mercoledì 18 agosto 2021

Tale&bano Show. - Marco Travaglio

 

L’unica reazione decente alla catastrofe afghana è quella di Angela Merkel: “Abbiamo sbagliato tutto”. Infatti viene da Berlino. Poi c’è l’Italia, culla del paraculismo, che si declina in varie nuances, una più comica dell’altra.

Tendenza Fonzie. Arthur Fonzarelli ci provava: “Ho sba … ho sbagl…”. Ma s’inceppava. Così gli atlantisti de noantri, sempre pronti a giustificare qualunque guerra purché made in Usa (che dal ‘46 le han perse tutte). Nel 2001 si scoprirono tutti neocon (ma alla francese: neocoglioni). Ora, per non sputarsi in faccia, danno la colpa a Trump e/o Biden, come se fossero zulu e non avessero fatto l’unica cosa giusta: ritirarsi.

Tendenza Nando Mericoni. Un americano a Roma era pronto a tutto, anche a rendersi ridicolo, pur di dare sempre ragione agli ameregani. Ora c’è Rep di Sambuca Molinari, che ribadisce la genialata di aggredire Afghanistan e Irak dopo gli attacchi sauditi-pakistani di Al Qaeda alle Due Torri, poi insiste a resuscitare i morti (per giunta sbagliati): “I talebani proteggono Al Qaeda”. Per non parlare della Yakuza e del Clan dei Marsigliesi.

Tendenza Supercazzola. Dopo averci coperti di guerre, di debiti, di morti e di ridicolo, B. definisce “un grave errore” non l’attacco del 2001, ma il ritiro del 2021. E “invoca la Nato” (nessuno l’ha avvertito che la Nato è appena fuggita da Kabul con tutto il cucuzzaro). Invece Draghi è “al lavoro coi partner Ue”. Per far che, non è dato sapere. Il sottosegretario boniniano Benedetto Della Vedova di Più Europa dichiara che “occorre più Europa, non meno”. Giuro, l’ha detto veramente.

Tendenza intellò. Galli della Loggia è inconsolabile: “fallimento di tutto l’Occidente”, “ritirata dei nostri valori e ideali”. Nessuno gli domanda: scusi, di grazia, quali valori e quali ideali? Sennò gli viene un’ernia al cervello. La sua versione francese, Bernard-Henri Lévi, dopo aver appoggiato tutte le guerre, non si dà pace: “Trionfa una barbarie che avevamo sconfitto senza difficoltà vent’anni fa”. Ah sì? E perché siamo rimasti lì fino all’altroieri? “Se venisse l’idea a un Putin, a un Erdogan, o a uno Xi Jinping, di riempire anche solo una piccola parte del vuoto creato dal ritiro americano, non ci sarebbe nessuno a opporsi”. Quindi gli Usa possono fare quel che gli pare: gli altri no.

Tendenza ovvio dei popoli. Siccome anche le mosche hanno la tosse, parla pure l’Innominabile, seminando il panico fra i talebani: “coi talebani non si tratta” (dopo le guerre, si sa, non si negozia coi nemici, ma con gli alleati). Intanto i giornaloni sparano raffiche di titoloni per spiegarci che i talebani sono cattivi (sai che novità). Ma solo perché disperano di convincerci che i buoni siamo noi.

ILFQTravaglio, editoriale, 

Il Fisco riparte dopo la tregua di Ferragosto: 163 scadenze entro fine mese. - Giovanni Parente

 

Illustrazione di Federico Bergonzini/Il Sole 24 Ore

Soggetti Isa e forfettari potranno versare le imposte fino al 15 settembre. Senza una nuova proroga pronti a partire 60 milioni di ruoli e atti della riscossione.

