sabato 20 ottobre 2018

Termini Imerese, i nodi vengono al pettine: la procura apre un’inchiesta su 21 milioni pubblici svaniti nel nulla. - F. Capozzi e G. Scacciavillani

Termini Imerese, i nodi vengono al pettine: la procura apre un’inchiesta su 21 milioni pubblici svaniti nel nulla

I fondi pubblici erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l'impianto che l’attuale Fca ha fermato nel dicembre 2011. Tutte le lungaggini delle verifiche sul loro utilizzo.

La Procura di Termini Imerese ha aperto un’inchiesta sulla Blutec, la società che ha rilevato l’ex stabilimento siciliano della Fiat. In fabbrica è arrivato il nucleo di polizia economico-finanziaria per sequestrare documenti e file utili alle indagini sull’azienda che fa capo a Roberto Ginatta, buon amico e socio in affari di Andrea Agnelli. Obiettivo del procuratore Ambrogio Cartosio è far luce sull’utilizzazione del finanziamento pubblico da circa 21 milioni di fondi regionali vincolati a precisi investimenti industriali mai realizzati come aveva raccontato a gennaio ilfattoquotidiano.it.
I fondi pubblici erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l’impianto che l’attuale Fca ha fermato nel dicembre 2011. Blutec se li era aggiudicati dopo che gli altri pretendenti alla successione di Fca erano caduti uno via l’altro in scia alle inchieste giudiziarie. E con l’impegno di riaprire l’impianto riassorbendo una parte del personale della fabbrica anche grazie alle commesse per produrre settemila motocicli elettrici di Poste Italiane e per elettrificare 7200 Doblò Fca in quattro anni. L’azienda aveva infatti presentato un piano di rilancio che prevedeva di reintegrare l’intera forza lavoro (694 persone) dell’impianto entro la fine di quest’anno, riportando in fabbrica 400 lavoratori già nel 2017.
In realtà poi le cose sono andate diversamente. Dopo aver incassato i soldi pubblici, Blutec ha fatto i conti con la realtà e si è progressivamente rimangiata buona parte delle promesse fatte mandando avanti a singhiozzo il piano per assumere il personale e rilanciare il sito industriale. Della questione era ben cosciente il ministero dello Sviluppo economico che, ai tempi dell’ex ministro Carlo Calenda che pure aveva ereditato lo spinoso caso dalle passate gestioni, aveva scelto di fare buon viso a cattivo gioco rimandando il caso Termini Imerese a dopo il voto e passando così la patata bollente al governo gialloverde. A metà luglio 2018, in un incontro al ministero dello Sviluppo economico, ormai sotto la guida del vicepremier, Luigi Di Maio, Blutec riferiva che i lavoratori occupati erano solo 135, alle quali si sarebbero aggiunte “con la commessa dei 6800 Doblò di FCA, altre 120 persone nei prossimi tre anni”, come si legge nel verbale della riunione ministeriale. “La piena occupazione verrà quindi assicurata solo nel momento in cui gli accordi commerciali citati avranno concreta realizzazione”, prosegue il documento. Intese che non sono ancora state formalizzate né da parte di Fca, né tanto meno di Poste che, già in passato, ha manifestato l’intenzione di procedere ad una gara per l’assegnazione della commessa sui motocicli elettrici.
Nonostante le proteste del sindaco di Termini Imerese, Francesco Giunta, e dei sindacati, preoccupati dall’imminente scadenza a dicembre degli ammortizzatori sociali il cui rinnovo è scomparso dal decreto fiscale, Invitalia si è mossa con estrema lentezza. I segnali c’erano tutti da mesi, eppure è stato soltanto nell’aprile scorso l’advisor del ministero ha inviato a Blutec una contestazione sulla rendicontazione chiedendo di far luce sull’uso del denaro pubblico. Non avendo ricevuto alcuna informativa, a quasi due anni dall’assegnazione dei fondi regionali, la società guidata da Domenico Arcuri aveva successivamente provveduto a chiedere la restituzione dei fondi. Ironia vuole che proprio nel giorno della notizia dell’inchiesta il manager pubblico, dal palco del Convegno dei Giovani di Confindustria lanci un appello a “portare tutti insieme il Paese fuori dalla tempesta, stando un po’ meno connessi, frequentando più i libri e creando lavoro vero“, sottolineando che “quando lo Stato si è impegnato ed ha fatto il suo dovere, ha raggiunto i risultati”.

