martedì 19 aprile 2016

Denis Verdini rinviato a giudizio per bancarotta. Insieme a lui gli amministratori del "Giornale della Toscana".

DENIS VERDINI

Tutti a giudizio per bancarotta gli amministratori della società Ste, tra cui il senatore di Ala Denis Verdini. La Società Toscana di edizioni pubblicava il Giornale della Toscana. Lo ha deciso il gup di Firenze Anna Limongi in un procedimento bis dell'inchiesta sulle attività editoriali che facevano capo a Verdini. Tra i rinviati a giudizio anche l'on. Massimo Parisi, il professor Girolamo Strozzi, gli amministratori Pierluigi Picerno e Enrico Luca Biagiotti.
Il senatore Denis Verdini è stato presente in aula stamani per l'ultima fase dell'udienza preliminare e poi per aspettare la decisione del gup. Questo procedimento è scaturito da un'inchiesta più ampia riguardante sempre la Ste e società collegate che pubblicavano altre testate a Firenze, per truffa allo Stato sull'assegnazione di fondi all'editoria.
L'accusa di bancarotta su cui oggi il gup ha deciso di rinviare a giudizio 5 imputati è relativa in particolare alla presunta distrazione di una somma di 2,6 milioni di euro che sarebbe andata, in parti uguali, a Verdini e Parisi. Verdini si è difeso in aula stamani dicendo che la somma non era stata distratta dalla Ste, ma faceva parte di un'operazione corretta legata alle attività patrimoniali della società. In generale i vari difensori hanno sostenuto che si tratta di un caso di bancarotta "riparata", quindi non ci sarebbe reato poiché i denari sarebbero comunque rientrati nella disponibilità della società. La Ste è una società che è stata dichiarata fallita nel 2014.

venerdì 15 aprile 2016

La pellicola salva-cibo? È biologica e si mangia. - Federico Formica

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Da bucce di arancia e gusci di gamberetto i ricercatori del Cnr Isafom di Catania hanno ottenuto un film semi-trasparente che raddoppia la vita post-raccolta di carciofi e fichi d'India.


In attesa di lanciare il prodotto su scala industriale, nel 2015 un'impresa siciliana ha confezionato i primi fichi d'India avvolti con la pellicola creata dal Cnr. Foto per gentile concessione Cnr Isafom di Catania

Utilizzare gli scarti del cibo per allungare la vita di altro cibo. Attraverso una pellicola naturale che non si trasforma in rifiuto perché si mangia. Al Cnr Isafom (l'Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo) di Catania ci stanno riuscendo con la pectina, che si estrae dalle bucce d'arancia, e il chitosano, che si trova nei gusci dei gamberetti.
 
Attraverso il trattamento di queste due sostanze i ricercatori siciliani, in collaborazione con il Disba (Dipartimento bio agroalimentare) del Cnr, hanno ottenuto una pellicola naturale che avvolge il cibo allungandogli la vita post-raccolta di circa il doppio. Il procedimento è piuttosto semplice: “Si crea una soluzione formata da acqua, acido citrico come antiossidante e pectina, o chitosano o entrambe le sostanze - spiega Salvatore Raccuia del Cnr Isafom di Catania – e si immerge in questa soluzione il cibo da conservare. Una volta che il cibo è asciutto, intorno gli si forma un film semitrasparente che lo proteggerà per diversi giorni”.
 
Duri fuori, (troppo) teneri dentro. Il team di ricercatori ha deciso di testare la pellicola bio su due prodotti tipici del nostro Paese: i cuori di carciofo 
e i fichi d'India. Non sono due scelte casuali: per poterli consumare, infatti, dobbiamo necessariamente privarli del loro involucro. Questo significa esporli agli agenti esterni e accelerarne la deperibilità. “Il cuore del carciofo tende a indurirsi quasi subito e a ossidarsi, mentre il fico d'India fermenta. La pellicola che stiamo sperimentando, invece, riduce il contatto con l'ossigeno senza però eliminare del tutto lo scambio con l'esterno” continua Raccuia, che dell'istituto catanese è responsabile dei progetti di ricerca nel settore agroalimentare.
 
I risultati giustificano l'ottimismo del Cnr: protetti dalla nuova pellicola i cuori di carciofo durano tra i 24 e i 28 giorni contro un massimo di 12 garantiti dalle normali pellicole di plastica, mentre i fichi d'India sono ancora buoni fino a 12 giorni dopo, contro i 7 di oggi. In ogni caso, ovviamente, i due alimenti devono essere conservati in frigorifero a 4 gradi centigradi.
 
