"È lo scherzo più audace della storia dell'arte", scrive il Guardian. Lo scherzo dell'artista lascia l'acquirente scioccato, ma non è detto che sia un male...
Questa opera si autodistruggerà entro cinque secondi: non è l'adattamento artistico dell'ennesima Missione Impossibile di Tom Cruise, ma ciò che è realmente accaduto ieri sera ad un'asta di Sotheby's a Londra. Per gentile concessione di Banksy. La sua 'Girl With Balloon' era stata appena battuta per 1,04 milioni di sterline (circa 1,18 milioni di euro), quando la tela - davanti agli occhi sbigottiti dei presenti - è scivolata dalla cornice per riemergere sotto di essa ridotta a strisce da un tritadocumenti nascosto al suo interno ed azionato in sala probabilmente dallo stesso fantomatico artista britannico.
Il Guardian non ha dubbi: "Banksy ha fatto quello che potrebbe essere lo scherzo più audace nella storia dell'arte con uno dei suoi lavori più conosciuti", scrive oggi il quotidiano, che pubblica le immagini dell'opera in brandelli - fortunatamente solo per metà - e dei presenti in sala che la guardano a bocca aperta.
Banksy, poco dopo ha postato su Instagram un'immagine dell'opera post-tritadocumenti con il titolo 'Going, going, gone...'. "Sembra che siamo appena stati Banksy-zzati", ha detto il direttore di Sotheby's Alex Branczik. Non è chiaro, commenta il Guardian, se lo scherzetto aumenterà o meno il valore dell'opera. Intanto, la casa d'aste ha reso noto in un comunicato al Financial Times che l'acquirente è rimasto "sorpreso".
L’Asl: trattamenti di ossigeno-terapia pagati come interventi chirurgici.
BARI - Dovrà essere il primario della Neurofisiopatologia del Policlinico romano di Tor Vergata a riesaminare le cartelle cliniche della clinica San Camillo di Taranto, cui la Asl ha chiesto di restituire 13,5 milioni di euro a fronte di prestazioni diverse da quelle realmente erogate ai pazienti. Lo ha deciso il Tar di Lecce, in un caso emblematico dei rapporti tra aziende sanitarie e ospedali privati pugliesi: i controlli sull’appropriatezza dei ricoveri, che arrivano (se arrivano) ad anni di distanza, spesso sono parziali e non riescono a stroncare il fenomeno della codifica opportunistica. Quello di indicare nelle cartelle cliniche un codice «Drg» (il listino prezzi della sanità) più favorevole per il privato.
In questa vicenda, però, la Asl di Taranto fino ad ora ha lavorato con impegno, pur scontrandosi con la casa di cura: nel 2015 l’amministratore, l’avvocato Carlo Fiorino, è stato condannato a quattro mesi per interruzione di pubblico servizio, in quanto aveva impedito agli ispettori dell’Uvar di accedere alle cartelle. «Oggi - garantisce il direttore generale della Asl, Stefano Rossi - i controlli si svolgono regolarmente, e su una buona percentuale delle cartelle».
La vicenda affrontata dal Tar riguarda il Drg 532, intervento chirurgico sull’ernia del disco che costa alla sanità pubblica 8.413 euro e che la San Camillo aveva dichiarato di aver effettuato in anestesia totale. Ma la quantità di interventi effettuati aveva insospettito la Asl. Quel Drg - secondo la letteratura - è un esito collegato ai reparti di neurochirurgia, mentre alla San Camillo riguardava l’ortopedia per ricoveri molto brevi. Si trattava, in realtà, di «trattamenti di ossigeno-ozono terapia» che valgono 500 euro, peraltro effettuati in un reparto che - sempre secondo la Asl - risultava avere percentuali di occupazione superiori al 100% e che svolgeva questi interventi sotto la supervisione di un medico (nel frattempo deceduto) molto noto in città.
La Asl ha riqualificato gli interventi «523» in «234», che è un Drg medico e vale 4.600 euro. La richiesta di restituzione dei 13 milioni riguarda il periodo dal 2009 al 2013, e dagli atti di causa emerge che la San Camillo avrebbe impedito i controlli dal 2011: per questo la Asl, all’epoca, ha mandato le carte in Procura.
