantire un sufficiente grado di efficienza nella messa in opera del Recovery a infastidire i partner. Una questione di credibilità, in primo luogo”. Quanto al Messaggero della famiglia Caltagirone, basta l’ultimo editoriale di Carlo Nordio: “Può un giovane fidarsi di un governo che lo ha gettato nella confusione totale? Insieme alla fiducia, rischia di perdere anche quel residuo di disciplina che nasce solo dalla convinzione di uno scopo condiviso. Uno scopo che il governo non riesce nemmeno più a elaborare, tra promesse ondivaghe e reiterati rinvii. Che, come è noto, sono, assieme all’indecisione, i genitori del fallimento”. E crisi sia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/06/tutti-i-ricatti-renziani-a-giornaloni-unificati/6056691/

mercoledì 9 dicembre 2020

Cos’è stato il renzismo? - di Paolo Trande, pubblicato da Andrea Scanzi

 

E chi sono, politicamente parlando, Renzi e i suoi sei o sette fedelissimi rimasti? Ce lo racconta Paolo Trande, che nel Pd renziano c’è stato.

“Solo chi è stato nel Pd renziano può capire quanto sia falso Renzi (e il renzismo). Solo chi, come me, era nel Pd renziano può capire quanto sia falsa la motivazione democratica alla base della minaccia di rottura e caduta del governo di questi giorni. Falsa perché non supportata da eguale attenzione e preoccupazione quando al potere, del partito e del governo, c'era il Renzi medesimo.
Con il suo arrivo nel partito non si poteva fiatare. Chi eccepiva veniva zittito e insultato. O si applaudiva o si veniva malsopportati o avversati, come nemici.

Con il suo arrivo alla presidenza del consiglio il governo dettava legge, chi eccepiva, chi dissentiva dei parlamentari del PD veniva emarginato o neutralizzato addirittura con la repentina sostituzione in commissione. In parlamento si faceva largo uso di "canguri" , "tagliole" e altre diavolerie per soffocare il dibattito interno alla istituzione e il dissenso interno.

Tutte le nomine in enti controllati o partecipati dal governo erano appannaggio della compagnia amicale e geografica (nel raggio di pochi km intorno a Rignano) che ruotava intorno all'improbabile difensore delle istituzioni in immagine.

Gli anni 2014 e 2015 furono terribili. Nel Pd c'era terrore puro, guai a criticare, guai solo ad evidenziare qualche problema, nelle politiche di governo (bonus, tagli alla sanità, buona scuola, art.18 etc, abolizione IMU anche ai super-ricchi etc etc). Guai solo a nominarlo senza incensarlo, idolatrarlo senza pronunciare, con sguardo felice e ammirato, la frase mitologica, falsa anch'essa: "con Renzi si vince".
Il 2016 fu l'anno del referendum e l'aria divenne irrespirabile, ammorbata da diffuso conformismo e cattiveria crescente. Bastava scrivere un post social di critica, nel merito, sulla "riforma" Boschi-Renzi e si veniva lapidati, manganellati da schiere di ascari, organizzati, attivati da filiere nazionali renziste, da ras locali, capoclan stellati o in cerca di stellette dal capo o dai suoli luogotenenti.

Sentire oggi: “Conte deve cambiare la struttura di missione sul Next Generation UE perché non è democratica, esautora il Parlamento e il Governo e se non lo fa votiamo contro” (in soldoni, facciano cadere il Governo) è insopportabile da parte di chi ha vissuto sulla propria pelle (umana e politica) le vere angherie di Renzi e dei suoi scagnozzi, della prima, della seconda e della terza ora. Sentire parlare di democrazia chi la democrazia, interna ed esterna, l'ha calpestata con l'attacco personale che metteva alla berlina e costringeva alle dimissioni (Cuperlo da presidente PD), con la sostituzione in commissione per sterilizzare il dissenso sulla legge elettorale (Bersani, Epifani, D'attore etc), da chi ha utilizzato ogni trucchetto per soffocare il dibattito in parlamento (canguri, tagliole etc appunto ), da chi faceva Consigli dei Ministri che duravano 10' per illustrare le slides e poi zitti e muti che devo andare nel TG delle 20.00 È INTOLLERABILE.

