mercoledì 21 aprile 2021

Avrà 50 miliardi dal Recovery Plan: è partita la guerra per la guida di FS. - Marco Palombi

 

La guerra non tanto fredda per la guida di Ferrovie dello Stato è ormai aperta anche in pubblico. Ieri nientemeno che il Financial Times ha ripreso una notizia pubblicata mesi fa sulla stampa italiana (da Il Domani per la precisione): l’esistenza di un’inchiesta a Roma sui rapporti tra FS e Generali nell’ipotesi che la compagnia assicurativa sia stata favorita in questi anni come fornitore della società pubblica; in questo contesto – altro fatto noto – si parla di due risarcimenti per malattia pagati all’ad Gianfranco Battisti, all’epoca a capo dell’Alta velocità, per oltre 1,7 milioni di euro. Effettivamente un’enormità, ma l’attuale numero 1 di Ferrovie, in corsa per la riconferma a maggio, non era indagato mesi fa e non è indagato ora, come specifica anche il FT.

E allora perché un’inchiesta vecchia di mesi e un fatto (i risarcimenti a Battisti) che fu oggetto di interrogazioni parlamentari di Matteo Renzi e soci addirittura nell’ottobre 2019 finisce ora sul più importante quotidiano finanziario europeo? Perché entra nel vivo la partita delle nomine pubbliche: il cda di Ferrovie dello Stato, attorno a cui da oltre un anno e mezzo si combatte una battaglia senza esclusione di colpi, va in scadenza a maggio ed è una poltrona che oggi fa persino più gola di prima. Come raccontato sul Fatto di lunedì, Rfi – cioè la società di Ferrovie che costruisce e gestisce le linee – ha progetti d’investimento di suo per 79 miliardi nei prossimi anni, mentre nella versione del Recovery Plan del governo Conte c’erano investimenti in ferrovie per 26,7 miliardi, che saranno pressoché raddoppiati – secondo indiscrezioni – dall’extradeficit da 30 miliardi in sei anni voluto dall’esecutivo Draghi. Non solo: “Cresce ancora la quota delle Ferrovie”, ci informava ieri Il Sole 24 Ore senza spiegarci di quanto. Il motivo per cui “cresce”, però, è assieme chiaro e bizzarro: “Le ferrovie sono considerate da Bruxelles un investimento 100% green e il rafforzamento di questo capitolo aumenta la possibilità per l’intero piano di superare ‘l’esame’ di ecologia”. In sostanza a Bruxelles ritengono che ogni investimento ferroviario sia un bene per l’ambiente: un non sequitur da antologia di cui nessuno dovrebbe stupirsi visto che è alla base, per dire, del sì all’alta velocità Torino-Lione.

In sostanza, Ferrovie dello Stato sarà il principale investitore singolo del Piano di ripresa italiano, motivo per cui la poltrona di amministratore delegato fa oggi ancora più gola di prima: al netto di eventuali appetiti illegittimi, per così dire, è un posto dal quale si può disegnare un pezzo del futuro del Paese e, ovviamente, aggregare un non disprezzabile sistema di potere. Battisti – che finora è stato discretamente speranzoso nella riconferma, al contrario del suo nemico interno, il presidente Gianluigi Castelli – è figlio della stagione “gialloverde” e fu nominato in quota M5S: da allora Matteo Renzi e l’area a lui più vicina del Pd, prima e dopo la scissione, gli hanno fatto la guerra sognando il ritorno dell’ex amministratore delegato Renato Mazzoncini, ahi lui azzoppato da un paio di disavventure giudiziarie, o almeno di qualcuno a lui vicino (c’è chi fa il nome del dirigente Fabrizio Favara).

Per quanto imbarazzante, va registrato che il nuovo articolo con vecchia storia del FT non ha scatenato il solito profluvio di dichiarazioni. A sera – piccolo segnale – l’unico dichiaratore risultava il capogruppo Pd in commissione Trasporti della Camera Davide Gariglio, piemontese e pasdaran pro-Tav, già renziano, oggi nella riserva degli ex detta Base riformista (Lotti, Guerini, etc.): “Le indagini sugli indennizzi milionari versati per infortuni occorsi ai manager del Gruppo Ferrovie dello Stato gettano un’ombra sull’operato degli attuali vertici dell’azienda”, la sua stentorea presa di posizione.