Dal canto suo Blutec, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it fin da gennaio si era trincerata dietro il silenzio. Ma poi, nel verbale dell’incontro al ministero datato 18 luglio 2018, si legge che “i rappresentanti dell’azienda hanno comunicato che l’accordo tecnico-legale di restituzione del finanziamento ricevuto da Invitalia, verrà firmato entro luglio 2018”. L’accordo però non è arrivato. E, incredibilmente, nell’ultimo incontro al Mise, datato 4 ottobre, Invitalia ha spiegato “che è stata raggiunta una intesa con l’azienda per restituire la somma di 21 milioni di euro circa”, ma “si attende di completare l’iter autorizzativo del Ministero”. E ha poi aggiunto che “senza questa autorizzazione non è possibile completare l’iter già avviato per il nuovo contratto di sviluppo ed il finanziamento del nuovo Piano industriale”, come si legge nel verbale del ministero.
Nella stessa occasione, il sindacato aveva “lamentato che ad oggi non c’è coincidenza tra il piano di rioccupazione e la realtà”. Inoltre ha chiesto al governo di “verificare che siano stati rispettati gli impegni presi in precedenza con FCA” e di “identificare nuovi investitori industriali che possano realizzare il piano di rioccupazione di tutti i lavoratori Blutec. Del resto, come ha evidenziato, Giampietro Castano, responsabile dell’Unità di gestione vertenze del Mise, “il governo, avendo deciso dieci anni fa di assumere la responsabilità della reindustrializzazione del sito di Termini Imerese e della tutela dei lavoratori interessati, ha dirette responsabilità che non possono essere dimenticate”.Responsabilità politiche presenti e passate nel fallimento di un progetto adeguato per la riconversione di Termini Imerese di cui si discuterà al ministero in un nuovo incontro che si terrà entro fine novembre. Alla Procura toccherà intanto appurare che fine hanno fatto i soldi pubblici intascati da Blutec e di cui Invitalia ha tardivamente richiesto la restituzione.
Fonte: ilfattoquotidiano del 19/10/2018

Quando un matematico parla di economia … e se l’aumento dello spread fosse un bene? - Massimo Bordin