Chi allora consentì a quest'uomo di scalare il PD, di annichilirlo, di emarginare chi non la pensava come lui, di rompere a sinistra, con i sindacati e con il mondo del lavoro, di recidere il “legame sentimentale” con la sua gente e di inseguire la destra, Berlusconi in particolare, è moralmente responsabile del disastro a cui potremmo assistere domani. Se la destra sovranista e xenofoba, negazionista di Salvini e Meloni tornerà in gioco lo dobbiamo a Renzi e a tutti quelli che lo hanno sostenuto in nome dell'acontenutistico e afinalistico “con lui si vince”... mentre si perdeva e si rischia di perdere anche stavolta."

Paolo Trande

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Il ministro Bonafede presenta l’Alleanza contro la corruzione per “impedire la dispersione e l’accaparramento criminale” dei fondi. No dei renziani.

 

No da Italia Viva che parla di mania di task force e ricorda come per il contrasto alla corruzione esista già l'Anac creata da Matteo Renzi. Nella squadra anche il governatore di Banca d'Italia Ignazio Visco, il presidente dell'Autorità anticorruzione Giuseppe Busia e il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho. Firmato questa mattina il decreto che da vita alla struttura per "impedire la dispersione e l’accaparramento criminale" dei fondi per contro la pandemia.

Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato questa mattina l’avvio di una grande consultazione pubblica sulle pratiche anticorruzione, anche con lo scopo di “difendere” i quasi duecento miliardi di euro che verranno stanziati per riparare ai danni sociali ed economici causati dalla pandemia. Stando alle prime indicazioni i fondi destinati a sostenere la ripresa economica godranno infatti di una sorta di corsia preferenziale. Atti e provvedimenti emanati delle strutture guidate da sei manager scelti dal ministero dell’economia e dalla presidenza del Consiglio, per l’impiego dei 196 miliardi di euro del Recovery fund, non saranno infatti soggetti a controllo preventivo da parte della Corte dei conti.

“L’emergenza della pandemia sarà accompagnata da un ingente sostegno finanziario” e per “impedire la dispersione e l’accaparramento criminale” di queste risorse ho firmato il decreto costitutivo di un’iniziativa intitolata ‘Alleanza contro la corruzione: una grande consultazione pubblica di esperti di diversa provenienza professionale e di varia estrazione disciplinare, con l’intento di fare il punto sull’assetto messo in campo dal nostro Paese nei settori della prevenzione e del contrasto alla corruzione”. Così il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

Poco dopo l’annuncio arriva però il primo mugugno, da Italia Viva. “La smania da task force si sta diffondendo. Ora anche il ministro Bonafede ne crea una, dimenticando che il compito che dovrebbe assolvere è già svolto dall’Autorità Nazionale anticorruzione creata da Renzi”, hanno dichiarato i parlamentari di Italia Viva Lucia Annibali, capogruppo in Commissione Giustizia alla Camera, e Giuseppe Cucca, vicepresidente dei senatori di Italia Viva

L’’Alleanza contro la corruzione coinvolgerà circa sessanta esperti che – partecipando a titolo gratuito – si confronteranno in vari tavoli sulle prospettive e gli aspetti più importanti della lotta alla corruzione: parteciperanno economisti, studiosi del diritto e del processo penale, esperti del diritto amministrativo, magistrati, avvocati, statistici, operatori della comunicazione e della scuola: tutti chiamati a confrontarsi, in appositi gruppi di lavoro, sui diversi aspetti del fenomeno

