giovedì 9 ottobre 2014

Il senatore Azzollini, un presunto truffatore salvato dalle sconce intese. - Peter Gomez

Il senatore Azzollini, un presunto truffatore salvato dalle sconce intese

Senza nemmeno avere il coraggio di spiegare pubblicamente in aula le ragioni della loro decisione, i magnifici sette componenti della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama hanno votato contro la relazione di Felice Casson, esponente del loro stesso partito. Compatti hanno barattato il buon senso e il buon gusto con la volontà di fare un favore ad Azzollini, un potente indagato per associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali.
Il politico di Molfetta, protagonista dello sperpero di 150 milioni di euro destinati alla costruzione di un porto inutile e mai terminato, è infatti una figura chiave della maggioranza: controlla in parlamento molti voti e sopratutto è presidente della Commissione bilancio, quella che tra qualche giorno dovrà esaminare la legge di stabilità.
Quando lo scandalo è scoppiato e Casson ha detto che il re è nudo (“Si continua a difendere la Casta”), i sette a mezza bocca, spesso chiedendo di non essere citati (per la vergogna?), hanno poi abbozzato una spiegazione: le intercettazioni di Azzollini vanno buttate perché non casuali. Se si mettono sotto inchiesta imprese e funzionari di un comune, sostengono i senatori Pd, i magistrati sanno benissimo che finiranno per intercettare il sindaco. E visto che a Molfetta il sindaco era il povero Azzollini è chiaro, secondo loro, che il presidente della commissione bilancio del Senato è stato incastrato. Il fumus persecutionis dunque c’è. Ed è pure molto spesso.
Questi pavidi luminari del diritto però non hanno fatto i conti con la matematica e gli atti processuali. Le telefonate di Azzollini intercettate – ovviamente non sulle sue utenze – sono state solo dieci nel giro di un anno e mezzo. Con il responsabile tecnico del progetto, per esempio, il senatore ha parlato due volte nel corso di due mesi, con un altro indagato tre volte nel giro di otto. Impossibile sostenere, pure a posteriori, che il presidente della Commissione bilancio avesse relazioni abituali con i protagonisti dello sporco affare del porto.
Ma tant’è. Azzollini doveva essere salvato, costi quel che costi. Doveva restare presidente (anzi presidente azzoppato, visto che ora la parola definitiva sul suo destino spetta all’Aula) per tentare di far passare senza strappi la fiducia sul jobs act e una manovra di bilancio piena di incertezze e buchi. Intanto in Parlamento quasi nessuno si turba se alla testa di una commissione fondamentale per controllare le leggi di spesa siede un un signore celebre per aver fatto auto-assegnare alla città di cui era primo cittadino prima 70 milioni di euro (grazie a una legge sul volontariato), poi saliti di anno in anno fino a 150, per la costruzione di un’opera faraonica e dannosa per l’ambiente. Un appalto talmente inquinato da venir definito persino dagli imprenditori protagonisti dello scandalo Expo “una roba esagerata”.
Perché Azzollini è l’uomo giusto al posto giusto. Sopratutto in un Paese che ha scelto di truccare ancora una volta conti e decenza.
La svolta c’è. Ma non è buona. Dimostra a tutta Europa che qui di nuovo qui ci sono solo le parole, che per il resto si va avanti come prima. Con larghe intese politiche e d’affari talmente forti da consigliare a qualsiasi investitore estero di girare al largo dai confini nazionali. Sì, perché di fumus persecutionismartedì sera, nella giunta del Senato, se ne è respirato molto. Ma non ai danni dell’uomo di Molfetta. La vittima era l’Italia. O quel che ancora ne resta.

