lunedì 3 febbraio 2014

Laura Boldrini: al lupo al lupo arriva il fascismo. - Saverio Lodato

lodato-boldrini
A leggere le dichiarazioni di certi politici riportate enfaticamente da giornali e televisioni, sembra che l’Italia sia eternamente sull’ orlo del precipizio. Che abbia le ore, anzi, i minuti contati. Il fascismo è alle porte. E’ in atto un disegno eversivo. Stanno scardinando le fondamenta della democrazia. Vogliono paralizzare e sabotare il Parlamento. C’è un complotto contro il capo dello Stato. C’è un complotto contro il capo del governo. Il nuovo fascismo è alle porte. E’ tornato di moda lo squadrismo. E potremmo continuare all’infinito, con questo diffusissimo "al lupo, al lupo" che sembra non risparmiare più nessuno.
Favoletta vuole che quando il lupo finalmente arrivò, nessuno ci credeva più, e il lupo ebbe partita vinta. Allora, andiamoci piano, per favore. Dovesse accadere che il lupo arriva per davvero e poi nessuno se ne accorge…
Magari commetteremo un grande errore di superficialità, non saremo all’altezza di una lettura approfondita della situazione politica e istituzionale, non vedremo tanto lontano come i più accreditati osservatori politici, ma siamo sereni, fiduciosi, tranquilli: il fascismo non è alle porte, le fondamenta della democrazia non stanno per essere scardinate, complotto scaccia complotto (un po’ come chiodo scaccia chiodo), semmai, questo sì, c’è un bel manipolo di mascalzoni - individuati e riconosciuti - che si è insediato in tutti i piani della piramide istituzionale e da troppo tempo spadroneggia in danno dell’intera collettività.
Ma per non prenderla troppo alla lontana, va detto che scriviamo queste note sull’onda mediatica (enorme) dell’"affaire Boldrini". La presidente della Camera, infatti, è stata volgarmente apostrofata da alcuni giudizi via Internet talmente ripugnanti che si sono infatti ritorti come un boomerang contro gli stessi autori firmatari.
Laura Boldrini, presidente della Camera, si è difesa e ha contrattaccato, con numerose interviste televisive e ai giornali, ottenendo tutta la solidarietà che le era dovuta in un caso come questo.
Secondo noi, però, ha strafatto.
Infatti  – a costo di apparire politicamente maleducati, maleducatissimi e qualunquisti, qualunquistissimi - osiamo dire che, fra le tante cose giustissime dette in tutela della sua onorabilità, della sua dignità, e dell’incarico che ricopre - una, la Boldrini, ne ha detta di pessimo gusto. E di repellente contenuto.
Questa: "I commenti sul blog di Grillo sono scritti da potenziali stupratori". 
Frase pacchiana. E non poteva, e non doveva dirla, pur liberissima di pensarla così fra le mura di casa sua, proprio per l'altissimo incarico ricoperto; alias, la terza carica dello Stato. E la terza carica dello Stato non può scendere di livello sino a questo punto.
Un movimento per il quale hanno votato otto milioni di italiani, può essere visto come un territorio in cui possono mimetizzarsi, facendola franca, "potenziali stupratori"? Certo che no.
Quando qualche giorno fa un pacco contenente una testa di maiale è stato recapitato alla Sinagoga di Roma, forse che gli israeliani hanno detto che in Italia siamo alla "vigilia di un nuovo Olocausto"? Certo che no.
Quando qualche settimana fa, il ministro Kyenge, è stata crocifissa dalla Lega, e dai suoi massimi rappresentanti istituzionali - ripetutamente, ossessivamente - per il colore della sua pelle, lei ha forse contrattaccato dicendo che in Italia siamo alla vigilia dell’ Apartheid o che "i barbari sognanti", che piacciono tanto a Maroni, sono le cellule di un nuovo Ku Klux Klan in salsa italica? Certo che no.
Corrado Augias, in risposta a quell’imbecille che - orgogliosamente (e, parafrasando Dante, verrebbe da dire: più che l’imbecillità poté l’orgoglio) - ha dichiarato di aver bruciato un suo libro, ha forse annunciato di voler espatriare dall’Italia, come il giovane filosofo ebreo Leo Lowenthal che lasciò la Germania perché sconvolto dal "rogo dei libri" voluto da Hitler? Certo che no.
Speriamo che si sia capito quello che intendiamo dire. C’è però qualcosa che resta sullo sfondo e, francamente, ci irrita. A quando, ad esempio, una presa di distanza "forte e  chiara" della presidente della Camera da quel "Questore" che ha rifilato a freddo un bel ceffone a un’onorevole grillina? Le donne vanno sfiorate solo con un fiore, scrisse qualcuno. E qualcuno ha forse detto che i "picchiatori" la fanno da padroni in Parlamento? Certo che no. Ma una parolina, la Boldrini poteva dirla. Giusto?
Poi, che sia stata Laura Boldrini, presidente della Camera, non solo ad avvalersi della "ghigliottina" parlamentare, ma a non aver mosso un dito per scorporare la telenovela dell’Imu dall’horror delle regalie agli istituti di credito, sono fatti. Fatti di solare evidenza.
Finiamola qui.
Notizia di oggi: "L’Unione europea: La corruzione in Italia vale 60 miliardi, metà del totale d’Europa".
Ci permettiamo di suggerire alla presidente della Camera di dire la sua anche su questo argomento: appena il caso che l’ha investita si sarà placato, rifaccia il giro delle sette chiese televisive e giornalistiche, e usi la durlindana un’altra volta. Agli occhi degli italiani, anche un simile tasso di corruzione è ripugnante.

