I documenti sono stati pubblicati dalla Fondazione Einaudi che aveva chiesto l’accesso ai verbali ad aprile. Accesso negato che ha scatenato una battaglia legale finita davanti ai giudici del Consiglio di Stato. Nel testo del 28 febbraio, una settimana dopo l’individuazione del primo caso, il comitato suggerisce già di rivedere le misure per tre regioni “Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto”, dove c’è, si legge, “una situazione epidemiologica complessa”. Due giorni dopo l’esecutivo adotta un dpcm che riprende quella raccomandazione e quindi blocca in quelle regioni eventi e manifestazioni sportive, a meno che “non si svolgano a porte chiuse”, vieta la trasferta dei tifosi, sospende l’attività scolastica, ma, per esempio, riapre musei e luoghi di culto, come suggerito dagli stessi esperti, a condizione che “assicurino modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone e sospende”. Mancano ancora 10 giorni alla chiusura adottata per la Lombardia e altre 14 province, e 11 al lockdown del 10 marzo. Proprio sul momento del lockdown fa luce un altro dei documenti desecretati, quello del 7 marzo su cui è riportata la scritta “riservato”. In quella data, infatti, il comitato tecnico scientifico suggerisce misure più rigorose proprio per la Lombardia e le province (11 non 14) di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Alessandria e Asti, ma non per tutta Italia. A distanza di 48 ore, però dopo un primo dpcm in cui l’esecutivo segue la differenziazione suggerita dal comitato, il governo ne emana un altro, quello del 9 marzo entrato in vigore il 10 che dà inizio al lockdown su scala nazionale fino al 3 aprile. Un’accelerazione, spiega Conte nella conferenza stampa per il secondo dpcm, che serve “a contenere l’avanzata del virus”. In un solo giorno, infatti, sono 1797 i nuovi positivi, contro i 1326 del giorno precedente. E, inoltre, nelle stesse ore, dopo l’annuncio della chiusura della Lombardia, centinaia di persone prendono d’assalto i treni per “fuggire” verso sud. Corrono a Porta Garibaldi per cercare di prendere l’Intercity Notte diretto a Salerno e in stazione Centrale a Milano la polizia ferroviaria è costretta ad intervenire per mantenere la calma.
Palazzo Chigi ha consegnato i verbali alla onlus dopo che ieri anche il Copasir ha chiesto di renderli pubblici. “Per noi è importante sottolineare l’approccio non partigiano alla questione. Si trattava di una battaglia di trasparenza e non giudichiamo nel merito le scelte. C’è stata – dice l’avvocato Rocco Todero che ha seguito tutto l’iter legale – la più grande limitazione delle libertà individuali durante un lungo periodo ed è giusto che i cittadini sappiano quali erano le ragioni scientifiche, oggettive ed epidemiologiche alla base”. L’onlus aveva chiesto, il 14 e il 18 aprile, l’accesso ai documenti degli scienziati che sono stati richiamati in tutti i Dpcm emanati per la gestione dell’emergenza sanitaria, compreso il lockdown.
Il verbale del 28 febbraio – I primi due verbali sono brevi e non riportano la dicitura riservato. Nel primo quello del 28 febbraio il team di scienziati reputava “complessa” la situazione epidemiologica in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, a differenza di Friuli-Venezia Giulia, Liguria e Piemonte dove non si erano verificati casi “con modalità di trasmissione non note”. Per queste ultime quindi la raccomandazione era quella di adottare l’ordinanza tipo del ministero della Salute. “Le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto presentano, invece, una situazione epidemiologica complessa attesa la circolazione del virus – si legge nel verbale – tale da richiedere la prosecuzione di tutte le misure di contenimento già adottate, opportunamente riviste come segue: sospensione di tutte le manifestazioni organizzate, di carattere non ordinario e di eventi in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo o religioso, anche se svolti in luoghi chiusi, ma aperti al pubblico (es: grandi eventi, cinema, teatri, discoteche, cerimonie religiose). Si propone che tale misura sia prorogata sino all’8 marzo 2020″. Tra le misure, anche la “sospensione degli eventi e delle competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati e “il divieto di trasferta organizzata dei tifosi residenti nelle tre regioni per la partecipazione ad eventi e competizioni sportive che si svolgono nelle restanti regioni”. È in questo verbale che compare la conferma di “tutte le misure previste per la cosiddetta ‘zona rossa’, ovvero per gli undici comuni di Lombardia e Veneto dove si stava maggiormente diffondendo la pandemia da coronavirus. Gli undici comuni, indicati dal dpcm del 23 febbraio precedente, erano Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini in Lombardia e Vò Euganeo in Veneto. Due giorni dopo il governo emana un dpcm, quello del 1 marzo, in cui, di fatto, recepisce queste raccomandazioni.