Trattativa, deposizione Napolitano senza imputati. Le difese: “Processo nullo”. - Giuseppe Pipitone

Trattativa Stato - Mafia

"Le scelte dei giudici vanno sempre rispettate” si limita a dire Leonardo Agueci, che guida ad interim la procura di Palermo, dopo il no alla presenza degli imputati alla deposizione del capo dello Stato. “Una dichiarazione a caldo è controproducente, preferisco studiarmi prima l'ordinanza del giudice” dice invece l'aggiunto Vittorio Teresi, coordinatore del pool che indaga sulla Trattativa.
La sede del Quirinale è immune alla presenza degli imputati, anche quando a testimoniare sul Colle più alto di Roma è il presidente della Repubblica. È per questo motivo che il prossimo 28 ottobre Giorgio Napolitano testimonierà nel processo sulla Trattativa tra pezzi dello Istituzioni e Cosa Nostra, alla sola presenza dei legali e dei pm: assenti saranno Totò RiinaLeoluca Bagarella e Nicola Mancino, gli unici imputati del processo che avevano fatto richiesta di presenziare all’udienza. Rigettata anche l’istanza presentata dall’Associazione tra Familiari della strage di via dei Georgofili, tra le parti civili ammessi al dibattimento.
Dalla difesa dell’ex vice di Napolitano al Csm è subito arrivata eccezione di nullità per l’intero processo: l’avvocato Nicoletta Piergentili si è appellata all’articolo 178 del codice di procedura penale, che al terzo comma prescrive l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private. In caso contrario incombe la nullità processuale. Il presidente della corte d’Assise di Palermo, Alfredo Montalto, nell’ammettere la testimonianza di Napolitano aveva fatto cenno all’articolo 205 del codice di procedura penale, che fissa il luogo della deposizione nella sede in cui il presidente esercita le funzioni di capo dello Stato. Non esistendo però norme che disciplinino le esatte modalità della deposizione del presidente della Repubblica, il giudice aveva applicato per analogia l’articolo 502, quello previsto per la testimonianza di chi è impossibilitato a comparire personalmente in aula: quella norma prevede che se uno degli imputati faccia richiesta di assistere all’udienza, tale richiesta dovrà essere accolta dalla corte. Così non è stato, perché Montalto ha riconosciuto una sorta di immunità alla sede del Quirinale. Una profilo di immunità che per la corte è garantito dalla stessa Costituzione e che impedisce l’accesso delle forze dell’ordine al Quirinale, “con la conseguenza – ha detto Montalto leggendo la sua ordinanza – che non sarebbe possibile né coordinare l’accompagnamento di un detenuto con la scorta, né assicurare l’ordine come avviene durante le udienze nelle aule a ciò preposte”.
In pratica al Colle potranno entrare solo accusa e difesa, e nemmeno un uomo di scorta ai magistrati. La video conferenza per i boss invece è esclusa perché prevista solo per le deposizioni in aula. “Ad ulteriore conferma dell’esclusione degli imputati – ha continuato Montalto – deve considerarsi il fatto che, per gli imputati per i quali è già esclusa la presenza fisica in udienza anche nelle aule di giustizia ordinaria, quali Riina e Bagarella, la previsione rende ancora più evidentemente incompatibile la presenza degli stessi nella sede del Quirinale. Nè in assenza di norme specifiche, potrebbe farsi ricorso alla partecipazione a distanza, poiché questa è prevista solo per le attività svolte nelle aule d’udienza”.
Anche le difese dei boss però annunciano battaglia contro la decisione della corte. “Non sono d’accordo con il giudice Montalto: ci sarà modo di rivedere questa decisione in altre sedi. Io chiederò certamente l’annullamento del processo: qui è stato negato il diritto di difesa” annuncia Luca Cianferoni, legale di Riina, al sito affaritaliani.it. E mentre Antonio Ingroia, ex pm e coordinatore dell’indagine sulla Trattativa, propone al capo dello Stato di “andare a Palermo a rendere la sua testimonianza”, per salvare il processo dal rischio nullità, dalla procura siciliana arrivano al momento solo stizziti no comment. “Le scelte dei giudici vanno sempre rispettate” si limita a dire Leonardo Agueci, che guida ad interim la procura ancora senza un capo dopo l’addio di Francesco Messineo. “Una dichiarazione a caldo è controproducente, preferisco studiarmi prima l’ordinanza del giudice” dice invece l’aggiunto Vittorio Teresi, coordinatore del pool che indaga sulla Trattativa. Due giorni fa la procura aveva dato parere favorevole all’ammissione della presenza di Riina e Bagarella, argomentando che in caso contrario si sarebbe potuta verificare l’ipotesi di nullità processuale. Una spada di Damocle quella della nullità che adesso incombe seriamente sul processo più delicato degli ultimi anni. 

mercoledì 8 ottobre 2014

Ikea, trattativa ancora aperta Si punta sull'area accanto al Forum. - Roberto Immesi

ikea, Palermo

Continua il dialogo con l'amministrazione comunale, anche se le condizioni del colosso del mobile restano invariate: legalità e vicinanza al polo commerciale di Roccella.