Se..... - Sergio Di Cori Modigliani




"Alla violenza inaudita del potere contro il M5S non si risponde abboccando, ma tramutando la rabbia in azioni intelligenti e inattaccabili che deridono il potere: senza insulti volgari ( perche' loro vogliono insulti volgari ), con uno sberleffo ironico, un sorriso di compatimento, il silenzio di chi li ignora, perche' e' necessario andare oltre. Questa e' una guerra ( prima di tutto psicologica) che si combatte e si vince senza violenza, con l'intelligenza, la forza di volontà, contro-informando. Loro ti danno del "violento"? sii ancora più pacifico; ti danno del "volgare" ? sii ancora più educatamente spietato nel denunciare le loro malefatte.... "

          Matteo Incerti , capo ufficio stampa gruppo parlamentare al senato di M5s




Secondo la presidente della Camera dei Deputati, onorevole Laura Boldrini, io sarei un potenziale stupratore. Ha dichiarato pubblicamente che lo sono tutti i frequentatori del blog di Beppe Grillo. Il che consente, legalmente, al commissario di polizia del mio quartiere, nella città dove risiedo e abito, di poter aprire una cartellina "informativa" sulla mia persona e sulla mia attività, perchè rappresento un pericolo sociale per la comunità. E' a rischio anche la mia compagna, se non altro sono a rischio i suoi nervi, essendo la convivente di un potenziale stupratore ma allo stesso tempo avendo scoperto che le istituzioni della Repubblica considerano anche lei un potenziale stupratore. 
Una new entry sociale esistente soltanto in Italia: da ieri sera hanno stabilito che anche le cittadine italiane di sesso femminile sono potenzialmente delle stupratrici. Una novità sociologica che può aprire una stagione di profondi dibattiti antropologici. E' la modalità con la quale la terza carica istituzionale dello Stato vive e interpreta il Senso delle pari opportunità di genere.

Basterebbe questo per qualificare la nostra Repubblica come un paese anormale.
No comment.

Ma se invece, l'Italia, fosse un paese normale, di che cosa si parlerebbe oggi?
Di che cosa avremmo parlato, discusso, litigato, dibattuto e argomentato nelle ultime due settimane?
Quali sarebbero stati i titoloni, oggi, sulle prime pagine dei quotidiani?.

Ecco come si vivrebbe in un paese normale:
A caratteri cubitali, sulla prima pagina, avremmo trovato la notizia del giorno:


Confindustria: è scontro industriali-governo
Gli imprenditori vanno all'attacco dell'esecutivo, lamentando i mancati pagamenti dei crediti alle imprese e denunciando la violazione della normativa Ue. Giorgio Squinzi dichiara: "O si cambia passo o il governo se ne va e andiamo subito al voto".

Poichè non siamo un paese normale, la dichiarazione del Presidente di Confindustria non ha meritato nessuna attenzione da parte della cupola mediatica, sia cartacea che televisiva. Vanno, invece, a caccia dei potenziali stupratori seriali.

Io scelgo, invece, di fingere di vivere in un paese normale, e quindi mi occupo della questione principale di cui si occuperebbero tutti in Usa, in Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Cekia, ecc.
Da cui la prima domanda: perchè e come mai un solido imprenditore, noto per la sua caratura razionale, moderata, diplomatica, con grande esperienza di gestione dei rapporti industriali con il mondo della politica italiana, fa il salto della quaglia, e annuncia l'autentico teatro dello scontro in atto -preavviso di una furiosa battaglia- facendo intendere che non soltanto è falso sostenere che la crisi è finita e risolta, ma addirittura fornisce cifre, date e dati, in netta opposizione a quelli rilasciati dal governo? Perchè questo attacco frontale?
C'è un motivo.


Ed è l'occhio del ciclone che l'oligarchia al potere non vuole che si veda.
Tantomeno vogliono che se ne parli.
A questo serve l'arma di distrazione di massa (e per le masse) che ha lanciato il nuovo gioco sociale, immediatamente divenuto un trend collettivo sui social network, introdotto dal suo eccezionale testimonial istituzionale: tu a quale categoria di stupratore appartieni?

Giorgio Squinzi è un professionista italiano di successo, un imprenditore "normale". 
Produce oggetti che poi vengono venduti e consumati: si chiama attività industriale. Rappresenta gli interessi di coloro che sono gli unici a poter avviare la ripresa del paese, perchè sono gli unici a essere in grado di inventare ciò di cui l'Italia ha bisogno: lavoro e occupazione. Da cui deriva il profitto -per chi rischia il capitale- e il reddito -per i salariati che lavorano- producendo un meccanismo automatico di circolazione della moneta reale che abitualmente fa ripartire il volano del consumo interno, e quindi alimenta la diffusione di benessere, consentendo la ripresa del ciclo economico. E gli industriali italiani hanno capito che questo governo porterà in brevissimo tempo il paese verso il totale fallimento perchè ha scelto la strada esattamente opposta a quella necessaria da percorrere per far riprendere l'economia: togliere risorse finanziarie alle imprese e spostarle nel campo della finanza.

