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martedì 1 febbraio 2022

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ Frode sui bonus edilizi, le intercettazioni: “Lo Stato è pazzesco, vogliono essere inc**lati”. La Finanza sequestra trolley pieni di contanti. - Giovanna Trinchella

 

Il gip di Rimini sugli indagati: "Veri e propri habitué della frode... in preda ad una sorta di ludopatia da reato". Uno degli indagati intercettato: "Non ne hai idea di quanti cazzo di soldi hanno fatto ... non sanno più dove andare ad aprire i conti correnti in giro per il mondo per mettere i soldi, ma noi ci stiamo dietro.... ci stiamo dietro, a ruota stiamo andando, però dobbiamo stare attenti..."

Come in ogni inchiesta sulle frodi ai danni dello Stato e quando in ballo ci sono milioni di euro, le intercettazioni agli atti delle inchieste spiegano più di ogni atto investigativo la natura degli imbrogli e, a volte, la qualità della consapevolezza di chi commette i reati. Ed è successo anche con l’inchiesta della Guardia di finanza di Rimini che ha svelato l’esistenza di una organizzazione che creava società ad hoc per incassare le agevolazioni edilizie. Denaro pubblico erogato dal governo, tramite bonus locazioni, sisma e facciate, per cercare di arginare anche i pesantissimi danni economici provocati dalla pandemia di Covid. E l’inizio del coronavirus ha “portato bene” come dicono gli stessi protagonisti dell’indagine coordinata dalla procura di Rimini. Tant’è che uno degli indagati, intercettato, del business parla così: “…Milano, oggi si mettono a Dubai … Non ne hai idea di quanti cazzo di soldi hanno fatto … non sanno più dove andare ad aprire i conti correnti in giro per il mondo per mettere i soldi, ma noi ci stiamo dietro…. ci stiamo dietro, a ruota stiamo andando, però dobbiamo stare attenti… “. E del resto con l’impiego di cani cashdog, che fiutano appunto il denaro contante, le Fiamme gialle hanno trovato durante una perquisizione trolley pieni di banconote. L’organizzazione era riuscita tramite alcune società napoletane a monetizzare i crediti derivanti dai bonus. Secondo gli inquirenti sono stati “commercializzati 440 milioni di falsi crediti”.

IL BONUS LOCAZIONI – In un’altra intercettazione Nicola Bonfrate, per cui il giudice per le indagini preliminari ha disposto l’arresto, ritenuto promotore e capo dell’associazione a delinquere in quanto amministratore di diritto o di fatto di numerose società coinvolte, va anche oltre e sembra quasi compiaciuto della facilità con cui l’organizzazione può fregare lo stato: “Cioè, lo Stato italiano è pazzesco, è una cosa… vogliono essere inc**lati praticamente…” Una frase all’interno di un dialogo con il commercialista Matteo Banin, anche lui raggiunto da ordinanza di custodia in carcere, in cui si parla del bonus locazioni. Per il gip Manuel Bianchi questa frase illustra la modalità di determinazione dell’importo, “evidenziando che tale agevolazione è anche estremamente vantaggiosa in quanto il credito di imposta è utilizzabile per compensare qualsiasi tributo senza alcuna limitazione, matura immediatamente nell’anno 2021 e non è differito come accade per il Sismabonus”. “Quello invece della locazione è tutto nell’anno”, dice Banin. Bonfrate: “Azzo, e cambia il discorso. Meno male che me l’hai detto“. Banin: “Quello, hai capito, è tutto nell’anno ed è il 60% del canone”. E ancora, il commercialista: “Perché vuol dire che tu devi dichiarare un canone il cui 60% ti dà quel valore lì”. Bonfrate: “Minchia! lo dichiari tu”. Risposta: “Esatto”.

IL BONUS SISMA – Anche per quanto riguarda il bonus sisma era stato architettato, secondo la procura di Rimini, il modo di entrare in possesso illecitamente dei fondi. Ma come spiega sempre Bonfrate per case che non sarebbero state mai ristrutturate: “Tutte le particelle catastali sono particelle catastali che non avranno mai mai una ristrutturazione dopo di adesso. Sono tutte particelle di zone depresse”. Un affare enorme che impressiona lo stesso imprenditore che in un’altra conversazione dice: “Vedi che io ero abituato a queste cifre prima del carcere … cioè non mi fanno impressione. A me mi fanno impressione quelli che andiamo a fare adesso … quelli sì mi fanno un po’ impressione da gestire … da gestire … da gestire gli incassi, da gestire il bonus … trenta miliun … sarebbe da pazzi. Sarebbe come dire all’Agenzia delle Entrate o alla Guardia di Finanza ‘veniteli a prendere’. Dovremmo avere una Spa …“. Che per gli inquirenti in effetti è l’associazione a delinquere contestata a vario titolo: nell’indagine sono in totale 78 le persone indagate.

Una di queste il commercialista Stefano Francioni commenta in un’altra conversazione quanto il meccanismo ideato fosse redditizio anche i professionisti considerati compiacenti dalla procura: “Nel frattempo, ripeto, io sto andando forte come un leone ovviamente, ho dato una serie di smacchi incredibili a tutti perché coi soldi alla mano ho fatto delle operazioni importanti: ho comprato un’altra casa, ho comprato e venduto dei crediti fiscali e quindi coi soldi dopo mi sono messo a posto… mi sono rialzato completamente. Ho circa … ho circa 400mila euro sui conti correnti che non so cosa farmene”.

IL MECCANISMO DELLA FRODE – Il meccanismo è stato così ricostruito dagli investigatori delle Fiamme gialle: con la complicità di professionisti venivano individuate società attive in grave difficoltà economica o ormai decotte, utili alla creazione degli indebiti crediti d’imposta. Veniva sostituito il rappresentante di diritto di tali società con un prestanome, da cui ottenere le credenziali per poter inserire le comunicazioni di cessioni crediti nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate, così da avere uno schermo in caso di futuri accertamenti. Quindi venivano inserite le comunicazioni dichiarando di aver pagato canoni di locazione superiori agli effettivi (persino oltre il 260.000%) o effettuato lavori edili mai iniziati, così da generare crediti di imposta non spettanti. Quindi c’era la cessione dei crediti d’imposta a società compiacenti e dopo il secondo passaggio a società terze inconsapevoli, così da rendere più difficile la ricostruzione. L’indagine, nata lo scorso di giugno analizzando gli atti di un fallimento, “ha consentito il monitoraggio dell’organizzazione criminale fin quasi dalla sua genesi e in tutti i passaggi di sviluppo, verificando come la stessa fosse totalmente dedicata alla creazione e commercializzazione di falsi crediti di imposta, successivamente monetizzati cedendoli a ignari acquirenti estranei alla truffa, portati in compensazione con conseguente danno finale alle casse dello Stato”.