Nel lungo e complesso cammino di uscita dalla situazione emergenziale prodotta dalla pandemia anche il fisco prova a recitare la sua parte. La fine della tradizionale tregua di Ferragosto potrebbe, infatti, assumere una valenza ulteriore se proiettata sulle prossime settimane. Certo, parlare di normalità fiscale può sembrare una sorta di ossimoro in un contesto come quello italiano caratterizzato da adempimenti a pioggia e norme in continuo cambiamento (o interpretazione). Ma le sospensioni adottate per far fronte alla crisi di liquidità prodotte dalla difficile congiuntura economica collegata al Covid stanno progressivamente venendo meno. Ecco che allora la ripresa degli adempimenti fiscali con 163 appuntamenti in calendario da venerdì 20 agosto fino al termine del mese può trasformarsi in una sorta di prologo di quanto avverrà da settembre in poi.

Chi ha diritto alla proroga dei versamenti al 15 settembre.

Prima di tutto, però, occorre ricordare come dalla ripresa sia per il momento esclusa la scadenza più pesante in termini di impatto almeno “finanziario”. Con la proroga introdotta nella conversione del decreto Sostegni bis, poco più di quattro milioni di partite Iva soggette alle pagelle fiscali (gli Isa), collegate o nel regime forfettario avranno tempo fino al 15 settembre per pagare le imposte risultanti dal modello Redditi 2021.

Fatture, esterometro e crediti Iva

Nonostante questo, però, non mancano appuntamenti a cui è necessario che operatori economici e professionisti facciano attenzione. Ad esempio, come indica anche lo scadenzario online dell’agenzia delle Entrate, il 20 agosto è l’ultimo giorno per emettere e registrare le fatture differite relative a beni consegnati o spediti a luglio e risultanti da documento di trasporto o da un altro documento idoneo a identificare i contraenti. Ma c’è anche la deadline per la trasmissione dell’esterometro del secondo trimestre 2021 (da aprile a giugno). O ancora, per restare in ambito Iva, entro venerdì va presentato il modello TR per vedersi riconosciuto il credito Iva relativo sempre al secondo trimestre dell’anno in corso.

La rata della rottamazione ter entro il 31 agosto

Non tutti i versamenti, però, sono rinviati a settembre. La riscrittura del calendario della pace fiscale – arrivato sempre con la conversione del decreto Sostegni bis – ha fissato ben due termini ad agosto per il recupero delle rate nel 2020. Il primo appuntamento del 2 agosto ha riguardato gli importi che originariamente andavano saldati a febbraio e marzo dello scorso anno e che sono stati oggetto di diversi differimenti all’interno di provvedimenti sull’emergenza Covid. Il 31 agosto, invece, va recuperata la rata della rottamazione ter, che avrebbe dovuto essere pagata entro fine maggio 2021. A tal proposito, vanno fatte due considerazioni. Da un lato, si applica sempre la regola dei cinque giorni di tolleranza e quindi ci sarà tempo fino ai primi giorni di settembre. Dall’altro lato, non bisognerà dimenticare che l’eventuale mancato pagamento nei termini comporta la decadenza dalla definizione agevolata.

Senza un altro rinvio arrivano le nuove cartelle

Proprio in vista di settembre il capitolo riscossione è quello che, al momento, potrebbe presentare le maggiori insidie per i contribuenti e i professionisti che li assistono. Dal 1° settembre, infatti, agenzia delle Entrate Riscossione (Ader) potrebbe tornare a notificare oltre 60 milioni tra cartelle e altri atti accumulatisi dall’8 marzo 2020, data da cui è scattato il congelamento su tutto il territorio nazionale per l’emergenza Covid. Ma non solo, perché potrebbe tornare ad attivare ipoteche, fermi amministrative e pignoramenti, compresi quelli di pensioni e stipendi. E chi aveva cartelle già notificate prima della sospensione o piani di dilazione in essere dovrà andare alla cassa entro il 30 settembre.

Alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva, la parola passerà a Governo e Parlamento che dovranno decidere se il ritorno alla normalità da subito varrà anche per la riscossione o si troverà l’ennesima soluzione ponte magari con una proroga con effetto retroattivo come già accaduto negli ultimi mesi. Senza dimenticare però che il problema dello «scalone» delle rate arretrate dei piani di dilazione da saldare resta e prima o poi dovrà essere affrontato con qualche meccanismo che, ad esempio, consenta di scaglionare nel tempo i pagamenti dovuti. 