La San Camillo ha tuttavia impugnato la richiesta di restituzione, segnalando di aver ottenuto tre decreti ingiuntivi nei confronti della Asl in relazione proprio a somme contestate. E i giudici amministrativi hanno ritenuto opportuno nominare un tecnico terzo cui affidare la verifica della «regolarità tecnica delle ri-codifiche operate dalla Asl», sia «sul piano - per così dire - “qualitativo” (e dunque riferibile alla condivisibilità, nel merito, delle ragioni che - caso per caso - a parere della Asl le giustificavano)», sia «su quello “quantitativo” (riferibile, cioè, al quantum delle somme - almeno su base percentuale rispetto ai 13,5 milioni circa richiesti - di cui la Asl è, in base all’esito della verifiche qualitative, legittimata a chiedere la restituzione)». Sui decreti ingiuntivi, però, i giudici hanno osservato che «non è chiaro se e in che percentuale i decreti siano pertinenti alla somme oggi in contestazione». Sarà dunque il primario romano Nicola Biagio Mercuri a dover rivedere le cartelle.
Peraltro, in parallelo, il Consiglio di Stato si è occupato del caso che riguarda gli interventi effettuati dalla Bernardini di Taranto: qui la Asl chiede la restituzione di 1,3 milioni. I giudici hanno ordinato alla Finanza, che aveva svolto le verifiche nel 2016, di depositare una relazione di chiarimenti.
Come si ferma lo Spread ? È bastato un “provocatorio” 2,4% di deficit, che lo Spread ha ricominciato a crescere.
Prevedibile come il sole che sorge all’alba.
A conferma che l’art.1 della Costituzione andrebbe cambiato, come abbiamo scritto durante la crisi istituzionale su Paolo Savona >>>QUI: “L’Italia è una Repubblica non democratica, fondata sulla schiavitù. La sovranità appartiene alla Finanza, che la esercita nelle forme e nei limiti dei mercati finanziari”.
I mercati finanziari hanno i carri armati capaci di sparare miliardi di moneta elettronica creata dal nulla dalle loro banche, non si possono affrontare senza sovranità monetaria e con i piedi incatenati all’enorme palla di ferro del debito pubblico.
Prima bisogna mettere in sicurezza il paese e le ricette le sanno anche i muri, ma non è di questo che vi vogliamo parlare: analizziamo nel dettaglio come si ferma lo Spread anche senza utilizzare la nostra sovranità monetaria e fiscale.
Facciamo finta, una volta tanto, che lo Stato sia come una famiglia e che quindi sia necessario ripagare il debito pubblico, altrimenti l’Italia va in default (ovviamente non è vero!).
Il ricatto del debito pubblico.
Giornali, tv, siti web, blog; non c’è forse argomento più dibattuto che non sia il debito pubblico italiano, la sua origine, il suo costo ed i problemi ad esso correlati.
Problemi perché è proprio attraverso il tema del debito che le istituzioni sovranazionali, come l’UE, BCE, FMI, Agenzie di Rating tendono ad influenzare le politiche economiche dell’Italia, che fino a prova contraria è e resta uno stato sovrano. Con la complicità di un sistema dell’informazione, ahimè assai poco affidabile, si prefigurano scenari apocalittici in caso di non rispetto dei parametri UE, di deficit eccessivi o di politiche economiche espansive ed anticicliche.
Questi organismi sovranazionali, non elettivi è come se dicessero agli italiani attraverso i media: “Va bene , avete votato chi vi pare, ma le politiche economiche dell’Italia le decidiamo noi, ponendovi dei vincoli esterni che siete obbligati a rispettare. Mettetevi l’anima in pace!”
Tutto ciò è offensivo e francamente inaccettabile, perche lo Stato non è come una famiglia. Infatti, come ha ammesso anche il senatore Alberto Bagnai pochi giorni fa, “lo Stato potrebbe tranquillamente emettere moneta per finanziarsi”. Non siamo ancora arrivati a tradurre questa possibilità in azione di Governo, ma è già un grande risultato che lo si ritiene possibile.
Quindi lo Stato ha ancora la sovranità monetaria e fiscale per emettere qualsiasi strumento che possa essere accettato per il pagamento delle tasse, per cui l’emissione dei titoli di stato non è l’unico modo che ha di finanziare la sua spesa.
Tra l’altro negli ultimi due anni, con il Quantitative Easing della BCE, la Banca d’Italia ha acquistato e detiene più di 400 mld di euro di titoli di stato italiani, dimostrando che il debito pubblico può essere sempre “monetizzato” non solo dallo Stato direttamente, ma anche attraverso una banca centrale. Quindi il debito pubblico si elimina creando nuova moneta. Punto.
