Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 28 maggio 2013
Tutto in una mano.
MASSAGGIATEVI LE VARIE ZONE DELLA MANO X ALLEVIARE I VARI DISTURBI NELLE PARTI INTERESSATE QUESTO E' UN MODO X AUTOCURARVI DA SOLI CON LA RIFLESSOLOGIA SE VI FA MALE LA COLONNA VERTEBRALE MASSAGGIATEVI LA PARTE VICINO AL POLLICE COME SI VEDE NELLA FOTO
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domenica 26 maggio 2013
Elezioni amministrative 2013, 7 milioni al voto. Il grande inciucio al test dell’urna. Thomas Mackinson
Domenica e lunedì urne aperte per rinnovare le amministrazioni in 564 comuni. Occhi puntati su Roma, Ancona, Brescia e Siena. Si vota anche in 14 capoluoghi di provincia. Gli scrutini lunedì dalle 15. Ecco le sfide che attendono i maggiori partiti. Battesimo per il governo Letta-Alfano, prova del fuoco per Grillo.
Sette milioni d’italiani tornano al seggio dopo i giorni più pazzi della Repubblica. Lo avevano lasciato solo tre mesi fa, depositando nell’urna un chiaro segnale di cambiamento. Il voto delle politiche di febbraio aveva polverizzato in un attimo vent’anni di bipolarismo e aveva chiesto a tre grandi forze politiche di competere alla costruzione della Terza Repubblica. Da allora gli elettori han visto di tutto e di più, soprattutto il non richiesto: il capo dello Stato tornare al Colle senza averlo mai lasciato, il Pd della “non-vittoria” deflagrare più volte e poi abbracciare il Pdl di Silvio Berlusconi in un governo di pacificazione che passa il tempo a minare e sminare la possibilità di sopravvivere a se stesso. Quello di domani sarà anche un voto sulla pacificazione, sulla politica dell’inciucio. Mario Monti, azionista di minoranza, è quasi scomparso. Ma anche chi ne è rimasto fuori, a ben vedere, ha i suoi problemi. E pure Beppe Grillo, a questo giro, rischia di pagare un alto prezzo in termini di consenso.
E tuttavia da tempo si dà per vincitore il partito dell’astensione. Gli ultimi giorni di campagna elettorale hanno reso evidenti le difficoltà di “scaldare le piazze”, perfino nelle città che – fra le 564 amministrazioni chiamate al rinnovo – catapultano rapporti di forza, contese e scenari della politica nazionale più convulsa e nebulosa di sempre. Gli ultimi comizi dei big sono stati tutti sotto tono, alcuni sono andati semi deserti. E così rischiano di andare le urne, che si aprono domani mattina alle 8 e fino alle 22 e lunedì dalle 7 alle 15. Terminate le operazioni di voto iniziano gli scrutini e, in caso di ballottaggio per l’elezione dei sindaci, si voterà domenica 9 giugno con le stesse modalità. Per i comuni superiori ai 5 mila abitanti debutta la novità della doppia preferenza di genere, che l’elettore può esprimere sulla scheda per candidati della stessa lista, purché di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza. “Tempi supplementari” due settimane dopo, il 9 e 10 giugno, quando si terrà l’eventuale ballottaggio negli 89 comuni con più di 15mila abitanti e il primo turno delle comunali in Sicilia. Ecco le partite che contano davvero.
TUTTI HANNO UNA SFIDA DA VINCERE. E MOLTO DA PERDERE
Ci si aspetta un alto tasso di astensione, dunque. E tuttavia non c’è dubbio che di test nazionale si tratti e che ogni forza politica abbia da centrare un obiettivo preciso. Il Popolo delle Libertà gioca in difesa. Al voto vanno infatti la maggior parte dei comuni che avevano svolto le loro amministrative dopo il trionfo del centrodestra alle politiche del 2008. Il Pdl insieme alla Lega Nord può contare su 52 sindaci su 92 città, contro i soli 35 del centrosinistra, la maggior parte di loro esponenti del Pd. In queste città il Pdl punta a una riconferma. Per Berlusconi, sempre più inguiato con la giustizia, anche del teorema secondo cui il consenso delle urne legittima più delle sentenze.
