mercoledì 20 marzo 2019

L'Espresso: Zingaretti indagato per finanziamento illecito.




'Fiducia nella giustizia, M5S non mi fa paura'.


Nicola Zingaretti sarebbe indagato dalle procure di Roma e Messina per finanziamento illecito, come riporta il settimanale L'espresso on line. E' quanto risulta dalle dichiarazioni fatte dagli avvocati siciliani Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 per corruzione in atti giudiziari e che un mese fa hanno patteggiato 3 e 2,9 anni a testa. L'Espresso ha letto gli interrogatori inediti dei due legali in cui descrivono ai pm il loro modus operandi, facendo nomi e circostanze di altri big della magistratura e della politica. Sott'inchiesta ci sarebbe anche Silvio Berlusconi, per corruzione in atti giudiziari su una sentenza dei giudici del Consiglio di Stato che, secondo l'accusa, gli consentì di non cedere parte del pacchetto azionario di Mediolanum, come aveva invece stabilito la Banca d'Italia.

Per quanto riguarda Zingaretti l'inchiesta è portata avanti dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Stefano Fava e prende spunto dalle dichiarazioni di Calafiore. Il governatore è stato citato dal socio di Amara in un interrogatorio dello scorso luglio, su alcune domande dei pm su Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone che, diventato imprenditore, era in affari con l'Amara e in buoni rapporti con Zingaretti. Inoltre, era sicuro di non essere arrestato grazie a erogazioni fatte per favorire l'attività politica di Zingaretti. Come risulta dai verbali, i pm chiedono a Calafiore se si tratti di erogazioni lecite e l'avvocato risponde: Assolutamente no, per quanto egli mi diceva. Non so con chi trattava tali erogazioni. Lui mi parlava solo di erogazioni verso Zingaretti. Mi disse che non aveva problemi sulla Regione Lazio perché Zingaretti era a sua disposizione. Me lo ha detto più volte, prima della perquisizione. Finora prove di presunte erogazioni non sono state trovate.

 "In merito all'articolo dell'Espresso sulla mia iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma per un presunto finanziamento illecito, voglio affermare di essere estremamente tranquillo perché forte della certezza della mia totale estraneità ai fatti che, peraltro, sono stati riferiti come meri pettegolezzi 'de relato' e senza alcun riscontro, come affermato dallo stesso articolo del settimanale", afferma Nicola Zingaretti, che esprime fiducia nella giustizia e non si farà "intimidire dalle bassezze del M5S".  


http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/03/19/lespresso-zingaretti-indagato-per-finanziamento-illecito_64762dfb-2cfb-45da-bb0c-4f73a29c4935.html

Sarà per questo che il Franco CFA non può essere neanche nominato? - Thomas Fazi

Sarà per questo che il Franco CFA non può essere neanche nominato?

