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giovedì 24 giugno 2021

Un bivacco di turiboli. - Marco Travaglio

 

In attesa del ritorno delle pagine estive del Fatto col cruciverba politico e gli altri giochi, ve ne propongo uno irresistibile: tradurre in italiano i titoli dei giornaloni. Per azzeccare la risposta esatta, basta rovesciarli. L’altroieri Repubblica titolava “Draghi e Merkel, intesa sui migranti”. Ovviamente il titolo andava letto così: “Draghi e Merkel, nessuna intesa sui migranti” (a parte gli altri 8 miliardi regalati a Erdogan, che evidentemente ha smesso di essere un “dittatore”). Ieri il Corriere apriva sull’anatema vaticano: “Legge Zan, interviene Draghi”. Ma il titolo andava letto così: “Legge Zan, non interviene Draghi”. Infatti l’altroieri, alla domanda di un giornalista sfuggito al controllo dei suoi portavoce, il premier aveva evitato di rispondere, promettendo che l’avrebbe fatto l’indomani in Parlamento. Cioè ieri (sei giorni dopo aver saputo la cosa). Quindi, al massimo, il titolo avrebbe dovuto essere: “Legge Zan, interverrà Draghi”.

Ieri in effetti Draghi è intervenuto alla Camera. Ma, oltre a dimenticarsi il nome del premier che ha procurato all’Italia i miliardi del Recovery, s’è scordato di rispondere al Vaticano (l’unica carica dello Stato a farlo è stato il presidente della Camera Roberto Fico: “Il Parlamento è sovrano e non accetta ingerenze”). Anche perché tutti i parlamentari, di maggioranza e di cosiddetta opposizione, erano talmente impegnati a leccarlo whatever it takes da dimenticarsi di sollevare la questione. Dimenticarsi si fa per dire, visto che da Palazzo Chigi avevano raccomandato loro di astenersene. Cioè di rinunciare alla loro unica ragione di esistenza in vita: il controllo sul governo. E l’aula sorda e grigia, spontaneamente ridottasi a bivacco di manipoli, anzi di turiboli, ha prontamente obbedito, evitando di disturbare il manovratore. Con la sola eccezione di Fratoianni, che ha stigmatizzato il silenzio del premier. Draghi, non potendolo più fare alla Camera, gli ha replicato al Senato, ma solo per dire che “lo Stato è laico” (ma va?) e “il governo non entra nel merito della discussione, è il momento del Parlamento” (ma il Concordato è fra governi). Resta da capire che le paghiamo a fare, quelle 945 pecore belanti, se non hanno nemmeno il coraggio di fare una domanda al capo del governo. E dire che, fino a cinque mesi fa, strillavano come ossessi su Mes, rimpasto, prescrizione, governance del Pnrr, cybersicurezza, servizi segreti, Reddito di cittadinanza: le stesse questioni su cui ora tacciono e acconsentono. Ieri era il quarto anniversario della morte di Stefano Rodotà e per un attimo abbiamo rimpianto di non poter sentire la sua voce sul ddl Zan, sul Vaticano e su questo bel regimetto. Ma poi abbiamo concluso che è meglio così: almeno lui s’è risparmiato questo spettacolo penoso.

ILFQ

venerdì 12 marzo 2021

“Fate presto!”, ma ora non più I Ristori spariti pure dai media. - Giacomo Salvini

 

Adesso si può - Gli aiuti slittano di nuovo, ma gli allarmi svaniscono. Appelli, ristoratori disperati e rivolte su stampa e tv sono solo un ricordo.

I collegamenti strappalacrime di Barbara D’Urso con i ristoratori “senza aiuti”, “lasciati soli” e con “solo le mance per pagare le bollette” da Milano a Palermo, da Bari a Trento, sono improvvisamente spariti. La marcetta su Roma dello chef stellato Gianfranco Vissani con ristoratori al seguito per protestare contro il governo Conte che sta “uccidendo i ristoratori” e le sue “mancette” è solo un lontano ricordo. Per non parlare dei giornali che, durante la crisi aperta da Matteo Renzi, prendevano in prestito l’allarme del Mattino del 1980 durante il terremoto dell’Irpinia per chiedere alla politica di “fare presto” e approvare subito il decreto Ristori 5 per aiutare le attività – dai ristoranti ai bar agli impianti sciistici – che avevano dovuto chiudere a gennaio. Adesso però tutti gli allarmi, gli sos e le manifestazioni dei ristoratori (con tanto di assembramenti in piazza Montecitorio con l’hashtag #ioapro sostenuto da Matteo Salvini) sono scomparsi dai giornali e dalle televisioni. Ora non c’è più il governo Conte ma, da quattro settimane, a Palazzo Chigi siedono “i migliori” di Mario Draghi. E quindi l’urgenza per approvare il decreto, ribattezzato “Sostegno”, da 32 miliardi, tutto d’un colpo non c’è più: il provvedimento è slittato di un’altra settimana mentre i tecnici del Tesoro stanno ancora cercando una quadra su fisco, sanità, vaccini e lavoro. I ristori alle attività valgono circa 5 miliardi ma non arriveranno subito: gli imprenditori dovranno aspettare almeno un mese. E allora è utile ricordare tutti coloro che fino a poche settimane fa attaccavano il governo per aver “lasciato soli” i lavoratori e oggi, invece, tacciono.