Un tempo, gli imprenditori italiani erano legati a doppio filo alla classe politica, e le loro sorti erano vicendevoli, con i sindacati e le istituzioni che fungevano da intercapedine per gestire le diseguaglianze sociali, e fare in modo di aumentare la ricchezza collettiva allargandolo a uno spettro sempre più ampio di popolazione. Non è più così.
E' la ragione principale per cui l'attuale classe dirigente governativa non è in grado di prospettare in alcun modo una politica industriale e una strategia di impiego: non le interessa.

Il mondo dell'imprenditoria non è più legato alla politica.
La politica viene ormai foraggiata dalla finanza che si è impossessata del mercato, e ha trasformato le istituzioni governative in mere centrali operative di interessi finanziari decisi altrove, al di fuori dell'Italia. La prova lampante di ciò che è accaduto nelle ultime settimane sta proprio nel varo della nuova legge su Bankitalia, e sulla scelta della presidente della Camera di applicare la cosiddetta ghigliottina, considerandola una "normativa di importanza strategica per il funzionamento dello Stato". 
Come mai questa improvvisa emergenza? 
C'era tutta questa fretta? 
Poteva essere avviato un dibattito in aula, su quella legge? 
Perchè, proprio adesso, invece di rimandarla a dopo e intanto dibattere sulle riforme?

C'è un motivo, ed è quello di cui non vogliono che noi parliamo.
E' una vecchia conoscenza: si chiama Monte dei Paschi di Siena.
Si sapeva che il caso sarebbe finito in parlamento.
E così è stato.
E' avvenuto nella maniera peggiore: all'italiana.

E' iniziato tutto a Bruxelles, circa tre mesi fa, quando la apposita commissione europea ha stabilito che la banca senese doveva rispettare gli obblighi presi con il precedente governo Monti e doveva restituire -con gli interessi dovuti- i 4 miliardi di euro avuti nell'autunno del 2012. Erano i soldi della rata dell'Imu che finirono in Mps. La commissione finanza europea ha inviato una lettera alla Banca d'Italia, una al governo, una specifica al Ministero del Tesoro. Siccome si trattava di una questione formale e sostanziale che era pubblica (non c'era nulla di segreto) ha rilasciato anche una nota ufficiale a disposizione dell'ufficio stampa. 
Lì è intervenuto il governo italiano. 
Gli ha impedito che la nota venisse diffusa.
Ha fatto in modo che la commissione di Bruxelles non rendesse pubblica la vicenda (in realtà apparentemente irrilevante) e hanno cominciato a discutere della vicenda. A Bruxelles si sono insospettiti e hanno avviato una procedura di controllo. Come è andata a finire? 
Ecco la risposta: il governo, il Ministero del Tesoro, il Ministero delle Finanze e il Ministero degli Interni, hanno provveduto a iscrivere l'intera questione patrimoniale relativa alla Banca Monte dei Paschi di Siena sotto la dizione "Segreto di Stato". 
E a Bruxelles sono stati costretti a fermarsi per non provocare un incidente diplomatico.

Va da sè che a nessun italiano è stata detta neppure una parola, nè tantomeno c'è stato nessun giornalista (soprattutto quelli economici) che ha diffuso la notizia. Perchè il buco di Mps si è allargato a dismisura, diventando un gigantesco calderone che ha coinvolto l'intero sistema bancario nazionale. Non solo. La banca avrebbe dovuto dimostrare come dove quando e per quanto aveva utilizzato i 4 miliardi di euro ricevuti dallo Stato, perchè così prevedeva la clausola della commissione europea finanze che aveva consentito a Monti di avviare il prestito. Poichè è diventato un "segreto di Stato", la banca, adesso risponde soltanto al Ministero degli Interni, a quello della Difesa e al Presidente della Repubblica. 
Fine dei giochi.

In un paese normale si sarebbe avviata una interpellanza parlamentare basata sul principio "ce lo chiede l'Europa". 
Non da noi.
Una volta messa la toppa grazie all'imbavagliamento dell'Europa (che cosa ci avranno chiesto in cambio per accettare?) Saccomanni è andato a elemosinare presso le grandi banche. Perchè, oltre alla mancata restituzione dei Monti bonds c'era anche l'aggiunta del fatto (e qui entra in gioco il nostro bravo Squinzi) che dei famosi 40 miliardi di euro "ufficialmente" stanziati nel marzo del 2013, divenuti poi -così aveva dichiarato Saccomanni- "20 immediatamente" il 30 giugno 2013 e poi altri 20 miliardi "entro e non oltre il 30 settembre 2013" da destinare ai crediti dovuti alla piccola e media industria, ebbene....non è arrivato neppure un euro. Nada de nada.
Nel frattempo sono fallite diverse migliaia di aziende e quindi è diminuito il gettito fiscale per lo Stato e le banche hanno iniziato ad accumulare perdite per crediti inesigibili. Poichè il sistema bancario italiano è -per l'appunto- "italiano", cioè anormale, ovvero non esiste la concorrenza tra le banche (nonostante in teoria siano aziende private) ma sono tutte interconnesse tra di loro dato che possiedono giornali, televisioni, fondazioni, e sono i proprietari delle esistenze della classe dirigente politica,  si passano debiti e crediti tra di loro a seconda di come gira il vento. Queste banche sono venute a battere cassa allo Stato che ha avuto la bella pensata di varare il fantomatico decreto legge che ha dato inizio la scorsa settimana alla rissa parlamentare. 
In tal modo, Banca Intesa si è trovata diversi miliardi di euro da poter spalmare tra tutte le banche del consorzio politico e nel calcolo degli azionisti (nuovi proprietari di Bankitalia) ci sono finiti anche il gruppo Allianz (tedesco) e altri importanti gruppi italiani (solo di firma) che appartengono alle banche tedesche.
Che cosa ha fatto Banca Intesa non appena ha saputo che la Boldrini aveva dato il via al decreto legge? Ha dato ordini ai propri dirigenti di avviare il credito alle imprese come aveva promesso a Squinzi?
Nient'affatto.