PALERMO - Cambia il terreno, ma non il luogo. E soprattutto continua il dialogo con l'amministrazione comunale. Il progetto di Ikea di sbarcare a Palermo diventa sempre più concreto: dopo l'annuncio dello scorso marzo del colosso svedese di voler aprire i battenti anche nel capoluogo siciliano, visto il successo del punto vendita di Catania, vanno avanti i contatti con le istituzioni locali per trovare le condizioni ideali.

Un'impresa non facile, visto che il marchio dei mobili facili da montare ha posto condizioni precise: acquistare terreni secondo procedure trasparenti per evitare spiacevoli sorprese, firmare un protocollo di legalità con la Prefettura e posizionarsi accanto al polo commerciale di Roccella dove sorgono già il Forum, Leroy Merlin e Ucicinemas. Poche ma semplici richieste a cui Palazzo delle Aquile sta cercando di rispondere, pur di non perdere la grande occasione. Tramontate le ipotesi della Bandita e della zona industriale di Brancaccio, dove Ikea avrebbe dovuto abbattere e poi costruire di sana pianta con una lievitazione dei costi non indifferente, gli emissari scandinavi starebbero puntando a un altro terreno. Non più quello individuato in un primo momento, ovvero dall'altro lato dell'autostrada rispetto al Forum, quindi a nord, ma alle spalle del centro commerciale. La vicinanza con il Forum, infatti, è stata una delle condizioni fondamentali poste dal colosso del mobile che ha comportato l'esclusione di altre zone della città o della provincia. Non è un mistero, infatti, che il polo commerciale di Roccella sia, tra quelli esistenti per adesso, il più redditizio: capace cioè di attirare la porzione sud di Palermo, che ne era sprovvista, ma anche una serie di comuni limitrofi della costa orientale. Inoltre è vicino al capolinea della linea 1 del tram, al parcheggio di scambio per i pullman che è ancora in costruzione, al passante ferroviario e all'autostrada, sebbene rimanga aperta la questione delle bretelle da completare. Del resto, anche a Catania il punto è vicino alle "Porte", a Decathlon e all'aeroporto.

L'intenzione di Ikea sarebbe quella di puntare su un terreno agricolo per abbattere i costi, il che renderebbe però necessaria una variante; inoltre gli svedesi puntano molto sulla legalità e per questo hanno chiesto alla Prefettura un protocollo ad hoc e per giunta in tempi brevi, così da avere certezze sui terreni interessati. Palazzo delle Aquile, dal canto suo, non ha intenzione di farsi sfuggire l'occasione di poter aprire in città un nuovo punto vendita che darebbe lavoro a centinaia di persone, pur dovendo fare i conti con la scontata ostilità dei commercianti della zona che temono la concorrenza di un marchio noto come quello scandinavo. Nella trattativa, però, non ci sarebbe spazio per altre "compensazioni" a favore della città: già l'apertura del punto vendita, per gli svedesi, sarebbe sufficiente.

Del resto la politica del colosso è nota: molto verde, strutture ecologiche e positive ricadute sul territorio con almeno il 20% degli articoli prodotti in loco. Il progetto, ancora alle battute iniziali, prevedrebbe un investimento da 50 milioni, tra i 300 e i 400 posti di lavoro diretti e indiretti, per un'area grande circa 100mila metri quadrati di cui solo 36mila occupati dalle strutture. Il 25% dei clienti del punto vendita catanese vengono proprio da Palermo, così gli scandinavi hanno ben pensato di aprirne uno direttamente nel capoluogo. Sperando che non finisca come nel 2009, quando il tutto si arenò a favore della parte orientale dell'Isola.


http://livesicilia.it/2014/10/06/ikea-cambia-il-terreno-ma-resta-la-trattativa-gli-svedesi-puntano-a-stare-accanto-al-forum_546532/

Coscienza dopo la morte: il primo studio che indaga su cosa accade “nell’aldilà”. - Nadia Vitali

Coscienza dopo la morte: il primo studio che indaga su cosa accade
in foto: L'isola dei morti di Arnold Bocklin

Grazie ai racconti di persone sopravvissute all'arresto cardiaco, alcuni ricercatori hanno scelto di addentrarsi nel territorio più oscuro e complesso.