«Secondo i sostenitori del franco CFA, un regime di cambio fisso permette di importare “credibilità”, di combattere efficacemente l’inflazione, vale a dire un aumento permanente dei prezzi, e di facilitare gli scambi. C’è del vero in questo. Ma i costi economici di un tale sistema sono spesso trascurati. È assodato che un regime di cambio fisso determina tendenzialmente un livello di inflazione poco elevato. Viceversa, un regime di cambio flessibile provoca un po più di inflazione, ma favorisce una maggiore stabilità dell’attività economica: ha una funzione di ammortizzazione che rende possibile reagire agli shock e ridurre significativamente la volatilità (le variazioni) della produzione e dell’occupazione, cosa che invece non consente un regime di cambio fisso18.
Le statistiche dell'FMI sembrano suggerire che un tasso di cambio fisso non sia necessariamente una buona opzione per i paesi africani: dal 2000, i paesi dell’Africa subsahariana che operano in un regime di cambio fisso hanno registrato una crescita economica dall’1 ai 2 punti inferiore rispetto ai paesi con un tasso di cambio flessibile. Questo scarto è dovuto in particolare «alla minore crescita dei paesi membri della zona del franco», afferma il Fondo Monetario
«Se un piccolo paese fissa unilateralmente la propria valuta a un vicino più grande, in realtà sta trasferendo la propria sovranità in termini di politica economica a quel vicino più grande», disse il vincitore del premio Nobel Robert Mundell.
«Questo paese perde la propria sovranità perché non controlla più il proprio destino monetario; il paese più grande, invece, guadagna sovranità perché gestisce un’area valutaria più ampia e guadagna un maggiore “peso” nel sistema monetario internazionale». Nel caso della zona del franco, questa realtà significa che alcuni dei paesi più poveri del mondo, come il Niger e la Repubblica Centrafricana, hanno subìto delle politiche monetarie basate sulle esigenze dell’economia francese prima e della zona euro poi. Significa anche che i quindici paesi membri della zona del franco, presi individualmente, non hanno la possibilità di utilizzare il tasso di cambio per ammortizzare gli shock.
E questo in un continente in cui gli shock – politici (colpi di Stato, guerre, tensioni sociali, ecc.), climatici (variazioni pluviometriche, siccità, inondazioni, ecc.) ed economici (volatilità dei prezzi dei prodotti primari, dei tassi di interesse del debito estero, dei flussi di capitale, ecc.) – sono all’ordine del giorno. Per far fronte a degli shock avversi, dunque, i paesi del franco hanno un’unica soluzione, in assenza di trasferimenti di bilancio: la “svalutazione interna”, cioè un adeguamento dei prezzi interni che passa per riduzione dei redditi da lavoro e della spesa pubblica, l’aumento delle imposte e infine il declino dell’attività economica».

Mi ricorda qualcosa ma non saprei dire cosa.

martedì 19 marzo 2019

Viaggi interstellari “possibili” sfruttando due buchi neri e un raggio laser. - Andrea Centini

Credit: ESA advanced concepts team; S. Brunier /ESO

L’astrofisico David Kipping dell’Università Columbia di New York ha calcolato che è possibile far viaggiare un’astronave tra le stelle sfruttando un raggio laser alimentato dalla forza gravitazionale di due buchi neri. Il laser trasferirebbe l’energia accumulata alla vela della navicella, spingendola quasi alla velocità della luce.

Viaggiare tra le stelle sfruttando l'attrazione gravitazionale di una coppia di buchi neri e un raggio laser, che potrebbe spingere a velocità prossime a quella della luce (relativistiche) la vela di un'astronave avanzatissima. Non è la trama di un nuovo film di fantascienza, ma la teoria di un astrofisico dell'Università Columbia di New York, il professor David Kipping, secondo il quale una civiltà extraterrestre sufficientemente avanzata potrebbe essere in grado di spostarsi rapidamente da una parte all'altra dell'Universo proprio grazie a questa tecnologia. Anche se è al limite del suicidio, perché sebbene sulla carta funzioni, bisogna comunque avvicinarsi moltissimo a un buco nero, col rischio di essere fatti a pezzi dalla sua immensa forza gravitazionale. Insomma, serve anche una precisione estrema per evitare disastri.

Fionda gravitazionale. Le basi del viaggio interstellare ideato dal professor Kipping affondano le radici in pratiche ben collaudate e in altre teorie fisiche molto promettenti. Tutto ruota attorno al concetto della cosiddetta fionda gravitazionale, una tecnica già utilizzata con successo per le attuali missioni robotiche. Le sonde, infatti, vengono spinte a grandissima velocità verso gli obiettivi (fondamentalmente oggetti del Sistema solare) sfruttando il movimento e la forza di gravità dei pianeti, cui orbitano attorno prima di essere “fiondate”. La sonda OSIRIS-Rex della NASA, ad esempio, recentemente ha utilizzato proprio la Terra per lanciarsi a tutta velocità verso l'asteroide Bennu. È una tecnica estremamente efficiente che fa risparmiare tantissimo carburante.

