martedì 6 febbraio 2018

Madia, dottorato con 4 mila parole copiate nella tesi. - Laura Margottini


Sul sito – Sul fattoquotidiano.it tutte le 50 slide

Nella ricerca finale del 2008 all’Imt la futura ministra prese ampi brani da testi altrui senza indicare la citazione.

La tesi di dottorato di Marianna Madia, ministro per la Semplificazione e Pubblica amministrazione nei governi Gentiloni e Renzi, non pare essere tutta frutto della sua creatività. In 35 di 94 pagine della tesi (al netto di bibliografia, figure e tabelle) – titolo: “Essays on the Effects of Flexibility on Labour Market Outcome” – ci sono passaggi pressoché identici a quelli presenti in altre pubblicazioni. La fonte di quei passaggi non risulta citata laddove il ministro li riporta nella sua tesi. Col risultato che spesso non è possibile distinguere le parole originali della Madia da quelle di altri autori. Da un’indagine del Fatto, risultano essere circa 4mila le parole senza chiara attribuzione nei tre capitoli della tesi.
A fine 2008, la Madia (già parlamentare Pd) ha conseguito il titolo di dottorato alla Scuola Imt di Alti Studi di Lucca. Fabio Pammolli, allora rettore dello stesso Imt, e Giorgio Rodano, già professore di ordinario di Economia all’Università Sapienza, erano i relatori della tesi. Che dovrebbero essere garanti della sua originalità e della conformità alle regole che l’accademia si dà per preservare’ l’integrità della ricerca.
Nell’analisi, il Fatto ha escluso dal conteggio tutte le frasi che ha riconosciuto di uso comune nell’ambito delle scienze economiche e anche i passaggi che appaiono identici in altre pubblicazioni, ma attribuite tra parentesi dalla Madia alla fonte originale, nel punto in cui sono riportate. Tali passaggi sono stati esclusi dal conteggio anche quando ripresi parola per parola, ma senza virgolette (le regole accademiche impongono di virgolettare se le frasi sono riprese letteralmente). La tesi della Madia è sul sito dell’Imt.
Nel lavoro del ministro passaggi anche di centinaia di parole risultano identici ad altri già apparsi in pubblicazioni scientifiche peer reviewed (cioè certificate dal controllo della comunità scientifica), o in articoli che nel 2008 erano ancora in progress, in rapporti della Commissione europea, del Fondo monetario internazionale e di centri di ricerca (come l’Istituto Iza per l’Economia del Lavoro di Bonn, in Germania, o il National Bureau of Economic Research di Cambridge (Nber), Massachusetts, negli Usa). “Anche articoli in progress, working paper, o i rapporti di istituzioni vanno assolutamente citati,” spiega Gerhard Dannemann, direttore del Centro di Studi britannici a Berlino, membro del VroniPlag, il gruppo di accademici che ha analizzato le tesi di dottorato di decine di politici e professori tedeschi.
La pratica di riprendere interi passaggi senza citare la fonte all’interno del proprio testo è giudicata molto severamente nel mondo accademico. Anche il codice etico che Imt si è dato, con Pammolli rettore, definisce come plagio accademico “la presentazione delle parole o idee di altri come proprie”. E questo “può assumere varie forme” come “appropriarsi deliberatamente del lavoro di altri o non citare correttamente le fonti all’interno del proprio lavoro accademico.” Dal 2011 Imt ha messo a disposizione dei docenti un software anti-plagio, in grado di smascherare le parti copiate nelle tesi degli studenti.
In tre sottocapitoli della tesi del ministro, la quantità di passaggi che risultano originariamente presenti in articoli di altri autori non citati dove appaiono nella tesi, è rispettivamente del 40%, del 56% e del 79%. E in sette pagine su 95 si va dal 56% all’89% di testo identico a quello di altri autori, senza virgolette né attribuzione della fonte. In alcuni casi, si cita in parentesi il lavoro di un autore, ma si riprendono intere parti da un altro lavoro del medesimo autore, che però non è citato dove i passaggi sono riportati. Alcune pagine appaiono come collage di più articoli di diversi autori, senza fonte né virgolette, inframezzate da frasi scritte dall’autrice della tesi. Oppure, in una serie di frasi riprese verbatim (senza fonti né virgolette) vengono cambiate solo alcune parole: “question” nella fonte originale diventa “issue” nella tesi, “step” diventa “stage“, “those” diventa “these”. “In generale, segnali di questo tipo possono indicare l’intenzionalità da parte dell’autore di non citare correttamente”, spiega Dannemann al Fatto. È una tecnica nota come “shake and paste”, mescola e incolla.
Un altro modus operandi riscontrato è quello chiamato pawn sacrifice, “l’arte del concedere poco, per nascondere molto”. Si cita la fonte all’inizio di un passaggio, ma nel testo che segue — anche per centinaia di parole nel caso della tesi della Madia — non si specifica che si tratta di un testo tratto dalla medesima pubblicazione, né si utilizzano virgolette. E questo rende impossibile riconoscere le frasi scritte dal ministro da quelle di altri autori. Le pubblicazioni da cui sono ripresi i passaggi senza attribuzione tra parentesi e senza virgolette sono elencati nella bibliografia della tesi. Ma non sono citate nel punto esatto in cui vi si attinge.
La mancanza di correttezza nel citare le fonti può spingere le università a revocare il titolo di dottorato o le riviste scientifiche alla revocare la pubblicazione di un articolo qualora si riscontri che la mancata attribuzione sia deliberata. In Italia, la legge 475 punisce con pene fino a 3 anni di reclusione chi “in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado (…) presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri”.
Alcune delle criticità riscontrate dal Fatto nel caso Madia sono analoghe a quelle trovate nella tesi di dottorato di Karl-Theodor zu Guttenberg, ex ministro della Difesa tedesco che si è dimesso e ha rinunciato al dottorato dopo le accuse di plagio nel 2011. A questo primo scandalo, rivelato dalla Süddeutsche Zeitung, ne seguirono altri, riguardanti ministri del governo Merkel e una decina di politici. Fu aperta un’inchiesta dall’Università di Bayreuth, dove Zu Guttenberg aveva conseguito il dottorato, e dalla magistratura, che finì con un patteggiamento e un ammenda.
Tre settimane fa in Francia L’Express ha scovato una decina di passaggi copiati da autori celebri, ma non citati neanche in bibliografia, nell’ultimo libro di Etienne Klein, fisico, filosofo e divulgatore francese. Due mesi prima Klein era diventato presidente dell’Istituto di Alti Studi Scientifici e Tecnologici francese che vuole rafforzare la fiducia dei cittadini nell’impresa scientifica. Sul caso Klein, il ministero della Ricerca francese ha aperto un’inchiesta.