Quando un filosofo parla di economia, l’antagonista “tipico” oppone il fatto che egli non ha studiato alla facoltà di economia e che quindi deve tacere. Spesso – anzi … SEMPRE – il suddetto antagonista si ispira alle teorie politiche di Adam Smith, un dotto che aveva studiato invece proprio filosofia e non certo l’apparato riproduttivo dei molluschi lamellibranchi bivalvi. Non solo: egli dimentica che financo la parola «economia» l’ha coniata Aristotele. Ma tant’è, con i talebani occorre avere pazienza e bombardarli, come ci ha insegnato lo Zio Sam.
Allora, per una volta, sentiamo cosa dice un matematico, visto che la matematica è una scienza esatta e bla bla bla. Tra l’altro, il matematico che vogliamo portare alla vostra attenzione è Beppe Scienza, il cui cognome, persino, non dovrebbe lasciar spazio a dubbi.
«Finalmente lo spread è risalito – scrive il porfessore torinese dalle pagine del Fatto Quotidiano – raddrizzando alcune storture. Non ci allineeremo infatti allo stucchevole patriottismo dei vari sedicenti esperti, che alzano alti lai tutte le volte che esso sale ed emettono squittii di gioia quando scende.
Ha infatti anche aspetti positivi il recente aumento, poi ridimensionatosi, di quello che in Italia è ormai lo spread per antonomasia, cioè il divario fra il rendimento dei titoli di Stato italiani e tedeschi, in particolare per quelli decennali».
Eeeeh? Cosa ha detto costui? Avete capito bene, lo spread alto ha anche effetti positivi, soprattutto per i risparmiatori. Pochi hanno infatti capito che le obbligazioni pubbliche, un tempo, non avevano solo lo scopo di finanziare lo Stato e regolare il tasso di interesse interbancario, ma anche di favorire il risparmio privato dei cittadini, consentendo di tenere a freno l’inflazione e, spesso, di batterla. Con rendimenti a ZERO, che senso aveva comprare btp? Forse a fini speculativi, certo, ma in tal caso il rischio era fuori controllo e la compravendita di obbligazioni prima delle scadenze non mette a proprio agio il classico padre di famiglia.
Perchè, dunque, gli italiani (privati) hanno smesso di comprare i btp?
1) non rendevano niente, cioè non staccavano cedole degne di questo nome
2) in banca non le consigliano ai clienti, perchè l’intermediario non ci guadagna così tanto come con i fondi.
Ora, con lo spread attorno a quota 300, il risparmiatore può attendersi cedole dignitose, in astratto oltre il 3 per cento, pur tenendo conto delle diverse scadenze. Inoltre, con una risalita dello spread vi è l’aumento, a esso collegato, anche dei rendimenti dei BTP Italia, cioè di strumenti finanziari legati all’inflazione e che in linea di principio rientrano fra gli impieghi più adatti per i risparmi del proverbiale buon padre di famiglia.
Beppe Scienza propone a questo proposito un esempio illuminante:
«i Btp Italia novembre 2023 (codice Isin IT0005312142), sono scesi dai 102 euro di aprile agli attuali 95 euro e così ora offrono un rendimento a scadenza lordo pari all’inflazione maggiorata di un 1,2% annuo. Non è moltissimo, ma certo meglio di quando tale maggiorazione era intorno allo zero: si otteneva cioè l’inflazione italiana e nulla più. Anche a tal riguardo la risalita dello spread ha migliorato le cose. Non si dimentichi però che con tutti i Btp, Cct ecc. c’è sempre il rischio di un calo (o crollo) della loro quotazione, se gli umori del mercato peggiorano (o precipitano).
Altra conseguenza seppure indiretta della salita dello spread, un ritocco all’insù dei tassi dei buoni fruttiferi postali giusto venerdì scorso».
Fonte: micidial del 18/10/2018

venerdì 19 ottobre 2018

Roma, evasione fiscale da oltre 140 milioni: arrestato imprenditore.

Roma, evasione fiscale da oltre 140 milioni: arrestato imprenditore

Gianluca De Cubellis, 43 anni, era lʼamministratore di fatto di più di 20 società.


Come amministratore di fatto di oltre 20 società che operavano in diversi settori, ha evaso tasse e imposte per oltre 140 milioni di euro. E' l'accusa nei confronti di Gianluca De Cubellis, un imprenditore romano di 44 anni arrestato dalla guardia di finanza per una serie di frodi fiscali, truffe ai danni dello Stato e falso in bilancio. Nel maggio 2017 l'uomo era già stato colpito da un sequestro per oltre 80 milioni.

Questa somma (80 milioni di euro) corrispondeva ai profitti derivanti dalla commissione di plurimi reati tributari, riciclaggio, autoriciclaggio e truffa.

De Cubellis ha continuato a lavorare utilizzando come schermo una società intestata ad un prestanome e sottraendo al fisco ulteriori 60 milioni. La società, che nel tempo ha operato in vari comparti (in prevalenza commercio di prodotti elettronici, informatici e petroliferi), attraverso l'emissione di fatture fittizie e la simulazione di esportazioni mai avvenute, ha indebitamente fruito di crediti Iva inesistenti per compensare oltre 5 milioni di debiti tributari ed evadere, complessivamente, imposte.

Il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di De Cubellis, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e del divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali per un anno.