Il Sole24Ore



I batteri amici dei coralli, li aiutano a sopravvivere al caldo.

I coralli soffrono gli effetti del riscaldamento globale (fonte: KAUST; Morgan Bennett Smith

 Funzionano come un cocktail di probiotici.

Somministrati come una sorta di 'cocktail di probiotici', i batteri possono aiutare i coralli a resistere al riscaldamento degli oceani, che sta distruggendo la simbiosi tra questi organismi e le alghe fotosintetiche, causandone lo sbiancamento e in alcuni casi la morte. Sulla rivista Science Advances una ricerca dell'Università King Abdullah per la scienza e la tecnologia (Kaust) dell'Arabia Saudita propone di manipolare il microbioma corallino per aumentarne la tolleranza allo stress.

Per testare questo approccio, gli studiosi coordinati da Erika Santoro hanno selezionato 6 ceppi di batteri benefici isolati dal corallo Mussismilia hispida, per poi inocularli in colture sperimentali del corallo stesso. Parallelamente hanno esposto i coralli a stress da calore, aumentando la temperatura a 30 gradi nel giro di 10 giorni prima di farli scendere a 26 gradi, monitorandone la salute e misurando la diversità dei batteri e i parametri metabolici, con e senza i probiotici e lo stress da calore.

Inizialmente non è stata notata alcuna differenza: con o senza probiotici infatti i coralli hanno reagito in modo simile al picco di temperatura, sbiancandosi in entrambi i casi. "Dopo aver fatto calare la temperatura, però, abbiamo avuto una piacevole sorpresa nei coralli trattati con i probiotici", rileva Santoro.

Il trattamento con i batteri ha infatti migliorato la ripresa dei coralli dopo lo stress da calore, aumentandone la sopravvivenza dal 60% al 100%. Una terapia che secondo gli studiosi può aiutare a mitigare l'effetto del disturbo da post stress da calore ed a ripristinare la situazione fisiologica e metabolica del corallo. "Usare un probiotico è un'arma efficace per aiutare i coralli ad affrontare lo stress da calore - conclude Santoro - ma dobbiamo anche considerare altri interventi, come la protezione e conservazione, una maggiore consapevolezza e soprattutto la riduzione delle emissioni di gas serra". 

ANSA

Nuovo record del debito, a giugno 2.696,2 miliardi.

 

In aumento di 9,2 miliardi. Pesa il fabbisogno pari a 15 miliardi.


Nuovo record del debito pubblico italiano. A giugno, secondo le rilevazioni della Banca d'Italia nella pubblicazione sulla Finanza pubblica, il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato di circa 9,2 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 2.696,2 miliardi.

Il fabbisogno (15 miliardi) e l'effetto di scarti e premi all'emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione e della variazione dei tassi di cambio (che hanno complessivamente aumentato il debito per 0,9 miliardi) hanno più che compensato la riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro (6,8 miliardi, a 84,4).

ANSA

martedì 17 agosto 2021

La folle guerra delle lacrime di coccodrillo. - Salvatore Cannavò

 

Afghanistan, 20 anni di errori e menzogne.

Se la guerra in Afghanistan avesse avuto davvero l’obiettivo di colpire i responsabili dell’attentato dell’11 settembre 2001, sarebbe potuta finire il 1 maggio del 2011. Quando Osama bin Ladin, a Islamabad, fu liquidato dalle truppe speciali Usa sotto lo sguardo rapito, immortalato da una celebre foto, di Barack Obama.

Dopo dieci anni, la guerra contro i talebani non aveva fatto nessun passo avanti significativo eppure si andrà avanti dieci anni ancora senza che i responsabili abbiano presentato una scusa o un ripensamento.

I Neocons all’attacco. 

Dopo il crollo delle Torri gemelle lo stato maggiore statunitense a partire dal suo commander in chief hanno in testa un solo obiettivo, Bin Laden. Ma soprattutto hanno in testa la guerra in Afghanistan che con l’eliminazione di Al Qaeda non c’entra nulla. Già il 13 settembre, secondo il Washingont Post, sul tavolo di George Bush jr. e del suo manovratore Dick Cheney, ci sono “ben sei piani per colpire l’Afghanistan”.