GLI “INVESTIMENTI” – I soldi sono stati investiti in attività sia commerciali che immobiliari con il subentro nella gestione di ristoranti, acquisto di immobili e/o quote di partecipazioni societarie); veicolati attraverso una fatturazione di comodo, verso alcune società partenopee per essere monetizzate in contanti; trasferiti su carte di credito ricaricabili business, con plafond anche di 50.000 euro e prelevato in contanti presso vari bancomat; impiegati per finanziarie società a Cipro, Malta, Madeira; convertiti in cripto valute; investiti in metalli preziosi ed in particolare nell’acquisto di lingotti d’oro.

Secondo il giudice l’organizzazione non si era fermata nonostante ci fosse stata una modifica del credito d’imposta proprio per impedire frodi di questo tipo. Ma la nuova normativa di settore lo scorso novembre veniva così commentata da Bonfrate: “Fatta la legge trovato l’inganno”. E neanche la comunicazione dell’avvio di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate aveva fermato il meccanismo. Per il gip: “Inutile dire che le condotte degli indiziati, anche nell’ottica della missione della Repubblica di rimuovere gli ostacoli all’affermazione dell’eguaglianza sostanziale fra i cittadini, qui specificamente traguardata mediante il riconoscimento di una serie di provvidenze ai settori dell’economia reale ritenuti maggiormente bisognosi, si rivelano di una inaudita rimproverabilità e meritevolezza di pena… Non solo, ma l’autentica dedizione alla criminalità di profitto di molti degli indagati, già veri e propri habitué della frode … lascia presagire, in modo ragionevolmente certo, che gli stessi, in preda ad una sorta di ludopatia da reato, eluderebbero con disinvoltura, pur di continuare a delinquere o comunque pur di mettere al sicuro i profitti di reati già commessi”. Ed è per questo che per 8 degli indagati è stata firmata l’ordinanza di custodia in carcere, per quattro sono stati disposti i domiciliari e 20 imprenditori e tre commercialisti interdetti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/31/frode-sui-bonus-edilizi-le-intercettazioni-lo-stato-e-pazzesco-vogliono-essere-inclati-la-finanza-sequestra-trolley-pieni-di-contanti/6474948/?fbclid=IwAR1GEQ6KIOlTxLyAB1BIltctuWsvdgK7euGcjN-dh_D9hV3x4dSldF57AXI

sabato 19 ottobre 2019

Impossibile spiegare all’estero... - Francesco Ersparmer

Risultati immagini per evasione fiscale, berlusconi

Impossibile spiegare all’estero questo titolo del “Fatto”: “Carcere grandi evasori, Berlusconi: ‘Arresto oltre i 50mila euro è un attacco alla libertà’”. Lasciamo stare l’encomio di uno dei crimini più dannosi, l’evasione fiscale (una delle tante idiozie del governo di D’Alema fu l’abolizione della legge 303 che puniva l’apologia di reati contro lo Stato); allarmante è il fatto che ai giornalisti, ormai servili per abitudine ancor più che per interesse, ma anche ai loro lettori, non sembri assurdo o umoristico che qualcuno possa definire l’arresto “un attacco alla libertà”. E che altro dovrebbe essere? “Restrizione della libertà personale” è la definizione dei vocabolari. Ma il liberismo non tollera limitazioni alla libertà personale ed è riuscito a convincere i popoli che l’unico valore sia fare quello che gli pare, soprattutto soldi e shopping; tutto il resto, incluse la giustizia, l’eguaglianza, la solidarietà, la dignità, sono dettagli, per non parlare di concetti ridicolizzati quali la virtù, l’onore, l’onestà, la saggezza.
In Italia poi si aggiunge il radicato antistatalismo, di cui si servirono radicali e liberal (travestiti da estrema sinistra) per favorire l’americanizzazione del paese con i soliti miti della deregulation, delle privatizzazioni e del buonismo. Almeno, Berlusconi è esplicito: la tolleranza per l’illegalità diffusa e la mitezza delle pene servono a creare una complicità di massa che consenta ai ricchi di rubare e corrompere impunemente. Sono milioni gli italiani che preferiscono i privilegi ai diritti e che proclamandosi vittime della società si esentano da ogni responsabilità e approvano chi corrode l’autorità dello Stato, anche se si tratti dei loro sfruttatori. Viene voglia di lasciare che tornino a essere i miserabili servi di tiranni locali e padroni stranieri. Invece bisogna resistere, anche in nome dei coglioni.
Occorre però essere abili. Stroncare l’evasione fiscale è la condizione necessaria e sufficiente di qualsiasi ulteriore riforma che incida in profondità. Come realizzarla? Facendo contemporaneamente tre cose:
1) Sbattendo in galera i grossi evasori e sequestrando i patrimoni loro e dei loro eredi, e se scappano all’estero, li si privi della cittadinanza e della possibilità di rientrare in Italia, neppure da morti.
2) Drasticamente abbassando la pressione fiscale sui piccoli e medi imprenditori, riconoscendo che l’evasione è spesso l’unica alternativa al fallimento o alla resa nei confronti delle multinazionali.
3) Impedendo alle multinazionali di evadere le tasse legalmente spostando le loro sedi all’estero; e se minacciano di tagliare gli investimenti, andiamo a vedere il loro bluff, e se non fosse un bluff tanto meglio.
Ripeto: le tre cose vanno fatte contestualmente. In modo che se l’Olanda o l’Irlanda continueranno a essere il paradiso della finanza e della libertà, l’Italia diventi il paradiso delle piccole e medie imprese e della solidarietà.


Francesco Erspamer


https://www.facebook.com/frerspamer?__tn__=%2CdK-R-R&eid=ARBw3uODTAkMQBhvp8i8uLWgKHoT3aD1in57Z8uKo-9LwBi13uHbdUGSGxqn8zQnRTD8dgrv9ZJSnk5Q&fref=mentions

mercoledì 15 maggio 2019

Frode fiscale da 25 milioni fra l'Italia e l'Europa dell'Est, 12 arresti.