Fonte: tgcom24.mediaset del 19/10/2018

MANONA E CONDONONE - Marco Travaglio

Risultati immagini per imbroglioni

Quando due partiti governano insieme, per un’alleanza politica o per un “contratto” di programma, devono potersi fidare l’uno dell’altro.
Se cercano di fregarsi a vicenda, non vanno lontano e a rimetterci non sono soltanto loro, ma i cittadini.
Finora l’accordo fra due soggetti umanamente e politicamente diversissimi come Di Maio e Salvini, era parso forte e solido, anche per via di un buon rapporto personale e “generazionale”. “Salvini è di parola”, aveva detto Di Maio (e anche Grillo) dopo l’elezione dei presidenti delle Camere e ben prima del governo. “Di Maio è l’alleato ideale, governeremo 5 anni”, aveva ripetuto Salvini. Anche se entrambi sapevano che la loro non è un’alleanza strategica, ma una convivenza obbligata dalla totale assenza di alternative.
Ieri, all’improvviso, s’è scoperto che le cose non stanno così.
Le due versioni opposte e inconciliabili sulla manina tecnica o manona politica che ha infilato nella manovra 3 norme scandalose (depenalizzazione del riciclaggio e della frode, scudo fiscale per capitali all’estero, tetto di 100 mila euro annui moltiplicato per ogni imposta evasa) per trasformare il condonino in condonone, mandano in frantumi non tanto l’identità di vedute fra 5Stelle e Lega, che sulla sanatoria fiscale non c’è mai stata (i 5Stelle, se governassero da soli o con altri alleati, non la farebbero mai) quanto su quel minimo sindacale di lealtà che è necessario per governare insieme.
Il procedimento legislativo italiano, non da oggi, è farraginoso ai limiti del demenziale, e se qualcuno vuole fregare qualcun altro ha mille spazi e occasioni per farlo. Fabrizio d’Esposito racconta tutte le volte in cui singoli ministri o interi governi finirono gabbati da norme sbucate dal nulla e rimaste figlie di padre ignoto. O di padre noto, come il decreto Biondi imposto nel ’94 da B. ai riottosi Bossi e Fini per salvare i tangentari (anche di casa sua) e i mafiosi. Un caso molto simile al condonone voluto dalla Lega e messo nero su bianco dai tecnici del Tesoro all’insaputa del M5S. Ma con una differenza fondamentale.
Il 13 luglio ’94 il decreto Salvaladri fu discusso nei dettagli in Consiglio dei ministri, dove Maroni disse di aver chiesto al Guardasigilli Biondi se sarebbero stati scarcerati indagati di Tangentopoli e di averlo votato solo dinanzi alla sua risposta negativa. Poi, quando uscirono centinaia di tangentisti, se ne dissociò e, con Bossi e Fini, costrinse B. a ritirarlo. 