La riconferma il Pd la può trovare invece nei comuni capoluogo, dove i rapporti di forza sono ribaltati, con 9 sindaci democratici, uno di Sel, a Massa Carrara, 4 del Pdl, ed uno a testa per Lega Nord e Udc, Treviso ed Iglesias. Per il partito di Guglielmo Epifani, il voto amministrativo è un test multiplo. Lo è personalmente per il neosegretario, che debutta avendo di fronte a sé il difficile compito di tenere insieme il supporto al governo Letta e una base sempre meno contenta dell’accordo con Berlusconi. Dall’esito si capirà se l’elettorato democratico ha davvero stracciato la tessera o ha ingoiato uno per uno tutti i rospi: dalla mancata vittoria alle politiche di febbraio al balletto di Bersani sul governo coi Cinque stelle, dallo psicodramma del Quirinale e all’abbraccio con il centrodestra suggellato dal governo Letta-Alfano. Non solo. I candidati locali sono anche il frutto delle tante correnti che attraversano e frantumano il partito in vista del congresso d’autunno. Si sono fatte sentire fino all’ultimo con distinguo, veleni, sgambetti e passaggi alla conta dei birilli. Impossibile, dunque, prevedere azioni e reazioni degli elettori democratici.
C’è poi Beppe Grillo con il suo test in 150 comuni. Servirà a confermare o ridimensionare il boom delle politiche. Sotto la lente, per avere un termometro affidabile, il numero di ballottaggi che il Movimento porterà a casa nelle località in cui aveva raccolto più consensi alle politiche 2013. I risultati incassati in Friuli il 21 e 22 aprile scorso, quasi un’appendice del voto di febbraio, hanno registrato una flessione ma era un micro-test. E’ il momento per quello vero. Dal risultato si capirà se Grillo paga un pegno, e quanto pesante, all’indisponibilità a un accordo col Pd, alle polemiche che hanno scandito esordio e attività degli onorevoli a cinque stelle in Parlamento su rimborsi e democrazia interna. Scelta Civica si presenta sfilaccia, con liste locali o in appoggio ad altri candidati. In tutta la Liguria, per dire, non ha un candidato. Per il progetto centrista di Monti&co potrebbe essere un segnale di sopravvivenza.
Ci si aspetta un alto tasso di astensione, dunque. E tuttavia non c’è dubbio che di test nazionale si tratti e che ogni forza politica abbia da centrare un obiettivo preciso. Il Popolo delle Libertà gioca in difesa. Al voto vanno infatti la maggior parte dei comuni che avevano svolto le loro amministrative dopo il trionfo del centrodestra alle politiche del 2008. Il Pdl insieme alla Lega Nord può contare su 52 sindaci su 92 città, contro i soli 35 del centrosinistra, la maggior parte di loro esponenti del Pd. In queste città il Pdl punta a una riconferma. Per Berlusconi, sempre più inguiato con la giustizia, anche del teorema secondo cui il consenso delle urne legittima più delle sentenze.
La riconferma il Pd la può trovare invece nei comuni capoluogo, dove i rapporti di forza sono ribaltati, con 9 sindaci democratici, uno di Sel, a Massa Carrara, 4 del Pdl, ed uno a testa per Lega Nord e Udc, Treviso ed Iglesias. Per il partito di Guglielmo Epifani, il voto amministrativo è un test multiplo. Lo è personalmente per il neosegretario, che debutta avendo di fronte a sé il difficile compito di tenere insieme il supporto al governo Letta e una base sempre meno contenta dell’accordo con Berlusconi. Dall’esito si capirà se l’elettorato democratico ha davvero stracciato la tessera o ha ingoiato uno per uno tutti i rospi: dalla mancata vittoria alle politiche di febbraio al balletto di Bersani sul governo coi Cinque stelle, dallo psicodramma del Quirinale e all’abbraccio con il centrodestra suggellato dal governo Letta-Alfano. Non solo. I candidati locali sono anche il frutto delle tante correnti che attraversano e frantumano il partito in vista del congresso d’autunno. Si sono fatte sentire fino all’ultimo con distinguo, veleni, sgambetti e passaggi alla conta dei birilli. Impossibile, dunque, prevedere azioni e reazioni degli elettori democratici.