Operazione della Guardia di finanza di Padova: 100 perquisizioni, anche fuori regione e all'estero. Nel mirino un'associazione a delinquere che coinvolge 42 società operanti nel settore della prevenzione antincendio e antinfortunistica: proventi trasferiti in Slovacchia, Croazia e Slovenia per nasconderli al fisco.

https://mattinopadova.gelocal.it/regione/2019/05/15/news/frode-fiscale-da-25-milioni-fra-l-italia-e-l-europa-dell-est-12-arresti-1.32489945

venerdì 19 ottobre 2018

Roma, evasione fiscale da oltre 140 milioni: arrestato imprenditore.

Roma, evasione fiscale da oltre 140 milioni: arrestato imprenditore

Gianluca De Cubellis, 43 anni, era lʼamministratore di fatto di più di 20 società.


Come amministratore di fatto di oltre 20 società che operavano in diversi settori, ha evaso tasse e imposte per oltre 140 milioni di euro. E' l'accusa nei confronti di Gianluca De Cubellis, un imprenditore romano di 44 anni arrestato dalla guardia di finanza per una serie di frodi fiscali, truffe ai danni dello Stato e falso in bilancio. Nel maggio 2017 l'uomo era già stato colpito da un sequestro per oltre 80 milioni.

Questa somma (80 milioni di euro) corrispondeva ai profitti derivanti dalla commissione di plurimi reati tributari, riciclaggio, autoriciclaggio e truffa.

De Cubellis ha continuato a lavorare utilizzando come schermo una società intestata ad un prestanome e sottraendo al fisco ulteriori 60 milioni. La società, che nel tempo ha operato in vari comparti (in prevalenza commercio di prodotti elettronici, informatici e petroliferi), attraverso l'emissione di fatture fittizie e la simulazione di esportazioni mai avvenute, ha indebitamente fruito di crediti Iva inesistenti per compensare oltre 5 milioni di debiti tributari ed evadere, complessivamente, imposte.

Il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di De Cubellis, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e del divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali per un anno.

Fonte: tgcom24.mediaset del 19/10/2018

mercoledì 25 gennaio 2017

Silvio Berlusconi, chiusa indagine stralcio Publitalia: verso il processo per frode fiscale e appropriazione indebita.

Silvio Berlusconi, chiusa indagine stralcio Publitalia: verso il processo per frode fiscale e appropriazione indebita

La Procura contesta all'ex premier di aver "assicurato" la "corresponsione da parte di Publitalia" di "un vitalizio" per un totale di oltre 12 milioni di euro a due suoi amici, Alberto Bianchi, amministratore di una società di intermediazione pubblicitaria, e Romano Luzi, titolare di un’altra società, con un presunto giro di false fatture.

I guai giudiziari di Silvio Berlusconi non finiscono mai. L’ex premier e leader di Forza Italia, che nei giorni scorsi si è detto pronto a discutere la legge elettorale (e proprio oggi la Consulta ha deciso sull’Italicum) rischia un altro processo a Milano. Le accuse contestate all’ex Cavaliere sono frode fiscale e appropriazione indebita e gli arrivano da uno stralcio dell’inchiesta della Procura nella quale Fulvio Pravadelli, ex amministratore delegato ed ex vicepresidente di Publitalia, la concessionaria di pubblicità del gruppo Mediaset, ha già chiesto di patteggiare un anno. Patteggiamento su cui il giudice Natalia Imarisio deciderà domani. Pravadelli ha già risarcito con 18 milioni di euro il Fisco.
I pm Giordano Baggio e Mauro Clerici hanno chiuso nei giorni scorsi il nuovo filone a carico dell’ex premier, come anticipato oggi dal Corriere della Sera in vista della richiesta di rinvio a giudizio che dovrà essere valutata da un gup. La Procura contesta a Berlusconi di aver “assicurato” la “corresponsione da parte di Publitalia” di “un vitalizio” per un totale di oltre 12 milioni di euro a due suoi amici, Alberto Bianchi, amministratore di una società di intermediazione pubblicitaria, e Romano Luzi, titolare di un’altra società, con un presunto giro di false fatture. Domani altri due indagati, intanto, proveranno a patteggiare: Luca Vitiello (un anno e mezzo), amministratore di una delle società che avrebbe emesso le false fatture e Bianchi. Quest’ultimo dovrà comparire davanti al giudice Luigi Gargiulo: per questo patteggiamento la Procura non ha dato il suo assenso.
Alla fine dello scorso luglio, infatti, la Procura di Milano aveva chiuso le indagini a carico di Pravadelli e altre sette persone. Tra loro anche Alberto Maria Salvatore Bianchi, amico di vecchia data del leader di Forza Italia e titolare della società milanese New Pubbligest e presunto mediatore. Secondo l’ipotesi della Procura, Publitalia, tra il 2008 e il 2013 e con l’ok di Pravadelli, avrebbe pagato, con un meccanismo di false fatture emesse dalla società di Bianchi, provvigioni per operazioni inesistenti al presunto mediatore, che svolgeva l’attività di promotore per spazi pubblicitari. Nelle scorse settimane, poi, si era saputo che la Procura sarebbe stata intenzionata a chiedere l’archiviazione per lo stralcio dell’indagine che coinvolge l’ex premier, ma poi gli inquirenti hanno deciso di notificare l’avviso di chiusura indagini a Berlusconi in vista della richiesta di processo.
Col presunto giro di fatture false e con i soldi che sarebbero usciti dalle casse di Publitalia, Berlusconi, indagato in qualità di “fondatore del gruppo Fininvest”, avrebbe “determinato” Pravadelli (è indagato con lui in concorso nei due reati) per far ottenere il pagamento di oltre 6,6 milioni di euro a Bianchi e di circa 5,8 milioni a Luzi. I fatti contestati all’ex premier vanno dall’inizio del 2009 al 2013.

sabato 10 settembre 2016

Processo Menarini, condannati i vertici: pene fino a 10 anni. Disposta confisca da un miliardo.


Firenze, maxi condanna per frode ai vertici dell'azienda Menarini
I fratelli Aleotti, entrambi condannati.