Un nuovo business? La pectina e il chitosano sono già utilizzati nell'industria alimentare soprattutto come addensanti. È la prima volta, però, che le due sostanze vengono utilizzate come conservanti naturali. Del resto, come dice  lo stesso Raccuia, preservare le arance e i gamberetti dagli agenti esterni è il loro compito naturale. Se il chitosano è presente, in grandi quantità, anche nei funghi, gli agrumi sono praticamente l'unica fonte di pectina.
 
E se si parla di arance e limoni è inevitabile pensare alla Sicilia. La ricerca, come detto, è stata condotta proprio nell'isola a tre punte, dove lo sviluppo di questa nuova tecnologia potrebbe avere importanti sviluppi economici e occupazionali. Dalla Sicilia arriva infatti circa il 5% della pectina prodotta nel mondo. Unendo le forze, imprese agricole e istituti di ricerca potrebbero dar vita a un'alleanza vincente. Raccuia, però, invita alla cautela: “Siamo ancora in fase di ricerca e impianti produttivi pilota. Senza contare che la congiuntura economica non è delle migliori: i prodotti conservati con la nostra pellicola edibile costano tra il 20 e il 25% in più. Bisognerà aspettare ancora un po' perché i consumatori siano disposti ad accettare questo rincaro”.

Referendum trivelle, breve guida al voto (visto che i populisti non ce l’hanno spiegato). - Davide Vecchi

Referendum Trivelle, 10 cose da sapere per votare informati

Ho scoperto che del referendum di domenica so davvero poco. Mi sono chiesto perché, nonostante se ne parli da settimane, io oggi non conosca il quesito alla perfezione né quali siano esattamente e nel dettaglio le ragioni del No e quali le ragioni del Sì. In compenso però ogni giorno scopro cosa farà questo o quel politico. Se si asterrà, se voterà a favore, o contro. Ma nessuno spiega il perché. A scoprirmi ignorante stamani mi sono ricordato dell’ortodossia orwelliana di 1984: “L’Ortodossia consiste nel non pensare, nel non aver bisogno di pensare. L’Ortodossia è inconsapevolezza”, scrisse George Orwell. Non è una bella sensazione: la classe dirigente del Paese sta chiedendo ai cittadini di obbedire senza fornire informazioni adeguate su contenuti e conseguenze delle scelte.

È uno dei risultati del “populismo dall’alto” descritto da Marco Revelli nel suo libro Dentro e contro. Populismo incarnato alla perfezione da Matteo Renzi, che se ne dimostra ancora una voltaRe indiscusso. Del resto lui ha trasformato il voto di domenica 17 sulle trivelle in un conflitto tra tifoserie pro o contro il premier. È il tentativo (populistico) di strumentalizzare i cittadini, considerandoli divisi in greggi e confidando che sia più numeroso quello che scatta sull’attenti e obbedisce senza riflettere agli “ordini” scanditi dal gran Capo. Non è più ormai una questione di rispetto della Costituzione – che imporrebbe ai rappresentati dello Stato di tutelare e agevolare ogni forma di espressione di democrazia – ma piuttosto di rispetto dell’intelligenza (e autonomia) di ciascuno. Davvero crede il premier che siano così numerosi i “sudditi” obbedienti rispetto a quanti decidono autonomamente informandosi? No. Altrimenti non tenterebbe di boicottarne l’informazioneLa Rai di Palazzo Chigi, non è un caso, ha silenziato l’argomento. Nei tg complessivamente se ne è parlato per 13 minuti appena. Mentre le poche trasmissioni di viale Mazzini che hanno sfiorato l’argomento (come Agorà) hanno creato solo confusione, fornendo dati sbagliati e spesso falsi come che si vota solo in alcune Regioni. La carta stampata non è stata da meno. Persino alcuni siti internet, solitamente più obiettivi e completi, si sono schierati nel pro e contro Renzi senza fornire ai lettori una completa e approfondita guida al referendum.