Il verbale del 1 marzo e il divieto degli abbracci – Nel verbale successivo è arrivata la raccomandazione che più ha colpito all’inizio l’immaginario collettivo con la “la raccomandazione generale che la popolazione, per tutta la durata dell’emergenza, debba evitare, nei rapporti interpersonali, strette di mano e abbracci”. Il 9 marzo, poi, il premier avrebbe annunciato il lockdown. Nel verbale c’è il riferimento alle strutture private: “L’utilizzo delle strutture private accreditate dovrà essere valutato prioritariamente per ridurre la pressione sulle strutture pubbliche mediante trasferimento e presa in carico di pazienti non affetti da Covid 19″. Erano i giorni in cui gli ospedali ricevevano malati, anche già gravissimi, e stavano esaurendo i posti nelle terapie intensive.
Il verbale del 7 marzo, le zone gialle e le scuole – Dalla sospensione degli eventi sportivi, alla chiusura delle palestre, fino alla sospensione dell’attività scolastica. All’interno del verbale del 7 marzo tutte le misure indicate dal Comitato tecnico scientifico vengono seguite dalla Presidenza del consiglio dei ministri che poche ore dopo emana un decreto, quello dell’8 marzo che il 9 diventa esecutivo per tutta Italia. All’interno, il Paese viene “diviso in due”, come suggerito dal Comitato. Nel documento, infatti, viene proposto “di rivedere la distinzione tra cosiddette ‘zone rosse’ (gli undici comuni della Lombardia e del Veneto già isolati dal 1 marzo, ndr) e ‘zone gialle'” da istituire in “Emila Romagna, Lombardia e Veneto, nonché le province di Pesaro Urbino e Savona”, e gli esperti condividono la necessità di definire due ‘livelli’ di misure di contenimento da applicarsi l’uno, nei territori in cui si è osservata ad oggi maggiore diffusione del virus; l’altro, sull’intero territorio nazionale”. Le zone dove effettuare un contenimento più rigido, sono l’intera Regione Lombardia e le province di Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia, Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Alessandria e Asti.
Sono ore concitate, di riunioni e tavoli di confronto. La bozza del decreto viene prima divulgata dai giornali, e Conte fa una conferenza stampa notturna per annunciarlo. Tra i suggerimenti dei tecnici e quanto deciso dall’esecutivo c’è solo una discrepanza. Mentre da una parte il comitato propone di attuare tutte le misure di contenimento fino al 3 aprile, compresa la chiusura degli Istituti scolastici su tutto il territorio nazionale, l’esecutivo decide di fermare l’attività didattica fino al 15 marzo. Fanno eccezione la Lombardia e 14 province considerate zone più a rischio, dove invece l’attività didattica è da subito sospesa fino al 3 aprile. Si vocifera già da subito di un possibile prolungamento della chiusura, ma la decisione definitiva viene presa il giorno dopo, con un successivo dpcm, quello del 9 marzo, esecutivo dal 10, che, di fatto, blinda l’Italia nel lockdown, estendendo tutte le misure per le zone a rischio all’intero territorio nazionale.
Il verbale del 30 marzo, la proroga pasquale e i test sierologici – Nel verbale del 30 marzo il comitato tecnico scientifico parla ancora di misure di contenimento per la diffusione del contagio e cita la Fase 2, un modello ancora da delineare per “il ritorno nell’ordinario“. Nel testo gli esperti sottolineano la “necessità di mantenere le misure attualmente in essere almeno fino a tutto il periodo Pasquale”. Ma non solo. Chiedono anche di effettuare un'”analisi strutturata” di diversi aspetti, tra cui l’azione sui medici di medicina generale, lo sviluppo e l’implementazione del contact tracing, il mantenimento del distanziamento sociale ma anche un’analisi sull’utilizzo delle mascherine anche tra la popolazione e sulle problematiche legate al contagio intrafamiliare. Il comitato, nello stesso documento, rileva inoltre che “alcune raccomandazioni e/o norme tecniche o circolari” nonostante l’emanazione sui territorio “non vengano prontamente recepite dal territorio” per questo si chiede “l’eventuale emanazione di ‘ordinanze di protezione civile’ avente maggior forza normativa.