Il 15 ottobre 2018 il Cdm, iniziato alle 19,31 (con due ore di ritardo e con la fretta di dover chiudere tutto entro la mezzanotte), non doveva approvare un decreto di pochi articoli.
Ma l’intera manovra, una legge lunga chilometri. E i ministri l’hanno approvata senza tornare sui singoli dettagli tecnici, già concordati nei giorni precedenti in vari incontri politici fra gli sherpa, i ministri e i sottosegretari giallo-verdi, l’ultimo dei quali si era svolto dalle 15 alle 19 e aveva affrontato proprio i temi del condono. Lì i 5Stelle avevano ribadito la linea Maginot del contratto di governo: “pace fiscale” fino a 100 mila euro annui per chi ha dichiarato i suoi redditi ma non ha potuto pagare l’imposta negli anni della crisi; niente scudi fiscali, né sanatorie penali, né sforamenti della soglia. A quel punto i tecnici del Mef, incaricati di mettere in bella copia il contenuto dell’accordo politico, hanno prima prodotto un foglietto sintetico, poi una bozza “ufficiosa” che hanno girato all’ufficio legislativo del Quirinale per un’analisi preliminare. Ora i leghisti parlano di “testo approvato anche dai 5Stelle”, che non l’avrebbero letto (o capito) e Repubblica s’inventa che “Di Maio e i grillini non si sono accorti di aver firmato un condono”. La verità è che nessuno ha firmato niente e dal Cdm non è uscito alcun “testo” della manovra, a parte appunto foglietti volanti che dovevano recepire l’accordo politico stipulato nel vertice di 4 ore, in attesa della stesura definitiva dell’articolato. È qui che il condonino è diventato condonone, in cui i tecnici – non si sa se per fare un regalo alla Lega, o per fare uno sgambetto al M5S, o su input diretto di qualche ministro o sottosegretario leghista – hanno inserito le norme chieste dal Carroccio, bocciate dal M5S e infine cancellate con l’accordo verbale di entrambi gli alleati.
Chi ha giocato sporco fino a un attimo prima che la bozza giungesse al Quirinale, al momento non si sa. Si sa soltanto che Tria dava per scontato un condono “small” modello 5Stelle, altrimenti avrebbe previsto un gettito di miliardi, non di appena 180 milioni (compatibile solo col condonino). L’altro ieri i tecnici del Colle hanno cassato la sanatoria penale e restituito la bozza corretta al governo. E quella provvidenziale cancellatura ha aperto gli occhi a Di Maio. Il quale, fidandosi degli alleati, era rimasto all’accordo politico di lunedì con la Lega, poi avallato da tutto il Cdm. Invece ha scoperto il raggiro, fortunatamente in tempo per rimediare: senza il veto quirinalizio, per come vanno le cose nell’iter legislativo all’italiana, a quest’ora il condonone poteva essere già stato firmato da Mattarella e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per la gioia di grandi evasori, frodatori, riciclatori e mafiosi, e dei loro protettori politici. Che un tempo sedevano in FI e in qualche anfratto del centrosinistra, ma ora han trovato usbergo nella Lega pigliatutto. Quella Lega che, mandante o beneficiaria che sia della truffa, ora rivendica spudoratamente tutte le norme contestate, tradendo il contratto di governo, l’accordo politico di lunedì e persino le censure del Colle. Si spera che il premier Conte, a norma di contratto, cancelli le 3 norme della vergogna. Se poi la Lega le preferirà alla sopravvivenza del governo e lo farà cadere, i cittadini onesti sapranno da che parte stare.


Fonte: ilfattoquotidiano del 19/10/2018

Concorsi truccati, generale Luigi Masiello agli arresti domiciliari.



Sono 15 le misure cautelari notificate dagli uomini delle Fiamme Gialle di Napoli, tra queste quella per il generale, oggi in pensione, titolare di una scuola di formazione.

Concorsi truccati per entrare nelle forze di polizia, questa l'ipotesi mossa dalla procura. Tra gli indagati spicca il nome di Luigi Masiello generale dell'esercito, oggi in pensione. Gli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Napoli hanno eseguito 15 misure cautelari, una delle quali in carcere. L'operazione nasce da un'indagine sui concorsi truccati per il Volontario in Ferma Prefissata di 4 anni (VFP4) che consentono di accedere alle forze armate e di polizia. Tra i destinatari delle misure cautelari, ai domiciliari, figura anche Masiello, titolare di una scuola di formazione coinvolta nell'inchiesta.

L'ex generale, nel 2016, decise di scendere in campo per supportare la coalizione di centrosinistra, capeggiata da Valeria Valente, con la lista 'Napoli Popolare'. Prese 323 preferenze senza risultare eletto. 

Il momento della notifica a Masiello.

Quando i finanzieri sono arrivati presso l'abitazione di Masiello, nel quartiere Vomero di Napoli, per notificare all'ex generale dell'esercito la misura cautelare degli arresti domiciliari, l'uomo ha lanciato il proprio cellulare dalla finestra. Per gli inquirenti si sarebbe trattato di un tentativo di nascondere le prove. Masiello risulta coinvolto in una indagine sui concorsi truccati per accedere alle forze armate e dell'ordine. I militari sono comunque riusciti a recuperare il telefono.