Ma facciamo finta che il debito pubblico non possa essere monetizzato e che realmente l’unica soluzione è che lo Stato continui ad emettere nuovi titoli di stato per finanziare la sua spesa pubblica.
In questa ipotesi assurda, ma della quale sono convinti quasi tutti come fosse un dogma, cerchiamo di capire come viene attualmente gestito il debito pubblico e come si potrebbe migliorare per permettere allo Stato di non sprecare soldi e soprattutto di non essere ricattato, prestando il fianco allo spread ed ai mercati finanziari.
Come è composto il debito pubblico ?
Il debito pubblico è pari a circa 2.300 mld di euro, ma il totale dei titoli di stato emessi per finanziarlo è minore, pari a circa 1.900 mld di euro, che si dividono in:
BOT , Buoni Ordinari del Tesoro scadenza a 3, 6 e 12 mesi;
CTZ, Certificati del Tesoro Zero Coupon a 24 mesi;
CCT, Certificati di Credito del Tesoro a 7 anni;
BTP, Buoni del Tesoro Poliennali a 3, 5, 10, 15 e 30 anni.
Notiamo dal grafico sopra e dalla tabella sotto, che la stragrande maggioranza del debito italiano, viene finanziata mediante emissione di BTP, che hanno un rendimento maggiore, mentre risulta essere residuale la quota di BOT, CCT e CTZ, che hanno un rendimento molto minore.
A questo punto potremmo già porci una prima domanda; perché lo stato italiano si indebita con titoli a lunga scadenza, che pagano interessi molto alti e sono soggetti a speculazioni? In buona sostanza perché si preferisce emettere dei BTP a 5, 10, 30 anni con cedole elevate, piuttosto che CCT o CTZ che potrebbero essere collocati a tassi ben inferiori facendo così risparmiare allo Stato miliardi d’interessi?
Ma andiamo avanti.
Chi detiene il debito pubblico ?
In 30 anni il debito pubblico è passato da un totale di circa 500 mld di euro, a più di 2.300 mld di euro, ma, nello stesso periodo, abbiamo pagato più di 3.000 mld di euro di interessi.
Questa è stata la causa principale del suo aumento esponenziale, nonostante le politiche di austerity che sono state messe in atto soprattutto negli ultimi 10 anni e che non hanno risolto il problema, ma anzi lo hanno aggravato.
Ma ancora più grave è stato il fatto che nell’acquisto dei titoli di stato, i risparmiatori italiani hanno ceduto il passo a fondi, assicurazioni, banche ed investitori italiani e stranieri, per cui oggi l’Italia può essere ricattata e condizionata, nelle sue politiche economiche, dai cosiddetti mercati finanziari.
Infatti nel 1988 il debito era detenuto per il 57% da risparmiatori italiani, mentre il 39% da banche e fondi italiani e solo il 4% da stranieri.
La situazione invece nel 2018 è completamente ribaltata, perchè il debito è detenuto solo per il 6% da risparmiatori italiani, mentre il 62% da banche e fondi italiani ed addirittura il 32% da stranieri.
Pensate sia finita qui? Ed invece no. Per ultimo abbiamo tenuto la perla, la meraviglia finale: il meccanismo con il quale vengono collocati i titoli di stato sui mercati finanziari.
Tenetevi forte.
Come vengono collocati i titoli venduti dallo Stato?
Il collocamento si svolge sul mercato primario, a cui possono partecipare solo gli operatori accreditati, banche, sim, fondi. Il meccanismo di collocamento è un’ asta marginale, che funziona come segue.
Supponiamo che lo Stato debba collocare 100 miliardi di BTP; gli operatori, via telematica, fanno le loro offerte indicando prezzo di acquisto e quantità. La “Banca Amica” richiederà, ad esempio, 50 miliardi al prezzo di 98; la “Banca Fiducia” 40 miliardi al prezzo di 97; la “SIM Generosa” richiederà 30 miliardi al prezzo di 95 ; la “SIM Ottimo Affare” domanderà 30 miliardi a 92.
Le offerte pervenute vengono ordinate a cominciare dal prezzo più alto; 98, poi 97, poi 95 ed infine 92. Considerando le quantità, sarà completamente soddisfatta Banca Amica, Banca Fiducia e solo 10 miliardi andranno venduti a SIM Generosa. Il prezzo di collocamento finale dei BTP, uguale per tutti, sarà di 95, quello di Sim Generosa. Il “mercato “ quindi compra a 95 quello che a scadenza verrà ripagato a 100 ; 5% di utile.