Arresti a Roma, corruzione e sentenze «comprate»: in manette avvocati e imprenditori. - Fiorenza Sarzanini e Clarida Salvatori



Tra gli indagati anche Enzo Bigotti, già indagato nell’inchiesta sulla Consip, e Riccardo Virgili, giudice del Consiglio di Stato ora in pensione. Spiata l’indagine delle tangenti Eni.

Avvocati e imprenditori arrestati per frode fiscale, bancarotta e corruzione in atti giudiziari. Accusati di aver «aggiustato» sentenze del consiglio di Stato. L’operazione della Guardia di Finanza coordinata dalle procure di Roma e Messina è scattata all’alba e ha fatto finire in carcere l’avvocato Pietro Amara, oltre a numerosi imprenditori e al sostituto procuratore di Siracusa, già trasferito in un’altra sede, Giancarlo Longo.

Anche un imprenditore coinvolto nell’inchiesta Consip.
Tra gli arrestati ci sono gli imprenditori Enzo Bigotti, già indagato nell’inchiesta sulla Consip, e Fabrizio Centofanti. I componenti dell’associazione per delinquere sono accusati di aver messo in piedi un meccanismo che consentiva loro di orientare l’affidamento di alcune gare grazie alle decisioni compiacenti in materia amministrativa. Tra gli indagati anche Riccardo Virgili, giudice del Consiglio di Stato ora in pensione.

I falsi dossier.
L’associazione è accusata anche di aver costruito falsi dossier per spiare le inchieste tra cui quella aperta dalla procura di Milano sulle tangenti Eni. In una nota congiunta le due Procure hanno scritto che le «indagini hanno preso le mosse da distinti input investigativi convergendo sull’operatività dei due sodalizi criminali, consentendo la ricostruzione di ipotesi di bancarotta fraudolenta da parte di soggetti non riconducibili alla struttura delle organizzazioni».

Il «metodo Longo».
I magistrati che ne hanno chiesto l’arresto parlano di «mercificazione della funzione giudiziaria». E aggiungono: «Longo usava le prerogative a lui attribuite dall’ordinamento per curare interessi particolaristici e personali di terzi soggetti dietro remunerazione. Tali condotte vengono riscontrate a partire dal 2013 e perdurano sino ai primi mesi del 2017». I metodi usati da Longo erano tre: 
creazione di fascicoli «specchio», che il magistrato «si auto-assegnava - spiegano ancora i pm che hanno condotto l’inchiesta - al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), 
legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli «minaccia», in cui «finivano per essere iscritti - con chiara finalità concussiva - soggetti “ostili” agli interessi di alcuni clienti di Calafiore e fascicoli «sponda», che venivano tenuti in vita «al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara».

Tutti gli arrestati.
Quindici gli arrestati: oltre a Riccardo Virgilio (oggi in pensione), Pietro Amara e Fabrizio Centofanti e Ezio Bigotti, anche Luciano Caruso e Giuseppe Calafiore (attualmente all’estero), l’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo e Alessandro Ferrari, Giuseppe Guastella, Davide Venezia, Mauro Verace, Salvatore Maria Pace, Vincenzo Naso e Sebastiano Miano. Indagati anche Gianluca De Micheli e Francesco Perricone.

sabato 3 febbraio 2018

Usa, Pentagono rilancia il nucleare: testate atomiche tattiche come "deterrenza nei confronti della Russia"

Usa, Pentagono rilancia il nucleare: testate atomiche tattiche come "deterrenza nei confronti della Russia"
L'orologio dell'olocausto atomico è appena a 2 minuti dalla mezzanotte nucleare (reuters).

Il "Nuclear Posture Review", richiesto da Trump per rivedere l'arsenale nucleare, è operativo. I vertici militari rivelano che la Russia avrebbe pronta un'arma distruttiva dalla potenza mai raggiunta di 100 megatoni, trasportabile con sottomarini e in grado di provocare immensi tsunami di acqua radioattiva.