Al limite della fantascienza. Nel caso della tecnologia teorizzata dal professor Kipping, la fionda gravitazionale sarebbe garantita da un sistema di due buchi neri, che tuttavia verrebbero sfruttati ‘solo' per potenziare un raggio laser inviato dalla navicella impegnata nel viaggio interstellare. I fotoni “sparati” dalla navicella, infatti, rimbalzando da un buco nero all'altro verrebbero caricati di energia, che a sua volta sarebbe trasferita come energia cinetica per spingere la vela dell'astronave. La tecnica chiamata Halo Drive è molto simile a quella progettata da Stephen Hawking per mandare su Proxima Centauri delle minuscole navicelle dotate di vele, la stella più vicina alla Terra (a 4 anni luce). Al momento non disponiamo di una tecnologia in grado di sostenere l'idea di Kipping, ma sulla carta “funziona” e forse in un lontano futuro riusciremo a governarla. I dettagli sulla teoria dell'astrofisico americano sono stati pubblicati su arXiv.

https://scienze.fanpage.it/viaggi-interstellari-possibili-sfruttando-due-buchi-neri-e-un-raggio-laser-lo-studio/

"Benedetto autismo", il grande affare delle coop sociali gestito dall'ex deputato arrestato per mafia. - Marco Bova

"Benedetto autismo", il grande affare delle coop sociali gestito dall'ex deputato arrestato per mafia

Dall'inchiesta su Paolo Ruggirello salta fuori il business delle cooperative riconducibili all'ex parlamentare del Pd. Che garantivano soldi grazie alle buone relazioni con gli uffici della Regione. E lui al telefono diceva: "Benedetto autismo".

Ogni vulnerabilità era pronta a diventare un business. Dalle procedure per l’accreditamento, all’affitto dei locali fino alle assunzioni. A creare e tenere in vita i progetti delle coop era Paolo Ruggirello, l’ex deputato all’Ars arrestato martedì dai carabinieri nell’ambito del blitz “Scrigno”. Con lui sono finiti in carcere altre ventiquattro persone, tra cui i fratelli Francesco e Pietro Virga (figli del capomafia Vincenzo, in carcere dal 2001) ritenuti a capo della famiglia di Trapani e il loro luogotenente Franco Orlando ma i boss nei progetti sanitari non c’entrano nulla.


Ruggirello faceva tutto da solo, con l’aiuto di medici, funzionari e dirigenti delle Asp, delle Asl, della Regione, dei comuni e contattando perfino l’allora assessore alla Sanità Gucciardi. C’era Ruggirello alle spalle della “Serenità società cooperativa sociale onlus”, impegnata nel settore dell’assistenza sociale residenziale e di fatto gestita da Stefania Mistretta, psicoterapeuta legata sentimentalmente a Ruggirello. Il politico si era occupato “dell’accreditamento” utile alla concessione dei fondi pubblici ma era pronto a creare una società per investire sul «benedetto autismo», così diceva intercettato al telefono. La patologia era finita al centro di uno dei progetti della coop, un “Centro per l’autismo” attivato a Marsala, in contrada Strasatti.

Lui si occupava di tutto e quando le pratiche non andavano avanti alzava la cornetta e tutto si sbloccava. «Amici miei che si sono aggiudicati una gara riguardante il sociale stanno avendo dei problemi», diceva Ruggirello al sindaco di Marsala, Alberto Di Girolamo prima di fiondarsi a casa sua per parlarne. Quando i problemi nascevano alla Regione, chiedeva l’intervento del ragioniere generale Salvatore Sammartano, e appena venivano risolti bastava un semplice sms con scritto «Grazie», come accadde con l’allora direttore dell’Asp, Fabrizio De Nicola. Oltre al “Centro per l’autismo” la coop gestiva anche un altro progetto. Si tratta di una “Casa di accoglienza a favore di gestanti, ragazze madri e donne in difficoltà» attivata nella frazione trapanese di Guarrato, il quartier generale del politico trapanese. Il centro sorge all’interno dell’ex sede della Banca Industriale Trapanese, l’istituto finanziario acquistato negli anni ‘70 dal padre di Ruggirello, Giuseppe, che da piccolo ragioniere avviò una scalata economica diventando anche presidente del Trapani calcio, prima di finire in un’indagine su Enrico Nicoletti, all’epoca cassiere della banda della Magliana. Per l’affitto dei locali, di proprietà di Paolo Ruggirello, la coop pagava 24 mila euro all’anno e inoltre il politico era riuscito a far assumere sua moglie e la fidanzata del nipote Nicola Sveglia, già consigliere comunale a Trapani. Da tempo l’accreditamento delle coop era diventato il suo core business.