Si è fatta i conti e ha calcolato che ha un buco di ben 55 miliardi di euro di cui nessuno aveva mai parlato: è la cifra ufficiale (lo ripeto a scanso di equivoci: ufficiale) che la seconda banca nazionale italiana ha accumulato sotto la ipocrita voce "crediti in sofferenza"; questa locuzione drammatica, tradotta in termini reali vuol dire "debiti dovuti da imprenditori che nel frattempo si sono suicidati, oppure sono falliti, oppure sono scappati via oppure sono rovinati".
E così ha deciso di "inventare" una Bad Bank, un'idea diabolica della tecnica bancaria: una banca virtuale che assorbe tutte le perdite sulle quali costruire un bel derivato speculativo, per cui sulla carta il debito scompare perchè lo ha "acquistato" una banca terza.

Ecco perchè era fondamentale per il governo italiano votare quel decreto.
Ecco perchè era fondamentale per il governo italiano che nessuno dibattesse.
Ecco perchè seguita a essere fondamentale per il governo italiano che la cittadinanza si occupi e si preoccupi degli stupratori seriali piuttosto che dei propri conti correnti.
Ecco perchè è fondamentale evitare che esista in maniera attiva un pericoloso gruppo parlamentare come quello di M5s che, all'improvviso, e in un qualunque momento, può rompere le uova nel paniere al sistema bancario italiano legato a doppio filo all'attuale dirigenza politica.
Ecco perchè Squinzi è insorto.
Gli hanno spiegato che l'industria italiana che complessivamente accusa un credito di ben 116 miliardi di euro dovuti non ne vedrà neppure uno, non vedranno neppure un dollaro, neppure una sterlina, neppure uno yuan, neppure una corona danese. 
Lo Stato è al servizio delle proprie Istituzioni politiche, le quali sono alimentate e foraggiate da un circuito di corruttela continua e permanente, gestito dai consorzi bancari attraverso il meccanismo perverso delle fondazioni che le controllano, e quindi i soldi di Bankitalia non finiranno sul mercato dei capitali per avviare l'economia, bensì rimarranno all'interno di un circuito chiuso i cui garanti guardiani sono i deputati nominati che votano a comando.

Di tutto ciò ne hanno parlato soltanto due testate: Il Fatto Quotidiano in Italia (articolo pubblicato in data 2 Febbraio 2014) e il britannico Financial Times che annuncia agli investitori internazionali il varo della Bad Bank di Banca Intesa, grazie ai soldi ottenuti.

Questo è il teatro nel quale ci muoviamo.
Ditemi voi: che cosa c'entrano i potenziali stupratori?

Ecco, qui di seguito, il succinto commento di Marin Arnold e Rachel Sanderson apparso sul Financial Times di ieri che sta provocando in borsa l'emorragia dell'intero sistema bancario nazionale e poi, a seguito, il pezzo -davvero ottimo- a firma Giorgio Meletti, pubblicato l'altro ieri su Il Fatto Quotidiano.

Buona lettura, cari stupratori seriali.



Intesa move reignites ‘bad bank’ debate
By Martin Arnold in London and Rachel Sanderson in Milan. 
February 2nd 2014

Intesa Sanpaolo is working on plans to become the first Italian lender since the financial crisis to set up an internal “bad bank” by setting aside a chunk of its €55bn of gross non-performing loans ahead of banking stress tests by the European regulator. Carlo Messina, Intesa’s new chief executive, and chairman Giovanni Bazoli are expected to discuss the move with shareholders of Italy’s second-biggest bank by market capitalisation in the next few weeks, according to people familiar with the matter. They are due to present their new strategic plan alongside annual results on March 28. Intesa declined to comment.

http://www.ft.com/cms/s/0/d735e96a-8c00-11e3-bcf2-00144feab7de.html#axzz2sG8jhiRw


Monte dei Paschi, il mistero dei bilanci è un segreto di Stato


Monte dei Paschi di Siena

Da due mesi il governo italiano impedisce agli uffici di Bruxelles di rendere nota la decisione con cui la Commissione europea il 27 novembre scorso ha imposto alla banca senese di restituire entro il 2014 tre dei quattro miliardi di aiuti di Stato ottenuti un anno fa. - di Giorgio Meletti