Esperienze extracorporee (out of body experiences, OBEs) o ai confini della morte (near-death experiences, NDEs): la storia dell’umanità ha registrato molti racconti relativi a questo impalpabile mondo, del quale nulla conosciamo e molto vorremmo sapere. Luci in fondo al tunnel, anime che si innalzano al di sopra del proprio corpo, fino ai più tradizionali cieli con le nuvole: fenomeni spesso considerati frutto di allucinazioni o di illusioni e che, in virtù di ciò, raramente sono stati oggetto di studio. Certo, in anni recenti c’è stato anche il caso di un neurochirurgo americano che, dalla sua esperienza pre-morte, avrebbe evinto che l’aldilà esiste e si presenta anche molto simile a come lo immaginiamo, per tanti aspetti. Ma questo non sembrava sufficiente a spostare l’attenzione della scienza sul tema: ragionevolmente, d’altronde, dato che è logico pensare come la suggestione giochi un ruolo fondamentale in questi casi.

Uno studio difficile

Tuttavia, la britannica University of Southampton ha deciso di fare un tentativo in questa direzione, dando il via nel 2008 ad uno studio su ampia scala che ha coinvolto 2060 pazienti di 15 ospedali distribuiti tra USA, Regno Unito ed Austria: 140 di questi sono sopravvissuti all'arresto cardiaco. Obiettivo dei ricercatori era l’esame di tutto l’ampia gamma di esperienze mentali in relazione alla morte, cercando di discernere, dai racconti degli interessati, cosa appariva chiaramente come una mera allucinazione e cosa poteva sembrare più simile ad un’esperienza pre-morte. Lo studio, pubblicato dal giornale Resuscitation , avrebbe evidenziato, in primo luogo, come tali fenomeni appaiano ancora molto lontani dalla comprensione, da come li immaginiamo e anche da come sono stati descritti in molte NDEs.

Ricordi confusi di coscienza post-mortem

I ricercatori avrebbero inoltre concluso che, in alcuni casi di arresto cardiaco, i ricordi visivi di chi aveva esperito l’OBE coincidevano con eventi reali. In buona sostanza, l’indagine avrebbe portato alla luce le esperienze di un numero relativamente alto di persone: tra queste, tuttavia, molte non erano in grado di richiamarle alla memoria con accuratezza, forse a causa dell’effetto di sedativi e farmaci o di qualche trauma sui circuiti neuronali. L’auspicio, quindi, sarebbe quello di uno studio più preciso e dettagliato: il quale, tuttavia, dovrebbe essere portato avanti in maniera del tutto scevra da pregiudizi. E non è affatto facile. Del resto, altrettanto complesso risulta distinguere tra suggestione e realtà, nel parlare di un tema tanto delicato quanto scientificamente non ancora esplorabile.
Il 39% dei pazienti sopravvissuti ad un arresto cardiaco, i quali erano in grado di rispondere ad un’intervista strutturata, ha descritto di aver vissuto una sorta di percezione di coscienza post-mortem: tuttavia più difficile era per loro avere una memoria di questi eventi. Secondo il Dottor Sam Parnia, della State University of New York e ricercatore onorario presso l’università di Southampton quando lo studio è iniziato, questo sembrerebbe suggerire che in diverse persone l’attività mentale inizialmente sarebbe ancora presente; ma ricordarne qualcosa dopo la guarigione appariva impossibile, probabilmente per cause legate proprio al trattamento medico subito. In ogni caso, tra coloro i quali serbavano memorie labili della propria morte prima della rianimazione andata a buon fine, un 46% ha comunque riferito di esperienze molto diverse da quelle normalmente indicate come NDE, con una serie di ricordi classificati dagli scienziati in precise categorie cognitive: paura, animali o piante, luce intensa, violenza o persecuzione, deja vu, famiglia. Soltanto il 9% ricordava esperienze compatibili con quelle ai confini della morte comunemente intese, mentre il 2% riferiva di aver vissuto vere e proprie esperienze extra corporee con ricordi espliciti e chiari di cose viste e sentite.