Nella squadra Visco, Davigo, Cafiero de Raho, Busia – A comporre il Comitato scientifico costituitosi per l’iniziativa ci sono Giorgio Lattanzi (presidente della Scuola superiore della magistratura e presidente emerito della Corte Costituzionale), David Ermini (vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura), Pietro Curzio (Primo presidente della Corte di Cassazione), Filippo Patroni Griffi (presidente del Consiglio di Stato), Guido Carlino (presidente della Corte dei Conti), Giovanni Salvi (procuratore generale presso la Corte di Cassazione), Ignazio Visco (governatore della Banca D’Italia), Raffaele Piccirillo (capo di gabinetto del Ministero della Giustizia), Giuseppe Busia (presidente Autorità Nazionale Anticorruzione), Federico Cafiero de Raho (procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo), Maria Masi (presidente facente funzioni del Consiglio Nazionale Forense), Paola Severino (vicepresidente dell’Università Luiss ed ex ministro della Giustizia), Piercamillo Davigo (ex presidente di sezione della Suprema Corte di Cassazione), Marco D’Alberti (professore ordinario di diritto amministrativo a La Sapienza di Roma), Francesco Palazzo (professore emerito università di Firenze) e Gabrio Forti (professore ordinario di diritto penale e criminologia e direttore dell’alta scuola sulla Giustizia Penale alla Cattolica)

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/08/il-ministro-bonafede-presenta-lalleanza-contro-la-corruzione-per-impedire-la-dispersione-e-laccaparramento-criminale-dei-fondi/6029948/

martedì 10 novembre 2020

Leopolda chi? - Marco Travaglio














Cinque domandine facili facili. 

1) Chi ha accusato i pm che indagano su di lui di “cercare la battaglia, la ribalta e la visibilità mediatica”, di “seguire la viralità sui social più che le sentenze della Cassazione”, di essere “ossessionati” da lui e famiglia come “affetti stabili”, di avergli inviato “un avviso di garanzia” anziché “una lettera di scuse” e di “passare le informazioni” a giornalisti? Ve lo dico io: l’Innominabile, indagato da mercoledì con Boschi&Lotti per 7,2 milioni di finanziamenti illeciti tramite la fondazione Open.

2) Secondo voi, cos’hanno fatto o detto il Quirinale, il Csm e l’Anm, giustamente prodighi di “pratiche a tutela” e note di solidarietà ai pm insultati e calunniati da B. e Salvini? Ve lo dico io: nulla. L’Anm non s’è mai riavuta dal marasma post-Palamara. E il Csm è vicepresieduto da David Ermini, amicone dei tre indagati, ai quali (oltreché a Palamara) deve la poltrona. L’unico consigliere che avrebbe l’autorevolezza per chiedere una pratica a tutela dei pm aggrediti è Davigo, infatti l’han cacciato.

3) Avete mai visto la faccia o sentito la voce dei pm fiorentini Luca Turco e Antonino Nastasi, accusati dall’Innominabile di indagare lui e i suoi cari per “visibilità mediatica” e “viralità sui social”? Ve lo dico io: mai.

4) È vero che fior di “sentenze della Cassazione” hanno già assolto gli indagati, “smentito” il reato e trasformato gli inviti a comparire in “assurdo giuridico”? Ve lo dico io: la Cassazione non ha mai smentito i finanziamenti illeciti contestati dai pm sul caso Open. Ha accolto i ricorsi di tre renziani perquisiti (gli indagati Carrai e Donnini e il non indagato Serra) contro i decreti di sequestro firmati dal gip e confermati dal Riesame, ritenuti troppo vaghi. E ha invitato i giudici a motivarli meglio, perché il finanziamento illecito richiede la prova che la fondazione Open – usata per incassare da gruppi privati 7,2 milioni in 6 anni senza dichiararli nei registri parlamentari – agisse in “concreta simbiosi operativa” con la corrente renziana in “assenza di diversa concreta operatività”.

5) Secondo voi, che ci fece Open con quei 7,2 milioni mai dichiarati dai renziani grazie alla privacy che copre i foraggiatori delle fondazioni? Ve lo dico io: finanziava i raduni annuali alla Leopolda e il comitato del Sì al referendum 2016, oltre a distribuire carte di credito a parlamentari renziani per le loro spese. Cioè pareva proprio agire in simbiosi operativa con la corrente renziana in assenza di diversa operatività.