«L’accordo con Ruggirello, con me è che lui vuole salvare a Lillo e in contropartita, io ho un progetto da presentare e lui me lo fa approvare, per fare una cosa per anziani». A parlare ad ottobre 2013 è Francesco Marino, consigliere comunale di Castelvetrano. Lillo, invece, è Calogero Giambalvo, finito in una controversa vicenda giudiziaria che nonostante la sua assoluzione in appello portò allo scioglimento del comune di Castelvetrano. Poi ci sono anche i nomi di altri politici siciliani, tuttora in auge. «Quando io ho iniziato questo percorso ne parlai con questo Fallaci Del Sette che è “cazzo e culo” con Turano – racconta Mistretta a Ruggirello – perché mi continuano a dire che comunque dietro la struttura di Alcamo per quanto c’è Faraone, c’è anche Turano». Il riferimento è al centro diurno Autos, inaugurato nel luglio 2017 alla presenza di Davide Faraone, all’epoca sottosegretario alla Salute, e Mimmo Turano, oggi assessore alle Attività produttive del governo Musumeci.

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/03/09/news/_benedetto_autismo_il_grande_affare_delle_coop_sociali_gestito_dall_ex_deputato_arrestato_per_mafia-221082421/?fbclid=IwAR09Rpclw-WNlyF3ACSw37AvQvMlbTGPgkbvqnbUcpvO_M5NpYTmFnVZy84