Il primo a lanciare l’allarme a inizio gennaio era stato proprio Matteo Renzi che dopo aver fatto dimettere le due ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti dal governo Conte, aveva dichiarato: “Votiamo subito lo scostamento di Bilancio e il decreto Ristori” (17 gennaio). Lo scostamento da 32 miliardi era stato approvato il 20 gennaio dal Senato ma del decreto Ristori non s’è più saputo niente. Stesse parole, a metà gennaio, della ormai ex ministra Teresa Bellanova: “Approviamo subito Ristori e Recovery”. Niente di fatto ancora: un governo dimissionario non poteva certo approvare un decreto politicamente così importante come quello degli aiuti alle attività economiche rimaste chiuse. Per non parlare di Salvini e della Lega che dall’opposizione bombardavano tutti i giorni i giallorosa per il mancato arrivo degli aiuti: “Conte, sui ristori non prendere per i fondelli gli italiani” diceva in un video su Facebook il leader del Carroccio dopo aver ascoltato le comunicazioni dell’ex premier alla Camera in piena crisi di governo. E ancora “rimborsi siano certi” (16 gennaio) e “subito rimborsi proporzionati alle perdite subite” (18 gennaio). Anche Silvio Berlusconi l’11 gennaio sul Giornale chiedeva al governo di “fare presto”: “Mentre ci sono vergognosi giochi di palazzo, il Paese è bloccato”. La prima grana del governo Draghi, sostenuto anche da Lega e Forza Italia, è stata proprio la mancata riapertura degli impianti sciistici prevista per il 15 febbraio e poi rimandata a data da destinarsi. Dopo quella decisione, la Lega era tornata a bomba: “Subito i ristori” chiedevano in coro i ministri del Carroccio, Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia. Il 22 febbraio, poi, Salvini non poteva mancare alla manifestazione #Ioapro dei ristoratori in protesta con la decisione di non riaprire i locali anche la sera e il giorno dopo andava dicendo: “Ristori subito e accelerazione sul piano vaccinale”. Niente da fare.

Anche i giornali per mesi hanno usato fiumi di inchiostro sul blocco dei Ristori mentre oggi che il governo Draghi sta ritardando nell’approvare il decreto, il tema è scomparso. Basta recuperare i giornali di un mese e mezzo fa: “Le chiusure accelerano ma i ristori frenano” (Sole 24 Ore, 9.1), “Ristori e fondi Ue al palo. Mancano i soldi per ripartire e i pochi rimasti li butta Conte” (Libero, 20.1), “Ristori, Recovery, sfratti. Dieci giorni di stallo e il Paese resta al buio” (Il Giornale, 24.1), “Ristori a rischio per la crisi” (Il Messaggero, 25.1), “Fate presto. Dal Recovery Plan ai ristori l’agenda economica è appesa alla crisi” (Linkiesta, 27.1), “L’Italia non ce la fa più. L’urlo delle imprese: ‘fate presto!’ (La Stampa, 28.1). Oggi Aldo Cursano, vicepresidente di Fipe, attacca: “Tra crisi di governo e ritardi sul decreto si sono buttati due mesi – dice al Fatto – è così che si rompe il rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/11/fate-presto-ma-ora-non-piu-i-ristori-spariti-pure-dai-media/6129509/