Il documento chiave è secretato. Da due mesi il governo italiano impedisce agli uffici di Bruxelles di rendere nota la decisione con cui la Commissione europea ha imposto il 27 novembre scorso al Monte dei Paschi di Siena di restituire entro il 2014 tre dei quattro miliardi di prestito statale (i cosiddetti Monti bond) ottenuti un anno fa. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni si avvale del diritto di espungere dal testo “informazioni considerate confidenziali”. Un lavoro di sbianchettatura evidentemente laborioso che indica come la vicenda Mps sia ormai affare di Stato.
Il triangolo delle Bermude - Il comunicato emesso lunedì scorso dalla Banca d’Italia lo conferma. Il governatore Ignazio Visco e il direttore generale Salvatore Rossi hanno ricevuto – con un rappresentante del ministero dell’Economia – il presidente di Mps Alessandro Profumo con l’amministratore delegato Fabrizio Viola e il presidente della Fondazione Mps (azionista di controllo della banca) Antonella Mansi con il direttore generale Enrico Granata. Banca, vigilanza e governo – intorno a un tavolo triangolare sempre più somigliante al triangolo delle Bermude – comunicano la loro compattezza: “L’incontro si è svolto in un clima costruttivo, nella responsabile consapevolezza di tutte le parti che il Monte possa continuare a rappresentare una realtà bancaria importante nell’economia del Paese, a condizione di poter contare su un adeguato supporto patrimoniale e su un assetto azionario stabile”. In termini calcistici lo schema di gioco adottato è il catenaccio. Adesso tenete bene a mente l’espressione “adeguato supporto patrimoniale” per capire che cosa c’è sotto.
Tutto comincia nell’autunno del 2011. Lo spread supera quota 500, nasce il governo Monti. L’Eba (European banking authority) ordina a Mps una trasfusione di capitali freschi da 3,3 miliardi di euro. La banca senese è pesantemente esposta sui titoli di Stato italiani, la cui perdita di valore è misurata dall’impennata dello spread. Scatta l’allarme. Il direttore generale Antonio Vigni viene sostituito con un uomo di fiducia della Banca d’Italia, Viola. Il presidente del Monte, Giuseppe Mussari, prima minaccia un ricorso alla Corte di giustizia europea contro la raccomandazione Eba, ma poco dopo si dimette. I suoi amici del Pd senese e nazionale chiamano Profumo.
Per quasi tutto il 2012 il nuovo vertice tratta la crisi Mps come difficoltà fisiologica. Il 9 ottobre 2012, agli azionisti che invocano l’azione di responsabilità contro Mussari, Profumo replica seccamente: “Non abbiamo elementi”. È vero che già dai primi di maggio il Monte dei Paschi è oggetto di perquisizioni a tappeto per l’inchiesta sulla acquisizione della banca Antonveneta, l’operazione del novembre 2007 che segna l’inizio della fine. Ma il 20 giugno Mussari è stato confermato presidente dell’Abi, l’associazione delle banche, all’unanimità. E, soprattutto, il 9 ottobre Profumo non ha elementi, però il 10 ottobre Viola scova in fondo a una cassaforte in uso al suo predecessore Vigni l’ormai celebre mandate agreement, la prova che inchioderebbe Mussari, oggi a processo per ostacolo alle autorità di vigilanza. Nei giorni scorsi la dirigente della Consob Guglielmina Onofri ha testimoniato al tribunale di Siena che gli uomini di Viola avevano già trovato il 20 settembre – venti giorni prima – copia di contratto, con l’indicazione che l’originale si trovava in quella cassaforte. Elio Lannutti, presidente dell’associazione di risparmiatori Adusbef, ha denunciato Viola per falsa testimonianza.
Per capire tante stranezze va spiegato il mandate agreement. Nel 2009 Mussari sta andando con i conti in rosso sotto il peso della sciagurata acquisizione di Antonveneta, pagata 9 miliardi quando ne valeva forse la metà. Per rinviare i problemi convince Nomura e Deutsche Bank a ricontrattare operazioni che vedono Mps in forte perdita. Le due banche fanno il favore, ma a fronte della ricontrattazione con cui rinunciano ai guadagni di due operazioni (rispettivamente Alexandria e Santorini) ottengono una nuova complicata manovra su titoli di Stato (Btp a scadenza 2034) con cui si rifanno abbondantemente ma a lungo termine, consentendo a Mussari di nascondere per un po’ il buco del bilancio.
Gli ispettori di Consob e Bankitalia notano già a fine 2011 queste operazioni in pesante perdita, ma fare cattivi affari non è vietato. E al processo, incalzati dalle domande della difesa di Mussari, argomentano che senza il mandate agreement, il contratto che appunto lega le due operazioni (Btp 2034 e ristrutturazione Alexandria), l’operazione in Btp restava un’operazione in Btp, anche se somigliava terribilmente a un “derivato sintetico” con perdita automatica incorporata.
Come cambia il pensiero di Profumo - La distinzione è decisiva per capire la portata dell’affare di Stato. L’esistenza del mandate agreement viene rivelata dal Fatto il 22 gennaio 2013, con un articolo di Marco Lillo. Lo scandalo esplode e Mussari si dimette dall’Abi. Due giorni dopo a Siena si svolge un’infuocata assemblea degli azionisti, chiamati a un aumento di capitale da 4,1 miliardi al servizio della eventuale conversione dei Monti Bond. Infatti a dicembre 2012, prima dello scandalo, Profumo ha avuto dal governo Monti un prestito di quell’importo, perpetuo ma convertibile in azioni quando lo decida la banca. Trattandosi di un aiuto di Stato, la Commissione europea dà la necessaria approvazione, provvisoria in attesa di un piano di ritrutturazione della banca. All’assemblea del 25 gennaio, nonostante la fresca scoperta dei derivati nascosti di Mussari, Profumo non perde l’aplomb: “La necessaria richiesta del supporto pubblico si riconduce prevalentemente alla crisi del debito sovrano e solo in misura minore anche alle attività di verifica ancora in corso sulle operazioni Alexandria, Santorini e Nota Italia di cui tutti parlano”. Profumo ha dunque chiesto gli aiuti di Stato lamentando difficoltà esogene, come si dice in gergo, cioè non dovute alla gestione di Mussari ma alla crisi mondiale. Il commissario europeo alla Concorrenza, Joaquin Almunia, se ne ricorderà.
