venerdì 19 ottobre 2018

Roma, evasione fiscale da oltre 140 milioni: arrestato imprenditore.

Roma, evasione fiscale da oltre 140 milioni: arrestato imprenditore

Gianluca De Cubellis, 43 anni, era lʼamministratore di fatto di più di 20 società.


Come amministratore di fatto di oltre 20 società che operavano in diversi settori, ha evaso tasse e imposte per oltre 140 milioni di euro. E' l'accusa nei confronti di Gianluca De Cubellis, un imprenditore romano di 44 anni arrestato dalla guardia di finanza per una serie di frodi fiscali, truffe ai danni dello Stato e falso in bilancio. Nel maggio 2017 l'uomo era già stato colpito da un sequestro per oltre 80 milioni.

Questa somma (80 milioni di euro) corrispondeva ai profitti derivanti dalla commissione di plurimi reati tributari, riciclaggio, autoriciclaggio e truffa.

De Cubellis ha continuato a lavorare utilizzando come schermo una società intestata ad un prestanome e sottraendo al fisco ulteriori 60 milioni. La società, che nel tempo ha operato in vari comparti (in prevalenza commercio di prodotti elettronici, informatici e petroliferi), attraverso l'emissione di fatture fittizie e la simulazione di esportazioni mai avvenute, ha indebitamente fruito di crediti Iva inesistenti per compensare oltre 5 milioni di debiti tributari ed evadere, complessivamente, imposte.

Il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di De Cubellis, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e del divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali per un anno.

Fonte: tgcom24.mediaset del 19/10/2018

MANONA E CONDONONE - Marco Travaglio

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Quando due partiti governano insieme, per un’alleanza politica o per un “contratto” di programma, devono potersi fidare l’uno dell’altro.
Se cercano di fregarsi a vicenda, non vanno lontano e a rimetterci non sono soltanto loro, ma i cittadini.
Finora l’accordo fra due soggetti umanamente e politicamente diversissimi come Di Maio e Salvini, era parso forte e solido, anche per via di un buon rapporto personale e “generazionale”. “Salvini è di parola”, aveva detto Di Maio (e anche Grillo) dopo l’elezione dei presidenti delle Camere e ben prima del governo. “Di Maio è l’alleato ideale, governeremo 5 anni”, aveva ripetuto Salvini. Anche se entrambi sapevano che la loro non è un’alleanza strategica, ma una convivenza obbligata dalla totale assenza di alternative.
Ieri, all’improvviso, s’è scoperto che le cose non stanno così.
Le due versioni opposte e inconciliabili sulla manina tecnica o manona politica che ha infilato nella manovra 3 norme scandalose (depenalizzazione del riciclaggio e della frode, scudo fiscale per capitali all’estero, tetto di 100 mila euro annui moltiplicato per ogni imposta evasa) per trasformare il condonino in condonone, mandano in frantumi non tanto l’identità di vedute fra 5Stelle e Lega, che sulla sanatoria fiscale non c’è mai stata (i 5Stelle, se governassero da soli o con altri alleati, non la farebbero mai) quanto su quel minimo sindacale di lealtà che è necessario per governare insieme.
Il procedimento legislativo italiano, non da oggi, è farraginoso ai limiti del demenziale, e se qualcuno vuole fregare qualcun altro ha mille spazi e occasioni per farlo. Fabrizio d’Esposito racconta tutte le volte in cui singoli ministri o interi governi finirono gabbati da norme sbucate dal nulla e rimaste figlie di padre ignoto. O di padre noto, come il decreto Biondi imposto nel ’94 da B. ai riottosi Bossi e Fini per salvare i tangentari (anche di casa sua) e i mafiosi. Un caso molto simile al condonone voluto dalla Lega e messo nero su bianco dai tecnici del Tesoro all’insaputa del M5S. Ma con una differenza fondamentale.
Il 13 luglio ’94 il decreto Salvaladri fu discusso nei dettagli in Consiglio dei ministri, dove Maroni disse di aver chiesto al Guardasigilli Biondi se sarebbero stati scarcerati indagati di Tangentopoli e di averlo votato solo dinanzi alla sua risposta negativa. Poi, quando uscirono centinaia di tangentisti, se ne dissociò e, con Bossi e Fini, costrinse B. a ritirarlo. 