I DELITTI ELEGANTI. - Marco Travaglio

Risultati immagini per imane fadil e Berlusconi

Probabilmente Benito Mussolini non ordinò l’assassinio di Giacomo Matteotti: lui o chi per lui si limitò a far sapere ai suoi che quel deputato socialista, con le sue denunce sulla fine della democrazia e sulle corruzioni di alcuni gerarchi del neonato regime fascista, stava rompendo i coglioni. E, siccome Mussolini era circondato da delinquenti, qualcuno di essi si incaricò di risolvergli il problema alla radice, sequestrando e assassinando Matteotti. Da quel momento gli assassini divennero intoccabili. Infatti il processo fu dirottato a Chieti per la solita “legittima suspicione”, poi depistato e infine chiuso con le ridicole condanne a 5 anni per omicidio preterintenzionale di alcuni squadristi coinvolti come esecutori materiali, senza che se ne scoprisse il mandante. E il duce dovette coprire tutto e tutti, fino ad assumersi pubblicamente alla Camera “la responsabilità politica, morale e storica di tutto quanto è avvenuto”.
Probabilmente Giulio Andreotti non ordinò l’assassinio di Mino Pecorelli: lui o chi per lui si limitò a far sapere ai suoi che quel giornalista molto, troppo informato, con i suoi articoli sulla rivista OP e le sue allusioni agli affari e ai malaffari della cricca andreottiana, stava rompendo i coglioni. E, siccome Andreotti era circondato da delinquenti, qualcuno di essi si incaricò di risolvergli il problema alla radice, assassinando Pecorelli. Da quel momento gli assassini divennero intoccabili. Infatti le indagini furono depistate in ogni modo e il processo a Perugia, costellato di testimonianze false o reticenti come quello di Palermo, passò dalle assoluzioni in primo grado alle condanne in appello all’annullamento tombale in Cassazione.
Sicuramente Silvio Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane Fadil, la ragazza marocchina che nel 2009, a 25 anni, frequentò ben sei “cene eleganti” a base di bungabunga nella sua villa di Arcore e lo incontrò altre due volte in un ristorante milanese e in un’altra villa in Brianza. I testimoni B. di solito li compra, non li ammazza. E tutto poteva augurarsi, fuorché la morte di una teste-chiave del processo Ruby-ter (dov’è imputato, tanto per cambiare, per corruzione di testimoni) e il ritorno del bungabunga sulle prime pagine dei giornali. Infatti, negando le sentenze e persino l’evidenza, ha provato a smentire di aver mai visto Fadil. Ma purtroppo nessuno può escludere che c’entrino i vari ambienti criminali che lo circondano da quasi mezzo secolo, da Cosa Nostra alla massoneria deviata, dal sottobosco dell’eterna Tangentopoli ai gigli di campo di Putin.
Cioè che qualcuno abbia voluto fargli un favore non richiesto, o lanciargli un messaggio avvelenato per ricattarlo, o sputtanarlo, o ricordargli qualche promessa non mantenuta. Non sarebbe né la prima né l’ultima volta che chi si mette di traverso sulla sua strada ne patisce le conseguenze: domenica abbiamo ricordato la catena di terrificanti “coincidenze” toccate a una ventina di personaggi che sapevano troppo o gli davano noia o nominavano il suo nome invano. E ci siamo scordati di Maurizio Costanzo, ex maestro della P2, che il 14 maggio ’93, mentre tentava di dissuadere B. dall’entrare in politica, scampò per miracolo a un attentato mafioso ai Parioli: la prima autobomba di Cosa Nostra fuori dalla Sicilia. Agatha Christie diceva che “una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, tre coincidenze fanno una prova”. Ora, può darsi che per B. non ne basti nemmeno una ventina. Ma questo riguarda i pm che stanno indagando sulla morte di Imane e ricostruendo le sue ultime ore prima del ricovero all’Humanitas. Un altro aspetto invece riguarda tutti noi, e non da oggi, ma da quando B. vinse le sue prime elezioni il 27 e 28 marzo 1994, esattamente 25 anni fa: le conseguenze politiche e morali dell’irruzione di quel po’ po’ di interessi affaristici e criminali nella vita dello Stato. L’inventore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, sta scontando ai domiciliari, per ragioni di salute, una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa (e, altra coincidenza, aveva chiesto gli arresti ospedalieri all’Humanitas). L’altro regista dell’operazione, Cesare Previti, è stato radiato dal Parlamento, dall’avvocatura e dai pubblici uffici per due condanne a un totale di 7 anni e mezzo per corruzione in atti giudiziari. Lo stesso B. è pregiudicato per frode fiscale, pluriprescritto per altri gravi reati e tuttora indagato a Firenze, con Dell’Utri, per le stragi del ’93. E la lista dei delinquenti portati in Parlamento da questa fairy band e poi condannati è lunga chilometri. Eppure ci è voluta la morte terribile di quella povera ragazza per riportare l’attenzione sul versante criminale del berlusconismo. Da un anno, cioè da quando Pd e FI sono fuori gioco, è di gran moda rimpiangere il berlusconismo e rifargli la verginità in funzione anti-“populista”, descrivendo l’attuale governo – il primo deberlusconizzato della storia repubblicana – come il peggiore mai visto. Eugenio Scalfari, in campagna elettorale, disse che fra B. e Di Maio preferiva B. E Carlo De Benedetti giunse alla stessa conclusione. Lo scrittore Sandro Veronesi non vede l’ora di “firmare col sangue per il ritorno di Berlusconi”. Renzi dice che “dovremmo chiedergli scusa”. E ancora l’altro giorno, su Repubblica, Corrado Augias definiva il governo Conte “il peggiore della storia repubblicana”, perché, sì, B. è “amorale” (sic), ma “non ha scardinato le strutture dello Stato”, cosa che invece stanno facendo “questi homines novi”: ergo, “se la sola scelta possibile fosse tra un bandito consapevole e un fanatico ignaro di tutto sceglierei, tremando, il bandito”. Chissà chi preferirebbe Imane Fadil, se ancora potesse scegliere.

lunedì 18 marzo 2019

Imane Fadil, Greco: “Nel sangue livelli alti di alcuni metalli. Da Humanitas nessuna comunicazione prima della morte”.

Imane Fadil, Greco: “Nel sangue livelli alti di alcuni metalli. Da Humanitas nessuna comunicazione prima della morte”

Parlando delle indagini sulla morte della teste del processo Ruby, il procuratore capo di Milano spiega che antimonio, cadmio e cromo erano presenti in quantitativi molto superiori rispetto alla norma. E precisa: "Il 12 febbraio lei parlò di avvelenamento". La presenza di eventuali sostanze radioattive nel corpo della 34enne è, per ora, solo un’ipotesi senza certezze. E non è escluso neanche che sia morta per cause naturali o per una malattia rara.