Ci sarebbe pure una sesta domanda: chi ha detto che “la Leopolda non era un’iniziativa di partito né di una corrente Pd, ma di una fondazione dove c’era gente del Pd e di altri partiti?”. Ma a questa non riesco proprio a rispondere, perché mi scappa da ridere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/10/leopolda-chi/5997856/

mercoledì 13 maggio 2020

Un Paese paralizzato dai renziani. - Gaetano Pedullà

MATTEO RENZI

Si dice che la pazienza è la chiave del Paradiso, ma adesso per sessanta milioni di italiani rischia di diventare la serratura dell’inferno. Da quasi un mese stiamo aspettando il decreto con la manovra da 55 miliardi, cioè ossigeno vitale per famiglie e imprese, e ancora ieri fino a tarda sera era tutto fermo perché la Sinistra non schioda dal voler regolarizzare cinquecentomila immigrati.

Ora, al di là di ogni valutazione sull’opportunità di tale sanatoria, è accettabile che per questa faccenda si paralizzi ogni aiuto al Paese? La partita è solo apparentemente di principio. Sulle barricate ci sono da una parte i renziani, che ovviamente non spiegano come mai non si ricorda lo stesso impeto nei loro anni di governo. Dall’altra invece i 5 Stelle, che nel contratto del precedente Esecutivo con la Lega, avevano avuto promesso il rimpatrio di seicentomila irregolari. Promessa rimangiata, come al solito, con la beffa di un gioco di prestigio che ridusse d’ufficio il numero di quei migranti in novantamila.

Sui giornaloni che scrivono del Movimento solo per sputtanarlo, da giorni si parla di una guerra tra le componenti di destra e di sinistra dei 5S, leggendoci dietro le manovre più o meno oscure una volta di Fico e un’altra di Di Maio. Ma basta ascoltare i militanti per vedere chiaramente che il tema dei migranti non è in cima alle priorità, e pertanto la Sinistra si sta assumendo la responsabilità di un immobilismo che fa male a tutti. Oggi quindi è possibile che Conte costringa le parti ad un accordo. Ma di tanto stallo c’è un solo colpevole, e non è il Movimento.

http://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/un-paese-paralizzato-dai-renziani/

giovedì 21 novembre 2019

Prescrizione, il muro del Pd per salvare politici e colletti bianchi. La minaccia a Bonafede: cancellare la riforma con FI. - Giuseppe Pipitone

Prescrizione, il muro del Pd per salvare politici e colletti bianchi. La minaccia a Bonafede: cancellare la riforma con FI