Masiello sospeso dall'Ordine dei giornalisti.
È arrivata anche la sospensione dall’Ordine dei giornalisti per Luigi Masiello. Il presidente dell’Ordine della Campania, Ottavio Lucarelli, ha sospeso ad horas dall’Albo il generale dell’Esercito, ora in pensione, che è anche un giornalista pubblicista.

Fonte: tg24.sky del 17/10/2018

Caos condono, cosa c'è nel testo 'manipolato'.

Caos condono, cosa c'è nel testo 'manipolato'


Tetto dell'imponibile più alto, sanatoria dell'Iva e colpo di spugna su reati tributari e penali. Sono alcuni dei punti che sarebbero stati inseriti nella bozza del decreto fiscale collegato alla manovra, finito al centro delle polemiche dopo le accuse di manipolazione da parte di Luigi Di Maio
Un testo ritoccato da una 'manina', stando alle dichiarazioni del vicepremier, dove il condono si allarga fino a diventare 'tombale'. Non solo Irpef, Irap e contributi previdenziali, ma anche Iva e attività detenute all'estero. 
Il tetto di 100 mila dell'imponibile, da complessivo, si sposta su ogni singola imposta, mentre spunta uno scudo penale relativo a dichiarazione fraudolenta e riciclaggio di denaro.

TETTO IMPONIBILE - Nella bozza del dl fiscale, che secondo il vicepremier sarebbe stata 'manomessa', il tetto massimo di 100 mila euro dell'imponibile viene alzato in quanto non riferito all'intera somma delle imposte condonate ma alla singola imposta con conseguente effetto moltiplicativo. Nella bozza del decreto fiscale collegato alla manovra, infatti, si legge che ''l'integrazione degli imponibili è ammessa nel limite massimo di 100.000 euro per singola imposta e per periodo d'imposta''. In questo modo, ovvero applicando il tetto di 100mila euro per ogni singola imposta, cioè 5, e per ogni anno d'imposta, per un totale di 5 anni, si arriverebbe ad un totale di 2,5 milioni di euro.

SANATORIA ESTESA - La bozza del decreto prevede una sanatoria estesa ai contributi previdenziali, alle imposte sostitutive e anche all'Iva. In particolare, sul massimo imponibile ''si applica, senza sanzioni, interessi o altri oneri accessori un'imposta sostitutiva del 20% ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dei contributi previdenziali, dell'imposta sul valore degli immobili all'estero, dell'imposta sul valore delle attività finanziarie all'estero e dell'imposta regionale sulle attività produttive".
Per quanto riguarda l'Iva la sanatoria è possibile pagando un'aliquota media, altrimenti quella ordinaria del 22%. In un paragrafo del dl infatti si spiega che sull'Iva sarà applicata ''l'aliquota media per l'imposta sul valore aggiunto, risultante dal rapporto tra l'imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d'affari dichiarato, tenendo conto dell'esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali. Nei casi in cui non è possibile determinare l'aliquota media, si applica l'aliquota ordinaria'', ovvero il 22%.

SCUDO PENALE - Nella bozza del decreto è inoltre stato inserito uno scudo penale. Nel testo infatti si specifica che non sono puniti i reati relativi a: 
  • dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; 
  • dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; 
  • dichiarazione infedele; 
  • omesso versamento di ritenute dovute o certificate; 
  • omesso versamento di Iva. 

Per questi casi viene esclusa anche la punibilità delle condotte relative al riciclaggio e dell'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita se riferite ai reati precedenti.