Il 15 ottobre 2018 il Cdm, iniziato alle 19,31 (con due ore di ritardo e con la fretta di dover chiudere tutto entro la mezzanotte), non doveva approvare un decreto di pochi articoli.
Ma l’intera manovra, una legge lunga chilometri. E i ministri l’hanno approvata senza tornare sui singoli dettagli tecnici, già concordati nei giorni precedenti in vari incontri politici fra gli sherpa, i ministri e i sottosegretari giallo-verdi, l’ultimo dei quali si era svolto dalle 15 alle 19 e aveva affrontato proprio i temi del condono. Lì i 5Stelle avevano ribadito la linea Maginot del contratto di governo: “pace fiscale” fino a 100 mila euro annui per chi ha dichiarato i suoi redditi ma non ha potuto pagare l’imposta negli anni della crisi; niente scudi fiscali, né sanatorie penali, né sforamenti della soglia. A quel punto i tecnici del Mef, incaricati di mettere in bella copia il contenuto dell’accordo politico, hanno prima prodotto un foglietto sintetico, poi una bozza “ufficiosa” che hanno girato all’ufficio legislativo del Quirinale per un’analisi preliminare. Ora i leghisti parlano di “testo approvato anche dai 5Stelle”, che non l’avrebbero letto (o capito) e Repubblica s’inventa che “Di Maio e i grillini non si sono accorti di aver firmato un condono”. La verità è che nessuno ha firmato niente e dal Cdm non è uscito alcun “testo” della manovra, a parte appunto foglietti volanti che dovevano recepire l’accordo politico stipulato nel vertice di 4 ore, in attesa della stesura definitiva dell’articolato. È qui che il condonino è diventato condonone, in cui i tecnici – non si sa se per fare un regalo alla Lega, o per fare uno sgambetto al M5S, o su input diretto di qualche ministro o sottosegretario leghista – hanno inserito le norme chieste dal Carroccio, bocciate dal M5S e infine cancellate con l’accordo verbale di entrambi gli alleati.
Chi ha giocato sporco fino a un attimo prima che la bozza giungesse al Quirinale, al momento non si sa. Si sa soltanto che Tria dava per scontato un condono “small” modello 5Stelle, altrimenti avrebbe previsto un gettito di miliardi, non di appena 180 milioni (compatibile solo col condonino). L’altro ieri i tecnici del Colle hanno cassato la sanatoria penale e restituito la bozza corretta al governo. E quella provvidenziale cancellatura ha aperto gli occhi a Di Maio. Il quale, fidandosi degli alleati, era rimasto all’accordo politico di lunedì con la Lega, poi avallato da tutto il Cdm. Invece ha scoperto il raggiro, fortunatamente in tempo per rimediare: senza il veto quirinalizio, per come vanno le cose nell’iter legislativo all’italiana, a quest’ora il condonone poteva essere già stato firmato da Mattarella e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per la gioia di grandi evasori, frodatori, riciclatori e mafiosi, e dei loro protettori politici. Che un tempo sedevano in FI e in qualche anfratto del centrosinistra, ma ora han trovato usbergo nella Lega pigliatutto. Quella Lega che, mandante o beneficiaria che sia della truffa, ora rivendica spudoratamente tutte le norme contestate, tradendo il contratto di governo, l’accordo politico di lunedì e persino le censure del Colle. Si spera che il premier Conte, a norma di contratto, cancelli le 3 norme della vergogna. Se poi la Lega le preferirà alla sopravvivenza del governo e lo farà cadere, i cittadini onesti sapranno da che parte stare.