Ennesima fumata nera durante l'ultimo vertice sulla giustizia. Dem e renziani hanno rifiutato alcuni accorgimenti proposti dal guardasigilli per velocizzare i processi agli assolti in primo grado. E hanno rilanciato chiedendo la decadenza dell'azione penale se il processo di secondo grado dovesse durare più di un certo periodo. In caso di mancato accordo hanno anche evocato la possibilità di votare la proposta del berlusconiano Costa, che cancella la riforma.
Nessuno vuole chiamarla minaccia, meno ancora accettano la parola ricatto. Tutti, a parole, sperano di trovare un punto d’incontro. Ma il senso di quello che emerge dall’ultimo vertice sulla giustizia sembra essere proprio quello: se Pd e Movimento 5 stelle non si metteranno d’accordo sulla riforma del processo penale, i dem potrebbero pure votare la proposta di Enrico Costa. Cioè il ddl presentato in commissione Giustizia dal parlamentare di Forza Italia, ex ministro del governo di Matteo Renzi, che chiede la cancellazione totale della riforma sulla prescrizione. Una vera e propria mina sul percorso dell’esecutivo. Sarebbero salvi dunque politici e colletti bianchi che grazie alla prescrizione si sono spesso salvati dai processi. L’elenco è sterminato: si va da Giulio Andreotti a Silvio Berlusconi, da Massimo D’Alema a Carlo De Benedetti, da Paolo Scaroni a Flavio Briatore. Ma si potrebbe continuare per ore ad elencare i potenti prescritti nella storia d’Italia. E infatti più volte l’Europa ci ha chiesto di mettere mano alla questione. L’ultima volta era nel 2017, quando nel rapporto semestrale dedicato ai Paesi dell’Eurozona la Commissione europea scriveva tra le altre cose che “il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione“perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado“. E quindi se “la questione non sarà affrontata, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”. Ora la questione è stata affrontata: una legge che blocca la prescrizione dopo il primo grado di giudizio esiste ed entrerà in vigore nel 2020, tra 41 giorni esatti.
La minaccia notturna – Il Pd, però, fa muro. E nella notte ha evocato al ministro anche quella possibilità: votare con Silvio Berlusconi. Ma davvero i dem avrebbero intenzione di votare la legge ammazza riforma? Gli effetti sarebbero mortali non solo per la legge, ma anche per la tenuta dell’intero esecutivo. “Diciamo che noi vorremmo trovare un’intesa nella maggioranza. Stiamo lavorando a questo. Ci sono ancora 45 giorni. Se c’è la volontà di lavorare, ce la faremo”, dice all’Adnkronos il dem Michele Bordo, tra i presenti al summit notturno. L’ennesimo convocato per trovare un punto d’incontro che semplicemente ancora non esiste. E d’altra parte era stata proprio la riforma della giustizia a spaccare la precedente maggioranza, visto che uno degli ultimi Consigli dei ministri dell’esecutivo M5s-Lega si era risolto con un nulla di fatto, pochi giorni prima della crisi estiva e alla caduta del governo Conte 1.
Il muro dem – Il tema si è subito riproposto anche con il nuovo esecutivo. Questa volta le posizioni della Lega sono portate avanti in maniera quasi identica dal Pd e – nelle ultime settimane – anche dai renziani di Italia Viva. La richiesta a Bonafede è di prorogarne l’entrata in vigore della legge sulla prescrizione, in attesa di varare una riforma del processo penale. Una bozza di riforma il ministro l’ha già preparata, ma gli alleati fanno muro: vogliono garanzie sulla durata dei processi. Un leit motiv che ha fatto fallire tutti gli ultimi vertici di maggioranza sul tema. Ed è per questo che le rivendicazioni sulla giustizia acquisiscono sempre più un valore politico, a scapito di un ragionamento tecnico. “Dopo che gli abbiamo fatto ingoiare il taglio dei parlamentari adesso dem e renziani vogliono colpire uno dei nostri provvedimenti bandiera”, dicono fonti interne ai 5 stelle. Pd e di Italia Viva rivolgono a Bonafede la stessa accusa che era stata a suo tempo della Lega e che oggi è in Parlamento ha ripetuto Costa di Forza Italia: il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio porterà anche gli assolti in prima istanza ad essere “imputati a vita”. “Lo Stato non si può piu sottrarre al proprio dovere di dare una risposta di giustizia. La riforma non avrà nessun effetto devastante o di apocalisse”, ha ripetuto oggi Bonafede, comparso a Montecitorio pe rispondere al question time proprio di Costa. Secondo il ministro con lo stop alla prescrizione ci saranno “effetti deflattivi” del processo che “contribuiranno a sistema di giustizia più efficiente e rapido”. Sono allo studio, ha spiegato il ministro, “misure idonee a impedire che si verifichino disfunzioni in grado di incidere sulla durata dei procedimenti, con conseguenze per la prima volta disciplinari e con misure al vaglio della maggioranza di carattere indennitario”.