La presenza di sostanze radioattive al momento è solo un’ipotesi senza certezze e non si può escludere neanche una malattia rara. Quello che è certo è che nel sangue di Imane Fadil, la teste del processo Ruby morta a 34 anni il 1 marzo all’Humanitas di Rozzano dopo una degenza che durava dal 29 gennaio, sono stati ritrovati livelli alti di almeno tre metalli: cadmio, cromo e antimonio. E lei il 12 febbraio aveva parlato dell’ipotesi di essere stata avvelenata, ma l’ospedale fino alla morte non ha detto nulla alla procura.  Francesco Greco, procuratore capo di Milano, affiancato dai pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio titolari dell’inchiesta sulla morte sospetta della modella, ha precisato alcuni elementi al centro del fascicolo aperto contro ignoti per omicidio volontario. Non si sa “se sia stata lei a esprimere il suo timore o se qualcuno dei medici lo abbia detto a lei”, ma Imane Fadil “il 12 febbraio parlò di avvelenamento e lo comunicò all’esterno”. E Greco, nel giorno in cui il direttore sanitario dell’Humanitas è stato anche sentito in Procura, chiarisce: “Come confermato dall’Humanitas non c’è stata nessuna comunicazione alla procura o alla polizia prima della morte di Imane Fadil. La conferma ufficiale arriva anche dallo stesso direttore sanitario, chi dice il contrario dice una fake news“. Il procuratore ribadisce di essere stato informato del decesso dall’avvocato della giovane marocchina, Paolo Seveso, così nel giorno della morte (1 marzo) “la procura ha anticipato la comunicazione dell’Humanitas“. E solo nel giorno del decesso i magistrati milanesi hanno aperto un’inchiesta per omicidio volontario contro ignoti. Dal sospetto di Imane confessato al legale e al fratello all’inchiesta della procura c’è un ‘vuoto’ di 15 giorni, visto che la struttura ospedaliera “non ha comunicato né alla procura né alla polizia” il ricovero sospetto. Una mancata comunicazione che potrebbe avere degli effetti sulla struttura ospedaliera. E a chi gli chiede se la struttura ospedaliera avesse dovuto comunicare il sospetto avvelenamento, Greco replica con un secco “No comment”. Quanto all’autopsia, attesa dalla procura per pronunciarsi sul caso, “verrà effettuata probabilmente tra giovedì e venerdì“.
Arsenico e metalli: le analisi – Il “12 febbraio” per la prima volta Imane disse di temere di essere stata “avvelenata” e quel giorno, dunque, “venne fatta un’analisi sull’eventuale presenza di arsenico nel corpo perché “in quella fase i sintomi che presentava potevano essere compatibili con questo tipo di sostanza”, ha spiegato il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano. Un esame che il “22 febbraio diede esito negativo” e a quel punto i medici decisero allora di disporre analisi sui metalli”. “Dagli esami sui liquidi biologici effettuati sono stati trovati livelli superiori rispetto alla norma di antimonio e cadmio“, ha detto Greco che ha precisato che prima di pronunciarsi definitivamente sulla vicenda “attendiamo l’esito degli esami autoptici”. E proprio sui livelli dei metalli, che secondo i media in questi giorni non erano a livelli tossici, Greco precisa: “Dagli esami del sangue sono emerse tracce di sostanze particolari. Vorrei smentire la chiacchiera che è uscita sui giornali dice che i metalli nel sangue della ragazza siano piuttosto bassi. Anche questo non è vero perché l’antimonio nel