C’è poi Beppe Grillo con il suo test in 150 comuni. Servirà a confermare o ridimensionare il boom delle politiche. Sotto la lente, per avere un termometro affidabile, il numero di ballottaggi che il Movimento porterà a casa nelle località in cui aveva raccolto più consensi alle politiche 2013. I risultati incassati in Friuli il 21 e 22 aprile scorso, quasi un’appendice del voto di febbraio, hanno registrato una flessione ma era un micro-test. E’ il momento per quello vero. Dal risultato si capirà se Grillo paga un pegno, e quanto pesante, all’indisponibilità a un accordo col Pd, alle polemiche che hanno scandito esordio e attività degli onorevoli a cinque stelle in Parlamento su rimborsi e democrazia interna. Scelta Civica si presenta sfilaccia, con liste locali o in appoggio ad altri candidati. In tutta la Liguria, per dire, non ha un candidato. Per il progetto centrista di Monti&co potrebbe essere un segnale di sopravvivenza.
ROMA, BRESCIA, SIENA E LE ALTRE CITTA’ CHE SCOTTANO
Oltre al conteggio di chi avrà più amministrazioni tra le grandi città al voto – tutti concordano sul punto – il giudizio finale su questa tornata amministrativa sarà determinato dal vincitore di Roma. Match decisivo nella Capitale ma per nulla scontato. In corsa Gianni Alemanno e Ignazio Marino che i sondaggi delle ultime settimane danno in equilibrio, mentre meno prevedibile è il gradimento di De Vito, del M5S, ed il civico Marchini. La fotografia delle piazze dei comizi finali hanno visto San Giovanni decisamente vuota per salutare il candidato Marino, e perfino truppe cammellate a ranghi ridotti per Silvio Berlusconi all’Arco di Costantino. Perfino Grillo fa “quasi il pieno” in Piazza del Popolo. Insomma, se a votare vanno solo i presenti, son guai.
Oltre al conteggio di chi avrà più amministrazioni tra le grandi città al voto – tutti concordano sul punto – il giudizio finale su questa tornata amministrativa sarà determinato dal vincitore di Roma. Match decisivo nella Capitale ma per nulla scontato. In corsa Gianni Alemanno e Ignazio Marino che i sondaggi delle ultime settimane danno in equilibrio, mentre meno prevedibile è il gradimento di De Vito, del M5S, ed il civico Marchini. La fotografia delle piazze dei comizi finali hanno visto San Giovanni decisamente vuota per salutare il candidato Marino, e perfino truppe cammellate a ranghi ridotti per Silvio Berlusconi all’Arco di Costantino. Perfino Grillo fa “quasi il pieno” in Piazza del Popolo. Insomma, se a votare vanno solo i presenti, son guai.
Ad ogni modo non c’è solo Roma. Una delle piazze “calde” è sicuramente Brescia, città che ha visto materializzarsi il divario tra centro destra e centro sinistra “non di governo”. Dove militanti dell’una e l’altra parte sono arrivati agli insulti e alle mani quando mezzo Pdl ha manifestato contro la decisione di non trasferire qui i processi del leader del Pdl. Al voto 141mila cittadini che dovranno scegliere tra vecchio e nuovo. Vecchi, e non per età anagrafica, sono il candidato del centrodestra Adriano Paroli che punta alla conferma e pure lo sfidante del Pd, Emilio Del Bono, già sfidante e perdente nel 2008. Per i Cinque Stelle corre Laura Gamba. Oltre ai tre favoriti sono in corsa sette candidati minori.
Potente il significato simbolico e politico nella sfida per Siena che torna al voto dopo appena due anni. Qui è scoppiato l’ultimo scandalo finanziario d’Italia e ha travolto i democratici (e non solo senesi) come un fiume in piena. Il travaglio interno al Pd ha prodotto una spaccatura tra i consiglieri che ha portato, a maggio dell’anno scorso, alle dimissioni del sindaco Franco Ceccuzzi. Dopo due primarie, il Pd candida Bruno Valentini, dirigente per trent’anni di Mps ma già sindaco di Monteriggioni, e per questo spendibile come “outsider” rispetto ai poteri locali protagonisti del terremoto. Che la partita stia a cuore al Pd lo si è capito con il comizio del neo segretario Epifani.