Offshore create con il solo scopo di maggiorare il prezzo delle materie prime per poi giustificare davanti alle autorità sanitarie i costi “gonfiati” e mettere sul mercato medicinali a prezzi più elevati. Era questo il cuore del processo sui vertici dell'azienda farmaceutica finita nelle bufera giudiziaria nel 2011 per una frode durata vent’anni con 860 milioni di euro di danni provocati al Servizio sanitario nazionale.

Offshore create con il solo scopo di maggiorare il prezzo delle materie prime per poi giustificare davanti alle autorità sanitarie i costi “gonfiati” e mettere sul mercato medicinali a prezzi più elevati. Era questo il cuore del processo sui vertici dell’azienda farmaceutica Menarini finita nelle bufera giudiziaria nel 2011 per una mega truffa durata vent’anni con 860 milioni di euro di danni provocati al Servizio sanitario nazionale come contestato dagli inquirenti. Oggi il tribunale di Firenze ha condannato a 10 anni e sei mesi Lucia Aleotti, presidente della società, e a 7 anni e sei mesi il fratello Alberto Giovanni, vicepresidente, a conclusione del dibattimento che li vedeva a giudizio per accuse, a vario titolo, di evasione fiscale, riciclaggio e corruzione. Lucia e Alberto Giovanni sono i figli di Alberto Aleotti, patron della azienda farmaceutica Menarini, morto nel 2014. Disposta la confisca agli imputati di oltre un miliardo di euro.
Interdizione per gli imputati e risarcimento per presidenza del Consiglio
I fratelli Aleotti sono stati interdetti per sempre dai pubblici ufficie la sola Lucia Aleotti dall’intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione per tre anni. I giudici hanno invece assolto tutti gli altri imputati compresa la madre dei due fratelli, Massimiliana Landini. Gli altri imputati assolti sono Giovanni Cresci, Licia Proietti e Sandro Casini. I due imputati principali sono stati comunque assolti dall’accusa di truffa con la formula della vecchia insufficienza di prove e di conseguenza non è stato disposto nessun risarcimento per le altre parti civili tra cui varie Asl italiane e la Regione la Toscana. Mentre Lucia Aleotti dovrà risarcire la presidenza del Consiglio dei ministri che si era costituita parte civile nei suoi confronti con 100mila euro.
Frode durata 20 anni: danno da 860 milioni
Secondo gli inquirenti dal 1984 al 2010 Alberto Aleotti avrebbe usato società estere fittizie per l’acquisto dei principi attivi, con lo scopo di far aumentare il prezzo finale dei farmacigrazie ad una serie di false fatturazioni truffando così il Sistema sanitario nazionale, che ha rimborsato medicinali con prezzi gonfiati. Il danno per lo Stato sarebbe stato di 860 milioni di euro. Il pm aveva chiesto nove anni e mezzo per Lucia Aleotti e otto anni per Giovanni Aleotti. “C’erano elementi seri per ritenere che i reati contestati non fossero sostenibili” dichiara Sandro Traversi, difensore di Lucia e Giovanni Aleotti che ha annunciato ricorso in appello.
Il pm: “Una delle frodi più grandi commesse in Italia”
“Questo processo si occupa del grande affare, il grande imbroglio, un misto di corruzione e di truffa, una delle frodi più grandi –  aveva detto il pm Ettore Squillace Greco durante la requisitoria – che siano state commesse nel nostro Paese, un imbroglio che per anni ha alterato il mercato dei farmaci”. L’accusa aveva chiesto ai giudici di confiscare un miliardo e 200mila euro risassumento gli elementi emersi nel corso delle indagini dei carabinieri del Nas di Firenze: “Un miliardo e 200 milioni di euro al nero, la contabilità occulta e parallela a
Lugano e poi, quando si è scoperti, il pagamento, per impedire il commissariamento, di quasi 400 milioni di euro”, quelli dell’accordo fra la casa farmaceutica e l’Agenzia delle entrate. “Tutto comincia negli anni Ottanta – aveva ricostruito il pm – quando Aleotti paga Poggiolini (Duilio, ex direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità) e gli altri funzionari che determinavano il prezzo dei farmaci, che così non guardavano nemmeno le carte”. Le grandi multinazionali del farmaco, aveva aggiunto il pm, “avevano interesse a fare accordi con Aleotti, perché lui riusciva a ottenere per i farmaci, su questo mercato, prezzi nettamente più alti rispetto a quelli che sarebbero riusciti a spuntare loro”.
La difesa: “Sentenza complessa faremo appello”
“Si tratta di una sentenza complessa, che ha giudicato insussistente il filone relativo alla presunta truffa e all’ipotesi di riciclaggio, ritenendo invece sussistente quello della frode fiscale” spiega all’Adnkronos Salute Mario Casellato, componente del collegio difensivo dell’azienda. “Presenteremo ricorso in appello, siamo certi di avere la documentazione che ci darà ragione e permetterà di escludere la frode fiscale”, aggiunge Casellato. L’ipotesi della truffa ai danni del sistema sanitario nazionale, portata avanti dalla procura di Firenze, “è dunque stata ritenuta insussistente”, insiste il legale. Diverso il filone della frode fiscale, relativa a somme all’estero “fatta oggetto di scudi” e sanatorie dal patron di Menarini, Alberto Sergio Aleotti, scomparso due anni fa. “Tutto, anche il sequestro della somma, è sospeso in attesa dell’appello e della Cassazione”, precisa il legale, ribadendo la certezza che i documenti chiariranno le posizioni dei suoi clienti anche relativamente al filone della frode fiscale.
Le pressioni e le relazioni con la politica
Prima di elencare le richieste di pena, il pm  LucaTurco (titolare dell’inchiesta con Squillace Greco ora procuratore capo a Livorno) aveva ricordato anche la “serrata attività di pressione” della famiglia Aleotti “su esponenti politici, negli anni 2008-2009″, per contrastare l’operato di alcune Regioni, che “avevano adottato delibere a favore di farmaci generici”. Il pm ha parlato di “pressioni”, anche attraverso lettere, sull’ex premier Silvio Berlusconi e sull’ex ministro Claudio Scajola, di interventi sull’allora assessore toscano alla salute, e oggi presidente della Regione, Enrico Rossi, e su altri esponenti politici, fra i quali Gianni Letta e vari ex sottosegretari. Su questo tipo di attività, come sul ruolo di ‘mediatrice’ svolto per Aleotti dalla signora Maria Girani Angiolillo (moglie di Poggiolini, ndr), la procura non ha però mosso alcun rilievo penale. Diverso il caso del senatore Cesare Cursi, che era accusato di corruzione: la sua posizione è stata archiviata dopo la decisione del Senato di negare l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni che lo riguardavano.
Più vicine nel tempo e anche queste, senza alcun rilievo penale, le relazioni della Menarini con l’attuale premier prima da presidente della Provincia e poi da sindaco di Firenze. Con Matteo Renzi a Palazzo Medici l’azienda firmò un protocollo e regalò oltre 600 computer a scuole e associazioni di volontariato. Il gruppo farmaceutico nel luglio 2013 aveva annunciato la ristrutturazione di 10 case popolari come sponsor. E i primi alloggi erano stati consegnati già nel gennaio del 2014. Nell’aprile del 2014 Lucia Aleotti aveva elogiato l’azione di governo di Matteo Renzi: “Le iniziative che sta portando avanti Renzi non le ha fatte nessuno. Il sistema delle sue riforme può piacere o non piacere, però è una scossa importantissima per il paese. Da questo si può partire e ripartire, guardando al futuro. Non si può rimanere in un Paese bloccato”. L’anno scorso Renzi era stato in visita a Berlino nella sede della Berlin Chemie, controllata del gruppo italiano Menarini, subito prima del bilaterale con la cancelliera tedesca Angela Merkel. “Il presidente Renzi è venuto a trovarci in una giornata tra l’altro molto densa di impegni, e questo ci onora doppiamente” aveva detto la Aleotti. Che il 30 novembre scorso insieme ad altri imprenditori era in prima fila alla Leopolda mentre il sottosegretario Luca Lotti di piccole e medie imprese.