WASHINGTON - La nuova strategia nucleare statunitense prevede lo sviluppo di testate nucleari a potenza ridotta, anche di un solo kilotone (17 volte meno potente della bomba sganciata il 6 agosto 1945 su Hiroshima) per effettuare attacchi 'chirurgici' con numero ridotto di vittime, con l'obiettivo di danneggiare il nemico senza per forza innescare una rappresaglia termonucleare da "fine di mondo".
Questo il cuore del nuovo piano della Difesa Usa che di fatto rende più probabile l'uso dell'atomica, partendo dal presupposto che un ordigno meno potente delle attuali bombe all'idrogeno, in media di 50 megatoni, potrebbe essere usato con rischi ridotti di una rappresaglia totale.

RITORNO ALLA GUERRA FREDDA.
Si torna di fatto indietro, passando ad un arsenale formato da missili o testate trasportate da bombardieri e sottomarini super potenti alle cosiddette "atomiche tattiche di teatro", come quelle disponibili in piena guerra fredda, da poter essere sparate in un proiettile d'artiglieria di dimensioni normali.

NUCLEAR POSTURE REVIEW.
Il presidente Donald Trump sottolinea come il documento (Nuclear Posture Review), scaturito dalla verifica da lui richiesta un anno fa nei primissimi giorni alla Casa Bianca, "affonda le sue radici in una valutazione realistica nell'ambito della sicurezza globale, nella necessità di avere un deterrente verso l'uso delle armi più distruttive del mondo e dell'impegno da parte del nostro paese alla non proliferazione nucleare".

STOP ALLA RIDUZIONE DELLE ARMI NUCLEARI.
La nuova dottrina mette fine allo sforzo dell'ex presidente Barack Obama di ridurre l'arsenale nucleare. La politica presentata ora dal Pentagono prevede l'introduzione di ordigni nucleari tattici a bassa intensità e il reinserimento nell'arsenale di missili balistici nucleari lanciati da sottomarini (Slcm). L'amministrazione di George Bush padre aveva messo fine al dispiegamento degli Slcm, mentre quella di Obama ne aveva ordinato la rimozione dall'arsenale.

LE BOMBE IN EUROPA. 
Gli Usa hanno già a disposizione un arsenale che include 150 atomiche modello B-61 in depositi europei, di cui 70 in Italia nelle basi di Ghedi e Aviano, che possono essere modificate per ridurne la potenza. Ma il Pentagono punta ad ottenere ordigni a potenza ridotta lanciabili da sottomarini e navi per non essere più costretti a conservarli nelle basi fuori dagli Stati Uniti. I nuovi ordigni, sottolineano al Pentagono, non si aggiungeranno a quelli esistenti ma li sostituiranno, partendo dal presupposto che molti di quelli già disponibili saranno appunto ammodernati e depotenziati.

IL CAMBIO DI ROTTA.  
La cosiddetta "Nuclear Posture Review" (revisione della strategia sul nucleare) delinea le ambizioni del Pentagono sotto il presidente Donald Trump ed è la prima riforma dal 2010, e rappresenta un'inversione a 180 gradi rispetto a quella delineata a Praga dall'allora presidente Barack Obama che puntava alla riduzione degli arsenali e nel lungo periodo all'eliminazione delle atomiche.

I NEMICI.
Mentre il testo sottolinea le preoccupazioni dell'amministrazione Trump per le minacce rappresentate da Corea del Nord, Iran e Cina, il programma si concentra sul nemico N.1 da sempre degli Usa: una volta l'Unione Sovietica, ora la Russia.


"Questa strategia risponde all'aumento delle capacità (militari) russe e alla natura della loro dottrina e strategia", ha spiegato il ministro della Difesa, Jim Mattis, nell'introduzione al documento di 75 pagine. "Sviluppi (delle capacità militari) cui si aggiungono la conquista della Crimea e le minacce nucleare contro i nostri alleati, che segnano la decisione di Mosca di tornare alla competizione come una grande potenza", ha aggiunto il generale in congedo a 4 stelle dei Marine.

"Abbiamo consistenti indizi che la nostra attuale strategia sia percepita dai russi come potenzialmente inadeguata a fermarli", ha sostenuto Greg Weaver, vicedirettore delle capacità strategiche allo Stato Maggiore, secondo il quale "gli Usa e la Nato hanno bisogno di un più ampio range di credibili ordigni nucleari a bassa intensità per fare una cosa specifica: convincere i vertici russi che se dessero il via al ricorso limitato di ordigni atomici, in una guerra con l'Alleanza Atlantica, la nostra risposta negherà loro di raggiungere l'obiettivo che cercano (non farci rispondere con lo stesso tipo di armi, ndr) ed imporre loro costi che supereranno i benefici cui puntano" con la loro strategia.

MISSILI E BOMBE.
Il nuovo documento conferma la modernizzazione degli arsenali nucleari che continuerà a basarsi sulla triade: missili balistici intercontinentali (Icbm) lanciati da terra; missili intercontinentali (Slbm) lanciati da sottomarini e bombe sganciate da bombardieri strategici.