Fonte: ilfattoquotidiano del 19/10/2018

Concorsi truccati, generale Luigi Masiello agli arresti domiciliari.



Sono 15 le misure cautelari notificate dagli uomini delle Fiamme Gialle di Napoli, tra queste quella per il generale, oggi in pensione, titolare di una scuola di formazione.

Concorsi truccati per entrare nelle forze di polizia, questa l'ipotesi mossa dalla procura. Tra gli indagati spicca il nome di Luigi Masiello generale dell'esercito, oggi in pensione. Gli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Napoli hanno eseguito 15 misure cautelari, una delle quali in carcere. L'operazione nasce da un'indagine sui concorsi truccati per il Volontario in Ferma Prefissata di 4 anni (VFP4) che consentono di accedere alle forze armate e di polizia. Tra i destinatari delle misure cautelari, ai domiciliari, figura anche Masiello, titolare di una scuola di formazione coinvolta nell'inchiesta.

L'ex generale, nel 2016, decise di scendere in campo per supportare la coalizione di centrosinistra, capeggiata da Valeria Valente, con la lista 'Napoli Popolare'. Prese 323 preferenze senza risultare eletto. 

Il momento della notifica a Masiello.

Quando i finanzieri sono arrivati presso l'abitazione di Masiello, nel quartiere Vomero di Napoli, per notificare all'ex generale dell'esercito la misura cautelare degli arresti domiciliari, l'uomo ha lanciato il proprio cellulare dalla finestra. Per gli inquirenti si sarebbe trattato di un tentativo di nascondere le prove. Masiello risulta coinvolto in una indagine sui concorsi truccati per accedere alle forze armate e dell'ordine. I militari sono comunque riusciti a recuperare il telefono.

Masiello sospeso dall'Ordine dei giornalisti.
È arrivata anche la sospensione dall’Ordine dei giornalisti per Luigi Masiello. Il presidente dell’Ordine della Campania, Ottavio Lucarelli, ha sospeso ad horas dall’Albo il generale dell’Esercito, ora in pensione, che è anche un giornalista pubblicista.

Fonte: tg24.sky del 17/10/2018

Caos condono, cosa c'è nel testo 'manipolato'.

Caos condono, cosa c'è nel testo 'manipolato'


Tetto dell'imponibile più alto, sanatoria dell'Iva e colpo di spugna su reati tributari e penali. Sono alcuni dei punti che sarebbero stati inseriti nella bozza del decreto fiscale collegato alla manovra, finito al centro delle polemiche dopo le accuse di manipolazione da parte di Luigi Di Maio
Un testo ritoccato da una 'manina', stando alle dichiarazioni del vicepremier, dove il condono si allarga fino a diventare 'tombale'. Non solo Irpef, Irap e contributi previdenziali, ma anche Iva e attività detenute all'estero. 
Il tetto di 100 mila dell'imponibile, da complessivo, si sposta su ogni singola imposta, mentre spunta uno scudo penale relativo a dichiarazione fraudolenta e riciclaggio di denaro.

TETTO IMPONIBILE - Nella bozza del dl fiscale, che secondo il vicepremier sarebbe stata 'manomessa', il tetto massimo di 100 mila euro dell'imponibile viene alzato in quanto non riferito all'intera somma delle imposte condonate ma alla singola imposta con conseguente effetto moltiplicativo. Nella bozza del decreto fiscale collegato alla manovra, infatti, si legge che ''l'integrazione degli imponibili è ammessa nel limite massimo di 100.000 euro per singola imposta e per periodo d'imposta''. In questo modo, ovvero applicando il tetto di 100mila euro per ogni singola imposta, cioè 5, e per ogni anno d'imposta, per un totale di 5 anni, si arriverebbe ad un totale di 2,5 milioni di euro.