martedì 6 agosto 2013

Criminale! - Giorgio Bongiovanni

berlusconi-silvio-manette
Erode il Grande, re di Giudea, aveva tre figli. Uno di questi in particolare, Erode Antipa, che alla morte del sovrano acquisì il titolo di Tetrarca ed ebbe la Galilea e la Perea.
La storia, di oltre duemila anni fa, racconta che durante un soggiorno a Roma, Erode Antipa intrecciò una relazione con Erodiade, moglie di suo fratello Filippo.
Ma lo spietato e crudele sovrano della Galilea si macchiava anche di altri reati, allacciando rapporti con i criminali dell'epoca, corrompendo i giudici della sua corte e compiendo ogni genere di nefandezze, orge e quant'altro all'interno della propria residenza personale. Reati per cui non è mai stato condannato. L'unico, un uomo considerato profeta e rivoluzionario dal popolo e dallo stesso rispettato ed amato, ad averlo pubblicamente accusato è stato Giovanni Battista, a cui venne tagliata la testa per compiacere la bella Salomé, figlia di Erodiade.
Dopo secoli e secoli ad apparire come il suo emulo più prossimo, quasi come se ne fosse la reincarnazione, è Silvio Berlusconi. Oggi però la storia è cambiata.
Per quanto la nostra democrazia possa essere difettosa e gli organi più alti della magistratura spesso vestono i panni del Sinedrio evitando di proteggere i propri rappresentanti migliori (soprattutto i magistrati che lottano contro la mafia) stavolta la Corte di Cassazione, forse non potendo negare l'evidenza, ha condannato “Erode Antipa” ovvero Silvio Berlusconi.
Erano le 19.38, ieri, quando è stata messa la parola fine al processo Mediaset-diritti tv. Così Berlusconi per “aver gestito una enorme frode fiscale” da 7 milioni e 300mila euro deve scontare la pena di un anno (gli altri 3 sono stati indultati). Per lui non si apriranno le porte del carcere ma potrà scegliere come scontare la pena se tramite i servizi sociali o agli arresti domiciliari. L'ex premier sarà interdetto anche dai pubblici uffici. Per quanti anni, dovrà ristabilirlo la Corte d’Appello di Milano a cui la Cassazione ha rimesso la decisione. La condanna di Berlusconi arriva dopo 7 anni di processo (sopravvissuti alla prescrizione solo gli anni 2002-2003), compreso 2 anni di sospensione per vari “lodi” ad personam.
Dopo la decisione della Corte, ora la palla passerà al Senato che deve votare la decadenza di Berlusconi. Ma a prescindere dalla pena accessoria, rischia comunque di essere cacciato da Palazzo Madama, voto dell’aula permettendo.
Il quadro che si presenta sarebbe questo. In base al primo articolo del decreto legislativo 31 dicembre 2012, adottato dal governo Monti, “non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni”.
Ciò significa che, qualora dovesse cadere l'attuale governo, Berlusconi alle prossime elezioni, a meno che non arrivi qualche “colpo di genio” con l'abolizione delle norme, non potrà essere candidato.
Da quel che abbiamo sentito dallo stesso ex presidente del consiglio, pregiudicato, nel videomessaggio dopo la lettura della sentenza, appare evidente che il “nuovo” Erode Antipa non sarà coraggioso come l'ex senatore Salvatore Cuffaro, che dopo la condanna per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra accettò la sentenza andando in carcere e dimettendosi dalla carica di senatore.
Berlusconi venderà cara la propria pelle e fino all'ultimo tenterà di resistere, con arroganza e tracotanza, alla giustizia terrena.
Lui non si dimetterà e cercherà di restare aggrappato, ancora una volta col ricatto, al potere. Lo stesso potere che negli ultimi vent'anni lo ha già visto per due volte al vertice nel ruolo di Presidente del Consiglio, oltre che come padrone della comunicazione grazie ai suoi tre canali televisivi nazionali di cui uno, Rete 4, trasmette in maniera illegale.
Per anni, grazie a leggi ad personam e testimoni introvabili, l'ex premier era fin qui riuscito a farla franca.
Il suo braccio destro, Cesare Previti, è stato condannato per aver comprato dai giudici corrotti la sentenza Mondadori. Grazie alla prescrizione si è salvato dal processo Mills, e va in quella direzione (si chiude tra poche settimane) il processo per il caso Unipol, quello della famosa intercettazione Fassino-Consorte, rubata da un dipendente infedele della Procura, consegnata, nel dicembre del 2005, ad Arcore e pubblicata qualche tempo dopo Natale su uno dei giornali di famiglia.
Ma i guai giudiziari del piccolo “Erode” non mancano e sono tutt'altro che finiti. Il più pericoloso è sicuramente quello sulla vicenda “Ruby Rubacuori” e delle “cene” di Arcore. Il processo di primo grado è finito con una condanna severa a sette anni di carcere per concussione e prostituzione minorile. Inoltre i giudici hanno rinviato alla procura gli interrogatori dei troppi falsi testimoni, soubrette, cantanti, amici, comparsi in aula.
A Napoli continua l'udienza preliminare sull’“acquisto” dei parlamentari a sostegno del governo di centrodestra. L'accusa nei confronti di Berlusconi è proprio quella di aver “comprato” il passaggio del senatore Sergio De Gregorio. 