suo sangue, già lavato da diverse trasfusioni, ha dato il risultato di 3 e invece il range della tollerabilità è fino allo 0,2 e 0,22. Anche il cadmio urinario è stato rilevato al livello di 7, mentre la normalità è fino allo 0,3″. “Pesantemente positivo” aggiunge Tiziana Siciliano anche “il cromo, a 2.6″ Altri test, invece, sono stati eseguiti il 26 febbraio e l’esito è arrivato solo il 6 marzo, quando la modella era già deceduta, hanno mostrato una serie di valori anomali sia nel sangue che nelle urine della ragazza, relativi a sostanze altamente tossiche. Da quanto è emerso dalle indagini, Imane Fadil è stata male circa una settimana prima del ricovero all’Humanitas, avvenuto il 29 gennaio scorso.
“Necessarie precauzioni per l’autopsia” – “I valori nel sangue sono meno significativi, perché il sangue è stato lavato due o tre volte perché ha fatto tantissime trasfusioni, mentre le urine sono più attendibili”, ha spiegato il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio. “Bisognerà aspettare i valori contenuti negli organi, che emergeranno dopo l’autopsia”, ha aggiunto il procuratore Greco specificando c’è l’esame sulla salma verrà eseguito con una serie di precauzioni particolari a tutela dei medici legali, tra cui la presenza di apparecchiature speciali in uso dei vigili del fuoco. “Non conoscendo le cause della morte, nulla si può escludere” anche vista la presenza di metalli pesanti nel corpo di Imane Fadil, “per cui d’accordo con i medici legali si è pensato di procedere con cautela per non esporre a possibili conseguenze dannose i medici che eseguono l’autopsia”. La presenza di eventuali sostanze radioattive nel corpo della 34enne è dunque, per ora, un’ipotesi senza certezze. “E necessario procedere con particolari attrezzature tecniche, anche con l’intervento specializzato dei vigili del fuoco perché hanno un addestramento specifico e strumentazione adeguata per il rischio di radiazioni. Nei prossimi giorni procederemo all’estrazione di alcuni campioni, poi alla normale autopsia”, ovvero i carotaggi degli organi (fegato e reni), e poi “con la normale autopsia”. I vigili del fuoco, ha continuato Greco, saranno in campo “perché hanno un addestramento specifico e strumentazione adeguata per il rischio di radiazioni”.
“Non si esclude ipotesi di morte naturale o malattia rara”– “C’è l’opzione di un avvelenamento, ma nessuno si sente di escludere una possibile causa naturale della morte. Quello che emerge è che all’Humanitas hanno tentato tutto il possibile, c’è anche l’ipotesi di una malattia rara che non è stata trovata”. Ora invece che a possibili indagati “è più importante capire la causa della morte di Imane Fadil“. Tutti gli accertamenti sul corpo della testimone chiave dei processi Ruby, continua Greco, “hanno per ora dato esito negativo”. Il procuratore invita a evitare “suggestive congetture. Dopo la morte ci sono stati dei controlli in ospedale con il contatore Geiger (che misura le radiazioni di tipo ionizzante, ndr) che ha dato esito negativo, ma forse su questo si è creata una leggenda”, conclude il procuratore facendo riferimento alle ipotesi di stampa che parlavano di un mix di sostanze radioattive trovate analizzando il sangue della vittima.
Quindi, come sospettavamo, l'informazione è manipolata.
Ieri i giornali negavano la presenza di sostanze metalliche, oggi sono stati sbugiardati.
cetta.