SANATORIA ESTESA - La bozza del decreto prevede una sanatoria estesa ai contributi previdenziali, alle imposte sostitutive e anche all'Iva. In particolare, sul massimo imponibile ''si applica, senza sanzioni, interessi o altri oneri accessori un'imposta sostitutiva del 20% ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dei contributi previdenziali, dell'imposta sul valore degli immobili all'estero, dell'imposta sul valore delle attività finanziarie all'estero e dell'imposta regionale sulle attività produttive".
Per quanto riguarda l'Iva la sanatoria è possibile pagando un'aliquota media, altrimenti quella ordinaria del 22%. In un paragrafo del dl infatti si spiega che sull'Iva sarà applicata ''l'aliquota media per l'imposta sul valore aggiunto, risultante dal rapporto tra l'imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d'affari dichiarato, tenendo conto dell'esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali. Nei casi in cui non è possibile determinare l'aliquota media, si applica l'aliquota ordinaria'', ovvero il 22%.

SCUDO PENALE - Nella bozza del decreto è inoltre stato inserito uno scudo penale. Nel testo infatti si specifica che non sono puniti i reati relativi a: 
  • dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; 
  • dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; 
  • dichiarazione infedele; 
  • omesso versamento di ritenute dovute o certificate; 
  • omesso versamento di Iva. 

Per questi casi viene esclusa anche la punibilità delle condotte relative al riciclaggio e dell'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita se riferite ai reati precedenti.

Fonte: adnkronos del 18/10/2018

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La subdola tattica di infilare all'ultimo momento leggine pro domo sua è un modus operandi ormai consolidato dai nostri, ahimè, rappresentanti in parlamento, non è una novità e Salvini, degno emulo dei suoi mentori, la conosce bene e la usa all'occorrenza. Oltretutto, deve pure tenersi caro il suo alleato alle elezioni, quel tale Berlusca condannato in via definitiva, guarda caso, proprio per reati fiscali contro lo Stato.
Cetta.

giovedì 18 ottobre 2018

Agenzia delle Entrate, 562 dipendenti accusati di manipolazione dei dati. - Ivan Cimmarusti

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Nel 2017 sono finiti sotto procedimento 562 dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, per accuse che vanno dalla corruzione all’accesso abusivo al sistema informatico. Funzionari che offrivano «accessi alla documentazione, fornendo - dietro adeguato compenso - ausilio a imprenditori e soggetti che si rivolgevano loro per ottenere la verifica degli estratti ruolo, la rateizzazione di cartelle esattoriali senza averne i requisiti» e tanto altro.
Particolari contenuti nelle relazioni investigative e che ricalcano i fatti contestati a un dipendente dell’Agenzia, arrestato per essere stato corrotto da un commercialista.
I dati: 455 indagati e 107 condannati.
Stando ai dati forniti dalla stessa Agenzia delle Entrate, al 31 dicembre 2017 sono finiti sotto inchiesta 455 dipendenti, mentre in 107 sono stati condannati.
TOTALE DIPENDENTI CON PROCEDIMENTI PENALI IN CORSO E CON CONDANNE NON PASSATE IN GIUDICATO.
 