Nel documento si citano anche i test sierologici. Il cts “ribadisce l’opportunità di validarli quanto prima” sia “per condurre studi di sieroprevalenza” sia per “elaborare strategie atte a identificare soggetti che possono essere considerati protetti dal rischio di acquisire l’infezione” da coronavirus. Nel testo si analizzano anche i dispositivi di protezione individuale, e si classifica il loro uso, come già lo conosciamo con la differenziazione tra mascherine di tipo chirurgico, quelle facciali filtranti, e le “altre mascherine” che non sono da considerarsi “dpi”. Nel testo anche alcune raccomandazioni per i bambini e per mantenere la loro qualità di vita nonostante il lockdown.
Il braccio di ferro tra Fondazione e governo –La questione giuridica era delicatissima perché il centro di ricerca torinese, che ha come mission promuove la conoscenza e la diffusione del pensiero politico liberale, ritiene che le misure del governo abbiano compresso diritti e libertà di rango costituzionale e che quindi quei verbali con i pareri degli scienziati debbano essere noti. La onlus aveva presentato la richiesta fatta alla Protezione civile, ma con due comunicazioni, del 4 e del 13 maggio, la risposta è stata negativa. Quindi il 26 maggio è stato presentato il ricorso al Tribunale amministrativo che ha accolto le ragioni della Fondazione. Contro il verdetto del Tar (22 luglio) il governo ha presentato ricorso (28 luglio) opponendo di fatto il segreto perché si tratta di atti amministrativi e perché devono essere tutelati “la sicurezza pubblica” e “l’ordine pubblico”. Il confronto fino a ieri pendeva davanti ai giudici del Consiglio di Stato che il 10 settembre avrebbe deciso se i verbali dovevano essere pubblici oppure no.
La sospensiva del Consiglio di Stato e la citazione del Freedom of information act – Ma nelle sospensiva tecnica firmata dal presidente della III sezione, Franco Frattini, si intuiva in quale direzione sarebbe andato il verdetto. Per il giudice i decreti e di conseguenza i verbali “sono caratterizzati da assoluta eccezionalità, e auspicabilmente, e unicità”. Ma per il magistrato “non si comprende, proprio per la assoluta eccezionalità di tali atti perché debbano essere inclusi “nel novero di quelli sottratti alla generale regola di trasparenza e conoscibilità da parte dei cittadini, giacché la recente normativa – ribattezzata freedom of information act sul modello americano – prevede come regola l’accesso civico” e come eccezione la non accessibilità. Quei provvedimenti “hanno costituito il presupposto per l’adozione di misure volte a comprimere fortemente diritti individuali dei cittadini, costituzionalmente tutelati ma non contengono elementi o dati che la stessa appellante abbia motivatamente indicato come segreti”, “le valutazioni tecnico-scientifiche si riferiscono a periodi temporali pressocché del tutto superati” e”la stessa Amministrazione, riservandosi una volontaria ostensione fa comprendere di non ritenere in esse insiti elementi di speciale segretezza da opporre agli stessi cittadini”. Quindi era concessa la sospensiva perché fosse un collegio a decidere nel merito. Ma a questo punto l’udienza non sarà più necessaria. “La trasparenza è un principio imprescindibile delle liberal-democrazie, che impone la pubblicazione di tutti gli atti riguardanti la compressione, più o meno incisiva, di diritti e libertà di rango costituzionale – si legge in una nota – In tal senso, la Fondazione Luigi Einaudi auspica che il governo compia l’ulteriore passo sulla strada della trasparenza e pubblichi autonomamente tutti gli altri verbali del comitato tecnico scientifico, utilizzati a supporto dei vari Ddpcm adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, nel corso della pandemia da Covid 19″.