Per quel che vale io andrei a votare, perché lo ritengo un diritto (tra i pochi ancora rimasti) oltreché un dovere. E cosa voterei? Mi sono informato. Intanto è un referendum abrogativo promosso da 9 Regioni ed è la prima volta che accade. Il quesito recita: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Il merito: sono materia di referendum esclusivamente le trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa.
Ma su cosa interviene il referendum? Quale legge – o parte di legge – vuole abrogare? Il riferimento è al cosiddetto “codice dell’ambiente”, cioè il decreto legislativo 152 del 2006. In particolare il comma 17 dell’articolo 6 che stabilisce come “ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare”. Insomma: considerato il territorio italiano, che ha nel mare la sua principale ricchezza (turistica in particolar modo), sembra una norma piuttosto sensata. Il referendum di domenica 17 propone di abrogare di questo articolo una frase. Questa: “I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. Quindi: fin quando ci sarà gas o petrolio si potrà trivellare e cercare di estrarlo ovunque, anche nelle 12 miglia, a prescindere dal termine della concessione. O meglio: viene rilasciata una concessione a vita e mani libere. Questo dicono i sostenitori del Sì. Mentre chi è propenso al No ricorda che si parla di giacimenti già esistenti. Vero, ma un conto è l’esistenza di un giacimento, un conto è poter tentare di sfruttarlo e avere mani libere per farlo.
Il sito del Fatto ha riportato correttamente tutti i fronti, quindi su questo sito si trovano facilmente le diverse posizioni. Ma basta rivolgersi a mister Google. Evitando le dichiarazioni dei politici e cercando di raggiungere una consapevolezza. Anche solo per non svegliarsi lunedì mattina scoprendosi nell’ortodossia orwelliana e circondati di trivelle.

Le foto del giorno, aprile 2016. National Geographic Italia.



Un peso leggero
Fotografia di Alessandro Tramonti, National Geographic Your Shot.
Un giovane babbuino (Papio anubis) si aggrappa alla schiena della madre nel Parco Nazionale di Kibale in Uganda.


Le foto del giorno, aprile 2016

Un posto tranquillo
Fotografia di Nuttawut Charoenchai, National Geographic Your Shot.
Un giovane monaco nella città antica di Bagan, Myanmar.


Le foto del giorno, aprile 2016

Pastelli invernali
Fotografia di Sonia Sokhi, National Geographic Your Shot.
Colori pastello in una gelida V?lkermarkt, cittadina situata nella provincia austriaca della Carinzia.


http://www.nationalgeographic.it/wallpaper/2016/03/31/foto/le_foto_del_giorno_aprile_2016-3035762/6/#media

giovedì 14 aprile 2016

Atlante, il fondo salva-banche: cos'è e come funziona. - Andrea Telara

Nell'infografica realizzata da Centimetri il Fondo Atlante. © ANSA

Ecco i meccanismi con cui presto opererà il frutto dell'accordo raggiunto tra i nostri maggiori gruppi creditizi e il Governo.


Tutti i dettagli non sono ancora definiti ma la strada sembra ormai segnata: presto nascerà un nuovo fondo per aiutare le banche italiane e ricapitalizzarsi e a liberarsi delle sofferenze. Si chiamerà Atlante ed è il frutto di un accordo raggiunto tra i maggiori gruppi creditizi del Paese, con la regia del governo. Ecco, di seguito, una panoramica su come funzionerà questo nuovo organismo.

Cos'è Atlante

Sarà un fondo d'investimento con una strategia di gestione che, nel gergo degli addetti ai lavori, viene definita “alternativa”, perché non acquista i più comuni strumenti finanziari negoziati sul mercato come le azioni e i bond, ma altri prodotti come le obbligazioni bancarie subordinate che hanno un profilo di rischio medio-alto.

Chi lo gestirà

Le attività di gestione sono affidate a Quaestio Sgr, una società di diritto lussemburghese che opera sotto la guida di Alessandro Penati, docente di finanza alla Cattolica. Quaestio è partecipata dalla Fondazione Cariplo (37%) e da altri soggetti istituzionali come la Cassa dei Geometri. Consulenti dell'operazione saranno lo studio legale Bonelli Erede e Bank of America-Merrill Lynch.