Non vanno poi dimenticate le inchieste nate attorno agli affari di Giampi Tarantini, fornitore di escort per le feste sarde e romane di Berlusconi, e al faccendiere Valter Lavitola. Non passa poi in secondo piano le ombre del suo impero economico con fior fior di collaboratori di giustizia e pentiti che raccontano di incontri personali, in nome degli affari, tra lo stesso Silvio ed i massimi esponenti di Cosa nostra. Per non parlare del suo rapporto con Marcello Dell'Utri, già condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, o dell'inchiesta che vede i due iscritti nel registro degli indagati della Procura di Firenze, per strage, aperta nel 2009 con generalità protette, “Autore Uno” e “Autore Due”, come già successe nella prima indagine sulle stragi del 1993, poi archiviata nel 1998. Indagini che non sono concluse e che potrebbero anche portare a clamorosi risvolti.
Il re “Erode Antipa” è nudo e stavolta però non ci sono vite da poter sacrificare per mettere a tacere la verità. Il delinquente e pregiudicato Silvio Berlusconi se ne dovrà fare una ragione.

venerdì 2 agosto 2013

Sentenza Mediaset, Berlusconi condannato a 4 anni. Annullata l’interdizione.



Diventa definitiva la pena per il leader del Pdl, colpevole di frode fiscale, ma la Cassazione rinvia in Corte d'appello a Milano la rideterminazione della pena accessoria. Per il Cavaliere la prospettiva degli arresti domiciliari o dell'affidamento ai servizi sociali per l'anno non coperto da indulto. Bruti Liberati: "Pena subito eseguibile". Ghedini, Coppi e Longo: "Sgomenti, ricorreremo in Europa".