Gli Usa vanno in Afghanistan per motivi geopolitici: c’è da presidiare l’area del mondo che potrebbe essere preda dell’espansione cinese. C’è da accerchiare l’Iran e preparare la prossima guerra, il chiodo fisso di Dick Cheney, quella in Iraq. L’Afghanistan è invaso di uomini, 775 mila in tutto, di soldi, circa mille miliardi di dollari, di aiuti distribuiti a caso, senza molto senso. Eppure Bush annuncia agli americani una nuova guerra – compostamente dichiarata solo dopo “aver detto molte preghiere” – che sarà vinta “con la paziente accumulazione di successi”. Le preghiere con l’islamismo dei talebani non devono aver funzionato molto e i successi non si sono visti.

Il fido Blair.

Accanto agli Stati Uniti si erge la sponda convinta e decisa della Gran Bretagna guidata dal “progressista” Tony Blair. Che fa di tutto per intestarsi la guerra. Prima, lanciando l’ultimatum a Kabul al grido “o ci consegnate Bin Laden o lasciate il potere” e poi mettendo a disposizione tutto il potenziale bellico necessario dato che le forze armate britanniche “sono tra le migliori al mondo”. Blair è un riferimento obbligato della sinistra riformista e con lui ci sono praticamente tutti: Lionel Jospin in Francia, Gerhard Schröder in Germania, Luis Zapatero in Spagna e la sgangherata formazione ulivista in Italia capeggiata in quel momento da Piero Fassino e Francesco Rutelli. Ma prima occorre fermarsi sulla terza “B” di quella guerra, dopo Bush e Blair: Silvio Berlusconi.

Il signor “B”.

 L’allora leader del centrodestra sa bene, e lo dice pubblicamente, che “l’operazione militare in corso è stata preparata da tempo”. L’Italia, diceva l’allora Cavaliere, “non ha mai messo alcun limite alle richieste che, eventualmente, venissero fatte dagli Usa. Ci siamo mantenuti a disposizione e siamo ancora a disposizione”. Con lui tutto il centrodestra, Lega e An comprese, fieramente asserviti ai desideri Usa, come da copione atlantico. E con la guerra si schiera anche l’allora Ulivo anche se con diversi mal di pancia interni.

Fassino con l’elmetto Scontata la contrarietà di Rifondazione comunista – che solo al governo, nel 2006, darà l’avallo alle missioni militari –, tra i protagonisti del tempo troviamo anche l’attuale segretario del Pd, Enrico Letta, privo di alcun dubbio: “La guerra di oggi ha motivazioni più solide e sarebbe un incomprensibile errore per la sinistra italiana tirarsi indietro”. La sinistra italiana non si tira indietro pur con dei distinguo: la sinistra interna ai Ds, l’Unità diretta da Furio Colombo, una parte del cattolicesimo democratico nella Margherita, il “no” del Prc e dei Verdi. Francesco Rutelli, capo della coalizione se ne duole lamentando la “mancanza di una cultura di governo”.

Sarà quella cultura che porterà il secondo governo Prodi a isolare i dissensi sotto l’occhio vigile dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che vincola quel governo alla compattezza sulle missioni, pena “un grave problema politico”. Del resto, il progressista numero Uno, Barack Obama, non farà nulla per fermare la catastrofe e il suo vice si chiama Joe Biden.

I Papers delle bugie.

Per capire che la guerra fosse un errore basta leggere gli Afghanistan Papers pubblicati dal Washington Post. Duemila pagine di note, appunti e interviste a generali e diplomatici per evidenziare la catena costante di errori e bugie: “Eravamo privi di una comprensione fondamentale dell’Afghanistan, non sapevamo cosa stavamo facendo” spiegava Douglas Lute, generale a tre stelle. John Sopko, il capo dell’agenzia federale che ha condotto le interviste, conferma che “al popolo americano è stato costantemente mentito”. Quanto alla preparazione dell’esercito, gli addestratori militari Usa hanno descritto le forze di sicurezza afghane come “incompetenti, immotivate e piene di disertori” con i comandanti afghani intenti a “intascare gli stipendi per decine di migliaia di “soldati fantasma”. Nel frattempo l’Afghanistan è diventato il produttore dell’82% dell’oppio mondiale.