Fonte: adnkronos del 18/10/2018

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La subdola tattica di infilare all'ultimo momento leggine pro domo sua è un modus operandi ormai consolidato dai nostri, ahimè, rappresentanti in parlamento, non è una novità e Salvini, degno emulo dei suoi mentori, la conosce bene e la usa all'occorrenza. Oltretutto, deve pure tenersi caro il suo alleato alle elezioni, quel tale Berlusca condannato in via definitiva, guarda caso, proprio per reati fiscali contro lo Stato.
Cetta.

giovedì 18 ottobre 2018

Agenzia delle Entrate, 562 dipendenti accusati di manipolazione dei dati. - Ivan Cimmarusti

Risultati immagini per agenzia delle entrate
Nel 2017 sono finiti sotto procedimento 562 dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, per accuse che vanno dalla corruzione all’accesso abusivo al sistema informatico. Funzionari che offrivano «accessi alla documentazione, fornendo - dietro adeguato compenso - ausilio a imprenditori e soggetti che si rivolgevano loro per ottenere la verifica degli estratti ruolo, la rateizzazione di cartelle esattoriali senza averne i requisiti» e tanto altro.
Particolari contenuti nelle relazioni investigative e che ricalcano i fatti contestati a un dipendente dell’Agenzia, arrestato per essere stato corrotto da un commercialista.
I dati: 455 indagati e 107 condannati.
Stando ai dati forniti dalla stessa Agenzia delle Entrate, al 31 dicembre 2017 sono finiti sotto inchiesta 455 dipendenti, mentre in 107 sono stati condannati.
TOTALE DIPENDENTI CON PROCEDIMENTI PENALI IN CORSO E CON CONDANNE NON PASSATE IN GIUDICATO.
 
Dati al 31/12/2017
PRINCIPALI TIPOLOGIE DI REATO.
I reati contestati riguardano proprio forme di corruzione e di accesso abusivo ai sistemi informatici. Questo perché dietro adeguata “remunerazione” sarebbe stato possibile manipolare i dati dei contribuenti che intendevano pagare meno tasse e ottenere particolari sgravi.
Le 2.278 pratiche modificate.
Indagando su questi fronti, la Procura di Roma ha arresto un dipendente dell’Agenzia Roma 2. Bastava una tangente e le tasse erano facilmente aggirabili. Debiti fiscali, liste di controlli preventivi e operazioni correttive erano manipolabili attraverso il sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate. 
L’innesto del procedimento è un whistleblower (disciplinato dall'articolo 1 comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190), ossia un dipendente dell’Agenzia che ha denunciato un suo collega, colto in flagrante a contare i soldi di una tangente in un bar. I pm hanno ottenuto l’arresto di Orazio Orrei, funzionario accusato di essere stato corrotto da Maurizio Sinigagliesi, commercialista romano. Gli accertamenti - supportati anche da verifiche svolte dall’Agenzia tramite audit - hanno confermato l’attività illecita del dipendente: in pochi i giorni,
dal primo dicembre del 2015 al 17 febbraio del 2016, il funzionario ha alterato dati fiscali per oltre 2.278 pratiche per fare ottenere ai clienti del commercialista una diminuzione dell’importo dell’imposta dovuta.
L’alterazione dei dati fiscali.
Gli inquirenti hanno scoperto che avrebbe ottenuto il denaro per «alterare i dati fiscali di numerosi contribuenti, in modo da ridurne i debiti erariali; trasmettere con ritardo le dichiarazioni presentate dai contribuenti in cartaceo presso l’ufficio territoriale, in modo da impedire tanto la liquidazione automatizzata quanto il successivo contro formale». Inoltre i magistrati ritengono che abbia garantito «l’inserimento di alcune dichiarazioni nelle liste di controlli preventivi – c.d. “preruoli”, nelle quali confluiscono le dichiarazioni tardive (pervenute oltre 90 giorni dopo la scadenza) per verificare se queste siano state effettivamente presentate con ritardo dal contribuente ovvero se siano state tempestivamente presentate, ma trasmesse in ritardo dall’ufficio – acquisendo al contempo numeri di protocollo idonei a dimostrare (falsamente) la presentazione all’ufficio di una dichiarazione cartacea tempestiva. In tal modo, Orrei impediva la liquidazione manuale dell’imposta nonché gli accertamenti automatici».
Fonte: ilsole24ore del 18/10/2018