Silvio Berlusconi è condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione per frode fiscale nel processo sui diritti Mediaset. Annullata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che dovrà essere rideterminata dalla Corte d’appello di Milano. Lo hanno deciso i giudici della sezione feriale della Cassazione dopo sette ore di camera di consiglio. Confermate anche le condanne di tutti i coimputati: Daniele Lorenzano, Gabriella Galetto e Frank Agrama.
E’ la prima volta che Silvio Berlusconi subisce una condanna definitiva e irrevocabile. Dei quattro anni, tre sono coperti da indulto e l’ex premier – che comunque non andrà in carcere perché ultrasettantenne – potrà scontare la pena agli arresti domiciliari o chiedere l’affidamento ai servizi sociali. Prima di qualunque iniziativa, la sentenza deve essere trasmessa alla Procura di Milano, dove è originato il procedimento sulla frode fiscale nella compravendita dei diritti tv. Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati si è limitato al momento a spiegare che “la pena principale è definitiva ed è eseguibile, si seguiranno i tempi consueti”. La definitività della sentenza fa cadere automaticamente ogni privilegio parlamentare, perciò il Senato non avrà alcune voce in capitolo sulle sorti di Berlusconi.
IL DESTINO DEL CAVALIERE: DOMICILIARI O SERVIZI SOCIALI. Bruti Liberati ha spiegato che, secondo la procedura, una volta arrivata la sentenza il pm dovrà emettere il cosiddetto ordine di esecuzione con contestuale sospensione perché la pena effettiva da scontare è di un anno. Dal momento della notifica dell’atto il Cavaliere, entro il tempo massimo di 30 giorni, potrebbe andare ai domiciliari o chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali. Ma il termine, vista la pausa feriale, decorre dal 16 settembre. La richiesta verrà valutata dal Tribunale di sorveglianza in tempi lunghi. Se non verrà presentata alcuna istanza di misura alternativa, toccherà ad un magistrato di sorveglianza decidere nell’arco di pochi giorni e, in base anche alla legge ‘Svuota-carceri’: la misura per Berlusconi sarebbe comunque quella dei domiciliari.
COPPI E GHEDINI: “SGOMENTI, RICORSO IN EUROPA”. “Non farò l’esule, come fu costretto a fare Craxi. Nè accetterò di essere affidato ai servizi sociali, come un criminale che deve essere rieducato”. Così si leggeva qualche giorno fa in un’intervista di Silvio Berlusconi a Libero, che però fu subito smentita da una nota di Palazzo Grazioli. I legali di Silvio berlusconi attendono qualche ora prima di dire la loro: “La sentenza della Corte di Cassazione nel Processo Diritti non può che lasciare sgomenti” affermano in una nota Franco CoppiNiccolò Ghedini e Piero Longo. “Vi erano solidissime ragioni ed argomenti giuridici per pervenire ad una piena assoluzione del Presidente Berlusconi. Valuteremo e perseguiremo – annunciano – ogni iniziativa utile anche nelle sedi Europee per far si che questa ingiusta sentenza sia radicalmente riformata”. 
INTERDIZIONE, LA MINA DISINNESCATA. L’annullamento con rinvio dei cinque anni di interdizione dai pubblici uffici – come da richiesta del procuratore generale – disinnesca però un problema politico immediato per il Cavaliere, perché per avviare un’eventuale procedura di decadenza da senatore sarà necessario attendere il nuovo verdetto d’appello. La conferma della pena definitiva fa cadere comunque il rischio di prescrizione del reato. “La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, per Silvio Berlusconi, potrebbe ridursi fino a un anno di interdizione, perché le norme alle quali ha fatto riferimento il dispositivo del verdetto prevedono un’interdizione da un anno a un massimo di tre. La misura dunque la rideterminerà la corte di Milano”, ha affermato l’avvocato Filippo Dinacci, che nel processo Mediaset in Cassazione ha difeso Gabriella Galetto, e che difende l’ex premier in altri procedimenti. 
Il processo d’appello per rideterminare al ribasso i cinque anni di interdizione potrebbe aprirsi già entro la fine dell’anno, ma dipende da quando gli ermellini invieranno le motivazioni del provvedimento di oggi. Dopo di che, non più la seconda ma la terza corte d’Appello di Milano, nel giro di un mese, dovrebbe fissare il nuovo processo che riguarderà dunque solo la durata del periodo dell’interdizione dai pubblici uffici del Cavaliere. Anche in questo caso il verdetto sarà impugnabile di nuovo davanti alla Suprema Corte. 
MA LA LEGGE ANTICORRUZIONE POTREBBE FAR DECADERE BERLUSCONI. Ma sul futuro politico del leader del centrodestra potrebbe pesare anche la nuova legge anticorruzione approvata nel 2012, secondo la quale se interviene una condanna definitiva superiore ai due anni, scatta infatti la procedura per l’incandidabilità del parlamentare. A prescindere dalle pene accessorie. A ricordarlo è il presidente della Giunta per le Elezioni e Immunità del Senato Dario Stefano (Sel). “Appena ci notificheranno la sentenza – spiega il senatore alle agenzie – la Giunta si riunirà e si procederà con le stesse modalità già avviate per l’ineleggibilità. Il relatore farà la sua proposta e la Giunta dovrà decidere in Camera di Consiglio. La decisione della Giunta poi dovrà passare il vaglio dell’Aula e basterà che 20 senatori lo chiedano e ci sarà il voto segreto”.
L’udienza era iniziata il 30 luglio, davanti alla sezione feriale per scongiurare il rischio di prescrizione. La sentenza, molto attesa dal mondo politico, è via via slittata fino al pronunciamento di oggi, arrivato dopo la requisitoria del pg e le arringhe dei difensori di tutti gli imputati. Il pg della Cassazione Antonello Mura aveva chiesto la conferma della pena principale – 4 anni di reclusione – e una riduzione della pena accessoria da 5 anni a 3 anni. Secondo la pubblica accusa l’ex premier è stato ”l’ideatore del meccanismo delle frodi fiscali” e “perdurante il controllo di Berlusconi su Mediaset”. La difesa, sostenuta dagli avvocati Niccolò Ghedini e Franco Coppiavevano chiesto l’annullamento del verdetto sostenendo l’assenza della prova nei confronti del Cavaliere. “Al massimo possiamo dire che questa è una gigantesca evasione fiscale ma qui non c’è in alcun modo un profilo penale” aveva detto il professore.
I legali dell’ex premier non hanno ascoltato dal vivo la lettura della sentenza. Ghedini e Coppi sono Palazzo Grazioli con Berlusconi e hanno seguito il verdetto in diretta tv. Con il Cavaliere, nel palazzo blindato, i figli Marina e Pier Silvio, Gianni Letta e Angelino Alfano. Fuori Palazzo Grazioli ressa di giornalisti e telecamere. Le strade limitrofe, infatti, per motivi di sicurezza sono state chiuse.
IL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA
La Cassazione ha “annullato la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni relative alla condanna della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per violazione dell’art. 12 dlgs. 10 marzo 2000 e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione per rideterminare la pena accessoria nei limiti temporali citati dall’art. 12. Valutazione -precisa piazza Cavour- non consentita alla Corte di Cassazione”. Per il resto nel dispositivo piazza Cavour ha rigettato il ricorso, confermando quindi la condanna per frode fiscale a 4 anni nei confronti di Berlusconi “nei cui confronti dichiara irrevocabili tutte le altre parti della sentenza impugnata”. Respinti anche i ricorsi degli ex tre manager Mediaset: il produttore cinematografico egiziano Frank Agrama (3 anni), Gabriella Galetto (1 anno e 2 mesi) e Daniele Lorenzano (3 anni e 8 mesi). Per effetto del rigetto del ricorso tutti e quattro gli imputati sono stati condannati a rifondere l’Agenzia delle Entrate, costituitasi parte civile, con 5.000 euro ciascuno.

venerdì 24 maggio 2013

Mediaset, i giudici su Berlusconi: “Vi è la prova che abbia gestito enorme evasione”.

Mediaset, i giudici su Berlusconi: “Vi è la prova che abbia gestito enorme evasione”


E' questa la riflessione dei giudici della corte d'appello di Milano che hanno confermato la condanna a 4 anni e l'interdizione dai pubblici uffici per l'ex premier. Nelle motivazioni della sentenza si parla di “un sistema portato avanti per molti anni” dall’ex premier e “proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti. E condotto in posizione di assoluto vertice”.