Il Merlo gné-gné.

Eppure Emma Bonino, nel 2005, si felicitava per un “processo di transizione istituzionale e democratica” ormai concluso. E su queste posizioni tutta la stampa democratica. Allo scoppio della guerra Gianni Riotta scriveva che l’obiettivo sarebbe stato “un Afghanistan retto da un governo di coalizione, che metta fuorilegge i Taliban e Al Qaeda e ripristini almeno livelli minimi di diritti civili per le donne e i profughi”. Altro editorialista, Antonio Polito, dal 2006 al 2008 senatore della Margherita, si complimentava con Prodi perché sull’Afghanistan aveva “marcato chiaramente la differenza da Bertinotti” manifestando la sua vera preoccupazione. Le voci dissonanti, come Gino Strada, venivano bastonate allegramente. Francesco Merlo nel febbraio 2003 sul Corriere della Sera lo chiamava il “signor Né-Né” che fa tanto rima con gné-gné. “Il signor Né-Né non è un pacifista, è piuttosto una scoria del pacifismo, è la serpe che fa la sua tana nel pacifismo più ingenuo, lupo tra le colombe, volpe nel pollaio”. A uno stupito Gino Strada che chiedeva conto di tali insulti, egli rispondeva: “In guerra (…) non si può scegliere di non scegliere, non si può stare né di qua né di là (…) La retorica delle buone intenzioni ha sempre dei profittatori, degli astuti signori Né-Né. Dove vuole che vadano i lupi e le volpi se non tra le colombe del coraggioso Gino Strada, e nei pollai?”. Oltre a rivelare il giudizio su Gino Strada un certo riformismo “colto”, in quelle parole (nonostante fossero riferite all’Iraq) c’è tutta la supponenza con cui sono state affrontate le guerre globali. Con relative voragini.

ILFQ

Caso Durigon, Flores D’Arcais: “Il leghista è incivile, Draghi è suo complice visto che ancora tace”. - Tommaso Rodano

 

Paolo Flores d’Arcais, su MicroMega lei ha scritto che il sottosegretario leghista Claudio Durigon è “fuori dall’Italia civile” e deve essere cacciato. Basta una battuta su parco “Mussolini” per essere incompatibili con un incarico di governo?

Mi sembra un fatto di un’evidenza incontestabile. Il nostro essere concittadini si basa su un legame comune dato dalla Costituzione. La Costituzione della Repubblica italiana è notoriamente ed esplicitamente antifascista. I ministri e i sottosegretari di governo giurano fedeltà sulla Costituzione. Dunque il sottosegretario Durigon è uno spergiuro.

Se non fosse sufficiente la nostalgia delle radici fasciste di Latina, con una sola frase Durigon ha offeso la memoria di due eroi dell’antimafia.

Con la proposta di cancellare i loro nomi dal parco comunale di Latina, simbolicamente ha fatto morire di nuovo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mi pare davvero che ce ne sia più che a sufficienza per dire che Durigon non appartiene all’Italia civile.

Il leghista ha specificato che parlava del fratello di Mussolini, non del Duce in persona. E che bisogna rispettare le radici storiche della città. Altrimenti – è il ragionamento – cosa si fa, si cancella ogni traccia del ventennio?

Guardi, l’argomento è risibile. Credo che la famiglia Durigon, come molte altre dell’Agro pontino, sia di origine veneta. Dovrebbero essere a conoscenza di questo modo di dire: “Pezo el tacòn del buso”. La toppa è peggio del buco.

Si aspetta che intervenga il presidente del Consiglio?