Dati al 31/12/2017
PRINCIPALI TIPOLOGIE DI REATO.
I reati contestati riguardano proprio forme di corruzione e di accesso abusivo ai sistemi informatici. Questo perché dietro adeguata “remunerazione” sarebbe stato possibile manipolare i dati dei contribuenti che intendevano pagare meno tasse e ottenere particolari sgravi.
Le 2.278 pratiche modificate.
Indagando su questi fronti, la Procura di Roma ha arresto un dipendente dell’Agenzia Roma 2. Bastava una tangente e le tasse erano facilmente aggirabili. Debiti fiscali, liste di controlli preventivi e operazioni correttive erano manipolabili attraverso il sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate. 
L’innesto del procedimento è un whistleblower (disciplinato dall'articolo 1 comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190), ossia un dipendente dell’Agenzia che ha denunciato un suo collega, colto in flagrante a contare i soldi di una tangente in un bar. I pm hanno ottenuto l’arresto di Orazio Orrei, funzionario accusato di essere stato corrotto da Maurizio Sinigagliesi, commercialista romano. Gli accertamenti - supportati anche da verifiche svolte dall’Agenzia tramite audit - hanno confermato l’attività illecita del dipendente: in pochi i giorni,
dal primo dicembre del 2015 al 17 febbraio del 2016, il funzionario ha alterato dati fiscali per oltre 2.278 pratiche per fare ottenere ai clienti del commercialista una diminuzione dell’importo dell’imposta dovuta.
L’alterazione dei dati fiscali.
Gli inquirenti hanno scoperto che avrebbe ottenuto il denaro per «alterare i dati fiscali di numerosi contribuenti, in modo da ridurne i debiti erariali; trasmettere con ritardo le dichiarazioni presentate dai contribuenti in cartaceo presso l’ufficio territoriale, in modo da impedire tanto la liquidazione automatizzata quanto il successivo contro formale». Inoltre i magistrati ritengono che abbia garantito «l’inserimento di alcune dichiarazioni nelle liste di controlli preventivi – c.d. “preruoli”, nelle quali confluiscono le dichiarazioni tardive (pervenute oltre 90 giorni dopo la scadenza) per verificare se queste siano state effettivamente presentate con ritardo dal contribuente ovvero se siano state tempestivamente presentate, ma trasmesse in ritardo dall’ufficio – acquisendo al contempo numeri di protocollo idonei a dimostrare (falsamente) la presentazione all’ufficio di una dichiarazione cartacea tempestiva. In tal modo, Orrei impediva la liquidazione manuale dell’imposta nonché gli accertamenti automatici».
Fonte: ilsole24ore del 18/10/2018

Dl fisco, bozza: “Chi aderisce alla pace fiscale non è punibile se ha riciclato”. Di Maio: “Va tolta, non era negli accordi”.

Dl fisco, bozza: “Chi aderisce alla pace fiscale non è punibile se ha riciclato”. Di Maio: “Va tolta, non era negli accordi”

Nell'ultima versione del testo si chiarisce che avvalendosi del condono si avrà diritto a uno "scudo" rispetto alle conseguenze penali di dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute e omesso versamento di Iva. Ancora in forse l'estensione alla dichiarazione fraudolenta. Previsto il carcere da 1 anno e 6 mesi a 6 anni per i contribuenti che forniscono atti o dati falsi.