Oltre i confini della conoscenza?

In buona sostanza, le esperienze osservate e raccolte nei racconti dai ricercatori avrebbero fatto emergere un mondo estremamente variegato di sensazioni ed immagini, spesso impalpabili, non riassumibile in quel 2% di esperienze. Queste conclusioni andrebbero a supportare studi precedentemente condotti che avrebbero già indicato come la coscienza possa essere presente nonostante sia clinicamente non rintracciabile. Ma si tratta soltanto di una scintilla in un mondo oscuro: ben altro sarà necessario per squarciare quel buio profondo, ammesso che un giorno l'essere umano sarà in grado di farlo.
http://scienze.fanpage.it/coscienza-dopo-la-morte-il-primo-studio-che-indaga-su-cosa-accade-nell-aldila/#ixzz3FXn092jE 

Questo è un campo nel quale non mi avventurerei. 
I casi a cui fanno riferimento sono completamente diversi da quelli della morte effettiva: nei casi citati il cervello funzionava ancora, nel caso della morte effettiva il cervello non ha più alcun alimento, non ha più impulsi elettrici, è totalmente inerte. 
Potrebbe essere presa in considerazione solo la teoria di una continuità della produzione di impulsi elettrici residui, ma la durata sarebbe minima, quindi impercettibile e di poca valenza.

Appalti fasulli da 200 milioni Così Clini si intascava il 10%. - Fiorenza Sarzanini

I finanzieri: l’ex ministro riceveva tangenti da uffici «fantasma» a Pechino.

ROMA Appalti da 200 milioni di euro per opere da realizzare in Cina che in realtà sono state sbagliate o mai costruite. Soldi che il ministero dell’Ambiente ha erogato tra il 2001 e il 2009 per volontà dell’allora direttore generale Corrado Clini, poi diventato ministro, attraverso due uffici «fantasma» aperti a Pechino. A svelare la destinazione del denaro distribuito a imprese scelte a trattativa privata, sono gli atti dell’inchiesta che nel maggio scorso aveva fatto finire agli arresti domiciliari lo stesso Clini e il suo socio occulto Augusto Calore Pretner, accusati di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Tra gli indagati ci sono la moglie del politico, Martina Hauser, e alcuni imprenditori. Nelle informative trasmesse dalla Guardia di Finanza ai magistrati della Procura di Roma è delineato anche il ruolo che avrebbe avuto l’ex ambasciatore Umberto Vattani, presidente dell’Ice, l’Istituto per il commercio con l’estero fino al 2011. E sono elencate le consulenze che lo steso Clini avrebbe fatto ottenere a suo figlio Carlo dalla Idra, azienda che in cambio avrebbe ottenuto incarichi ben remunerati. 

Tangenti del 10 per cento.
Quello degli affari conclusi da Clini fuori dall’Italia è uno dei capitoli chiave dell’indagine. Perché dimostra come i finanziamenti che potevano essere utilizzati in maniera strategica sul territorio italiano siano stati in realtà dirottati altrove per interessi personali. Quale fosse il meccanismo illecito lo spiega bene la relazione dei finanzieri del Reparto Spesa Pubblica, guidato dal generale Bruno Bartoloni, che indica anche la percentuale del 10 per cento come tangente su ogni lavoro da versare su conti aperti presso banche straniere. 
Scrivono gli investigatori: «La scelta dei soggetti italiani a cui affidare appalti e commesse sarebbe stata gestita direttamente dal ministero dell’Ambiente italiano oppure “suggerita” alla parte cinese almeno per la successiva fase di individuazione dei soggetti a cui affidare i sub-appalti. In assenza dei meccanismi di gara sembrerebbe inoltre che le indicazioni per le scelte, fino a un certo importo e per talune tipologie, sarebbero in realtà state affidate a Ice Pechino e condizionate dalla disponibilità del soggetto ad accettare di versare un contributo del 10 per cento del valore dell’appalto su un conto presumibilmente intestato a una non meglio identificata società di consulenza con sede a Hong Kong». 