IL PATTO STATO -MAFIA, DA GARIBALDI A ROCCO CHINNICI. - Vittoria Longo



Il termine Mafia pare che sia stato associato per la prima volta a un gruppo di delinquenti nel 1863, allorché fu rappresentata con grande successo un’opera teatrale intitolata "I mafiusi di la Vicaria"
La vicenda, ambientata nel carcere di Palermo (la Vicaria, appunto), aveva come protagonisti alcuni criminali, che dopo essersi macchiati di vari delitti si pentono (uguale a oggi).
Il termine fu utilizzato anche nel 1865, dal marchese Filippo Antonio Gualterio, prefetto di Palermo, in un rapporto sulla situazione politica del capoluogo siciliano, inviato al ministero degli Interni. La grafia usata era
Maffia diversa da quella che poi si impose nell’uso, e designava chiunque si opponesse al nuovo Stato nazionale;
Giordano Bruno Guerri, ricorda nel suo libro "Il sangue del sud" che il Gualterio affermò, in una delle sue opere: il popolo che abitava l'Italia meridionale (ex Regno delle Due Sicilie) era separato dal progresso non per motivi storici ma "per diversità razziale"
In Sicilia,nel maggio del 1860, allo sbarco di Garibaldi, accorsero in aiuto dei garibaldini i famosi "picciotti” e i più capi-mafia dell’epoca come Giuseppe Coppola di Erice i fratelli Sant’Anna di Alcamo, i Miceli di Monreale, Santo Mele e Giovanni Corrao. Quest'ultimo, diverrà generale garibaldino e che verrà ucciso 3 anni dopo nell’agosto del 1863 in un agguato.Lo storico Giuseppe Carlo Marino, nel suo libro ”Storia della mafia”,racconta l'impresa di Garibaldi e come sia stato determinante la presenza e l'aiuto dei mafiosi in Sicilia, poichè senza di loro, l'eroe dei due mondi non avrebbe potuto assolutamente avanzare. Come, del resto, sarebbe incorso in grandi difficoltà logistiche se, quando giunto Napoli, nel settembre del 1860, non avesse avuto l’aiuto determinante dei camorristi che, schierandosi apertamente al suo fianco, gli assicurarono il mantenimento dell’ordine pubblico con i loro capi Tore de Crescenzo , Michele “o chiazziere” e tanti altri. Un' aiuto determinante da parte dei mafiosi (cosa potevano fare, quale impresa eroica potevano compiere 1000 "giubbette rosse"?) che,oggi, piaccia o non ai risorgimentalisti, ci fanno capire che la malavita diede, per sua convenienza, un fortissimo contributo all’Unità d’Italia. Un vergognoso e riprovevole contributo, ignorato dai libri di scuola e dalla storiografia ufficiale come, d'altronde, tutta la storia del Risorgimento. Una testimonianza la da il mafioso italo-americano originario di Castellammare del Golfo( paese conosciuto per la forte repressione del 1862 e la fucilazione di Angelina Romano), Giuseppe Bonanno, conosciuto come Joe Bananas, che nel suo libro autobiografico “Uomo d’onore”, a cura di Sergio Lalli, a proposito della storia della sua famiglia, a pagina 35 del libro in questione, così testualmente descrive l’apporto dato dalla mafia all’impresa garibaldina. “Mi raccontava mio nonno che quando Garibaldi venne in Sicilia gli uomini della nostra ‘tradizione’ (mafia) si schierarono con le camicie rosse perché erano funzionali ai nostri obbiettivi e ai nostri interessi”. Con l’Unità d’Italia, quindi, e con il contributo delle "Giubbette Rosse" la mafia, tenuta a distanza e soffocata dai Borbone nell'italia pre-unitaria, esce allo scoperto, legittimandosi a tutti gli effetti. Da quel momento diverrà una piovra dai tentacoli lunghissimi, che invaderà l'intero stivale. Un Cancro maligno, le cui metastasi sono dappertutto e non si riesce a trovare la cura

(o, forse, le "case farmaceutiche" hanno buoni motivi per non trovarla?! Mah!) Di questa trasformazione della mafia, dall’Italia pre e post unitaria, ne era convinto il giudice Rocco Chinnici, il fondatore del pool antimafia di cui allora fecero parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello.In un convegno a Grottaferrata nel 1978, organizzato dal Consiglio Superiore della magistratura ebbe testualmente a pronunciarsi: “Riprendendo le fila del nostro discorso prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, non era mai esistita in Sicilia”. Ed ancora in un intervista:“La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione di risorse con la sua tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, un’alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere”. Distrutto il potere, distrutta la mafia?!
P:S:
( fonti utlizzate per l'articolo: "Il sangue del sud" di G.B. Guerri, Linksicilia giornale on -line, "I mafiusi della Vicaria" opera in atti anno 1863, "La camorra" di Marc Monnier, La camorra e le sue storie di Gigi di fiore, "Origini della mafia in sicilia" di Percorsi di storia locale alcuni brani tratti dalle interviste del giudice Chinnici)

https://briganterocco.blogspot.com/2015/11/il-patto-stato-mafia-da-garibaldi-rocco.html?spref=fb&fbclid=IwAR1Cg53-mq5P54MCY9mqzSp-8GG6ZpBL9q9UIx-nESoEmnAUpdTFpXsj3Uk