Tra le partite più importanti c’è quella di Ancona: nel capoluogo delle Marche i cittadini sono senza sindaco dal 27 dicembre 2012. Ovvero, da quando Fiorello Gramillano, del Partito democratico, aveva rassegnato le dimissioni a causa di alcuni problemi interni alla maggioranza di centrosinistra. Diversi i candidati al voto, in una città venuta alla ribalta nelle scorse settimane anche per i dissidi a 5 stelle: il candidato ufficiale Andrea Quattrini era stato criticato da alcuni ex militanti grillini, vicini all’ex candidato del 2009 Mauro Gallegati.
Curiosa la partita di Barletta. Il candidato a sindaco di un centrosinistra in versione allargata arriva direttamente dal Quirdinale, è l’ex portavoce del presidente Napolitano, Pasquale Cascella, attorno al quale si raccolgono Pd, Sc, Cd, Sinistra unita e due civiche.
sabato 25 maggio 2013
venerdì 24 maggio 2013
Ezio Greggio, un tapiro per il conduttore: lo stipendio pagato all’estero. - Luigi Franco
Mediaset in quattro anni ha sborsato 23 milioni di euro per il volto di Striscia: vanno tutti in Irlanda e a Montecarlo. Quasi 15 milioni sono stati versati a lui, residente nel Principato. Altri 8 milioni sono finiti a una società con sede a Dublino.
Di ramanzine a personaggi più o meno noti, Ezio Greggio ne ha fatte un bel po’. Maghi truffaldini, terapeuti imbroglioni, politici beccati in fuori onda imbarazzanti. Il prossimo Tapiro d’oro, però, potrebbe meritarselo proprio lui, dopo 25 anni passati alla conduzione di Striscia la notizia. Perché il suo caso è tra quelli che stanno suscitando l’interesse dell’Agenzia delle entrate. Per aggiudicarsi le sue battute e le sue frecciate irriverenti, Mediaset ha speso negli ultimi quattro anni più di 23 milioni di euro, parte dei quali sono finiti a una società con base in Irlanda. E da valutare, per l’agenzia, c’è soprattutto la residenza dello showman, che non si trova a Milano o nelle vicinanze di Cologno Monzese, ma in uno dei paradisi fiscali più prossimi a casa nostra, il principato di Monaco.
Vicino sì, ma da Montecarlo agli studi tv della famiglia Berlusconi – ragionano gli ispettori del Fisco – sono sempre più di 300 chilometri ad andare e altrettanti a tornare. Un bel viaggio da fare per ognuna delle oltre 160 puntate all’anno che Greggio conduce a Striscia. Insomma, di tempo nei dintorni di Milano, deve passarne parecchio, soprattutto nei mesi in cui il tg satirico è affidato a lui. Ci sono poi da fare i promo, le riunioni con gli autori e con la produzione, ogni tanto pure qualche prova. Il contratto con Mediaset, poi, oltre a Striscia comprende anche le ospitate a Paperissima, una fiction e trasmissioni serali come Veline, andata in onda l’estate scorsa.
Per ogni partecipazione di Greggio a Striscia, la società Rti del gruppo Mediaset spende intorno ai 24mila euro. La cifra va moltiplicata per tutte le puntate di un anno e poi vanno aggiunte le altre presenze sullo schermo. Così nelle quattro stagioni che vanno dal 2009 al 2013 Greggio è costato a Rti oltre 23 milioni di euro. Di questi, più di 12 milioni sono stati versati direttamente a lui per le trasmissioni e quasi 2,5 per l’esclusiva. Mentre altri 8 milioni sono finiti alla Wolf Pictures Ltd, una società con sede a Dublino, in Irlanda, in cui in passato ha lavorato anche Leonardo Recalcati, una vecchia conoscenza con cui Greggio ha collaborato nel 2011 per produrre ‘Box Office 3D – Il film dei film’, la sua ultima fatica cinematografica da regista.
Alla Wolf Pictures Ltd Greggio ha ceduto tutti i diritti di sfruttamento economico della sua immagine, che poi sono stati venduti a Mediaset. Un triangolo su cui l’Agenzia delle entrate vuole vederci più chiaro. Come sulla residenza a Monaco, grazie a cui Greggio può cavarsela con una ritenuta alla fonte del 30 per cento su quanto ricevuto da Mediaset, invece di versare nel nostro Paese imposte con aliquote che per importi così elevati superano il 40 per cento. La residenza monegasca, tra l’altro, non vale a Greggio solo vantaggi fiscali. È capitato infatti che per partecipare a una puntata di Paperissima, ai 60mila euro di cachet ne siano stati aggiunti 25mila per le spese di viaggio da Monaco, 600 chilometri davvero ben pagati.