LA NUOVA SUPERBOMBA RUSSA.
E proprio sull'armamento nucleare russo, secondo i vertici militari americani, dopo le indiscrezioni, arriva la conferma. Il Pentagono è convinto che la Russia stia sviluppando una nuova arma atomica di immensa potenza e impossibile da intercettare: conosciuto come 'Status-6 AUV', nome in codice Kanyon, è un drone-sottomarino delle dimensioni di un mini-sommergibile in grado di trasportare un singolo ordigno della potenza "monstre" di 100 megatoni, 2 volte la "bomba Zar" (la più potente mai fatta detonare nell'atmosfera dai russi nel 1961), della cui esistenza Washington ne parla dal 2016. Il Kanyon, se fosse effettivamente operativo, sarebbe l'Arma finale.

TSUNAMI NUCLEARE.
E' quanto emerge da un rapporto del Pentagono. Il Kanyon è progettato per esplodere poco a largo delle coste nemiche (Usa in primis ma anche quelle occidentali) per creare uno tsunami artificiale, ossia un'onda anomala di 500 metri di altezza, un'enorme muro di acqua altamente contaminata al cobalto-60. Ciò che non sarebbe distrutto dalla potenza in sè dell'onda, sarebbe contaminato per anni dalla radioattività sprigionata dalla deflagrazione sottomarina.


Il Kanyon oltre ad essere di una potenza senza pari, non può essere fermato: non esistono sistemi anti-missile (come nel caso di un Icbm), o sottomarini in grado di rilevarlo perché dal punto di vista marino è 'stealth', ossia invisibile acusticamente ai rilevatori sonar e alle boe acustiche sparse sul fondo degli oceani.

Privo di equipaggio, può raggiungere una profondità di mille metri, dove i sottomarini d'attacco Usa (quelli che affondano altri sottomarini) non possono arrivare, può viaggiare a 56 nodi (100 chilometri orari) e può colpire un'obiettivo a ben 10mila kchilometri di distanza, come un missile intercontinentale Icbm, ma sotto il pelo dell'acqua, e quindi non rilevabile in alcun modo. Il Kanyon sarebbe stato progetto per essere trasportato e lanciato dagli ultimi sottomarini russi della classe Oscar, il Belgorod, ed il Khabarovsk, della classe Yasen. Ognuno dei due grandi sottomarini potrebbe portare fino a 4 Kanyon.


http://www.repubblica.it/esteri/2018/02/03/news/pentagono_rilancia_il_nucleare_testate_atomiche_tattiche_come_deterrenza_nei_confronti_della_russia_-187917780/

Incredibile, ma vero!
Gli Stracci Uniti, come li definisce un caro amico, le stanno tentando tutte per scatenare una guerra nucleare.
Non hanno ancora capito che una eventuale guerra nucleare non farebbe bene a nessuno, non ci sarebbero vincitori, ma solo vinti.
E non è detto che chi le commissiona (il potere economico) sopravviva al massacro.

Oltretutto, come bambini, gli Stracci Uniti frignano e fanno a gara con chiunque pensano possa levargli lo scettro del "più migliore", per citare la frase di una novella ministra della cultura. 
E, nel frattempo, danno ampia dimostrazione che non è la Russia ad intervenire nelle loro faccende interne, ma sono proprio loro a ficcare il naso nelle faccende altrui...

giovedì 1 febbraio 2018

Decreto Popolari, sull’inchiesta su Renzi e la “soffiata” a De Benedetti adesso indaga Perugia. Antonio Massari

Amici di colazione – L’ex premier Matteo Renzi si fa consigliare dall’editore Carlo De Benedetti – LaPresse

Procura su Procura - Interrogato Elio Lannutti, il presidente dell’Adusbef, candidato per il M5S, che ha denunciato il presunto insabbiamento nella Capitale.