Particolare che segnala il vero problema di questa vicenda: non è chiaro su quali basi, discutendo con chi e attraverso che criteri Mario Draghi – che ha già fatto capire che nominerà da solo i vertici delle principali partecipate – sceglierà il prossimo ad di Ferrovie. Influirà un articolo del Financial Times, giornale con cui ha avuto storicamente ottimi rapporti e che ha ospitato il suo lungo intervento sulla pandemia?

IlFQ


Il ricambio delle classi dirigenti e la lezione del Pd. - Tommaso Merlo - Libertà di pensiero

 

Per risanare il Pd dovrebbero andarsene a casa tutti i dirigenti, dal primo all’ultimo. La politica la fanno gli uomini. Per cambiarla devi cambiare gli uomini che la fanno. Punto. 

Vale per il Pd come per ogni ambito del nostro vecchio e ottuso sistema paese. Affidandosi a Letta, il Pd dimostra di non aver imparato nulla dalla sua eterna crisi o che i suoi dirigenti non hanno in realtà nessuna intenzione di cambiare alcunché. 

Letta potrà organizzare tutte le assise che vuole e girare le sezioni del partito una ad una, potrà proclamare “nuove fasi” e “rilanci” ma alla fine il Pd tornerà la bolgia correntizia di sempre. Basta guardarsi alle spalle. Scissioni, terremoti, faide. Un segretario dopo l’altro. Eppure il Pd non è cambiato di una virgola. Questo perché se vuoi rinnovare un partito devi rinnovare la sua classe dirigente. Non ci sono scorciatoie. È questa la lezione del Pd. Per arrivare ai vertici di un partito, un politicante deve investire anni della sua vita. Seguire qualche mentore, assorbire logiche e prassi. E solo quando rispecchierà il sistema verrà premiato dallo stesso. Una volta in cima il politicante replicherà gli schemi che ha appreso e che gli hanno permesso di emergere e non ha nessun interesse a cambiare alcunché. 

Vale per il Pd come per qualunque ambito. Ed è questo uno dei mali più gravi del nostro paese. Il ricambio delle classi dirigenti è fondamentale per l’igiene democratica ma anche per la funzionalità del sistema. Il ricambio favorisce il cambiamento. Nuove generazioni portano mordente, coraggio, desiderio d’incidere sulla realtà e non di conservare l’esistente. Il ricambio delle classi dirigenti favorisce l’emergere di nuove sensibilità e punti di vista e quindi stimola nuove idee e programmi. Solo le generazioni figlie dell’era storica che si vive possono rappresentare genuinamente le istanze del momento ma anche i sentimenti. L’ansia di progresso, la fame. Un paese in mano ai nonni è fragile e stanco e con la testa rivolta all’indietro. Un paese in mano a chi no ha futuro, non ne ha. Il ricambio delle classi dirigenti evita poi la formazione del sempiterno fossato tra potenti e cittadini, tra potenti e realtà. La società è in continua evoluzione e solo con un ricambio frequente si mantiene il passo. In un’era di rapidi cambiamenti come questa è ancora più evidente. L’Italia è ferma anche perché è in mano a classi dirigenti che non appartengono a questo paradigma e non lo comprendono. Il ricambio previene anche personalismi e rivalità tra correnti e capibastone. Sprechi di tempo e di energie. Con beghe personali che si trascinano per decenni e non hanno nulla a che fare coi destini del paese. Il ricambio previene poi la formazione di reti e rapporti di potere che piegano l’interesse collettivo. Il ricambio impedisce anche la formazione di caste e cioè dirigenti che si coalizzano per restare in sella, dirigenti che si arricchiscono e si fanno risucchiare dalle lusinghe dello status ammosciandosi e perdendosi in deliri autoreferenziali. È questa la lezione del Pd. Il ricambio delle classi dirigenti è uno dei mali più deleteri del nostro sistema paese. Un problema culturale prima ancora che politico. Un problema di egoismo delle classi dirigenti ma anche di nuove generazioni che invece di ribellarsi cedono al comodo e più redditizio conformismo. Oggi il Pd si affida a Letta, l’ennesimo salvifico segretario. Ma per risanare e rilanciare il Pd dovrebbero andarsene a casa tutti i dirigenti lasciando spazio alle nuove generazioni. La politica la fanno gli uomini. Per cambiarla devi cambiare gli uomini che la fanno. Vale per il Pd come per ogni partito come per ogni ambito di questo vecchio ed ottuso sistema paese.