Greggio non è il primo vip che attira l’attenzione del Fisco. Tra gli altri, nel 2008 Valentino Rossi ha dovuto firmare un accordo da 35 milioni di euro per chiudere il contenzioso con l’Agenzia delle entrate che gli contestava la residenza londinese. Luciano Pavarotti invece ha sostenuto di essere residente a Montecarlo, finché nel 2000 ha dovuto rimborsare all’Erario 24 miliardi delle vecchie lire. Da Greggio, per ora, nessun commento: il suo cellulare ieri ha suonato a vuoto per tutto il giorno, né gli sms hanno avuto risposta. È all’estero, fanno sapere dalla Greggio Comunicazione di Milano, l’agenzia della sorella Paola. In ogni caso, nulla dovrebbe accadere a Mediaset, che nel contratto si è fatta garantire dall’artista una manleva nel caso di sanzioni fiscali per sue dichiarazioni false. Ma il Gabibbo, di certo, una bella predica non la risparmierebbe. Quella, del resto, è pur sempre l’azienda di chi per anni ha governato il Paese.
Ilva, sigilli al tesoro dei Riva sequestrati 8,1 miliardi di euro. - MARIO DILIBERTO e GIULIANO FOSCHINI
Sequestro da oltre otto miliardi di euro all'Ilva. I militari della guardia di Finanza di Taranto hanno avviato questa mattina il provvedimento di sequestro per equivalente disposto dal gip Patrizia Todisco su richiesta del pool titolare dell'inchiesta per disastro ambientale, guidato dal procuratore capo Franco Sebastio. La procura ha ottenuto il sequestro di beni riconducibili alla famiglia Riva e in particolare alla società Rivafire spa.
LEGGI / "Così hanno nascosto i soldi"
Il provvedimento si inquadra nell'indagine che ha messo sulla graticola la grande fabbrica per l'inquinamento killer sprigionato dagli impianti delle acciaierie sulla città. Il sequestro record è scaturito proprio dal mancato risanamento dei reparti dell'area a caldo, indicati come la fonte dei veleni industriali ritenuti causa di malattia e morte. In pratica i consulenti dei pubblici ministeri hanno quantificato la somma che Ilva avrebbe dovuto investire negli anni per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica.
Gli investimenti non eseguiti si sono tradotti in un guadagno per la proprietà ritenuto però fonte di reato. Di qui i sigilli per un valore di otto miliardi e centomila euro. L'inchiesta per disastro ambientale è scattata nel luglio dello scorso anno con l'arresto di Emilio Riva, l'anziano patron dell'Ilva, finito ai domiciliari, e il contestuale sequestro degli impianti inquinanti. Da allora l'inchiesta ha fatto registrare numerose e violente sterzate. A novembre scorso un altro blitz della Finanza ha portato in carcere alcuni dirigenti, ma alla retata sfuggì Fabio Riva, figlio di Emilio, attualmente latitante a Londra. Solo due giorni fa la procura di Milano aveva disposto il sequestro preventivo di circa 1,2 miliardi a carico di Emilio e Adriano Riva per truffa allo Stato.Oggi il nuovo colpo di scena con il sequestro record.
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Il provvedimento si inquadra nell'indagine che ha messo sulla graticola la grande fabbrica per l'inquinamento killer sprigionato dagli impianti delle acciaierie sulla città. Il sequestro record è scaturito proprio dal mancato risanamento dei reparti dell'area a caldo, indicati come la fonte dei veleni industriali ritenuti causa di malattia e morte. In pratica i consulenti dei pubblici ministeri hanno quantificato la somma che Ilva avrebbe dovuto investire negli anni per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica.
Gli investimenti non eseguiti si sono tradotti in un guadagno per la proprietà ritenuto però fonte di reato. Di qui i sigilli per un valore di otto miliardi e centomila euro. L'inchiesta per disastro ambientale è scattata nel luglio dello scorso anno con l'arresto di Emilio Riva, l'anziano patron dell'Ilva, finito ai domiciliari, e il contestuale sequestro degli impianti inquinanti. Da allora l'inchiesta ha fatto registrare numerose e violente sterzate. A novembre scorso un altro blitz della Finanza ha portato in carcere alcuni dirigenti, ma alla retata sfuggì Fabio Riva, figlio di Emilio, attualmente latitante a Londra. Solo due giorni fa la procura di Milano aveva disposto il sequestro preventivo di circa 1,2 miliardi a carico di Emilio e Adriano Riva per truffa allo Stato.Oggi il nuovo colpo di scena con il sequestro record.