mercoledì 17 luglio 2019

L'inferno di Bibbiano. - Gianni John Tirelli

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È spaventoso quel che accade in questo paese marcio, dove la notizia di bambini strappati alle famiglie e plagiati, viene volutamente occultata dai Media per loschi interessi, che non si fatica a definire di “stampo mafioso”. 
Non una testata giornalistica, una che sia una, che abbia sentito il dovere morale, l’obbligo etico-deontologico, di indagare sulla faccenda, di mandare un suo inviato ad intervistare i genitori ai quali avevano sottratto i figli e venduti come merce, così da ricavare un quadro oggettivo di questa inquietante storia dai risvolti demoniaci, dove si faceva cassa sulla vita di piccole creature innocenti e indifese, e che un giorno dovranno fare i conti con il trauma della separazione e delle violenze subite. Non una parola di sdegno, di sgomento, di denuncia dalla voce del “santo” Papa, dal nostro presidente della repubblica, dalle associazioni e organizzazioni che si occupano dell’infanzia, dei minori – non una parola dai centri di volontariato, dagli assistenti sociali…. niente di niente, totale omertà! 
Del resto cosa aspettarsi da una Chiesa che pratica la pedofilia, da una politica direttamente implicata in questo aberrante traffico, e di tutte quelle organizzazioni di finti buoni che rastrellano denaro fresco alla cittadinanza speculando sulla buona fede delle persone e sulle speranze della gente che soffre. 
Non una parola è venuta dagli stessi genitori dei bambini seviziati; genitori a loro volta zittiti dalle promesse e ricompense in denaro per comprarne il loro silenzio. 
Potremmo anche sorvolare sulle omissioni da parte dei giornali e TV su fatti politici e di natura economico-finanziaria, sapendo bene che gli stessi sono da tempo immemore al soldo dei poteri forti, e come cani al guinzaglio obbediscono ad ogni loro ordine senza fiatare. Ma tacere e fingere di sorvolare su un fatto dalla gravità inaudita, storia di perversione e depravazione, rende l’assordante silenzio di questi escrementi pennivendoli un crimine ancora più atroce di quello commesso dagli aguzzini del bambini.
È questa la libertà di informazione nel nostro paese; una libertà trasfigurata in abuso, in licenza, in servilismo, in strumento di mistificazione e di omissione, senza regola alcuna e principio, dove loschi figuri in veste di giornalaidi, di sepolcri imbiancati e di serpi in seno alla democrazia, hanno svenduto la loro anima, la loro dignità e coscienza come seguaci di una setta satanica in adorazione della Bestia.
Non persone dunque, ma involucri, vuoti a perdere, luride baldracche in carriera torturati da lancinanti complessi di inferiorità e dal loro fallimento umano, professionale, etico e spirituale. 
Questa marmaglia umanoide andrebbe deportata nei campi di lavoro forzato a pane acqua e calci nel culo, fino a quando l’oblio li rimuova per sempre dalla memoria degli uomini e dalla clemenza di Dio. 
E forse allora i nostri figli potrebbero ancora sperare in un futuro, in un mondo migliore, giusto, che li protegga dalle grinfie insanguinate di questi personaggi da suburra, frustrati, repressi e depressi che sopravvivono al loro stato vegetativo nutrendosi come vampiri della altrui sofferenza generata dalla malvagità delle loro azioni.


https://www.facebook.com/giannijohn.tirelli/posts/2359494727437149

mercoledì 10 ottobre 2012

Finanziere ai domiciliari. Una casa per non denunciare.

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BOLOGNA - Finisce agli arresti domiciliari un finanziere coinvolto in un'inchiesta relativa al comune alle porte di Bologna San Lazzaro di Savena. Per l'accusa l'uomo si sarebbe accordato per l'acquisto di un appartamento in edilizia convenzionata anche non avendone i requisiti. Si sarebbe separato solo sulla carta dalla moglie al fine di farsi aggiudicare la casa nel complesso residenziale costruito dalle aziende Cipea e Idroter.

La Procura ha accusato il finanziere di aver ottenuto l'appartamento come contropartita per favori: irregolarità non denunciate. Ma sulle costruzioni gravavano una serie di abusi edilizi. Per questi sono stati citati a giudizio Gianluca Muratori, presidente di Cipea Holding e presidente di Confartigianato e Giampaolo Cavicchioli, presidente Idroter, ditta esecutrice dei lavori, il direttore dei lavori e il rappresentante di una ditta sub appaltatrice. I fatti sono accaduti dopo un esposto del deputato del Fli Enzo Raisi

Il tribunale del Riesame ha disposto gli arresti domiciliari per il finanzidere dopo che la richiesta di domiciliari era stata respinta dal gip Bruno Giangiacomo. Ma i Pm hanno fatto ricorso. Il finanziare adesso ricorrerà in Cassazione. La vicenda però rischia di finire su un binario morto. La prima udienza è stata fissato nel 2014 e la prescrizione potrebbe essere reale visto che i tempi massimi per la prescrizione di un reato del genere sono 5 anni (i fatti sono stati denunciati nel 2010).


http://affaritaliani.libero.it/emilia-romagna/finanziere-ai-domiciliari-una-casa-per-non-denunciare101012.html