Ovviamente chi paga questo utile è lo Stato che per far ciò tassa i cittadini e le imprese. Ma allora, perché si usa un meccanismo del genere e non si cambia con magari quello dell’asta dei Bot (asta competitiva) dove il prezzo di collocamento è più vantaggioso per lo Stato?
Ricapitolando: il debito pubblico è finanziato dallo Stato attraverso l’emissione di titoli. I titoli che vengono emessi sono principalmente BTP, che pagano gli interessi più alti in assoluto. Questi titoli sono acquistati soprattutto da banche ed investitori esteri e lo Stato italiano, collocandoli con asta marginale, assicura rendimenti elevati e senza rischio, impegnandosi poi a tassare gli italiani per pagare gli interessi passivi.
Vi viene il dubbio che quanto accade non sia svolto nell’interesse generale del Paese e del popolo, ma solo ed esclusivamente a favore del sistema bancario e del mercato finanziario?
Lasciamo stare in questa occasione il motivo “demenziale” per cui si è preferita l’asta marginale a quella competitiva e concentriamoci su cosa poter fare per sottrarci al demone del mercato, cioè cosa si potrebbe fare nell’immediato per ridurre i quasi 70 miliardi di euro di interessi passivi sul debito e contestualmente sottrarsi dalla logica dello spread.
Il risparmio degli italiani.
Qui introduciamo l’ultimo aspetto del nostro ragionamento, la ricchezza finanziaria degli italiani, perchè l’Italia non è solo ricca di un patrimonio ambientale, artistico e culturale, ma anche di “risparmio”.
Infatti ad oggi, la ricchezza finanziaria degli italiani è pari a circa 4.300 miliardi di euro, quasi 2 volte il debito pubblico e 2,5 volte il PIL.
Vediamo allora come viene utilizzato attualmente il risparmio degli italiani. Notiamo subito che solo una piccola parte di questo risparmio finisce nella voce “obbligazioni”, in cui ovviamente rientrano anche i titoli di Stato ma anche altre come quelle bancarie. In realtà le famiglie ed imprese italiane ne acquistano molto pochi, preferendo dirottare il proprio risparmio su azioni, fondi, assicurazioni e liquidità in conto corrente.
Quello che servirebbe è riconquistare la fiducia dei risparmiatori italiani, offrendo loro una serie di soluzioni per loro interessanti, per convincerli a dirottare sui titoli di stato i loro risparmi.
Soluzioni concrete e realizzabili per fermare lo Spread
Obiettivo di qualsiasi Governo dovrebbe essere quello di evitare i ricatti e le ritorsioni dei mercati finanziari, facendo in modo che i titoli di stato siano acquistati principalmente per tutelare il risparmio e non per fare speculazione, avendo anche come risultato non secondario che gli interessi pagati dallo Stato sul debito pubblico rimangono in Italia.
1) Consolidare il debito pubblico detenuto da Banca d’Italia.
Il metodo più semplice è il consolidamento dei Titoli di Stato detenuti da Banca d’Italia, più di 400 mld di euro, che diventerebbero un “debito irredimibile”.
2) Dichiarare che i Titoli di Stato hanno valenza fiscale.
I Titoli di Stato di nuova emissione possono essere dichiarati anche a valenza fiscale, cioè i detentori dopo la scadenza potranno scegliere, in alternativa al pagamento in euro da parte dello Stato, di utilizzare i titoli come “sconto” per la riduzione delle tasse. In questo caso, al valore nominale del titolo potrà essere aggiunto un interesse pari a quello del titolo, applicato per il periodo che va dalla scadenza fino al giorno del suo effettivo utilizzo come detrazione fiscale.
In questo modo si evitano le speculazioni finanziarie al ribasso, perchè si riduce notevolmente il rischio di perdere il capitale in quanto, se anche lo Stato non dovesse rimborsare il titolo alla scadenza, si potrà utilizzare il titolo anche per pagare le tasse. In pratica sarebbe una garanzia ulteriore soprattutto per gli investitori ed i risparmiatori italiani.
3) Utilizzare una banca pubblica per acquistare titoli di stato.
Creare una o più banche pubbliche che possano ricevere prestiti dalla BCE a tasso negativo dello 0,40% e con essi comprare titoli di stato, in modo da far rientrare in ambito pubblico gli interessi pagati dallo Stato, come fa anche la Germania con le sue banche pubbliche. In questo modo si riduce notevolmente il costo degli interessi, che ammontano oggi a circa 65 mld di euro l’anno.