La verità giudiziaria sull’acquisto delle azioni delle banche popolari, operato dall’ex presidente del gruppo EspressoCarlo De Benedetti, dopo aver saputo dall’ex premier, Matteo Renzi, dell’imminente decreto che le trasformava in Spa, non è più soltanto nelle mani del pm Stefano Pesci e del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone.
Ora è anche nelle mani della procura di Perugia, guidata da Luigi De FicchyIl Fatto è in grado di rivelare che la procura perugina – dopo l’esposto presentato da Elio Lannutti, presidente onorario dell’Adusbef, oggi candidato per il M5S – ha aperto un fascicolo per verificare se, da parte dei magistrati romani che hanno condotto l’inchiesta, vi siano stati comportamenti od omissioni che integrino ipotesi di reato. E, per verificarlo, risulterà indispensabile valutare gli atti dell’intera vicenda che ha portato la procura di Roma a chiedere l’archiviazione del broker Gianluca Bolengo
Parliamo dell’uomo che, per conto di De Benedetti, il 16 gennaio 2015, investiva 5 milioni in azioni delle banche popolari, con un profitto di 500mila euro. 
Bolengo viene intercettato mentre De Benedetti gli chiede: “Salgono le popolari?”. Il broker gli risponde: “Sì, se passa un decreto fatto bene, salgono”. E De Benedetti: “Passa, ho parlato ieri con Renzi, passa”. E l’investimento parte all’istante.
Da questa conversazione nasce l’informativa della Consob – trasmessa anche al Nucleo speciale di polizia Valutaria della Gdf – che porta la procura di Roma ad aprire il fascicolo. Bolengo viene iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di ostacolo alla vigilanza. Ed è l’unico. La procura di Roma – che sceglie di affidare le indagini a due periti e non alla Gdf – non iscriverà mai Renzi e De Benedetti nel registro degli indagati: sono stati entrambi sentiti come persone informate sui fatti. Fin qui, la cronaca dell’inchiesta romana. Sulla vicenda, però, interviene ora la procura di Perugia.
I pm del capoluogo umbro non entreranno, come ovvio, nel merito delle indagini condotte dai colleghi romani: non è uno scontro tra procure. La procura di Perugia intende verificare se i pm capitolini, nell’istruire il fascicolo, abbiano commesso reati oppure no: è l’unica competente a indagare sui colleghi della capitale. E l’esposto presentato da Lannutti ha espressamente chiesto al procuratore De Ficchy di “valutare e/o indagare circa la sussistenza degli estremi per avviare un procedimento per responsabilità penale o civile nei confronti dei magistrati” che hanno indagato sul caso Renzi – De Benedetti. Il motivo: ricevuta dalla Consob l’informativa sulla vicenda, la procura di Roma avrebbe aperto un fascicolo modello 45, ovvero quello per degli “atti per le notizie non costituenti notizia di reato”. Una procedura, denuncia Lannutti, “espressamente vietata dal codice penale e da una circolare del ministero della Giustizia”.
Al Fatto risulta che ieri Lannutti è stato sentito dalla procura di Perugia, proprio in merito al suo esposto, confluito nel fascicolo appena aperto. Un fascicolo che, per il momento, non vede alcun indagato, ma di certo dimostra un fatto: la Procura di Perugia sta indagando su eventuali reati commessi dai pm romani. Una notizia esplosiva. A poche settimane dalle elezioni, peraltro, rischia di produrre un effetto collaterale. Essere strumentalizzata a fini politici: Lannutti, infatti, è oggi candidato alle elezioni per il M5S. I fatti però raccontano altro. Fu proprio Lannutti, nel gennaio 2015, non appena la vicenda Renzi – De Benedetti venne alla luce, a chiedere alla procura di Roma d’indagare. 
Parliamo di ben tre anni fa. Ha proseguito con l’esposto inviato a Perugia.
Al di là delle strumentalizzazioni, piuttosto, siamo dinanzi a una vicenda che ha necessità di essere chiarita il prima possibile. In primo luogo perché l’inchiesta riguarda la più importante procura italiana. Infine perché s’intreccia – inevitabilmente – con un caso unico nella nostra storia: il patron del principale gruppo editoriale italiano scoperto a investire i propri soldi dopo aver ricevuto informazioni, su un imminente decreto, dal presidente del Consiglio in persona. Se esistono altre verità da scoprire, questa volta, toccherà svelarle ai pm di Perugia.

Decreto Popolari, De Benedetti: “Compra, ho parlato con Renzi”. - Carlo Di Foggia e Valeria Pacelli

Decreto Popolari, De Benedetti: “Compra, ho parlato con Renzi”

L’operazione - Nelle carte secretate della procura di Roma la telefonata dell’allora editore di “Repubblica” con il suo broker. Un affare da 600 mila euro. L’Ingegnere seppe in anticipo della riforma e ordinò acquisti in Borsa sulle banche.