Chi aderisce alla pace fiscale presentando una dichiarazione integrativa sulle somme nascoste al fisco non sarà punibile per dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute e omesso versamento di Iva, nemmeno nel caso in cui abbia riciclato impiegato proventi illeciti. Questo fino al 30 settembre 2019. Lo prevede l’ultima bozza del decreto fiscale approvato lunedì sera dal consiglio dei ministri ma ancora non reso pubblico. Le norme su prevenzione antiriciclaggio e terrorismo rimangono applicabili per gli altri casi. È allo studio – si evince dalla bozza di cui danno conto le agenzia Ansa e La Presse – la possibilità di escludere anche la punibilità della dichiarazione fraudolenta. “Va tolta, non era negli accordi”, è stato il commento di Luigi Di Maio.
“Nei confronti dei contribuenti che perfezionano la procedura di integrazione o emersione ai sensi del presente articolo e limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle impostee alle ritenute oggetto della procedura: è esclusa la punibilità” per i reati di dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute e omesso versamento Iva. Inoltre nell’ambito di questi reati “è esclusa la punibilità” di riciclaggio, scrive La Presse citando il testo della bozza non definitiva.
In compenso è previsto il carcere da un anno e 6 mesi fino a 6 anni per chi, dopo aver chiesto la “pace”, fornisce atti falsi e comunica dati non rispondenti al vero: si tratta della pena prevista oggi per la dichiarazione fraudolenta. Per chiedere di fare la pace col fisco i contribuenti potranno “correggere errori od omissioni” presentando una apposita “dichiarazione integrativa speciale” fino al “31 maggio 2019”, si legge nel testo, che conferma il limite del 30% di quanto già dichiarato e per un totale non superiore ai 100mila euro l’anno ma specifica che il tetto vale per ogni singola imposta. A quel punto si pagherà un’imposta sostitutiva pari al 20% del dovuto in un’unica soluzione entro fine luglio o a rate per 5 anni a partire da settembre 2019.
“Chiunque fraudolentemente si avvale” della dichiarazione integrativa speciale “al fine di far emergere attività finanziarie e patrimoniali o denaro contante o valori al portatore provenienti da reati diversi da quelli previsti è punito con la medesima sanzione” prevista per il reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero, punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, recita il testo.
La possibilità di definizione agevolata, nella bozza, si allarga anche all’Iva: “È ammessa la definizione agevolata dei debiti tributari, per i quali non sia ancora intervenuta sentenza passata in giudicato, maturati fino al 31 dicembre 2018 a titolo di imposta di consumo, con il versamento, da parte del soggetto obbligato, di un importo pari al 5 per cento degli importi dovuti, con le modalità stabilite nel presente articolo. Non sono dovuti gli interessi e le sanzioni”.
produttori di sigarette elettroniche contenenti nicotina potranno inoltre sanare la loro posizione con il fisco pagando il 5% degli importi dovuti a titolo di imposta di consumo e produzione, mentre non sono dovuti sanzioni e interessi. Così si conferma l’intenzione annunciata dal governo di “chiudere il pregresso per il mondo delle sigarette elettroniche e dello svapo”, come ha detto al termine del Consiglio dei ministri che ha varato il provvedimento il vicepremier Matteo Salvini, con l’obiettivo di salvare “migliaia di posti di lavoro, di imprese e di negozi”. Si avrebbe una perdita di gettito di 177 milioni. La norma si applica ai debiti tributari per i quali non sia ancora intervenuta sentenza passata in giudicato.
Confermato infine lo stralcio delle cartelle fino a mille euro affidate agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010: saranno annullate il 31 dicembre 2018.
Fonte: ilfattoquotidiano del 17/10/2018

Decreto Fisco, l’articolo fantasma pro Croce rossa: 84 milioni all’insaputa di Conte e ministri. Poi il premier lo stralcia. - Thomas Mackinson

Decreto Fisco, l’articolo fantasma pro Croce rossa: 84 milioni all’insaputa di Conte e ministri. Poi il premier lo stralcia

Il governo approva il decreto ma alla vigilia era spuntato uno stanziamento in favore della gestione commissariale della Croce Rossa. Il premier chiede ai ministri, nessuno sa nulla. Imbarazzo generale, poi le ammissioni del capo di Gabinetto di Tria. La tensione tecnici-politici torna così massimi livelli, e alla fine Conte stralcia: "Troppi dubbi". Mef: "Norma per superare ambiguità e lacune".