4) Aste competitive, utilizzando Banca d’Italia come “parcheggio”.
Collocare i titoli solo attraverso aste competitive, perchè, come dice Cottarelli “Si potrebbe pensare che il sistema dell’asta competitiva sia necessariamente migliore per il venditore perché fa incassare più soldi…”. Passando dal meccanismo di collocamento con asta marginale a quello con asta competitiva, essendo sicuramente meno conveniente per gli investitori, si potrebbe verificare l’ipotesi che non tutti i titoli vengono acquistati.
In questo caso si può anche utilizzare la Banca d’Italia come “parcheggio” per i titoli invenduti, che saranno collocati in aste successive fino al completo collocamento sul mercato. Anche questo è un comportamento che la Germania fa da tempo, e questo è un altro dei motivi per cui lo Spread aumenta.
5) Privilegiare i CCT rispetto ai BTP.
Considerato che, come correttamente evidenziano da altri esperti in investimenti finanziari, come Giovanni Zibordi e Guido Grossi, nel 2018 “Gestioni patrimoniali, unit linked, fondi obbligazionari hanno avuto rendimento NEGATIVO tra -1% e -1,5%. Se lo Stato offrisse CCT con rendimenti netti dell’1% ci sarebbe esodo in massa da questi prodotti costosi delle banche e ci finanzierebbe il deficit senza bisogno di investitori esteri”. Basterebbe quindi poco per convincere i risparmiatori italiani a cambiare la destinazione dei propri risparmi.
Tanto semplice quanto praticabile.
Lo Stato smette di emettere BTP e inizia a collocare al loro posto, CCT e CTZ che sono immuni dallo spread e che con un rendimento dell’1%, permetterebbe di dirottare gran parte della disponibilità finanziaria degli italiani su questi titoli, eliminando gli acquisti da parte di investitori stranieri che non troverebbero più i titoli di Stato appetibili a fini speculativi.
6) Conti Individuali di Risparmio
Interessante anche la proposta del Governo di istituire i CIR, Conti Individuali di Risparmio, un particolare tipo di conto corrente finalizzato all’acquisto di titoli di stato da parte dei risparmiatori italiani, che potrà avere agevolazioni fiscali in modo da incentivare questo tipo di investimento.
Conclusioni
Abbiamo quindi molte soluzioni concrete e realizzabili per ridurre l’impatto del debito pubblico ed evitare i ricatti dei mercati finanziari, anche nell’ipotesi di fare finta che lo Stato sia come una famiglia e che quindi il debito pubblico debba essere ripagato.
Pensiamo per un momento, cosa potremmo fare se ricominciassimo ad usare la sovranità monetaria e fiscale che lo Stato ha ancora … ma questa la teniamo per la prossima puntata.
La moneta deve essere di proprietà dei cittadini e libera dal debito.
Fabio Conditi – Presidente dell’associazione Moneta Positiva
Stefano Di Francesco – VicePresidente dell’associazione Moneta Positiva
Stop nel 2019, poi taglio parziale. Debito cala ma non rispetta la regola.
Il governo ha inviato al Parlamento la nota di aggiornamento al Def. Confermate le stime del Pil del triennio all'1,5% per il 2019, l'1,6 per il 2020 e 1,4% nel 2021; la spesa per il 2018 è cifrata a 3,6 punti di Pil contro i 3,5 del Def. Confermati 9 miliardi per reddito e pensioni di cittadinanza e 7 per la quota 100 sulle pensioni; l'Iva non salirà nel 2019 ma, salvo altri interventi, tornerà a crescere dal 2020; previsti 10 miliardi di privatizzazioni in due anni; verso l'abolizione del patto di stabilità interno. Il ministro dell'Economia esprime soddisfazione: 'Con l'ok alla manovra via l'incertezza dei mercati e giù lo spread'. Preoccupazione sulla tenuta dei conti pubblici esprime invece il presidente della Bce Draghi che mercoledì scorso è salito al Colle. Intanto Piazza Affari è in territorio negativo e lo spread è in risalita.
Tria, con manovra via incertezza mercati - "I recenti livelli dei rendimenti sui titoli di Stato" base delle previsioni della nota di aggiornamento al Def "non riflettono i dati fondamentali del Paese. Contiamo che una volta che il programma di politica economica del Governo sarà approvato dal Parlamento, si dissolva l'incertezza che ha gravato sul mercato dei titoli di Stato negli ultimi mesi". Lo scrive il ministro dell'Economia Giovanni Tria nella premessa al documento. "Con livelli dei rendimenti più allineati ai dati fondamentali, le proiezioni di crescita e di finanza pubblica miglioreranno significativamente.