La proposta di Bonafede – Le misure di cui parla Bonafede sono le due proposte fatte ai dem e ai renziani durante il vertice notturno: inserire nella riforma della giustizia penale la possibilità per gli assolti in primo grado di beneficiare di una corsia preferenziale in secondo grado. Una “trattazione urgente” degli appelli per gli assolti, per andare incontro alla richiesta di Pd e Iv che chiedevano vi fosse una distinzione “tra assolto e condannato“. Bonafede ha proposto anche un accesso agevolato agli indennizzi per l’irragionevole durata dei processi previsti dalla legge Pinto. Gli alleati però hanno rifiutato, nonostante Pietro Grasso – sostenitore della riforma del M5s – abbia fatto notare che “per la Costituzione la presunzione di innocenza resta tale fino alla sentenza definitiva. E questo vale tanto per l’innocente quanto per il colpevole: non ci può essere una distinzione in questo senso”.
Una controproposta che si può rifiutare – “Dal guardasigilli sono stati fatti passi avanti sulle garanzie ma ancora non sufficienti, al momento le condizioni per una convergenza non ci sono”, dice il dem Bordo. Durante il vertice notturno, infatti, il Pd hanno fatto una controproposta a Bonafede: inserire nella riforma della giustizia termini perentori entro i quali se non si celebra il processo d’appello l’intero processo si estingue. In pratica a prescriversi non sarebbe il reato ma sarebbe l’azione penale a decadere: non ci sarebbero più prescritti e neanche assolto ma imputati impossibili da processare. Una condizione che i 5 stelle bollano come “irricevibile”. È considerata ancora peggiore la seconda controproposta del Pd: un sistema di sconto di pena per il condannato il cui appello non si è svolto entro un certo periodo di tempo. “È l’unica strada percorribile per evitare la durata irragionevole dei processi, che metterebbe a repentaglio l’articolo 111 della Costituzione”, dice il capogruppo dem in commissione Giustizia Alfredo Bazoli. “Altro che snellimento dei processi: in questo modo chiunque sarebbe incentivato a fare appello”, ragionano tra i 5 stelle. Facendo notare come l’atteggiamento degli alleati sia sempre più “tattico” e meno orientato a risolvere l’impasse in cui è precipitata la questione giustizia. A preoccupare i grillini è anche l’atteggiamento dei renziani: “Il ministro – raccontano – ha chiesto proposte scritte ma da loro è arrivato molto poco”. Il timore è che i renziani possano far saltare il banco una volta che Bonafede sia riuscito a trovare l’accordo con il Pd.
I familiari delle vittime difendono la riforma – Tutto questo in attesa che il premier Giuseppe Conte, fino ad oggi lontano dai tavoli di contrattazione, possa prendere in mano il dossier per provare a mediare. Intanto i familiari delle vittime sono scesi in campo per difendere una “legge che rappresenta un traguardo importante, una garanzia per il giusto riconoscimento delle nostre ragioni”. “Passiamo anni dentro le aule dei Tribunali e sopportiamo processi lunghi e dolorosi. Tutte le associazioni che fanno parte della nostra Rete Nazionale aspettano una giustizia che stenta a emergere, un diritto sacrosanto che il nostro Stato dovrebbe rispettare perché sancito dalla Costituzione. La prescrizione ha colpito duramente i processi di molte nostre associazioni e lo farà con altre nel prossimo futuro, cancellando molti capi di imputazione per cui gli imputati dovrebbero essere giudicati“, scrivono in una nota gli aderenti al coordinamento nazionale ‘Noi non dimentichiamo‘, che raggruppa tutte le associazioni di familiari di vittime delle stragi. Quindi l’annuncio: “Seguiremo con attenzione il dibattito parlamentare dei prossimi giorni, riservandoci di essere presenti davanti alle sedi opportune, nel caso in cui questo importante risultato venga distorto o perda di credibilità”. La rete nazionale è presieduta da Gloria Puccetti, che ha perso un figlio nella strage di Viareggio, la tragedia che in appello ha visto cancellato dal tempo il reato di incendio colposo, con relative pene riviste al ribasso per gli imputati.