“Passa, ho parlato con Renzi ieri, passa”. Il 16 gennaio 2015, l’ingegnere Carlo De Benedetti chiama il suo broker Gianluca Bolengo per invitarlo a comprare azioni di banche popolari. L’allora presidente del Gruppo Espresso (che edita Repubblica) gli spiega di aver saputo che a breve il governo varerà la riforma del settore: è stato il premier in persona – dice – a riferirglielo il giorno prima. La clamorosa circostanza è contenuta nella richiesta di archiviazione della Procura di Roma nei confronti di Bolengo, amministratore delegato di Intermonte Spa, indagato per ostacolo alla vigilanza, e consegnata alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche.
La frase di De Benedetti chiarisce una vicenda anche più delicata dei conflitti d’interessi di Maria Elena Boschi su Etruria. Il 20 gennaio 2015, il governo Renzi approva la riforma delle banche popolari. Un terremoto: le prime 10 si devono quotare in Borsa e trasformarsi in Spa, abbandonando il voto capitario (una testa un voto a prescindere dal numero di azioni) che le rendeva non scalabili. Un pezzo del credito italiano viene consegnato al mercato, acquisendo valore da un giorno all’altro. La settimana prima del decreto, elaborato da Bankitalia, i titoli di alcune popolari già quotate hanno strani rialzi (Etruria sale del 65%). Qualcuno ha saputo prima e ha comprato grazie a informazioni privilegiate? Si chiama insider trading ed è un reato grave. L’11 febbraio alla Camera il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, spiega che prima dell’approvazione del decreto – quando già circolavano indiscrezioni – alcuni “soggetti hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio, eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva”, creando “plusvalenze effettive o potenziali stimabili in 10 milioni di euro”.
La Consob apre un’istruttoria e affida le indagini alla Guardia di Finanza, ipotizzando, nel caso delle operazione di De Benedetti, che sia stato commesso un insider trading di “secondo livello” (dal 2004 depenalizzato a illecito amministrativo) e poi passa le carte alla Procura. L’indagine dell’Authority si concluderà con la decisione di archiviare il procedimento, votata a maggioranza dai commissari (Vegas si è astenuto).
De Benedetti chiama Bolengo il 16 gennaio 2015. Poche ore dopo il broker effettua gli acquisti sui titoli di sei popolari poi coinvolte dalla riforma. 
Per espressa richiesta dell’imprenditore, nessun acquisto riguarderà la Popolare di Vicenza, dove un mese dopo entreranno gli ispettori della Bce scoprendo un buco di 1 miliardo. 
I titoli vengono rastrellati per conto della Romed, la cassaforte finanziaria dell’ingegnere (che all’epoca la presiedeva) che incasserà, con quest’operazione, una plusvalenza di 600mila euro. La Finanza acquisisce le registrazioni delle chiamate che gli intermediari finanziari sono obbligati a conservare per legge. E così si imbatte nello scambio.
De Benedetti: Sono stato in Banca d’Italia l’altro giorno, hanno detto (incomprensibile) che è ancora tutto aperto.
Bolengo: Sì, ehm… però adesso stanno andando avanti… comunque non è…
DB: Faranno un provvedimento. Il governo farà un provvedimento sulle popolari per tagliare la storia del voto capitario nei prossimi mesi… una o due settimane.
B: Questo è molto buono perché c’è concentrazione nel settore. Ci sono troppe banche popolari. Sa, tutti citano il caso di Sondrio, città di 30 mila abitanti.
DB: Quindi volevo capire una cosa… (incomprensibile) salgono le popolari?
B: Sì, su questo se passa un decreto fatto bene salgono.
DB: Passa, ho parlato con Renzi ieri, passa.
B: Se passa è buono, sarebbe da avere un basket sulle popolari. Se vuole glielo faccio studiare uno di quelli che potrebbe avere maggiore impatto e poi però bisognerebbe coprirlo con qualcosa.
DB: Togliendo la Popolare di Vicenza.
B: Sì.
Il dettaglio del decreto (di cui parla il broker) è essenziale: con un provvedimento d’urgenza, al posto di un disegno di legge (con i suoi lunghi tempi parlamentari), i titoli salgono velocemente. Da qualche giorno infatti sui giornali ci sono indiscrezioni sui possibili contenuti della riforma (ne aveva scritto anche l’Ansa il 3 gennaio), ma non sul mezzo con cui sarà varata. Sono davvero in pochi a saperlo, anche perché è inusuale che una riforma del genere passi per decreto d’urgenza. È lo stesso pm Stefano Pesci, nella richiesta di archiviazione al gip Gaspare Sturzo di quasi due anni fa, a sottolinearlo. “Nel corso di una riunione ‘apicale’ tenuta l’8 gennaio 2015 – a cui partecipavano, tra gli altri, Renzi, Padoan (il ministro dell’Economia, ndr), Visco (il governatore, ndr) e (…) anche il vicedirettore di Bankitalia Fabio Panetta – fu deciso che l’intervento per eliminare il sistema di voto ‘capitario’ per le banche popolari sarebbe stato effettuato non mediante un disegno di legge (…), bensì con lo strumento, inatteso e inusuale in tale ambito, del decreto legge; si decise altresì che il decreto sarebbe stato varato nel Consiglio dei ministri del 20 gennaio”. Essendo già usciti rumors sull’imminente riforma, secondo la Procura le due “informazioni privilegiate” necessarie per commettere un insider trading sono quindi la scelta di usare un decreto legge e la data di emanazione.
De Benedetti non è preciso sulla seconda (parla in sostanza di un intervento che si “sarebbe realizzato in tempi brevi”) e sulla prima la versione della Procura è che è Bolengo “a utilizzare in modo del tutto generico e, palesemente, senza connotazione tecnica, la parola ‘decreto’”.
I pm interpretano le parole del broker così: ha detto decreto, ma non intendeva decreto. Per questo lo scagionano dall’aver omesso a Bankitalia il possesso delle informazioni. De Benedetti – riporta il testo – “nei giorni immediatamente precedenti il 16 gennaio”, incontrò “sia il dg di Bankitalia Panetta, sia il presidente del Consiglio”, ottenendo, a quanto fa capire nella registrazione, informazioni più precise solo dal premier. Renzi è stato interrogato dai pm e, come Panetta, ha riferito “che all’imminente riforma delle banche si dedicarono cenni del tutto generici e che non fu riferito di quei colloqui a De Benedetti nulla di specifico su tempi e strumento giuridico”. Per la Procura la vicenda è chiusa: nessun reato né per Renzi, né per De Benedetti, né per Bolengo. Da quasi due anni il Gip deve decidere se questa linea è corretta.