Tommaso Merlo

IPOCRISIA È. - Orso Grigio

IPOCRISIA È...

Quando tutti si indignano perché si ipotizza la costituzione di una nuova Superlega Calcio dove potranno accedere solo le squadre più ricche, facendo finta di ignorare che è così da sempre. Che una squadra normale possa ottenere risultati importanti non succede ormai dal Pleistocene, e di certo non succederà più.

MISERIA UMANA È...
Quando tutti, di fronte allo sfogo comprensibile di un padre, vedremo quanto giustificato dai fatti, si dichiarano vergini immacolate sostenendo che mai nessuno di loro è stato giustizialista con il figlio, evidentemente dimenticando la bava alla bocca di certa destra e di opinionisti scoreggioni che da sempre vomitano merda contro Grillo e la sua famiglia. Come se fosse la stessa cosa contrapporre ad attacchi politici per l’operato pubblico quelli personali speculando come vermi su faccende del tutto private, con l’unico scopo di screditare e sputtanare un avversario che non riesci a battere sul piano delle idee.
Entrare nella vita delle persone, non sapere una beata fava di niente ma farne scempio e prepararne bocconi per propri seguaci, o per gli spettatori di certi stupidi programmi, è una delle cose più infami che si possano fare.
Ma succede, e succede spesso.
Tutti giudici, oltre che allenatori, virologi e miserabili, che quindi emettono la sentenza di colpevolezza a prescindere.
Così, in questa tragedia già scritta il ragazzo è il mostro violentatore, la ragazza è una povera vittima, il padre un pazzo disperato fuori di testa, e il Movimento è finalmente morto.
Che alla fine è sempre stato l’obiettivo principale di tutto.

Orso Grigio su FB

Due errori e un diritto. - Marco Travaglio

 

L’altroieri non ho commentato il video di Beppe Grillo che difende il figlio Ciro dall’accusa di stupro di gruppo: da padre di un ragazzo e di una ragazza, ho vissuto per anni nell’incubo che potesse accadere loro qualcosa in una serata alcolica. Quindi sì, un po’ mi sono immedesimato. Ora però molti lettori mi chiedono che ne penso. Grillo non ha sbagliato a difendere suo figlio. E fanno ribrezzo quanti, col ditino alzato, deplorano la sua rabbia: vorrei vedere loro, al suo posto. Gli errori sono altri. Primo, far intendere che la consensualità del rapporto sessuale sia dimostrata dal ritardo di 8 giorni con cui la ragazza ha sporto denuncia: a volte possono passare anche mesi, e giustamente la nuova legge del “Codice rosso” (firmata dal “suo” ministro Bonafede e dalla Bongiorno) ha raddoppiato i tempi per le querele da 6 mesi a 1 anno. Il secondo è l’assenza di una parola di vicinanza alla ragazza, che comunque, se ha denunciato, si sente vittima. Potrebbe esserlo, come pure non esserlo: alcune denunce di stupro si rivelano fondate e altre infondate.

Sarà il gup a decidere se Ciro e i suoi tre amici vanno processati e altri giudici stabiliranno se fu stupro o no. Invece tutti parlano come se lo stupro fosse già certo, senza non dico una sentenza, ma neppure un rinvio a giudizio. E lo deducono, pensate un po’, dal fatto che Grillo ha fondato il M5S e il M5S è “giustizialista”. Sono gli stessi che ai loro compari applicano la presunzione di non colpevolezza anche dopo la condanna in Cassazione (tipo B. e Craxi) ed esultano per i vitalizi a Formigoni&C. Infilare la politica in un processo per stupro è quanto di più demenziale, anche perché Ciro Grillo non fa politica. La fa suo padre, il quale non risulta aver mai detto che si è colpevoli prima della sentenza (al V-Day elencava i parlamentari condannati in via definitiva). Chi paragona il suo video agli attacchi di B. o di altri impuniti alla magistratura non sa quel che dice. Grillo non ha detto che la Procura di Tempio Pausania è un cancro da estirpare o un covo di toghe antigrilline, né ha incaricato il suo avvocato (che fra l’altro non sta in Parlamento) di depenalizzare lo stupro di gruppo. Ha posto una domanda legittima: perché quattro presunti stupratori di gruppo sono a piede libero da 2 anni col rischio che lo rifacciano? E si è dato una spiegazione alla luce del filmato di quella notte che uno dei quattro ha sul cellulare: secondo Grillo e la moglie, insieme a successivi scambi di messaggi fra la presunta stuprata e i presunti stupratori, dimostrerebbe la consensualità. È la tesi difensiva. Noi, che il filmato e i messaggi non li abbiamo visti, non abbiamo nulla da dire sul punto. Se non che gli indagati hanno il diritto di difendersi e i loro genitori di difenderli.