La nota di aggiornamento al Def - Nel 2018 gli "oneri per interessi" sul debito "sono rivisti al rialzo per poco più di 1,9 miliardi di euro (0,11 punti percentuali di Pil)". E' quanto si legge nella nota di aggiornamento al Def che il governo ieri in tarda serata ha trasmesso al Parlamento. Vista la "traslazione verso l'alto della curva dei rendimenti, che che su alcune scadenze eccede un punto percentuale" la spesa per il prossimo anno è cifrata ora a "3,6 punti di Pil" contro i "3,5 del Def". Rispetto ad aprile la spesa "crescerebbe di 0,2 punti di Pil nel 2020 e di 0,3 nel 2021".
Il governo intende procedere con "l'abolizione del patto di stabilità interno, che limitava le capacità di intervento degli enti locali". Lo si legge nel testo della nota di aggiornamento al Def pubblicato sul sito del Mef. Inoltre è prevista "la riforma del codice degli appalti per rendere più snella e trasparente la gestione degli acquisti e delle forniture della PA".
"Il Governo intende mettere in atto una serie di disposizioni per definire un sistema fiscale a misura di famiglia, alleggerendo il peso dell'imposizione tenendo conto del numero dei figli e della funzione sociale multidimensionale svolta dal nucleo familiare".
"Nel settore universitario sono allo studio misure per agevolare l'accesso alla no tax area al fine di ampliare la platea di studenti beneficiari dell'esenzione". E' quanto si legge nella nota di aggiornamento al Def. "È prevista, inoltre, la stabilizzazione da parte delle Regioni - si legge ancora - del Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio per gli studenti meritevoli, ma privi di mezzi e la semplificazione delle procedure amministrative necessarie all'erogazione delle borse di studio".
La stima di riduzione del rapporto debito/pil nel 2020, "incorpora l'ipotesi di introiti da privatizzazioni e da altri proventi finanziari per circa lo 0,3 per cento del PIL", che equivale a circa 10 miliardi, "in entrambi gli anni 2019 e 2020", si legge nel testo della nota di aggiornamento al Def.
Salvini, stime Pil limitate - Le stime del Pil sono ottimistiche? "No sono limitate". Così il vicepremier Matteo Salvini ha risposto ai cronisti sui numeri inseriti nel Def dal governo. "Sono stufo di un'Italia che cresce dello 'zero virgola' - ha aggiunto - Noi investiamo sul lavoro per crescere dell''uno virgola' o 'due virgola'".
Def scommette su crescita ma da 2020 Iva torna a salire - L'Italia deve crescere "più rapidamente del resto d'Europa" e recuperare il "terreno perso negli ultimi vent'anni": un obiettivo che il ministro dell'Economia Giovanni Tria definisce "ambizioso ma realistico" al punto che i paletti fissati oggi dal governo nella nota di aggiornamento al Def potrebbero addirittura, assicura, essere superati. E così nonostante le stime del Pil per quest'anno vengano riviste al ribasso, quelle del prossimo triennio sono confermate rispettivamente all'1,5% per il 2019, l'1,6 per il 2020 e 1,4% nel 2021. Confermate anche alcune delle promesse gialloverdi, dal reddito di cittadinanza alla riforma della Fornero per un totale di 21,5 miliardi di impegni il prossimo anno. La coperta delle risorse è però corta e quindi l'Esecutivo riesce a sterilizzare solo in parte l'aumento dell'Iva: non salirà nel 2019 mentre tornerà ad innalzarsi parzialmente nel biennio successivo. A una settimana esatta dal Consiglio dei ministri che ha approvato la Nadef, il documento viene infine pubblicato e trasmesso alle Camere che la prossima settimana dovranno ingaggiare una corsa contro il tempo per riuscire ad esaminarlo e approvarlo: la scadenza, al momento, è fissata per mercoledì 10 ottobre.