Sicuro è morto. - Marco Travaglio


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Salve, sono un elettore del Piemonte e sento dire che ci mancherà tanto Fassino, dirottato in Emilia. Tranquilli, non vedevamo l’ora di liberarcene, e massima solidarietà ai compagni di Ferrara. Ma non fai in tempo a festeggiare, che a Torino ti ritrovi il più alto tasso di boschismo dopo Bolzano: il Pd piazza Marino, quello che non voleva parlare di Etruria in commissione Banche, e pure la Fregolent, che scrisse la mozione anti-Visco sotto dettatura della Boschi. Aridatece Fassino, anzi no: esageroma nèn.
Salve, sono un elettore della Lombardia e ho sempre combattuto la Lega. Volevo votare M5S. Ma a Varese mi piazzano Paragone, ex direttore della Padania, contro Bossi che l’aveva nominato direttore della Padania. Allora mi butto su FI, ma lì c’è la Votino, la portavoce di Maroni. Vado sul Pd, che però mi candida il manager Mor (ex Grande Fratello, ex corteggiatore di Uomini e Donne) e tre ex berlusconiani: Capelli, Bernardo e Alli, già braccio destro di Formigoni e imputato per abuso d’ufficio. Qualcuno può avere pietà di me?
Salve, sono un elettore della Liguria. Nel Pd abbiamo la solita Paita multiuso e Vazio, il sottosegretario che voleva gli ispettori contro Woodcock perché indagava su Consip. In FI ha fatto tutto Toti, il governatore Mediaset, non so se mi spiego. Aiuto!
Salve, sono un elettore del Trentino Alto Adige e mi ero quasi rassegnato a turarmi il naso per la Boschi: almeno – dicevo – corre nell’uninominale, col rischio di perdere il posto. Ora però scopro che è pure capolista nel proporzionale a Cremona-Mantova, Guidonia-Velletri, Marsala-Bagheria, Messina-Enna e Ragusa-Siracusa. Cinque paracadute cinque! E se poi, a fare su e giù dall’Alto Adige alla Sicilia, dalla Lombardia al Lazio, le piglia un infarto? Poi leggo la Pinotti che dice: “La Boschi va a Bolzano non perché sia un collegio sicuro, ma perché è dove ha molto lavorato occupandosi di riforma costituzionale”. E allora andatevene tutte aff… non fatemi parlare, vi prego.
Salve, sono un elettore del Friuli Venezia Giulia e ho sempre votato a sinistra. Già non vi dico la fatica, con Rosato-Rosatellum e la Serracchiani. Ora però mi ritrovo nel Pd pure Tommaso Cerno, che nel ’95 era candidato in An, poi amico dell’Udeur, poi della sinistra, poi filogrillino, ora renziano. E dice che in An ci andò “per Pasolini”. Ecco, passi tutto il resto, ma scomodare la buonanima di Pier Paolo è troppo. Mandi!
Salve, sono un elettore dell’Emilia Romagna, da sempre fedele alla ditta e persino al Pd. Ma stavolta a Bologna mi ritrovo Casini, il nemico di sempre quando stava nella Dc e poi con B. E, a Ferrara, nientemeno che Fassino reduce dai trionfi a Torino. Lui dice che “in Piemonte voglio favorire il ricambio generazionale” (da noi no) e che qui si sente a casa perché “in Emilia sono stato tante volte e mi chiamano ancora segretario”. Cioè, oltre a farsi paracadutare, ci prende pure per il culo?
Salve, sono un elettore della Toscana ed ero molto contento di non trovarmi fra i piedi la Boschi (Renzi e Lotti bastano e avanzano). Ora però scopro che a Sesto Fiorentino arriva Giachetti che è romano. E, invece di chiedere scusa, dice pure che “in Toscana sono stato spessissimo”. Cos’è, uno scherzo? Pure io sono stato a Malindi, ma mica mi candido in Kenya. A Siena c’è pure Padoan, con tutto quel che ha combinato sulle banche. Magari voto 5Stelle? Uhm: a Firenze schierano contro Renzi l’ex Pd Nicola Cecchi, che nel 2016 fece campagna per il Sì al referendum perché “un brutto Sì è molto più motivante di un bellissimo No”. Quindi un bellissimo no grazie.
Salve, sono un elettore del Lazio. La destra mi candida Lotito, presidente della Lazio e della Salernitana, e la moglie di Mastella. Il Pd risponde con Lorenzin e Bonino, che ha appena ricordato quando governò con B. e si trovò bene. Ma che, davero?
Salve, sono un elettore dell’Abruzzo e speravo di liberarmi di quell’impiastro del governatore D’Alfonso, ma ora il Pd lo vuole in Parlamento. Ditemi che non è vero.
Salve, sono un elettore del Molise. Avrei votato volentieri Di Pietro, ma il Pd prima gli ha chiesto di correre, poi di non farlo perché è “giustizialista” e voterebbe contro un governo con B. Allora faccio prima e voto B.: lui almeno candida una bella figliola, Annaelsa Tartaglione, anche se nessuno sa perché.
Salve, sono un elettore della Campania ed ero tentato di votare per Paolo Siani, fratello del giornalista Giancarlo ucciso dalla camorra. Mi era piaciuto il suo ultimatum a Renzi: “Niente nomi chiacchierati in lista altrimenti sarò costretto a lasciare, ho chiesto che con me ci siano i migliori”. Poi ho scoperto che i migliori in lista sono: Piero De Luca, figlio del governatore Vincenzo, imputato per bancarotta fraudolenta; Umberto Del Basso De Caro, indagato per tentata concussione e voto di scambio; Eva Avossa, imputata per abuso d’ufficio con De Luca padre; Nicola Marrazzo, imputato per peculato; Angelo D’Agostino, imputato per presunte mazzette; Franco Alfieri, candidato all’uninominale nel collegio del Cilento, definito da De Luca “uomo delle clientele come Cristo comanda” per le fritture di pesce in cambio di voti e imputato per omissione di atti d’ufficio; e il nipote di De Mita. Allora mi son buttato a destra, ma lì è peggio che andar di notte: Cesaro padre e figlio, Luigi ’a Purpetta e Armando ’a Purpettina, indagati per voto di scambio; Mimmo De Siano, imputato per corruzione; Nello Di Nardo, ex Dc, ex Idv, ora FI, cioè dal partito degli imputati al partito dei giudici e ritorno; e Lorenzo Cesa, quello che finì in galera per tangenti nel ’93 e disse “intendo svuotare il sacco”. Scusate, ma che differenza c’è fra Pd e centrodestra?
Salve, sono un elettore di centrodestra della Puglia e, a parte i residui di Forza Gnocca e l’avvocato Sisto che difende B. a Bari, mi tocca Fitto, quello che candidò alle Comunali la D’Addario, poi litigò con B. e dovettero dividerli prima che si menassero e ora vanno d’amore e d’accordo. Ma che ho fatto di male?
Salve, sono un elettore della Basilicata, Pd da sempre, e mettetevi nei miei panni. Già abbiamo la saga dei Pittellas: Gianni va in Senato e lascia il seggio all’Europarlamento al fratello Marcello, ora governatore in Regione dove sta arrivando Domenico, il figlio di Gianni. In più mi toccano Francesca Barra e l’ex sottosegretario berlusconiano Viceconte, e ho detto tutto. Che dite, voto LeU? Ah no, c’è Bubbico, come non detto.
Salve, sono un elettore della Calabria e, a parte il solito esercito di impresentabili, sono affascinato dalla figura di Giacomo Mancini jr., nipote d’arte, che ha già cambiato sei partiti, da sinistra a destra e ritorno: ora, se vince le elezioni, diventa deputato Pd; se perde, entra in Consiglio regionale con Fratelli d’Italia. E, delle due, non so quale sia peggio. Aiutatemi.
Salve, sono un elettore della Sicilia. LeU mi candida il vecchio Capodicasa, appena indagato per le Girgenti Acque. Il Pd mi mette addirittura il rettore di Messina Pietro Navarra, nipote del famigerato dottor Michele, patriarca dei Corleonesi. La destra è inutile che ve la descriva: fa tutto Miccichè, basta la parola. Che faccio, mi ammazzo?
Salve, sono un elettore della Sardegna. FI ricicla l’ex governatore Cappellacci, a giudizio per abuso d’ufficio (scandalo P3) e bancarotta fraudolenta. Il Pd risponde con Manca e Lai, imputati per peculato. Forse mi sparo.
Salve, sono un “elettore d’opinione” che se ne frega del voto di cambio e pure del voto utile: ho sempre camminato con le mie gambe e ragionato con la mia testa, mai chiesto niente di utile o inutile a nessuno. Volevo astenermi, ma poi ho capito che è quello che vogliono i partiti, ben contenti di tenersi i voti che controllano e di liberarsi di quelli che non controllano. Dunque andrò a votare. Per chi? Deciderò all’ultimo, in base al programma e ai candidati che più mi convinceranno. A proposito: sento dire che il mio collegio è “sicuro”. Mi sa che lorsignori si illudono. Sicuro è morto.