IlFQ

Vitalizi ai corrotti: per rimediare allo scandalo, ora Casellati faccia Appello. - Peter Gomez, Antonio Padellaro, Marco Travaglio

 

Ecco il testo della petizione rivolta al presidente del Senato e per suo tramite al Consiglio di presidenza del Senato e ai capigruppo del Senato. Per aderire e firmare la petizione vai su change.org.

Al Presidente del Senato della Repubblica

E per suo tramite

Al Consiglio di Presidenza del Senato

Ai capigruppo del Senato

Oggetto: Petizione al Senato della Repubblica

La Costituzione afferma che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Questo presupposto, troppo spesso dimenticato in Italia, è stato offeso dalla decisione della Commissione Contenziosa dell’Istituzione da Lei presieduta che prevede, a fronte del ricorso del condannato per corruzione Roberto Formigoni, l’annullamento erga omnes della delibera del Consiglio di Presidenza del Senato del 2015 che, in continuità con quanto previsto dalla legge Severino, aveva stabilito la cessazione dell’erogazione del vitalizio per i condannati per reati gravi. Appare pretestuoso, considerando il regime di “autodichia” sempre fortemente difeso dalle Camere, il richiamo alla legge sul reddito di cittadinanza da parte della Commissione Contenziosa, così come l’equiparazione dei vitalizi antecedenti la riforma contributiva alle normali pensioni. Il mandato parlamentare non è paragonabile a un normale rapporto di lavoro, perché non prevede alcun obbligo di prestazione: come Lei ben sa, se un senatore accumula anche più del 90% di assenze, non subisce conseguenze di alcun tipo, diversamente dal mondo reale.

Non sfugge ai cittadini che l’annullamento da parte dell’organo di giurisdizione interna Senato di quella delibera varata dal Consiglio di presidenza della medesima istituzione comporta la ripresa del vitalizio non solo per i condannati per tangenti, ma anche per reati di mafia e terrorismo. Le chiediamo quindi di dare mandato all’Amministrazione per sollevare il doveroso conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato di fronte alla Corte Costituzionale e di ricorrere in appello al Consiglio di Garanzia. Le chiediamo fin d’ora di porre il tema al Consiglio di Presidenza del Senato; nelle more, di sospendere l’esecutività della decisione della Commissione Contenziosa; e infine di farsi parte attiva affinché, in questo momento di grave difficoltà per tutti i cittadini italiani, anziché prodigarsi per i vitalizi, i senatori offrano un contributo di solidarietà sacrificando una parte delle loro indennità.

FIRMA LA PETIZIONE Vitalizi ai corrotti: per rimediare allo scandalo, ora la Casellati faccia Appello

Peter Gomez, Antonio Padellaro, Marco Travaglio

ILFQ

Floyd, l'ex agente di polizia condannato per omicidio preterintenzionale.

Manifestanti a Minneapolis

 Riconosciuti tutti i tre capi d'accusa. Massima allerta negli Usa. Biden: 'Prove schiaccianti'.

L'America tira un sospiro di sollievo. E' una punizione esemplare quella inflitta a Derek Chauvin, l'ex agente di polizia che il 25 maggio del 2020 ha provocato la morte di George Floyd, il 46enne afroamericano divenuto icona del movimento Black Lives Matter.