Frode fiscale anche da capo del governo. E’ questa la riflessione in sintesi dei giudici della d’appello di Milano che l’8 maggio scorso hanno confermato la condanna a 4 anni e l’interdizione dai pubblici uffici per Silvio Berlusconi nel processo Mediaset. Nelle motivazioni della sentenza si parla di “un sistema portato avanti per molti anni” dall’ex premier e “proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti. E condotto in posizione di assoluto vertice”. Il leader del Pdl è considerato quindi tra i “responsabili di vertice di tale illecita complessiva operazione”.
Se Cassazione confermerà sarà il Senato a decidere il destino del Cavaliere. Il verdetto e le motivazioni aprono adesso la strada verso quello che sarà il giudizio definitivo in Cassazione. Quello che teme il Cavaliere non è la condanna a 4 anni (3 anni sono stati indultati), ma la pena accessoria ovvero l’interdizione dei pubblici uffici che comporterebbe la decadenza dalla sua carica di senatore come prevede la legge. Ebbene, e non è un dato di poco rilievo, la perdita del pubblico ufficio a causa di una sentenza definitiva deve comunque essere votata dalla Camera di appartenenza. Quindi se e quando gli ermellini dovessero confermare in terzo grado questo verdetto comunque sarà la politica e non la legge a decidere se “espellere” il Cavaliere dalle istituzioni. Una possibilità che, in considerazione del “matrimonio di interesse” tar Pd e Pdl, sembra molto più che lontana.
Spetterebbe quindi alla Giunta delle elezioni e dell’immunità (il cui presidente non è stato ancora eletto, ndr) avviare la “Procedura di contestazione dell’elezione”. Quasi un altro giudizio che nel caso di Berlusconi prevederebbe un relatore della Regione Molise il collegio elettorale scelto dal leader del Pdl. Il parere della giunta poi dovrebbe ricevere il definitivo e vincolante via libera dall’aula di Palazzo Madama. Quello che potrebbe cambiare lo scenario sarà un eventuale verdetto di condanna nel processo Rubyma la nuova legge sulla corruzione-concussione potrebbe riservare qualche sorpresa di carattere procedurale e si è ancora in attesa della decisione delle sezioni Unite della Cassazione sulla questione.
Per i giudici di secondo grado la gestione dei diritti faceva capo al leader del Pdl. La gestione dei diritti televisivi e cinematografici faceva capo al leader del Pdl. “Era assolutamente ovvio – scrivono – che la gestione dei diritti, il principale costo sostenuto dal gruppo, fosse una questione strategica e quindi fosse di interesse della proprietà, di una proprietà che, appunto, rimaneva interessata e coinvolta nelle scelte gestionali, pur abbandonando l’operatività giornaliera”. I giudici, presieduti da Alessandra Galli, sottolineano che “almeno fino al 1998 e, quindi, fino a quando ai vertici della gestione dell’acquisto dei diritti vi era stato Bernasconi, vi erano state anche le riunioni per decidere le strategie del gruppo, riunioni con il proprietario del gruppo, con Berlusconi”. E ancora i  magistrati ragionano spiegando che: “Ad agire era una ristrettissima cerchia di persone che non erano affatto collocate nella lontana periferia del gruppo ma che erano vicine, tanto da frequentarlo tutti (da Bernasconi ad Agrama, da Cuomo a Lorenzano) personalmente, al sostanziale proprietario (rimasto certamente tale in tutti quegli anni) del medesimo, l’odierno imputato Berlusconi. Un imputato – continuano – un imprenditore che pertanto avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto che avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende e che tutti questi personaggi, che a lui facevano diretto riferimento, non solo gli occultavano tale fondamentale opportunità ma che, su questo, lucravano ingenti somme, sostanzialmente a lui, oltre che a Mediaset, sottraendole”. In base alle testimonianze rese in aula nel processo di primo grado, secondo il giudice d’appello “Berlusconi rimane infatti al vertice della gestione dei diritti, posto che (…) Bernasconi rispondeva a Berlusconi senza nemmeno passare per il cda”. Inoltre, si legge nelle motivazioni, tra il Cavaliere e l’ex manager morto nel 2001 non c’era “altro soggetto con poteri decisionali nel settore dei diritti, neppure dopo la quotazione in borsa e la cosidetta ‘discesa in campo’, nella politica, di Berlusconi”.
I magistrati: “Impossibile concedere le attenuanti a Berlusconi”. Negli anni Mediaset si è resa protagonista di una gestione dei diritti tv secondo i giudici di secondo grado ”del tutto incomprensibile dal punto di vista societario”. Il collegio evidenzia che ”non aveva alcun senso acquistare ad un determinato prezzo quel che si era già individuato acquistabile ed effettivamente acquistato ad un prezzo molto minore”. Il riferimento e’ alle numerose societa’ schermo che – stando all’ipotesi accusatoria – sarebbero servite a Berlusconi per far lievitare il prezzo dei diritti televisivi e cinematografici acquistati da Mediaset presso le principali majors statunitensi e, percio’, a creare fondi neri all’estero per frodare il fisco italiano. La Corte d’Appello di Milano ha ritenuto che ”in relazione alla oggettiva gravità del reato, è ben chiara l’impossibilità di concedere le attenuanti generiche”.
“Prova orale e documentale che Berlusconi abbia gestito fase iniziale dell’enorme evasione fiscale”. Nelle carte del processo d’appello sui diritti tv di Mediaset ”vi è la provaorale e documentale, che Silvio Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale dell‘enorme evasione fiscale realizzata con le società off shore … Era riferibile a Berlusconi – puntualizzano i giudici – l’ideazione, la creazione e lo sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest ed occulto al fine di mantenere ed alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere presso conti correnti intestati a varie società che erano a loro volta amministrate da fiduciari di Berlusconi”. Così il sistema dei diritti tv di Mediaset ”si scrive in un contesto più generale di ricorso a società off shore anche non ufficiali ideate e realizzate da Berlusconi avvalendosi di strettissimi e fidati collaboratori”. Invece  “non vi è prova sufficiente” che il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri (assolto), “fosse realmente consapevole” del sistema “illecito” creato per la compravendita dei diritti tv. Operazione di cui “non gli si poteva attribuire un adeguata conoscenza (…) al punto da sovvertire quei bilanci” delle società.
I giudici della Corte d’appello di Milano, insomma, non hanno dubbi sulle responsabilità dirette di Berlusconi: ”Non è verosimile – scrivono a questo proposito nelle motivazioni – che qualche dirigente di Fininvest o Mediaset abbia organizzato un sistema come quello accertato e, soprattutto, che la società abbia subito per 20 anni truffe per milioni di euro senza accorgersene”. Il sistema delle società off shore è stato ideato ”per il duplice fine di realizzaer un’imponente evasione fiscale e di consentire la fuoriuscita di denaro dal patrimonio di Fininvest e Mediaset a beneficio di Berlusconi”. Identico ragionamento utilizzato dai giudici di primo grado per motivare la pena inflitta al leader del Pdl: in quelle motivazioni i magistrati definivano l’imprenditore “dominus assoluto” di una “evasione notevolissima”.
I legali Niccolò Ghedini e Piero Longo: “Ricorso in Cassazione”. “Si deve sottolineare come nella motivazione depositata quest’oggi le argomentazioni utilizzate siano del tutto erronee e sconnesse rispetto alla realtà fattuale e processuale” affermano, in una nota, Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali di Silvio Berlusconi e annunciano ricorso. “Saranno oggetto di impugnazione nella certezza di una ben diversa decisione nel prosieguo del processo che riconoscerà l’insussistenza del fatto e l’estraneita’ del presidente Berlusconi”, scrivono.

Il "Delinquolo" per eccellenza non vuole saperne di pagare il dovuto o di agire in conformità alle leggi. La stessa parola "legalità" gli procura l'orticaria.
I suoi avvocati dovrebbero, anzicchè fare ricorso in cassazione, consigliargli di uscire dalla scena politica e di dedicarsi al suo privato.