Mediaset, i giudici su Berlusconi: “Vi è la prova che abbia gestito enorme evasione”.
Frode fiscale anche da capo del governo. E’ questa la riflessione in sintesi dei giudici della d’appello di Milano che l’8 maggio scorso hanno confermato la condanna a 4 anni e l’interdizione dai pubblici uffici per Silvio Berlusconi nel processo Mediaset. Nelle motivazioni della sentenza si parla di “un sistema portato avanti per molti anni” dall’ex premier e “proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti. E condotto in posizione di assoluto vertice”. Il leader del Pdl è considerato quindi tra i “responsabili di vertice di tale illecita complessiva operazione”.
Se Cassazione confermerà sarà il Senato a decidere il destino del Cavaliere. Il verdetto e le motivazioni aprono adesso la strada verso quello che sarà il giudizio definitivo in Cassazione. Quello che teme il Cavaliere non è la condanna a 4 anni (3 anni sono stati indultati), ma la pena accessoria ovvero l’interdizione dei pubblici uffici che comporterebbe la decadenza dalla sua carica di senatore come prevede la legge. Ebbene, e non è un dato di poco rilievo, la perdita del pubblico ufficio a causa di una sentenza definitiva deve comunque essere votata dalla Camera di appartenenza. Quindi se e quando gli ermellini dovessero confermare in terzo grado questo verdetto comunque sarà la politica e non la legge a decidere se “espellere” il Cavaliere dalle istituzioni. Una possibilità che, in considerazione del “matrimonio di interesse” tar Pd e Pdl, sembra molto più che lontana.
Spetterebbe quindi alla Giunta delle elezioni e dell’immunità (il cui presidente non è stato ancora eletto, ndr) avviare la “Procedura di contestazione dell’elezione”. Quasi un altro giudizio che nel caso di Berlusconi prevederebbe un relatore della Regione Molise il collegio elettorale scelto dal leader del Pdl. Il parere della giunta poi dovrebbe ricevere il definitivo e vincolante via libera dall’aula di Palazzo Madama. Quello che potrebbe cambiare lo scenario sarà un eventuale verdetto di condanna nel processo Ruby, ma la nuova legge sulla corruzione-concussione potrebbe riservare qualche sorpresa di carattere procedurale e si è ancora in attesa della decisione delle sezioni Unite della Cassazione sulla questione.
Per i giudici di secondo grado la gestione dei diritti faceva capo al leader del Pdl. La gestione dei diritti televisivi e cinematografici faceva capo al leader del Pdl. “Era assolutamente ovvio – scrivono – che la gestione dei diritti, il principale costo sostenuto dal gruppo, fosse una questione strategica e quindi fosse di interesse della proprietà, di una proprietà che, appunto, rimaneva interessata e coinvolta nelle scelte gestionali, pur abbandonando l’operatività giornaliera”. I giudici, presieduti da Alessandra Galli, sottolineano che “almeno fino al 1998 e, quindi, fino a quando ai vertici della gestione dell’acquisto dei diritti vi era stato Bernasconi, vi erano state anche le riunioni per decidere le strategie del gruppo, riunioni con il proprietario del gruppo, con Berlusconi”. E ancora i magistrati ragionano spiegando che: “Ad agire era una ristrettissima cerchia di persone che non erano affatto collocate nella lontana periferia del gruppo ma che erano vicine, tanto da frequentarlo tutti (da Bernasconi ad Agrama, da Cuomo a Lorenzano) personalmente, al sostanziale proprietario (rimasto certamente tale in tutti quegli anni) del medesimo, l’odierno imputato Berlusconi. Un imputato – continuano – un imprenditore che pertanto avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto che avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende e che tutti questi personaggi, che a lui facevano diretto riferimento, non solo gli occultavano tale fondamentale opportunità ma che, su questo, lucravano ingenti somme, sostanzialmente a lui, oltre che a Mediaset, sottraendole”. In base alle testimonianze rese in aula nel processo di primo grado, secondo il giudice d’appello “Berlusconi rimane infatti al vertice della gestione dei diritti, posto che (…) Bernasconi rispondeva a Berlusconi senza nemmeno passare per il cda”. Inoltre, si legge nelle motivazioni, tra il Cavaliere e l’ex manager morto nel 2001 non c’era “altro soggetto con poteri decisionali nel settore dei diritti, neppure dopo la quotazione in borsa e la cosidetta ‘discesa in campo’, nella politica, di Berlusconi”.