La giuria, dopo dieci ore di camera di consiglio ha condannato l'ex poliziotto per omicidio, ritenendolo colpevole per tutti e tre i capi di accusa, compreso quello più grave di omicidio colposo preterintenzionale. La lettura del verdetto da parte del giudice è stata accolta da un'ovazione e dalle scene di esultanza da parte delle centinaia e centinaia di persone radunatesi davanti alla sede del tribunale di Minneapolis in attesa della decisione. E la tensione si è subito sciolta in un grande applauso e in urla di gioia. Sembrano scongiurati dunque i rischi di disordini, non solo a Minnepolis ma anche in diverse altre città americane. E la grande paura si è presto trasformata in una grande festa, da Minneapolis a Times Square, da Washington a Los Angeles e Chicago. Impietrito in aula Derek Chauvin, che ha ascoltato il verdetto accanto al suo avvocato e che ora rischia fino a 40 anni di carcere. Anche se con le attenuanti e per l'assenza di precedenti la pena potrebbe essere più leggera. Per conoscere la sua entità bisognerà probabilmente attendere diverse settimane, forse otto. Intanto l'ex agente va in cella, dopo essere rimasto finora a piede libero su pagamenti di cauzione. Così Chauvin ha lasciato l'aula del tribunale in manette. Il verdetto rappresenta una pietra miliare nella lunga storia di battaglie contro la violenza della polizia americana, soprattutto nei confronti delle comunità afroamericana ed ispanica, ed è destinata a creare un precedente storico anche in vista di tanti altri processi. Senza contare che la decisione odierna potrebbe accelerare una riforma della polizia, a livello federale e a livello locale, attesa da troppo tempo negli Stati Uniti. Intanto il presidente Joe Biden parla alla nazione americana. Negli ultimi giorni forte è stato il timore della Casa Bianca che un verdetto non accettato dalla comunità afroamericana potesse provocare una vera e propria ondata di proteste e una rivolta a livello nazionale. Nelle ultime ore che hanno preceduto il verdetto Biden si era spinto a definire "schiaccianti" le prove emerse durante il processo. Ed aveva telefonato alla famiglia Floyd per testimoniare la sua vicinanza e la sua comprensione di fronte alla perdita del loro caro. Per il legale della famiglia Floyd "il verdetto rappresenta una svolta storica".

Biden: 'Oggi abbiamo compiuto un passo avanti contro il razzismo sistemico che è una macchia per l'anima del nostro Paese'

Ansa

martedì 20 aprile 2021

49 milioni, la Lega paga i debiti con i soldi pubblici. - Stefano Vergine

 

La truffa allo stato. Nel 2018 l’accordo coi magistrati di Genova per restituire il denaro. La scoperta: il Carroccio ripiana col 2 x 1000 versato dai contribuenti.

Ufficialmente i partiti sono due, distinti e indipendenti fra loro. Da una parte c’è la vecchia Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, la storica casa dei leghisti. Dall’altra parte c’è Lega Salvini Premier, il partito fondato da Matteo Salvini nel 2017. È sulla base di questa netta separazione che è stata decisa la vicenda dei 49 milioni di euro. Il debito con lo Stato è infatti in capo alla sola Lega Nord. Così è risultato da un accordo tra Salvini e la Procura di Genova, del settembre 2018, con cui il Carroccio ha ottenuto di poter restituire il maltolto ai cittadini italiani a condizioni speciali: rate da 600 mila euro all’anno, per una dilazione in quasi 80 anni, senza interessi. Condizioni rarissime, accordate in nome del rischio democratico, cioè di eliminare nei fatti un partito politico togliendogli tutti i soldi. C’è però qualcosa che stride con questa narrazione. Se i due partiti sono distinti e indipendenti tra loro, se cioè non esiste continuità giuridica, perché alle ultime elezioni politiche la Lega si è presentata con il simbolo del partito nuovo e con lo statuto di quello vecchio?

Lo raccontano i documenti depositati al ministero dell’Interno. Alle Politiche del marzo 2018, Salvini si è presentato con il nome e lo statuto del vecchio Carroccio, ma con il simbolo di Lega Salvini Premier. Il contrassegno del nuovo partito è stato depositato da Roberto Calderoli nel gennaio del 2018, quando la Lega Salvini Premier era appena stata creata. Per partecipare alle elezioni, un nuovo partito doveva raccogliere almeno 375 firme per ogni collegio elettorale (64 in totale). La decisione di Salvini fu di presentarsi come Lega Nord, ma di usare il nuovo marchio come vetrina. Come se i due partiti fossero la stessa cosa. Mossa contraria alla logica applicata pochi mesi dopo alla restituzione del debito verso lo Stato dei 49 milioni, rimasto invece in carico solo al vecchio Carroccio.