Mi sorprende moltissimo il suo reiterato silenzio, visto che Draghi viene descritto – e sembra ben felice di essere descritto – come un fulmine di guerra in tutte le sue decisioni. In questo caso invece la sua pronta e doverosa reazione latita. Per questo motivo, il suo comportamento diventa più vergognoso di minuto in minuto. Finché non interverrà, è da considerare, per omissione, complice di Durigon.

Crede che la mossa di presentare una mozione parlamentare di sfiducia sia giusta o rischia di trasformarsi in un boomerang, se non dovessero esserci i numeri in aula?

Alla fine penso che non sarà necessaria, perché credo che la parte meno ottusa dell’establishment presto costringerà Durigon ad andarsene. Se invece non dovesse succedere, la mozione diventerà doverosa.

Pare che i renziani di Italia Viva non la vogliano votare, le probabilità di fallimento sarebbero alte.

A quel punto, se tra i partiti non si dovesse trovare una maggioranza determinata a far decadere il sottosegretario del “parco Mussolini”, vorrà dire che questo Parlamento è già espressione plastica dell’Italia incivile.

Il fatto che un politico del profilo di Durigon avesse già trovato spazio nel primo governo Conte cosa dice della qualità della classe dirigente italiana?

Per quanto mi riguarda, il primo governo Conte faceva schifo nel modo più assoluto. Il secondo invece mi faceva schifo “semplicemente”. E significa che è ormai da parecchio tempo che la nostra scelta è tra il peggio, il più peggio e il peggissimo.

Leggendo i sondaggi, al peggio non pare ci sia limite… nei popolarissimi Fratelli d’Italia hanno trovato casa nostalgici ben più radicali di Durigon.

La nostra democrazia si fonda sull’antifascismo: chi non è antifascista è fuori dalla nostra democrazia, questo è il dettato costituzionale. Eppure tra meno di due anni avremo un governo Meloni-Salvini, dunque una maggioranza parlamentare tecnicamente proto-fascista. Credo che questo sia il dramma che incombe. I mass media sembrano ignorarlo e nessun settore dell’establishment lo vuole affrontare. Tra meno di due anni, noi avremo un governo Orban-Le Pen. Oltre che per l’Italia, sarà una tragedia per tutta l’Europa.

ILFQ

Imbecillistan. - Marco Travaglio

 

Su Kabul, l’unica cosa che stupisce è lo stupore. Possibile – si domanda il Giornalista Unico sul Giornalone Unico dall’alto del suo ventennale “atlantismo” e “riformismo” – che l’Afghanistan, dopo vent’anni di esportazione della democrazia e di lotta al terrorismo a suon di bombe, di morti e di torture, si riconsegni ai Talebani? Possibile che il popolo non dia il sangue per difendere tal Ghani, il presidente-fantoccio che gli abbiamo regalato noi e che fra l’altro se l’è già data a gambe? Possibile che l’invincibile armata mercenaria di 300 mila soldati reclutata, equipaggiata e addestrata dagl’invasori (anch’essi fuggiti) si sia squagliata come neve al sole anziché combattere per conto loro, senza neppure quei “tre mesi di resistenza” che i nostri “esperti” prevedevano fino all’altroieri dando per certo l’accordo per un “governo di transizione” gradito all’Occidente? Da vent’anni le meglio firme del bigoncio che se la tirano da “competenti”, embedded al seguito della destra berlusfascia e della “sinistra” blairiana sbavavano per la “guerra al terrorismo” senza mai azzeccarne una. Più i nostri eroi prendevano legnate moltiplicando in tutto il mondo il terrorismo che dicevano di combattere, più raccontavano che stavamo vincendo noi. E ora, tomi tomi cacchi cacchi, scoprono quello che chi ha occhi per vedere sa dal 2001: i Talebani, che 20 anni fa stavano sulle palle ai 3/4 degli afghani, tornano al potere da trionfatori, con l’aureola degli eroi della resistenza. E ancora una volta ci hanno sconfitti con le nostre armi (da noi fornite al cosiddetto “esercito regolare”, subito arresosi nelle loro mani).