Quanti soldi avrà a disposizione

Atlante dovrebbe avere una dotazione di 6 miliardi di euro, la cui maggior parte sarà investita da una serie di soggetti già individuati. Le fondazioni bancarie metteranno circa 500 milioni, altri 3 miliardi arriveranno dalle banche (in particolare, 1 miliardo sarà versato soltanto da Intesa e UniCredit). Poi dovrebbe aggiungersi anche la Cassa Depositi e Prestiti, con un investimento di almeno 500-600 milioni di euro, lo stesso previsto per Sga, una società a proprietà pubblica che è nata negli anni '90 per salvare il Banco di Napoli. Oltre ai 6 miliardi di dotazione iniziale, il fondo Atlante potrebbe disporre di altre risorse, raccolte indebitandosi.

Le Hawaii presentano il piano per divenire rinnovabili al 100%.

Le Hawaii presentano il piano per divenire rinnovabili al 100%

La principale utility dello Stato americano spiega come passare ad un’alimentazione completamente a base di rinnovabili entro il 2045. 

(Rinnovabili.it) – Meno di 30 anni per divenire completamente sostenibile sotto il profilo energetico. Questa la scommessa delle Hawaii, che si candida così a divenire banco di prova per l’indipendenza energetica degli USA. La principale utility energetica dello Stato, la HECO, ha presentato al regolatore un nuovo piano di sviluppo che punta diritto all’obiettivo del 100% di energie rinnovabili entro il 2045. Il programma, elaborato assieme alle sue controllate Maui Electric e Hawaii Electric Light Company, è stato presentato ufficialmente la scorsa settimana e si concentra in gran parte sulla modernizzazione della rete e, naturalmente, sulle fonti alternative come il fotovoltaico e l’energia eolica.

Secondo HECO, le Hawaii hanno già raggiunto oltre il 23% di energie rinnovabili nella produzione del 2015, e il percorso verso il 100% è a portata di mano. Cinque saranno le direttive perseguite per non mancare il bersaglio (il cui programma sarà comunque aggiornato ogni 5 anni):

– L’implementazione di una smart grid con l’installazione di una rete wireless moderna,         contatori intelligenti e altre tecnologie finalizzate ad ammodernare la rete elettrica esistente e migliorare l’integrazione delle risorse energetiche distribuite.
– L’emissione bandi per proposte di progetti  focalizzati sull’energia rinnovabile, con una capacità complessiva di oltre 350 MW da sviluppare entro il 2022.
– L’implementazione di comunità basate sull’energia rinnovabile, al fine di consentire ai clienti che non possono permettersi di istallare un impianto fotovoltaico domestico di riceverne comunque i benefici.
– Studiare e sviluppare sistemi di  immagazzinamento dell’energia, sia su scala utility, che a livello domestico.
– Favorire una maggiore penetrazione del fotovoltaico integrato su i tetti delle abitazioni.

Il piano si concentrerà anche su microreti e gas naturale; secondo le previsioni elaborate al computer per il 2045, il mix hawaiano dovrebbe includere: 1.215 MW di tetti solari,  36 MW di fotovoltaico in feed-in-tariff, 872 MW di fotovoltaico su scala utility, 529 MW di energia eolica onshore, 800 MW di energia eolica off-shore, 21 MW di energia idroelettrica e 118 MW di energia geotermica.

Siamo ancora più piccoli nel nuovo albero della vita. - Eleonora Degano

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L’albero della vita come ci appare oggi, inclusa la diversità degli organismi di cui non abbiamo che il genoma. Da Nature Microbiology

L'albero ha guadagnato rami per oltre 1000 nuovi tipi di batteri e archei scoperti negli ultimi 15 anni. Su Nature Microbiology il lavoro degli scienziati di Berkeley.