I magistrati: “Impossibile concedere le attenuanti a Berlusconi”. Negli anni Mediaset si è resa protagonista di una gestione dei diritti tv secondo i giudici di secondo grado ”del tutto incomprensibile dal punto di vista societario”. Il collegio evidenzia che ”non aveva alcun senso acquistare ad un determinato prezzo quel che si era già individuato acquistabile ed effettivamente acquistato ad un prezzo molto minore”. Il riferimento e’ alle numerose societa’ schermo che – stando all’ipotesi accusatoria – sarebbero servite a Berlusconi per far lievitare il prezzo dei diritti televisivi e cinematografici acquistati da Mediaset presso le principali majors statunitensi e, percio’, a creare fondi neri all’estero per frodare il fisco italiano. La Corte d’Appello di Milano ha ritenuto che ”in relazione alla oggettiva gravità del reato, è ben chiara l’impossibilità di concedere le attenuanti generiche”.
“Prova orale e documentale che Berlusconi abbia gestito fase iniziale dell’enorme evasione fiscale”. Nelle carte del processo d’appello sui diritti tv di Mediaset ”vi è la prova, orale e documentale, che Silvio Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale dell‘enorme evasione fiscale realizzata con le società off shore … Era riferibile a Berlusconi – puntualizzano i giudici – l’ideazione, la creazione e lo sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest ed occulto al fine di mantenere ed alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere presso conti correnti intestati a varie società che erano a loro volta amministrate da fiduciari di Berlusconi”. Così il sistema dei diritti tv di Mediaset ”si scrive in un contesto più generale di ricorso a società off shore anche non ufficiali ideate e realizzate da Berlusconi avvalendosi di strettissimi e fidati collaboratori”. Invece “non vi è prova sufficiente” che il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri (assolto), “fosse realmente consapevole” del sistema “illecito” creato per la compravendita dei diritti tv. Operazione di cui “non gli si poteva attribuire un adeguata conoscenza (…) al punto da sovvertire quei bilanci” delle società.
I giudici della Corte d’appello di Milano, insomma, non hanno dubbi sulle responsabilità dirette di Berlusconi: ”Non è verosimile – scrivono a questo proposito nelle motivazioni – che qualche dirigente di Fininvest o Mediaset abbia organizzato un sistema come quello accertato e, soprattutto, che la società abbia subito per 20 anni truffe per milioni di euro senza accorgersene”. Il sistema delle società off shore è stato ideato ”per il duplice fine di realizzaer un’imponente evasione fiscale e di consentire la fuoriuscita di denaro dal patrimonio di Fininvest e Mediaset a beneficio di Berlusconi”. Identico ragionamento utilizzato dai giudici di primo grado per motivare la pena inflitta al leader del Pdl: in quelle motivazioni i magistrati definivano l’imprenditore “dominus assoluto” di una “evasione notevolissima”.
I legali Niccolò Ghedini e Piero Longo: “Ricorso in Cassazione”. “Si deve sottolineare come nella motivazione depositata quest’oggi le argomentazioni utilizzate siano del tutto erronee e sconnesse rispetto alla realtà fattuale e processuale” affermano, in una nota, Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali di Silvio Berlusconi e annunciano ricorso. “Saranno oggetto di impugnazione nella certezza di una ben diversa decisione nel prosieguo del processo che riconoscerà l’insussistenza del fatto e l’estraneita’ del presidente Berlusconi”, scrivono.
Il "Delinquolo" per eccellenza non vuole saperne di pagare il dovuto o di agire in conformità alle leggi. La stessa parola "legalità" gli procura l'orticaria.
I suoi avvocati dovrebbero, anzicchè fare ricorso in cassazione, consigliargli di uscire dalla scena politica e di dedicarsi al suo privato.
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