Le finte opere.
Sono sette le società che hanno ottenuto lavori e due le «strutture operative per la realizzazione del programma» di utilizzo dei fondi. L’informativa della Finanza evidenzia come «i due funzionari impiegati nella prima unità, collocata all’interno degli uffici Ice di Pechino, non sono stati in grado di conoscere ufficialmente quale sia l’attività effettivamente svolta dall’ufficio, anche se da informazioni assunte da persona che in passato ha lavorato presso lo stesso, pare che il predetto responsabile operi in realtà come mero contabile». E ancora: «Per quanto riguarda la seconda struttura, denominata Program Management Office, non è stato possibile conoscere il numero esatto degli addetti ma sono stati individuati alcuni dipendenti per i quali non si conoscono esattamente le funzioni svolte e chi sostenga i costi per il loro impiego». 
Ancor più grave il capitolo relativo alle opere. Perché il restauro della «Meng Joss House», costato oltre 4 milioni di euro «non sembra essere stato eseguito “a regola d’arte” e con tecniche efficaci atteso che l’intero stabile, attualmente in stato di abbandono, risulta interessato da copiose infiltrazioni d’acqua che ne hanno compromesso l’agibilità». 
Disastroso si è rivelato anche il progetto di costruzione di un edificio all’interno dell’università di Pechino. Sono stati spesi 20 milioni di euro ma i responsabili dell’Ateneo hanno protestato con l’ambasciatore italiano perché «lo stabile, lungi dall’essere un esempio di elevata tecnologia come invece era stato sostenuto, viene considerato uno dei più energivori di tutto il campus». 


Probabilmente, se non fosse stato così "scorretto" non sarebbe diventato ministro della repubblica italiana.
Non mi meraviglierebbe affatto sapere che nella vicenda c'è lo zampino della mafia.
Il modus operandi è quello, inconfondibile: tangenti in cambio di appalti, lavori fatti male per lucrare al massimo, conti esteri aperti per fare transitare ingenti somme di denaro con la scusa della realizzazione di grandi opere.
E poi mi vogliono far credere che la trattativa stato-mafia non c'è mai stata... e che gli asini volano!

martedì 7 ottobre 2014

Nobel per la fisica ai Led, la rivoluzione della luce.

Physics Nobel Prize winners Professor Isamu Akasaki, American Inventor Shuji Nakamura and Professor Hiroshi Amano.
Isamu Akasaki, Shuji Nakamura, Hiroshi Amano.


Premiati giapponesi Akasaki e Amano e l'americano Nakamura.

Il Nobel per la Fisica è stato assegnato ai giapponesi Isamu Akasaki (85 anni) e Hiroshi Amano (55 anni), entrambi dell'università di Nagoya, e all'americano Shuji Nakamura (60 anni), che dal 1994 si è trasferito dall'università giapponese di Tokushima a quella californiana di Santa Barbara.
I tre fisici  hanno inventato i Led (Light Emitting Diode), i rivoluzionari dispositivi elettronici che sfruttano le proprietà ottiche di alcuni materiali per produrre la luce in modo più efficiente dal punto di vista energetico e rispettoso per l'ambiente.

L'invenzione dei Led, rileva la Fondazione Nobel, è stata premiata ''nello spirito di Alfred Nobel'', che mirava a riconoscere il valore delle scoperte in grado di dare importanti benefici per l'umanità. I Led sono infatti in grado di produrre la luce in modo nuovo.

L'impatto di questa tecnologia potrebbe infatti essere confrontabile a quello della lampadina: ''come le lampade a bulbo hanno illuminato il ventesimo secolo, i Led saranno le luci del ventunesimo secolo'', scrive la Fondazione Nobel. L'invenzione dei Led blu risale all'inizio degli anni '90, quando Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuji Nakamura sono riusciti per la prima volta a generare un fascio di luce blu da materiali semiconduttori. Fino ad allora esistevano soltanto Led a luce rossa e verde, ma da questi dispositivi non era possibile produrre luce bianca.