Il 6 febbraio Mps comunica di aver calcolato in 730 milioni la perdita su Alexandria e Santorini. All’assemblea degli azionisti del 29 aprile successivo torna in ballo l’azione di responsabilità contro Mussari, e Profumo sfodera un argomento opposto rispetto a tre mesi prima: “La rilevazione operata a fini Eba a fine settembre 2011 ha evidenziato per la Banca una riserva AFS negativa per 3,2 miliardi circa (di cui 1,2 miliardi imputabili all’operazione Nomura e 870 milioni imputabili all’operazione Deutsche Bank), costringendo la Banca a ricorrere a onerose azioni di rafforzamento patrimoniale”. Dunque le operazioni di Mussari hanno lasciato in eredità un buco patrimoniale di 2,07 miliardi, che Profumo fino a quel giorno aveva ascritto alla “crisi del debito sovrano”.
Qui parte l’attacco di Almunia. A luglio 2013 scrive a Saccomanni (fino a due mesi prima direttore generale della Banca d’Italia) minacciando l’Italia di una procedura d’infrazione sugli aiuti di Stato a Mps. Ai primi di settembre, a Cernobbio, scopre le carte. Prima dichiara che l’aumento di capitale da un miliardo prospettato da Profumo è insufficiente. Poi concorda con Saccomanni che l’aumento dovrà essere da tre miliardi, finalizzati alla rapida restituzione del 74 per cento dei Monti Bond. Strano. Profumo lavora su un rafforzamento patrimoniale da 5,1 miliardi (4,1 di Monti Bond più un miliardo di aumento di capitale). Almunia invece impone di restituire 3 miliardi di Monti Bond, e, siccome un decimo dell’aumento di capitale da 3 miliardi va in spese, la banca ci deve mettere 300 milioni suoi, mentre svanisce anche il miliardo di maggior patrimonio che Profumo voleva chiedere al mercato. Risultato: il di cui sopra “adeguato supporto patrimoniale” scende da 5,1 a non più di 3,8 miliardi, e per Mps non è una bella notizia.
Le ragioni del castigo inflitto da Almunia a Mps – compreso il ridimensionamento da terza banca italiana a banca regionale – sono scritte nel documento che il governo italiano non vuole rendere pubblico. All’assemblea del 28 dicembre scorso l’azionista Giuseppe Bivona, rappresentante del Codacons, ha sostenuto, logica e Trattato europeo alla mano, che Almunia, imponendone la restituzione, ha di fatto bocciato gli aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 108 del trattato europeo, secondo il quale una mazzata simile è ammessa se “tale aiuto e` attuato in modo abusivo”. Ma attenzione: la scelta di rimborsare i Monti Bond, indebolendo la banca e ribaltando una decisione di pochi mesi prima, è tutta italiana. Per Almunia andava bene anche la conversione in azioni dei Monti Bond, che avrebbe nazionalizzato il Monte quasi azzerando gli azionisti attuali, a cominciare dalla Fondazione. Per Bruxelles basta che gli azionisti non risolvano i loro problemi con i soldi di Pantalone. Perché dunque gridare in coro “tutto ma non la nazionalizzazione!”, visto che i soldi dei contribuenti erano stati già versati senza rimpianti un anno fa? Forse per evitare che un giorno emergano altre sorprese che – trattandosi di banca controllata dallo Stato – gravino sui conti pubblici. Qui si può solo formulare un’ipotesi, visto che il documento ufficiale è segretato nell’evidente imbarazzo di banca, vigilanza e governo.
Fino a che Mussari era presidente dell’Abi… - Per tutto il 2012 Profumo e Viola, in sintonia con Bankitalia e Consob, non hanno visto i perniciosi derivati del presidente dell’Abi in carica, continuando a battezzarli come operazioni in Btp. Così anche dopo la scoperta del mandate agreement Mps ha continuato a contabilizzare quelle operazioni esattamente come le contabilizzava Mussari, che è sotto processo per ostacolo alla vigilanza ma non per falso in bilancio. Lo ha confermato Viola il 28 dicembre scorso: “In data 10 dicembre 2013, la Consob ha di fatto confermato il trattamento contabile applicato dalla banca, che risulta conforme ai principi contabili IAS/IFRS ed è stato concordato con i revisori esterni Kpmg sino al 2010 e Ernst & Young dal 2011”. È quel “di fatto” a segnalare una continuità quantomeno sospetta. Infatti, a dimostrazione di una situazione confusa, la stessa Consob ordina a Mps anche di allegare al bilancio i cosiddetti prospetti pro-forma, che mostrano il bilancio come sarebbe se quelle operazioni in Btp fossero considerate derivati: con miliardi di euro che vanno e vengono da una partita all’altra. Adesso l’unico obiettivo del triangolo Mps-Bankitalia-governo è portare a casa al più presto l’aumento di capitale da 3 miliardi: eviterebbe le insidie della nazionalizzazione e coprirebbe tutto, prima che dal nuovo esame europeo di fine anno (in gergo asset quality review) emerga un nuovo fabbisogno di capitale. O che dal documento secretato di Almunia i mitici mercati scoprano qualche scomoda verità.