Domenica sera, preconsiglio dei ministri, vigilia di approvazione del Decreto Fiscale. Attorno al tavolo ci sono Giuseppe Conte, i suoi ministri e sottosegretari, vari tecnici. Arrivano le bozze aggiornate del decreto e, racconta chi c’era, il capo del governo in persona alza il sopracciglio: “Scusate, che roba è?”. Tra le mani tiene il testo dell’articolo 23: due commi che muovono 84milioni di euro in tre anni intitolati a “Disposizioni urgenti relative alla gestione liquidatoria dell’Ente strumentale alla Croce rossa Italiana”. Righe così urgenti, che nessuno sa chi le abbia scritte: si materializza, insomma, la solita “manina”, l’eterna burocrazia senza nome che sa erigere muri sulle virgole e abbattere montagne in una riga. E così facendo, fatalmente, comanda.
La norma, in soldoni, stabilisce che i 117 milioni di euro l’anno appena stanziati dal Mef a favore della Croce Rossa siano da rimodulare almeno in parte, conferendo annualmente una quota significativamente maggiore alla struttura commissariale retta da Patrizia Ravaioli, già direttore generale della Cri e liquidatore, nonché moglie di Antonio Polito, notista politico e vice direttore del Corriere della Sera. Il commissario, evidentemente, ha bisogno di soldi per il personale e per le “spese correnti di gestione”. E prontamente qualcuno li trova.
Nel decreto che ha sbloccato i fondi, quelli per l’ente liquidatore si fermavano a 15.190.765 l’anno per tre anni. La rimodulazione spuntata nel ddl ne assegna alla struttura oltre dieci di più, sempre a valere sul Fondo sanitario nazionale, arrivando così a 28,1 l’anno. Magari è un bene, magari no. Il punto è che nessuno,  a quanto pare, ne sapeva nulla. Un “dettaglio” che fa correre nuova bile tra tecnici e politici ormai ai ferri cortissimi, come ha rivelato il famoso trovino i soldi o li cacciamo tutti”, lanciato come un guanto di sfida dal portavoce di Conte, Rocco Casalino, ai cronisti. E rilanciato dallo stesso Luigi Di Maio che a stretto giro ha attaccato i dirigenti del Mef e il Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco (“C’è chi rema contro, faccio controllare ogni norma dai miei collaboratori perché non mi fido).
Letta la norma, stando a ricostruzioni convergenti, Conte ha fatto un rapido giro di consultazione tra i presenti e nessuno l’ha rivendicata. Non il ministro della Difesa Trenta che, non ha più competenze sul riordino della CRI. Non quello della Salute Grillo, che pure è autorità vigilante (e non nasconderà di nutrire alcune perplessità sulle cifre).
Alla fine sarà Roberto Garofoligrand commis del Mef, a spiegare ai presenti che la norma è stata effettivamente scritta dal Mef, a livello di Ragioneria Generale dello Stato, al seguito di una interlocuzione con l’ente in liquidazione e col ministero. Garofoli è il capo di Gabinetto di Tria, lo era anche di Padoan e prima ancora di Patroni Griffi. Ma è stato anche segretario della presidenza del Consiglio con Enrico Letta, prima ancora capo del legislativo con D’Alema e Prodi. Inutile bussare alla sua porta per dettagli, non risponde. “Di quell’articolo non so nulla”, taglia corto il commissario Ravaioli che, a precisa richiesta, non fa nomi, ma a sua volta chiama in causa il Ragioniere dello Stato e il ministero della Salute. Prevedendo poi la bufera, precisa: “Io sono un tecnico, mi attengo alle opzioni politiche che stanno in capo al ministro”.
Nella serata di ieri il Mef ha poi inviato una nota tecnica per spiegare la genesi della norma e rivendicarne la bontà (scarica). Sarebbe legata alle perplessità sulla possibilità di finanziare (con il decreto di metà settembre) alcune voci di costo della gestione liquidatoria, diverse e aggiuntive rispetto al costo del trattamento del personale funzionale alla liquidazione richieste dall’ente. Perplessità comunicate al Ministero della Salute ma non raccolte, che vengono ripresentate e sciolte ora con un finanziamento che in parte compensa anche il fatto che i 15,2 milioni di euro appena conferiti all’ente commissariale non comprendono l’importo di circa 7 milioni di euro che l’ente valuta di dover pagare nel 2018 a titolo di trattamento di fine rapporto.
Sia come sia la “manina” resterà ufficialmente ignota, e il testo non passerà. Conte in persona, stando a chi c’era, l’avrebbe giudicato  estraneo al decreto per materia e scritto in modo da non diradare del tutto il sospetto che risorse stanziate per servizi finiscano a coprire altre spese. Così, è arrivato l’aut-aut: o mi sapete indicare esattamente a quale urgenza risponde, come e perché o questa cosa non passa. E così è stato, ma per fermarla c’è voluto l’intervento diretto del Presidente del Consiglio. Perché la guerra di potere, ormai, si combatte ai più alti livelli.
Fonte: ilfattoquotidiano del 16/10/2018