SCOPERTE – L’albero della vita, che ci mostra le relazioni fondamentali di discendenza tra i diversi gruppi tassonomici di organismi, ha appena cambiato volto. E si è fatto decisamente più complesso, una volta guadagnati i “rami” di oltre 1000 nuovi tipi di batteri e archei scoperti nel corso degli ultimi 15 anni dai ricercatori di Berkeley. “La nuova rappresentazione non tornerà utile solo ai biologi che si occupano di ecologia microbica, ma anche ai biochimici alla ricerca di nuovi geni e ai ricercatori al lavoro sull’evoluzione e sulla storia del pianeta Terra”, commenta Jill Banfield, tra gli autori del nuovo albero appena pubblicato su Nature Microbiology.
Per “leggerlo” funziona sempre allo stesso modo: le estremità dei rami rappresentano la vita sulla Terra oggi, mentre i rami che li collegano al tronco segnalano le relazioni evolutive tra i vari organismi. Un ramo che si divide in due in prossimità delle punte significa che gli organismi hanno un antenato comune recente, mentre uno che si biforca più vicino al tronco implica una divergenza evolutiva che risale a un passato più lontano.
La vera rivoluzione ha avuto inizio quando gli scienziati hanno potuto ricercare il genoma dei batteri direttamente nell’ambiente, senza la necessità di coltivarli in laboratorio: molte specie dipendono in maniera simbiotica – come spazzini o parassiti – da altri batteri o animali, perciò non riescono a sopravvivere da sole. Il nuovo albero della vita e ci dimostra, una volta in più, che gli eucarioti non sono che una minuscola parte della biodiversità, un termine che usiamo sempre più spesso ma senza davvero considerare l’enorme quantità di organismi che abbraccia. Da una seconda visualizzazione per il nuovo albero, in cui gli organismi vengono raggruppati in base alla distanza evolutiva e non sfruttando la tassonomia, emerge che circa un terzo della biodiversità deriva dai batteri, un terzo dai batteri che non siamo in grado di coltivare in laboratorio e meno di un terzo da archei ed eucarioti.
Il gruppo di Banfield ha lavorato in collaborazione con più di dieci colleghi che hanno sequenziato le nuove specie, aggiungendo ai genomi già noti più di un migliaio di altri non ancora pubblicati. Hanno costruito un albero fondato su 16 geni che codificano per proteine nei ribosomi, includendovi più di 3000 organismi, uno per ogni genere di cui abbiamo un genoma del tutto (o quasi del tutto) sequenziato a disposizione. Piante, esseri umani e animali non-umani sembrano molto meno importanti, ora. “È il primo albero a tre domini basato sul genoma a incorporare questi organismi non coltivabili”, conferma Banfield, “e rivela l’enorme portata di queste linee di discendenza ancora poco conosciute”. Perché in effetti di loro non abbiamo che il genoma, che è comunque sufficiente a offrirci una prospettiva nuova sulla storia della vita sul pianeta.
Dove li abbiamo trovati?
Questi batteri non solo rendono ardua la coltura in laboratorio, ma spesso provengono da luoghi che ai nostri occhi appaiono piuttosto inospitali. Sono i cosiddetti organismi estremofili, che vivono in condizioni di temperatura, salinità o pH estremamente bassi (o alti) e vi prosperano. Un esempio sono quelli delle sorgenti termali di Yellowstone, scoperti sempre dai ricercatori di Berkeley, o i batteri delle distese saline nel deserto di Atacama, in Cile, o ancora quelli che se la spassano nei geiser, nel nostro intestino, sotto i rifiuti tossici o all’interno della bocca di animali come i delfini.
A capire per primo l’importanza di una rappresentazione di questo tipo fu Charles Darwin, che nel 1837 provò a immaginarla in un disegno sul suo taccuino per poi crearne una versione più strutturata, comparsa sul suo libro L’Origine delle specie (1859).
albero vita darwin evoluzione
L’albero della vita di Darwin (1859). Wikimedia Commons public domain
La sua intuizione era proprio quella di mostrare come gli animali, le piante e i batteri fossero correlati gli uni agli altri. Gli archei non hanno fatto la loro comparsa fino al 1977, quando fu dimostrato che pur essendo monocellulari come i batteri erano organismi separati, e da allora l’albero non ha fatto che arricchirsi fino a includere le scoperte di genomica e biologia molecolare, che hanno integrato le conoscenze tassonomiche. A oggi nel database dell’Integrated Microbial Genomes del Joint Genome Institute sono compresi 30 437 genomi dei tre domini della vita (Bacteria, Archaea ed Eukarya).
Da quella prima di bozza di Darwin l’albero è cambiato parecchio, come abbiamo visto. A saltare subito all’occhio, in quello nuovo, è un grosso ramo descritto dagli scienziati di Berkeley come “candidate phyla radiation”, scoperto solo di recente e composto unicamente da batteri simbionti. Apparentemente, al suo interno troviamo circa la metà della diversità evolutiva dei batteri a noi nota. “Quest’incredibile diversità significa che esiste un numero a dir poco incredibile di organismi di cui stiamo appena iniziando a conoscere le peculiarità, il che potrebbe cambiare la nostra comprensione della biologia”, dice Brett Baker, co-autore dello studio e oggi ricercatore al Marine Science Institute dell’Università del Texas ad Austin.