Diminuisce il reddito delle famiglie Il calo maggiore Centro e al Nord.



La fotografia Istat: nel Mezzogiorno la flessione più contenuta (-1,9%).
Valle d’Aosta e Liguria la regione che hanno risentito di più della crisi


«Nel 2012 il reddito disponibile delle famiglie in valori correnti diminuisce, rispetto all’anno precedente, in tutte le regioni italiane. Nel confronto con la media nazionale (-1,9%), il Mezzogiorno segna la flessione più contenuta (-1,6%), seguito dal Nord-est (-1,8%), Nord-ovest e Centro (-2%). Le regioni con le riduzioni più marcate sono Valle d’Aosta e Liguria (-2,8% in entrambe)». È quanto rileva l’Istat. «Il reddito monetario disponibile per abitante è pari a circa 20.300 euro sia nel Nord-est sia nel Nord-ovest, a 18.700 euro al Centro e a 13.200 euro nel Mezzogiorno -continua l’Istat. La graduatoria regionale del reddito disponibile per abitante (17.600 euro il valore medio nazionale) vede al primo posto Bolzano, vicina ai 22.400 euro, e all’ultimo la Campania, con poco meno di 12.300 euro», continua l’Istat.  

«Nel 2012 a livello nazionale il reddito disponibile delle famiglie, in valori correnti, aumenta dell’1% rispetto al 2009, anno di inizio della crisi economica. In particolare il Nord registra un incremento maggiore (+1,6% nel Nord-ovest e +1,7% nel Nord-est) mentre, sempre rispetto al 2009, il Centro e Mezzogiorno segnano un aumento molto più contenuto (rispettivamente +0,4% e +0,2%)», aggiunge l’Istat. «La Liguria è la regione che ha risentito maggiormente degli effetti della crisi economica: tra il 2009 e il 2012 le famiglie hanno subito una diminuzione dell’1,9% del reddito disponibile. L’Umbria e la provincia di Bolzano sono state le meno toccate dagli effetti della crisi economica con aumenti, nel periodo considerato, rispettivamente del 3,6% e del 2,7%», conclude la nota.  

Bruxelles all’Italia: «Norme anticorruzione insufficienti, e basta leggi ad personam»

(Reuters)

Report della Commissione sulla corruzione in Europa: «Quella italiana vale 60 miliardi, la metà del totale europeo».

La nuova legge italiana contro la corruzione «lascia irrisolti» vari problemi, secondo la Commissione dell’Unione europea, perché «non modifica la disciplina della prescrizione, la legge sul falso in bilancio e il riciclaggio e non introduce reati per il voto di scambio».
METÀ DI QUELLA UE - L’Ue ricorda nel suo report sulla corruzione in Europa, il primo in materia, che per l’Italia questa ha un valore di circa 60 miliardi l’anno, pari a circa il 4% del Pil. C’è da mettere mano, anche, al conflitto d’interesse, sottolinea ancora Bruxelles. Quei 60 miliardi sono la metà di quello che l’economia europea perde annualmente per casi di corruzione, ovvero 120 miliardi. Gli Stati membri della Ue,hanno ottenuto «risultati differenti e devono fare di più per prevenire e punire la corruzione». Lo ha spiegato, presentando il report, Cecilia Malmstrom,commissaria agli Affari Interni.
TUTELA DEL DIPENDENTE - Tornando all’Italia, la Commissione ritiene inoltre necessario il varo di disposizioni adeguate in materia di «corruzione nel settore privato e sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti».
LEGGI AD PERSONAM OSTACOLO AI PROCESSI - La Commissione suggerisce inoltre all’Italia di «bloccare l’adozione di leggi ad personam» dal lodo Alfano alla ex Cirielli, dalla depenalizzazione del falso in bilancio al legittimo impedimento, queste sono state «più volte» d’ostacolo per «i tentativi» di darsi norme per garantire processi efficaci.
LA PRESCRIZIONE - Un altra piaga «particolarmente seria per la lotta alla corruzione in Italia», rileva ancora Bruxelles, è la prescrizione perché termini, regole e metodi di calcolo, sommati alla lunghezza dei processi, «determinano l’estinzione di un gran numero di procedimenti». Come esempio si indica (pur senza fare nomi) il processo Mills, con l’ex premier Berlusconi prosciolto «per scadenza dei termini di prescrizione».
IL CASO COSENTINO - La Commissione inoltre sottolinea: «In Italia i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese, e lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo sono tra gli aspetti più preoccupanti, come testimonia l’alto numero di indagini per corruzione». L’accento si pone anche sui consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose, ma anche sul caso di «un parlamentare indagato per collusione con il clan camorristico dei Casalesi», riferimento diretto al caso di Nicola Cosentino, sempre senza farne il nome .
I NUMERI DEL FENOMENO - La relazione evidenzia poi i numeri di questo fenomeno sottolineando come solo nel 2012 siano scattate indagini penali e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici locali in circa metà delle 20 Regioni italiane, sono stati sciolti 201 consigli municipali, di cui 28 dal 2010 per presunte infiltrazioni criminali e più di 30 deputati della precedente legislatura sono stati indagati per reati collegati a corruzione o finanziamento illecito ai partiti.