Eppure il direttore di Repubblica Maurizio Molinari spiega come la guerra di Bush-Blair-Berlusconi, tre leader che a stento sapevano dov’era Kabul, fosse giusta. Cioè che dietro l’attacco alle Torri Gemelle non ci fossero le satrapie petrolifere del Golfo, in testa l’Arabia Saudita (quella del Nuovo Rinascimento renziano), ma i Talebani (che non sono neppure arabi). “Al-Zawahiri e Bin Laden – scrive Sambuca restando serio – trovarono questo santuario jihadista nell’Afghanistan dei talebani del Mullah Omar – che li ospitò, sostenne e finanziò fino a consentirgli di organizzare l’attacco agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001 – ma dopo l’intervento americano la base territoriale svanì”. Una tesi che nemmeno i suoi amici del Pentagono osano più sostenere. Quando i Talebani del mullah Omar&C. e il califfo saudita Bin Laden combattevano i sovietici, agli Usa piacevano un sacco: le armi gliele passavano loro. L’incontro fra i due capi avvenne allora: Osama foraggiò i mujaheddin contro l’Urss, d’intesa con gli Usa e con tutto l’Occidente. E poi finanziò la ricostruzione dell’Afghanistan: strade, scuole, ospedali. Perciò era amato dagli afghani e quando Omar entrò in Kabul nel ‘96 lo lasciò lì. Ma nel ‘98 Bin Laden fu sospettato per gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania. E Bill Clinton prese a bombardare la zona di Khost, pensando che si nascondesse lì: invece morirono centinaia di civili. Partì una trattativa fra talebani e Casa Bianca: Wakij Ahmed, braccio destro del mullah, incontrò Clinton il 28.11 e il 18.12 ’98. Offrì di indicare il nascondiglio di Bin Laden in cambio della fine dei bombardamenti. Ma Clinton rifiutò. I Talebani poi rifiutarono di far costruire il mega-gasdotto dal Turkmenistan al Pakistan alla compagnia americana Unocal, in cui erano impicciati due fedelissimi del neopresidente Bush jr., Cheney e Rice, oltre al futuro Quisling afghano Karzai. Nel suo bel libro sul mullah, Massimo Fini racconta anche la trattativa sull’oppio: nel 2000 il mullah bloccò la coltivazione di papavero, facendo schizzare il prezzo dell’oppio e rovinando gli affari del narcotraffico mondiale. Meno di un anno dopo partì l’attacco e la produzione dell’oppio ricominciò.
L’attacco alle Twin Towers fu un puro pretesto. Non c’era un solo afghano fra gli attentatori né nelle cellule di Al Qaeda. Solo sauditi, egiziani, giordani, tunisini, algerini, marocchini, yemeniti. Non afghani o iracheni. Infatti furono attaccati Afghanistan e Irak (nel 2003, con la scusa delle armi di distruzione di massa, mai viste, e di un inesistente patto fra Saddam Hussein e Bin Laden, che si erano condannati a morte a vicenda: poi Osama fu ucciso in Pakistan, che nessuno si sognò d’invadere). A Kabul la guerra al terrorismo, costata 3mila miliardi $ solo agli Usa, ha riabilitato i Talebani. A Baghdad ha prodotto l’Isis. Nel febbraio 2003 Gino Strada predisse come sarebbe finita e fu accusato di filo-terrorismo. Francesco Merlo, non ancora passato a deliziare i lettori di Rep, lo additò sul Corriere come un “Signor Né Né”. Gino rispose così: “Signor Merlo, ho l’impressione che il partito della guerra del petrolio non passi un gran momento… Gli amici dell’‘amico George’ imbavagliano l’informazione in modo da renderla indistinguibile dalla propaganda – ne sa qualcosa, Signor Merlo? – eppure la gente non li ascolta. Rendono i telegiornali molto simili al Carosello, eppure le persone continuano a pensare, a porsi domande… Ho la sensazione che non filerà via liscia, che i cittadini si siano stancati di fare da telespettatori, che i padroni delle testate debbano rassegnarsi a non essere anche padroni delle teste…”. Oggi l’Afghanistan torna a vent’anni fa. Invece la stampa italiana non s’è mai mossa.

ILFQ