Oggi la Lega Nord è ormai a tutti gli effetti una bad company, con pochissime entrate e moltissimi debiti, mentre Lega Salvini Premier gode di ottima salute finanziaria. Lo raccontano gli ultimi bilanci disponibili, quelli del 2019. Lega Nord ha incassato in tutto 1,4 milioni. La metà arriva dal 2 x 1000, denaro che ogni cittadino può decidere di versare, invece che allo Stato sotto forma di Irpef, al proprio partito preferito. È con questi soldi che Salvini sta ripagando il debito dei 49 milioni. Un paradosso: così facendo Lega Nord ripaga allo Stato il suo debito usando denaro sostanzialmente pubblico: la norma sul 2 x 1000 prevede infatti che, nel caso in cui il contribuente non effettui una scelta sulla destinazione della quota Irpef, la somma vada allo Stato.

Nel bilancio della Lega dunque le entrate sono pari a 1,4 milioni. Ma le spese, 1 ,7 milioni in totale, portano il risultato finale in rosso per 292 mila euro.

Tutt’altra musica per Lega Salvini Premier: nel 2019 il nuovo partito ha incassato 9,7 milioni di euro. Qui ora arrivano buona parte delle donazioni fatte da cittadini e aziende (5,8 milioni) e del 2 x 1000 (3 milioni). Salvini ha insomma spostato quasi tutte le finanze sul nuovo partito, lasciando al vecchio i debiti e quelle minime entrate necessarie per saldare le rate da 600mila euro all’anno di debito verso lo Stato. Anche le spese sostenute da Lega Salvini Premier sono rilevanti (8,8 milioni), ma il risultato finale, cioè la differenza tra entrate e uscite, è positivo per 875 mila euro.

Numeri che contano, perché nell’accordo sulla rateizzazione del debito è previsto che, oltre ai 600 mila euro annui che Lega Nord deve restituire, venga anche sequestrata “la differenza tra i ricavi dati dalle somme future incassate e le spese, risultanti dal bilancio certificato o comunque accertato”. In altre parole, se la Lega Nord si ritrovasse con un po’ di utile a fine anno, il denaro avanzato andrebbe allo Stato. Cosa che però non succede, perché Lega Nord chiude in rosso. Proprio grazie allo spostamento di tutti gli incassi sulla nuova creatura, Lega Salvini Premier.

Su questo presunto gioco delle due carte potrebbe essere presto un giudice a esprimersi. In un atto di citazione indirizzato al Tribunale di Milano, in cui chiede che gli vengano pagate 6,3 milioni di euro di parcelle legali mai saldate, l’ex avvocato della Lega Nord e di Umberto Bossi, Matteo Brigandì, denuncia infatti la continuità finanziaria dei due partiti.

Brigandì – che si considera un creditore del movimento – chiede le parcelle mai saldate a entrambi i partiti, la vecchia e la nuova Lega. “La Lega Salvini Premier, in buona sostanza, è la stessa associazione di Lega Nord per l’indipendenza della Padania”, si legge nell’atto di citazione. Per l’ex avvocato di Bossi gli elementi per dimostrare la continuità giuridica tra i due movimenti sono parecchi: la coincidenza delle sedi (sono entrambi registrati al 41 di via Bellerio), il fatto che “l’intera dirigenza dei due partiti sia la medesima” e poi Brigandì allega alla causa civile un’intervista rilasciata da Salvini nel 2018 a uno studente per la sua tesi di laurea.

Rispondendo alla domanda “Si può dire che in questo momento esistano due Leghe?”, l’ex ministro ha argomentato: “Mi sento di rispondere di no. Esiste ‘la Lega’, con la sua storia, il suo presente e il suo futuro. Un movimento capace di aggiornare la sua agenda ai tempi che cambiano”. “Dal punto di vista elettorale”, chiede lo studente, “al momento esistono due Leghe. Quando e come verranno fuse in un unico partito?”. E Salvini: “Sarà un processo entusiasmante che prenderà il via a breve”. Per Brigandì è la dimostrazione che i debiti della Lega devono essere onorati anche da Lega Salvini Premier. La decisione del Tribunale di Milano dovrebbe arrivare il 28 luglio.

IlFQ