Le misure viaggeranno su un doppio binario, sfruttando anche i cosiddetti disegni di legge collegati ma, dopo la guerra di cifre che si è consumata nelle ultime ore fra gli alleati di governo, viene confermata la dote di "nove miliardi per reddito e pensioni di cittadinanza e sette per la quota cento, a cui vanno aggiunti un miliardo per i centri per impiego, due per la flat tax, un miliardo per le forze dell'ordine e un miliardo e messo per i truffati delle banche. Ipotizza anche incentivi per spingere le auto elettriche e ridurre le auto diesel e a benzina. "Con gli interventi previsti in manovra - si legge nel documento che fa da cornice alla manovra - il governo spingerà la crescita di 0,6 punti percentuali nel 2019, di 0,5 nel 2020 e di 0,3 nel 2021". Tornando al quadro macro, il Def però mostra come a peggiorare sia il deficit strutturale, cioè la misura su cui l'Ue valuta i miglioramenti dei conti pubblici dei Paesi: questo 'numeretto' peggiorerà il prossimo anno di 0,8 punti percentuali passando dallo 0,9% di quest'anno all'1,7% per poi rimanere stabile su questo livello anche nel 2020 e nel 2021. Rinviato poi sine die il pareggio di bilancio 'strutturale', previsto in precedenza nel 2020, quando "la crescita e la disoccupazione saranno tornati ai livelli precrisi". Il governo per contro registra una progressiva discesa del debito pubblico che passa dal 131,2% del 2017 al 126,7% del 2021, attestandosi al 130,9% di quest'anno. E seppure non si esclude la possibilità di una "riduzione più accentuata" proprio su questo fronte "qualora si realizzi una maggior crescita", l'Esecutivo si trova a dover ammettere di non rispettare la cosiddetta regola del debito "dato che il rapporto debito/PIL nel 2021 è previsto eccedere il benchmark di 3,9 punti percentuali".
Inchiesta "Diplomat" della Procura di Agrigento: 110 indagati per la compravendita di diplomi, tra essi anche Gaetano Cani, parlamentare nella scorsa legislatura. Coinvolte quattro scuole "private": la Pirandello di Licata, la Pirandello e la Volta di Canicattì e San Marco di Acireale.
Sono, complessivamente, 110 gli indagati, fra dirigenti scolastici, insegnanti e personale di segreteria: tutti pubblici ufficiali in servizio nelle scuole. Uno dei principali indagati è l’ex deputato regionale, nonché dirigente scolastico, Gaetano Cani, di Canicattì al quale sono stati trovati e sequestrati - in una scatola di scarpe custodita nella sua abitazione - 300 mila euro in contanti.
Quattro le scuole paritarie che «vendevano» diplomi: l'istituto Pirandello di Licata, il Pirandello di Canicattì, l'Alessandro Volta di Canicattì, tutti nell’Agrigentino, e l'istituto San Marco di Acireale. Ventidue i diplomi taroccati.
I risultati dell’inchiesta «Diplomat» sono stati illustrati dal procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio e dai pm Simona Faga e Paola Vetro insieme al colonnello Giorgio Salerno, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Ragusa (città da dove era partita l’indagine per il coinvolgimento di una scuola di Ispica) e al maggiore delle Fiamme gialle Luigi De Gregorio.
«Siamo in presenza di una vera e propria organizzazione a delinquere dove ognuno aveva un ruolo ben preciso nella vendita dei diplomi. Gli alunni e i loro genitori, al momento, non sono indagati. Nella lista dei 110, a cui stiamo notificando l’avviso di chiusura dell’inchiesta, ci sono pubblici ufficiali in servizio nelle scuole. Si tratta di insegnanti, dirigenti scolastici e personale di segreteria», ha detto Patronaggio.
«Studenti e genitori - ha aggiunto - sono stati interrogati come persone informate dei fatti ma è chiaro che sapevano di avere beneficiato di lezioni false, di esami truccati e altro. Quindi la loro posizione è al vaglio».
«L'attività scolastica - hanno spiegato il colonnello della Gdf Salerno e il maggiore De Gregorio - era del tutto fittizia: niente lezioni e niente interrogazioni. Risultava solo sulla carta perché gli studenti pagavano consistenti quote di iscrizione. Quando si doveva fare i conti con le commissioni di esami esterne, si faceva in modo di risolvere la questione comunicando prima le domande e dando in anticipo i temi delle prove scritte. Tutto avveniva con grande sfrontatezza».
I reati contestati ai 110 indagati sono, a vario titolo, l'associazione per delinquere, il falso commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico, la rivelazione del segreto di ufficio e l’abuso di ufficio.