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Biotestamento entra in vigore, ecco il vademecum.

Legge biotestamento © ANSA

Flomena Gallo: 'Azioni penali se governi introdurranno imposizioni di coscienza da parte di strutture sanitarie private'.

Dalle indicazioni per redigerlo a quelle per autenticarlo e conservarlo. Dall'Associazione Coscioni arriva un vademecum con tutte le informazioni relative alle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), o Biotestamento, approvata dal Parlamento a fine legislatura ed entrata in vigore. 
- COME FARE IL BIOTESTAMENTO: Le DAT possono essere redatte in diverse forme: si può scrivere un testo di proprio pugno; si può scaricare e compilare un modulo reso disponibile dall'associazione Coscioni; si possono esprimere le volontà attraverso una videoregistrazione e/o con dispositivi tecnologici che consentono alle persone con disabilità di comunicare. E' possibile rinnovare, modificare o revocare le DAT in ogni momento. Il Biotestamento è esente dall'obbligo di registrazione tributaria, dall'imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo o imposta.
- IL FIDUCIARIO: La legge auspica (ma non obbliga) che ogni persona, nel momento in cui sottoscrive il proprio Biotestamento, deleghi un fiduciario, una persona in cui pone la massima fiducia, che si assuma la responsabilità di interpretare le DAT contenute nel biotestamento, anche alla luce dei cambiamenti intercorsi nel tempo e di possibili nuove prospettive offerte dalla medicina. Qualsiasi persona maggiorenne e capace di intendere e volere può ricoprire il ruolo di fiduciario accettando la nomina. Il fiduciario dovrà possedere una copia del Biotestamento e avrà quindi il potere di attualizzare, in accordo con il personale sanitario, le disposizioni indicate. Nei casi in cui le DAT appaiano incongrue o qualora emergano nuove terapie, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita, il fiduciario potrà autorizzare i medici a non rispettare le DAT.
- COME AUTENTICARE IL BIOTESTAMENTO: Con atto pubblico (atto redatto con un funzionario pubblico designato o attraverso un qualsiasi pubblico ufficiale, come un notaio); con una scrittura privata autenticata (da un funzionario pubblico designato dal Comune o da un qualsiasi pubblico ufficiale, come un notaio) custodita dal soggetto; con scrittura privata consegnata personalmente all'ufficio dello stato civile del Comune di residenza (ufficio che, se istituito, provvede all'annotazione in un apposito registro); presso le strutture sanitarie, qualora la Regione di residenza ne regolamenti la raccolta.
http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/01/31/biotestamento-entra-in-vigore.-associazione-coscioni-istituzioni-vigilino_4c4f7e36-5673-42a5-8181-e55eacb07474.html