Energia a basso costo per tutti
Per anni superare questo ostacolo è stata una vera scommessa per i fisici e la sfida prosegue costantemente per rendere i Led blu sempre più efficienti. Poichè un quarto del consumo di elettricità nel mondo si deve all'illuminazione, il Led permettono un risparmio notevole nei consumi e una maggiore efficienza. Basti pensare che la durata dei Led è di 100.000 ore, contro le mille delle lampade a incandescenza e del 10.000 ore di quelle a fluorescenza. E che l'attuale record di efficienza luminosa per i Led blu supera 300 lumen/Watt, pari a quella di 16 lampade tradizionali o di 70 lampade a fluorescenza. Grazie ai led blu, infine, le persone che sul pianeta vivono senza reti elettriche (si stima che siano almeno un milione e mezzo) potrebbero avere reti a basso costo dal momento che per alimentare i Led bastano piccole quantità di energia, ad esempio prodotte dai pannelli solari.

I commenti dei Nobel
"Sono stato sorpreso dalla notizia e, ovviamente, per me è un onore". E' stato il primo commento Akasaki. "Sono riconoscente a quanti hanno permesso i miei studi", ha detto in una conferenza stampa alla Meijo University di Nagoya, dove insegna, trasmessa in diretta dalla tv pubblica Nhk. Akasaki, che ha ringraziato il Matsushita Research Institute e sua università, ha detto di aver ricevuto "da 2 o 3 giorni telefonate da parte di media e altre istituzioni internazionali. Ho pensato - ha aggiunto - che potesse essere la volta buona". Un consiglio ai giovani ricercatori: "Non rincorrete quello che è popolare e accattivante, ma cercate quello che veramente volete fare e come farlo".
"Sono molto onorato di ricevere il premio Nobel dall'Accademia reale svedese delle Scienze per l'invenzione dei Led", ha commentato Nakamura sul sito dell'Università della California a Santa Barbara, dove insegna. "E' molto gratificante - ha aggiunto - vedere che il sogno di illuminazione Led sia diventato una realtà. Mi auguro che le lampadine Led a risparmio energetico possano contribuire a ridurre il consumo di energia e i costi di illuminazione in tutto il mondo". 



http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/fisica/2014/10/07/nobel-fisica-ad-akasaki-amano-e-nakamura-_ed4c859c-419f-4b10-b950-0ae91d307539.html?idPhoto=1

Blocco della perequazione delle pensioni: è incostituzionale anche per la Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna. - Pierluigi Roesler Franz


ROMA – È una notizia di grande interesse per centinaia di migliaia di pensionati pubblici e privati. Due nuove eccezioni di incostituzionalità del blocco della perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS per il biennio 2012-2013 (ma implicitamente anche per il successivo triennio 2014-2016), deciso dal Parlamento nella legge n. 211 del 2011 sono state sollevate dalla Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, in quanto il mancato adeguamento delle pensioni equivale sostanzialmente ad una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti ancorché il blocco sia formalmente temporaneo poiché non è previsto alcun meccanismo di recupero.
Accogliendo le tesi del professor Rolando Pini e dell’avvocato Giovanni Sciacca per conto di dieci pensionati INPS, il giudice Marco Pieroni si è rivolto all’Alta Corte, ritenendo violati i principi di uguaglianza, di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione anche differita, della garanzia previdenziale, della capacità contributiva e del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche, sanciti dagli articoli 3, 36, 38, 53, nonché dall’art. 117, primo comma, della Carta repubblicana per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (art. 6, diritto dell’individuo alla libertà e alla sicurezza; art. 21, diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul «patrimonio»; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art. 34, diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo.
Le due articolate ordinanze della Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, saranno esaminate dai giudici di palazzo della Consulta tra alcuni mesi assieme a quelle in parte analoghe già pendenti del tribunale del lavoro di Palermo e della Corte dei Conti della Liguria.