L’inchiesta è partita da una segnalazione-denuncia. «E' stata raccolta una preliminare segnalazione che ci ha indotti ad indagare - ha spiegato Salerno -. C'era una struttura che permetteva di costruire un percorso scolastico falso: dagli esami mai sostenuti fino ad inquinare anche la prova di maturità fornendo anticipatamente il tema svolto ai candidati». Secondo quanto emerso sarebbero state gestite anche le prove orali degli esami di maturità con delle tesine costruite a tavolino.
Antoci: quei fondi non sono regionali ma del Mastreplan di Messina e li abbiamo ottenuti con i Sindaci con grandi sacrifici.
S. Agata di Militello, 4 ottobre 2018 – Un comunicato stampa della Regione Siciliana, con tanto di dichiarazioni del Presidente Musumeci, è stata inviato agli organi di informazione per comunicare che la “Regione” ha finanziato per 5 milioni di euro il progetto di Ingegneria naturalistica della Dorsale dei Nebrodi che per 64 chilometri va da Floresta a Mistretta.
Nel comunicato delle Presidenza della Regione si dice chiaramente: “opera finanziata dall’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente”; peccato invece che quel progetto era già stato deliberato dal Comitato Esecutivo del Parco dei Nebrodi presieduto da Antoci e che i fondi nulla hanno a che vedere con fondi regionali bensì, gli stessi, sono stati garantiti dal Patto per Il Sud della citta Metropolitana di Messina come tra l’altro correttamente riportato dalla Gazzetta del Sud di questa mattina. Per i Nebrodi tale attività è stata coordinata da Antoci nella qualità di Presidente del Parco e le destinazioni delle somme sono state decise di concerto con tutti i Sindaci coinvolti.
“In epoca di Fake news non ci si può stupire che le stesse vengano propinate con regolarità ai lettori – dichiara Giuseppe Antoci ex Presidente del Parco dei Nebrodi – ma che sia una istituzione come la Regione a modificare la realtà appropriandosi del lavoro svolto con grande passione e determinazione dal Parco da me presieduto e dai Sindaci che hanno scelto la destinazione delle somme per il territori, più che una Fake news mi sembra veramente una barzelletta. Ma quali fondi regionali? Li abbiamo conquistati noi e sudati giorno per giorno assicurandoci le somme a valere dal Patto per il Sud della Città Metropolitana di Messina”.
Insomma un incidente di comunicazione che metterà senz’altro in forte imbarazzo il Governatore Musumeci e che, nel contempo, lascia un pò di amarezza in quanto è come se si volesse cancellare tutto il lavoro dell’epoca Antoci svolto da lui e dai Sindaci che, con grande affiatamento, hanno garantito circa 65 milioni di euro per i Nebrodi dal Masterplan di Messina e di cui proprio i 5 milioni della dorsale fanno parte. Dunque fondi non regionali e progetto del Parco finanziato dal Governo Nazionale per il tramite della Città Metropolitana di Messina.
“Sono stato in silenzio nei mesi successivi alla mia revoca da Presidente del Parco vedendo tanti progetti messi in cantiere da me, dal mio Comitato Esecutivo e dal Consiglio del Parco che, se pur non citando mai il nostro impegno, venivano presentati come nuove iniziative – continua Antoci – l’ho fatto perché ho ritenuto che l’importante era portare avanti le idee messe in campo indipendentemente da vederne attribuiti i meriti; ma questa della dorsale non si può proprio sentire… questa è troppo grossa. Prendersi i meriti di una cosa sulla quale la Regione non c’entra nulla mi sembra veramente istituzionalmente imbarazzante. Inoltre non capisco come si possa pensare che le persone abbiano potuto dimenticarsi di un così importante obiettivo raggiunto dalla Presidenza Antoci e di cui ha parlato tutta la stampa in epoche recentissime”.
“Nonostante questo incidente di comunicazione nel quale è scivolato il Presidente Musumeci – conclude Antoci – provo una grande soddisfazione nel constatare che il progetto della dorsale, al quale tanto ho lavorato e per il quale tanto mi sono speso, sia ormai alle battute finali e questo, ovviamente, indipendentemente da chi ha reso possibile il finanziamento. Certo da questa vicenda un insegnamento lo possiamo trarre: mai sottovalutare l’intelligenza e la memoria delle persone in quanto la prima è patrimonio dei più, mentre la seconda non si cancella mai. La memoria crea la storia e non si modifica raccontando a proprio piacimento gli eventi ne, tantomeno, si cancella con gli spoil system o le revoche degli incarichi. Quella rimane sempre con un unico vincolo e cioè che la scrivono i giusti…. Viva il Parco dei Nebrodi”.