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Cos' e' pazz'!



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sabato 1 febbraio 2014

La Guardagingilli (Marco Travaglio). Da Il Fatto Quotidiano del 01/02/2014.

cancellieri

Pare incredibile ma, dopo tutto quel che è riuscita a combinare, Anna Maria Cancellieri è ancora ministro. 
E non di una cosa qualunque, ma della Giustizia. 
Insieme a Boldrini e De Girolamo, si propone come insuperabile testimonial dei nemici delle quote rosa. 
L’avevamo lasciata alle prese con la famiglia Ligresti e col decreto svuotacarceri che quasi dimezza le pene ai criminali, mafiosi compresi. 
Ma da un po’ di tempo la sua missione prediletta è minimizzare la condanna a morte di Totò Riina contro il pm Nino Di Matteo, che indaga sulla trattativa Stato-mafia e dunque è il nemico pubblico numero uno sia dei vertici dello Stato sia di quelli della mafia. 
Il defunto consigliere giuridico di Napolitano, nei suoi allegri conversari con l’indagato Mancino, lo chiamava affettuosamente “il solito Di Matteo”. Riina, nei suoi allegri conversari col collega Lorusso, lo chiama affettuosamente “quel cornuto” che “mi fa impazzire” e auspica che i picciotti gli facciano fare “la fine del tonno” e che Napolitano non vada a testimoniare davanti a lui, anzi che i suoi corazzieri lo prendano a “mazzate sulle corna” 
L’8 dicembre la cosiddetta ministra della Giustizia diede aria alla lingua per dire che “nell’ambito dell’attività svolta dal Dap (la direzione delle carceri alle sue dipendenze, ndr) non risultano elementi espliciti di minacce da Riina nei confronti di magistrati. 
Se poi la notizia delle minacce proviene da attività investigative, noi non possiamo saperlo perché coperte da segreto”. 
Balla sesquipedale: i procuratori di Palermo e Caltanissetta, Messineo e Lari, avevano appena informato ufficialmente il governo di cui la signora fa parte, nella persona del ministro dell’Interno Alfano, sui propositi stragisti di Riina contro il magistrato, con tanto di trascrizioni e supporti audio-video delle sue parole appositamente desegretati. 
Tant’è che, mentre lei smentiva, Alfano si precipitava a Palermo per riunire il Comitato per la sicurezza, denunciare il rischio di una ritorno allo stragismo e rafforzare la protezione a Di Matteo. Delle due l’una: o la Cancellieri ci fa o ci è. 
O il ministro della Giustizia non parla col ministro dell’Interno dei pericoli di attentato per il pm più esposto d’Italia, oppure ha capito che per restare ministro è meglio minimizzare l’allarme.

Così la stampa serva può scrivere impunemente che Di Matteo non rischia alcun attentato, anzi probabilmente si è inventato le parole di Riina, o magari gliele ha fatte suggerire da Lorusso, o forse si minaccia da solo. 
Come insinuarono i nemici di Falcone per l’attentato all’Addaura. Non contenta, la Cancellieri se n’è uscita l’altroieri in Antimafia con un altro paio di perle. 
La prima: “É gravissimo che il video di Riina che parla con Lorusso sia andato in tv”. In realtà i video sono stati depositati agli avvocati del processo Trattativa, dunque non sono più segreti, ergo di gravissimo c’è solo l’ignoranza della Guardagingilli. 
La seconda: “Abbiamo trasmesso alla Procura nazionale antimafia il materiale relativo a una conversazione fra Riina e con la moglie in cui l’ex boss mafioso sminuisce le minacce al pm di Palermo Di Matteo riportate dalla stampa”. 
E qui – a parte il fatto che Riina non è un “ex boss” perché nella gerarchia mafiosa non esistono “ex boss”, e che quelle contro Di Matteo non sono minacce ma mandati a uccidere – si ripropone il dilemma: la Cancellieri ci fa o ci è? 
Per legge – come sanno tutti, boss e persino ex-boss inclusi – i colloqui fra i detenuti al 41-bis e i parenti vengono registrati dal Dap. Dunque, quando parla con la moglie e “sminuisce le minacce”, Riina sa di essere ascoltato, mentre non sa di esserlo nel cortiletto del carcere di Opera quando ordina dieci volte di uccidere Di Matteo. Ora la Cancellieri dovrebbe spiegare come un messaggio che Riina vuol far trapelare possa smentire o sminuire dieci frasi assolutamente spontanee che Riina ignorava fossero intercettate. Quando questa signora diventerà un’ex ministra, sarà sempre troppo tardi.

La Guardagingilli (Marco Travaglio).
Da Il Fatto Quotidiano del 01/02/2014.


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